Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

sabato 2 febbraio 2013

L'arte altomedievale


L’Alto Medioevo – Il termine alto Medioevo è usato nella storiografia artistica per indicare il lungo periodo intercorso tra le ultime manifestazioni del tardoantico[1] e le prime espressioni del Romanico, cioè tra il VI e l’XI secolo.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, mentre in Oriente l'Impero bizantino divenne l'erede della tradizione culturale di Roma, in Occidente l'unità seguita alla conquista romana si spezzò, per il disgregarsi delle strutture sociali, economiche e politiche del mondo antico e per l'azione distruttrice dei popoli invasori.
L'Europa attraversò una fase assai complessa di frazionamento interno, nella quale emersero sempre più chiaramente le differenziazioni tra i singoli Paesi, che si avviarono a porre le basi storiche per il loro futuro costituirsi come entità nazionali.
Le manifestazioni artistiche di questo periodo non nacquero quindi da un substrato comune, ma presentavano anzi una tipica mancanza di unità, rivelando apporti e influssi eterogenei, attraverso i quali tuttavia si giunge alla formulazione di espressioni formali nuove e originali, che entrarono a far parte del linguaggio del periodo romanico, quando l'Europa ritrovò uno sviluppo culturale sostanzialmente unitario.
Le prime affermazioni originali di un nuovo orientamento artistico sono costituite dalle opere dei popoli barbarici[2], in cui si manifesta un gusto per l'intreccio astratto, altamente decorativo, in completa antitesi con la tradizione figurativa classica.
In Italia questo trapasso fu particolarmente significativo: l'arte paleocristiana – nei primi tempi della storia del cristianesimo, fino al VI secolo, specialmente l'arte fiorita tra i secoli III e VI nei territori posti sotto il dominio romano – aveva dato vita in tutta la penisola a un linguaggio artistico abbastanza uniforme, proseguendo la cultura figurativa del tardoantico, e questa continuità non era stata spezzata dal costituirsi dei regni romano-barbarici – l'esempio tipico è quello di Ravenna sotto Teodorico – né dalla riconquista bizantina; fu solo l'invasione longobarda a introdurre nuovi elementi, che posero fine alla tradizione antica e aprirono la via allo sviluppo di una diversa cultura figurativa longobarda[3].
Mentre infatti a Roma il percorso dal paleocristiano alle prime esperienze romaniche avviene senza violente fratture, ma anche senza sviluppi innovatori, proprio nella Longobardia, dove già alla fine del VII secolo operano i Maestri Comacini, attraverso esperienze frammentarie e difficili si giunse a formulare i primi accenni dell'architettura romanica.
La denominazione Maestri Comacini, attribuita nell'Editto di Rotari nel 643 e in quello di Liutprando nel 713 a maestranze corporativamente organizzate di muratori, capomastri, lapicidi.
Sul termine comacinus, dall'oscura etimologia e presto caduto in disuso, sono state formulate molte supposizioni: la tesi più attendibile resta quella che lo fa derivare da una matrice topologica; tali maestranze si sarebbero infatti formate nella zona intorno a Como.
