Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

mercoledì 22 ottobre 2014

La crisi del Rinascimento: dal Manierismo al Barocco

La crisi del Rinascimento: dal Manierismo al Barocco
Nella seconda metà del ‘500 si avverte un senso di fallimento, di stanchezza e di grigio conformismo, si cercano ragioni che giustifichino la propria attività di scrittori. Il ricorso agli antichi che aveva funzionato da spinta competitiva, ora invece ha azione cristallizzante ed esclude la possibilità di compiere grandi opere. Gli intellettuali vivono le nuove preoccupazioni religiose, alcuni accettano le tesi protestanti, altri vivono una rinnovata fede cattolica, ma comunque con col turbamento che la letteratura umanistica con il suo rifarsi alla civiltà antica non poteva accordarsi con la fede cristiana. A indicare questa fase di crisi del rinascimento si usa il termine “Manierismo” il cui significato, tutt’altro che univoco è usato variamente sia per il periodo cronologico sia per i fenomeni che lo riguardano. Per alcuni è un cuscinetto tra il rinascimento e il barocco, per altri è parte del rinascimento del quale è espressione della crisi, per tal’altri ha caratteristiche sue definite.
In questo modo, nella seconda metà del ‘500, coesistettero talvolta legate tra loro, due concezioni diverse della poesia. Da un lato un classicismo fondato sulla ragionevolezza e la misura, dall’altro un barocco fondato sulla ricerca della meraviglia e della sensualità. E’ importante notare che queste due strade non erano tanto contrastanti e inconciliabili. Spesso gli uomini che seguirono una, batterono pure l’altra facendo sì che nella seconda metà del ‘500 e nel ‘600 si ebbe un’arte tutt’assieme decorosa e sensuale, regolata da principi classici e contemporaneamente anticlassica, piena di preoccupazioni moralistiche e religiose e aspirante continuamente a superarle in un gioco di immaginazioni e fantasie.
Tasso si colloca nel momento di passaggio dal Rinascimento al Barocco e nella sua opera si possono individuare elementi che la riconducono all'uno o all'altro di questi due differenti movimenti culturali. Per l'opera di Tasso si usa spesso la definizione di manierismo, indicando con questo termine mutuato dalla storia dell'arte le caratteristiche spesso ambivalenti delle sue creazioni letterarie, sempre in bilico tra il classicismo umanistico-rinascimentale e la tentazione della trasgressione che sarà tipica della sensibilità barocca.
Tasso è un autore eclettico, che si è cimentato nei diversi generi letterari, anche se la sua fama è legata soprattutto al poema epico, a cui del resto egli stesso ha dedicato la maggior parte delle proprie energie creative.

Il Combattimento di Tancredi e Clorinda
Da La Gerusalemme liberata[1] di Torquato Tasso
Canto XII, 52 - 68
I protagonisti dell’episodio, uno dei più famosi del poema, sono Clorinda, valorosa guerriera pagana, e Tancredi, cavaliere cristiano dalle straordinarie qualità, segretamente innamorato della fanciulla. Mentre l’esercito dei crociati assedia Gerusalemme, un’audace spedizione compiuta da Clorinda e dai suoi incendia le macchine belliche dei cristiani, rendendo per il momento vani i loro sforzi. Cala però la notte e Clorinda rimane chiusa fuori da Gerusalemme.
Nelle tenebre, il caso vuole che proprio Tancredi riconosca in lei un guerriero nemico.
Lo scontro tra i due si trasforma in un tragico duello, in cui Tancredi uccide inconsapevolmente la donna amata ma, paradossalmente, salva la sua anima attraverso il battesimo.

Il combattimento di Tancredi e Clorinda
Da La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso Canto XII, 52 – 68
Sola esclusa ne fu[2], perchè in quell’ora
Ch’altri serrò le porte, ella si mosse[3]:
E corse, ardente e incrudelita, fuora[4]
A punir Arimon che la percosse.
Punillo; e ’l fero Argante avvisto ancora
Non s’era ch’ella sì trascorsa fosse[5]:
Chè la pugna e la calca e l’aer denso[6]
Ai cor togliea la cura[7], agli occhj il senso[8].