Il linguaggio dei Maestri Comacini trovò, pur attingendo largamente a esperienze ravennato-bizantine, accenti di una propria originalità, soprattutto nella tecnica costruttiva e in taluni elementi decorativi e di stile che dovevano diventare parte integrante dell'arte lombarda. La tradizione comacina non andò perduta nel periodo romanico; nella regione comasca seguitarono, infatti, a formarsi maestranze che viaggiando per l'Europa diffusero i loro repertori, dando luogo a una corrente che è stata definita comasco-lombarda.
Se l'apporto barbarico nel campo dell'architettura è comunque difficile da definire, esso risulta importantissimo per le arti decorative: il gusto per l'intreccio ornamentale impronta di sé la straordinaria produzione miniaturistica dell'arte anglosassone, una delle espressioni più originali del Medioevo europeo, e gli oggetti lavorati in legno o in metallo dell'arte nordica e vichinga[4].
La diffusione di queste tendenze astrattizzanti fu tuttavia frenata nel periodo carolingio, quando l'azione di Carlo Magno tese a creare una sintesi di diverse culture, riassumendo la classicità come riferimento ideale di una nuova civiltà figurativa di tipo aulico.
Caratteri evidenti sia nella ripresa architettonica, sia nell'esigenza plastica che anima la scultura e le arti decorative carolingie fiorite nell'Europa occidentale dal secolo VIII alla metà del X, in seguito alla rinascita artistica promossa da Carlo Magno, la cui opera fu continuata dai discendenti, soprattutto Carlo il Calvo. Il centro di irradiazione fu Aquisgrana, sede della corte, ma gli impulsi spirituali della rinascenza carolingia trovarono il terreno ideale per il loro sviluppo nei monasteri della Francia occidentale, della Renania e della Germania meridionale, dell'Italia settentrionale: Saint-Denis, Reims, Metz, Tours, Lione, Magonza, Fulda, Reichenau, San Gallo e Milano furono i grandi centri in cui fiorì l'arte carolingia.
Riallacciata in parte alla precedente civiltà merovingia, l'arte carolingia introduce alla notevole fioritura artistica del susseguente periodo ottoniano, di gusto tipicamente germanico e che già prelude alle prime esperienze del romanico.
L’Arte ottoniana fiorì tra il X secolo e la prima metà dell'XI durante i regni degli imperatori della casa di Sassonia di nome Ottone, nel territorio del Sacro Romano Impero compreso tra il Reno e l'Elba, ma con frange fin nei bacini della Mosa e della Mosella, della Senna e della Loira.
L'arte ottoniana si pone come necessario termine di passaggio tra lo stile carolingio e il Romanico, alle cui fasi più precoci in Spagna, Italia e Francia esso si affianca.
Caratterizzata dalla ripresa di schemi e di motivi carolingi, nell'arte ottoniana si fondono anche spunti bizantini (nel 972 Ottone II sposò la principessa greca Teofano), particolarmente evidenti nel comporre pacato e solenne e nell'intensa forza espressiva dei gesti, tipica del mondo germanico.
Particolare interesse riveste in Spagna l'arte dei Visigoti, che ebbe il suo ultimo sviluppo, di fronte all'avanzata araba, nella zona asturiana, elaborando forme architettoniche a carattere preromanico.
Nel secolo X la lunga elaborazione architettonica precedente giunge a maturazione e viene a formarsi uno stile quasi uniforme, dalla Provenza alla Linguadoca, dalla Catalogna alla Borgogna, per il quale Josep Puig i Cadafalch (1869-1956) ha coniato il termine di prima arte romanica.


[1] Il tardoantico – Il termine Spätantike fu coniato da Alois Riegl che, nella sua opera Industria artistica tardo-romana del 1901, respinse la concezione classicistica che considerava l'arte greca quale modello e termine di confronto per l'arte romana, mettendo invece in risalto l'importanza e l'originalità del periodo artistico che inizia nel sec. III d. C. e che, per il progressivo distacco dallo spirito dell'arte greca, era considerato dai classicisti barbaro e decadente.
Riegl, intendendo l'arte come fenomeno universale, espressione di un Kunstwollen – volontà d'arte –inteso come gusto di un determinato periodo storico o anche di un singolo artista, il fattore predominante di ogni creazione artistica – o di un Volksgeist – spirito di un popolo – specifico di ogni epoca e che si esprime in tutto il complesso dei fatti culturali, Riegl giunse a rivalutare gli aspetti decorativi e ornamentali, in genere sottovalutati, superando la tradizionale opposizione di arti maggiori e minori, e a collocare nella giusta prospettiva storica fenomeni a quell'epoca ignorati o incompresi dalla critica. Il conseguente concetto di autonomia di ogni forma d'arte facilitò il riconoscimento della validità delle arti non classiche e, in particolare, la comprensione dell'arte tardoantica.
In seguito numerosi studiosi, in particolare Gerhart Rodenwaldt, i cui studi più importanti riguardano l'arte romana, di cui egli vide l'autonomia e distinse l'elemento classicistico dalla componente italica popolare, e Ranuccio Bianchi Bandinelli, hanno meglio definito le motivazioni di carattere storico, sociale, economico e filosofico che costituiscono l'humus dell'arte romana tardoantica che si accompagna alla decadenza e alla fine dell'impero e del mondo antico come la crisi economica, la crescente pressione delle popolazioni barbare, l’assolutismo e il carattere quasi divino dell'imperatore.
Alla vita pubblica si preferì l'evasione nell'irrazionale, nel misticismo delle religioni orientali e della filosofia neoplatonica.
Sul piano artistico questa situazione si tradusse nell'abbandono della tradizione greca, nel disgregarsi della solida forma plastica, nell'accentuazione del colorismo, del chiaroscuro violento, nella deformazione delle figure, nel ripudio degli antichi canoni di euritmia – l’armonia derivante dalla proporzione e dall'adatta disposizione delle varie parti di un'opera d'arte, specialmente architettonica – e di proporzione, nel sentimento di dolore e di angoscia che emana dai ritratti, dalle figure di combattenti o di barbari, con soluzioni iconografiche e formali legate al riaffiorare, nell'arte ufficiale, di quel filone artistico italico e popolare in precedenza emarginato dalla tradizione greca.
È soprattutto nella scultura che i vari aspetti del tardoantico si riflettono con maggior evidenza –ritratti imperiali, sarcofagi con decorazione in altorilievo, rilievi degli archi di Settimio Severo, di Galerio e di Costantino.
Nella pittura, nei mosaici, negli avori, nella toreutica l’arte di lavorare il metallo mediante svariati procedimenti: a cesello, a sbalzo, a bulino – si nota il progressivo affermarsi di quelle tendenze astratte, ieratiche, fortemente simboliche che caratterizzeranno l'arte cristiana e bizantina, mentre il filone realistico-popolare si affermò nell'arte provinciale, soprattutto in Gallia e nella Renania, creando le premesse dell'arte medievale.
[2] Arte barbarica – Con arte barbarica si definisce storicamente l'arte dei popoli nomadi germanici che invasero il territorio dell'Impero romano, sviluppatasi dal IV al IX secolo, epoca in cui la rinascita carolingia impose una nuova visione artistica, almeno nei Paesi europei. Non però in Scandinavia, dove l'oreficeria conservò i tradizionali motivi nordici, con uno svolgimento parallelo a quella carolingia. È compresa sotto questo nome anche l'arte dei popoli irlandesi e scandinavi, che non vennero in contatto diretto col mondo romano.
L'attività artistica dei barbari si limitò quasi esclusivamente all'oreficeria; sono giunte fino a noi anche opere in pietra scolpita, mentre la pittura e l'architettura – come è comprensibile trattandosi di popoli nomadi – non ebbero sviluppi autonomi: le manifestazioni artistiche in questo campo furono infatti dovute ai popoli conquistati oppure agli invasori dopo che si furono stanziati in modo definitivo.
Nulla è rimasto dell'architettura lignea, diffusa soprattutto in Scandinavia, dove la tradizione costruttiva continuò nei secoli successivi. I monumenti in pietra sono in genere costituiti da lastre tombali; quelle franche, prodotte in ambiente cristiano, sono adorne di rilievi piuttosto rozzi. Figure umane sommariamente delineate si trovano anche in lastre in pietra rinvenute in Germania, tra cui una, raffigurante un cavaliere, proveniente da Hornhausen (secoli VII-VIII; Halle, Landesmuseum für Vorgeschichte).  Per uno dei più noti, la lastra di Hornhausen (Halle, Landesmus. für Vorgeschichte, sec. 8°) - dove sopra a una fascia a intreccio in II stile animalistico è rappresentato un c. passante con lancia e scudo rotondo -, si è proposta un'originaria funzione come parte di una recinzione presbiteriale, di cui si conservano altri frammenti, uno dei quali con la croce (Böhner, 1976-1977). 
Particolarmente significative le steli funebri del Gotland (Svezia), scolpite o dipinte con scene delle saghe nordiche distribuite in fasce (sec. V-VIII, Stoccolma, Historiska Museet).
[3] L’arte longobarda – Le principali testimonianze dell'arte longobarda sono affidate a una ricca serie di oggetti in metallo, spesso prezioso, che i Longobardi portarono con sé dalla Pannonia e che continuarono a produrre durante la permanenza in Italia. Questi oggetti – soprattutto else di spada, fibule, croci – provenienti in gran parte dalle necropoli longobarde, sono generalmente lavorati con un'elementare tecnica di oreficeria e decorati con intrecci lineari o con motivi zoomorfi come fibule e croci nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale.

Non mancano tuttavia figurazioni stilizzate, come nella croce del duca Gisulfo del secolo VI-VII al Museo Archeologico Nazionale di Cividale, o nella lamina sbalzata dell'elmo di Agilulfo del VII secolo al Museo Nazionale del Bargello di Firenze.

Spesso questi oggetti di oreficeria sono arricchiti con pietre preziose o semplicemente colorate come la croce di Agilulfo del VII secolo nel Tesoro del Duomo a Monza.
Accanto alle opere di oreficeria sono inoltre da ricordare alcune sculture in pietra appartenenti all'ultimo periodo della dominazione longobarda, tra le quali il sarcofago di Teodota a Pavia del 720 e i bassorilievi dell'altare del duca Ratchis della metà dell’VIII secolo del Museo Cristiano di Cividale, raffiguranti alcune scene del Nuovo Testamento, che in origine dovevano essere ricoperti da uno strato bianco di stucco e decorati con paste colorate, in modo da assomigliare a un lavoro di oreficeria.

Dell'architettura longobarda sono note le piante di alcune chiese che rivelano riferimenti classici e orientali, pur distinguendosi per la loro originalità come Santa Sofia a Benevento, a pianta stellare, con doppio ambulacro, del 762.
[4] Arte vichinga – Si è soliti definire vichinga la produzione artistica dell'ultima fase della civiltà scandinava, nel periodo precedente la diffusione del romanico, cioè tra il sec. IX e la metà dell'XI. Una delle principali fonti per la conoscenza dell'arte vichinga è data dalla ricca serie di oggetti ritrovati nella nave funeraria di Oseberg e dalle figurazioni della pietra runica di Jellinge. Nel 1903, sotto un tumulo di argilla, sono stati rinvenuti una nave funeraria vichinga lunga 22 m insieme a un carro e a quattro slitte, accompagnati da arredi domestici, armi e monili. La nave, che appare riccamente decorata con intagli a intreccio zoomorfo di straordinaria astrazione fantastica, è una delle più significative testimonianze dell'arte scandinava degli inizi del sec. IX. Questi oggetti sono caratterizzati da un esuberante intreccio zoomorfo dove gli animali, costretti entro cornici geometriche, assumono un aspetto quasi nastriforme, di raffinata stilizzazione grafica.
Alla formazione di uno stile tipicamente vichingo non è estranea l'influenza sia dell'arte anglo-irlandese, sia dell'arte carolingia, visibile soprattutto nell'introduzione di motivi vegetali. L'ornato carolingio si ritrova principalmente in una serie di fermagli eseguiti sul modello della spilla carolingia di Hon, oggi a Oslo, Universitatets Oldsakesamling.
Successivamente l'ornato zoomorfo e le forme vegetali si fusero in un unico tipo di decorazione i cui principali esempi sono dati da una serie di oggetti in bronzo provenienti da Källunge e da Söderala (sec. X-XI) e dagli intagli degli stipiti lignei della chiesa norvegese di Urnes.
Mancano purtroppo, per una completa valutazione dell'arte vichinga, testimonianze dell'architettura, nota solo attraverso descrizioni (del tempio di Uppsala, con tetto conico rilucente d'oro; di padiglioni reali, con il tetto a lanterna a piani arretrati, sul tipo delle più tarde stavkirchen).