Ma poi che intepidì la mente irata
Nel sangue del nemico, e in se rivenne[9],
Vide chiuse le porte, e intorniata
Sè da’ nemici: e morta allor si tenne[10].
Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata[11],
Nov’arte[12] di salvarsi le sovvenne.
Di lor gente s’infinge[13], e fra gl’ignoti
Cheta s’avvolge[14]; e non è chi la noti.
Poi, come lupo tacito s’imbosca
Dopo occulto misfatto, e si desvia[15]:
Dalla confusion, dall’aura fosca
Favorita e nascosa ella sen gía.
Solo Tancredi avvien che lei conosca[16].
Egli quivi è sorgiunto[17] alquanto pria;
Vi giunse allor ch’essa Arimone uccise:
Vide, e segnolla[18], e dietro a lei si mise.
Tancredi che Clorinda un uomo stima
vuol ne l'armi provarla[19] al paragone[20].
Va girando colei l'alpestre cima[21]
ver altra porta, ove d'entrar dispone[22].
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone[23]
ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte[24],
correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.
- Guerra e morte avrai: - disse - io non rifiuto
darlati, se la cerchi e fermo attende. -
Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè[25] veduto
il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un e l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende;
e vansi incontro[26] a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d'ira ardenti.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e nell'oblio fatto sì grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
teatro, opre sarian sì memorande
Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande[27].
Viva la fama lor, e tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l'alta memoria[28].
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte[29].
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte[30].
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e 'l piè d'orma non parte[31]:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.
L'onta irritalo sdegno a la vendetta,
e la vendetta  poi l'onta rinova[32]:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e piaga nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta[33]
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi[34], e infelloniti e crudi[35]
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia[36], e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro[37], e l'un e l'altro il tinge[38]
di molto sangue[39]: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur[40] si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e se non tanto offeso[41],
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente[42] ch'ogn'aura di fortuna estolle[43]!
Misero, di che godi? Oh quanto mesti
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse[44]:
- Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra[45].
Ma poi che sorte rea vien[46] che ci nieghi
e lode e testimon degni de l'opra[47],
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che 'l tuo nome e 'l tuo stato[48] a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore.[49]
Rispose la feroce: - Indarno chiedi
quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese[50]. -
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e 'l tuo dir e 'l tacer[51] di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.
Torna l'ira ne' cori e li trasporta,
benchè deboli[52], in guerra a fiera pugna!
Ù'  l'arte in bando[53], ù' già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta[54]
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna
ne l'armi e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
Qual l’alto Egeo, perchè Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta però; ma ’l suono e ’l moto
ritien dell’onde anco agitate e grosse;
tal, sebben manca in lor col sangue voto
quel vigor che le braccia ai colpi mosse;
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno[55].
Ma ecco omai l'ora fatal è giunta
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve[56].
Spinge egli il ferro nel bel sen[57] di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste che d'or vago trapunta[58]
le mammelle stringea tenere e lieve,
l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente[59].
Segue[60] egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole ch'a lei novo spirto addita,
spirto di fè, di carità, di speme[61],
virtù che Dio le infonde[62], e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella[63].
- Amico[64], hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave[65],
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave[66]. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen d'un monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man[67], mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio[68].
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise[69],
e premendo[70] il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua[71] a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse[72],
colei di gioia trasmutossi[73], e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: "S'apre il ciel: io vado in pace".
D’un bel pallore ha il bianco volto asperso[74],
Come a’ giglj sarian miste viole:
E gli occhj al Cielo affisa, e in lei converso[75]
Sembra, per la pietate, il Cielo e ’l Sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà pegno di pace: in questa forma
Passa[76] la bella donna, e par che dorma.

Il giardino di Armida
Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
in lieto aspetto il bel giardin s’aperse:
acque stagnanti, mobili cristalli,
fior vari e varie piante, erbe diverse,
apriche collinette, ombrose valli,
selve e spelonche in una vista offerse;
e quel che ’l bello e ’l caro accresce a l’opre,
l’arte, che tutto fa, nulla si scopre.
Stimi (sí misto il culto è co ’l negletto)
sol naturali e gli ornamenti e i siti.
Di natura arte par, che per diletto
l’imitatrice sua scherzando imiti.
L’aura, non ch’altro, è de la maga effetto,
l’aura che rende gli alberi fioriti:
co’ fiori eterni eterno il frutto dura,
e mentre spunta l’un, l’altro matura.
Nel tronco istesso e tra l’istessa foglia
sovra il nascente fico invecchia il fico;
pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
l’altro con verde, il novo e ’l pomo antico;
lussureggiante serpe alto e germoglia
la torta vite ov’è piú l’orto aprico:
qui l’uva ha in fiori acerba, e qui d’or l’have
e di piropo e già di nèttar grave.
Vezzosi augelli infra le verdi fronde
temprano a prova lascivette note;
mormora l’aura, e fa le foglie e l’onde
garrir che variamente ella percote.
Quando taccion gli augelli alto risponde,
quando cantan gli augei piú lieve scote;
sia caso od arte, or accompagna, ed ora
alterna i versi lor la musica òra.

Vola fra gli altri un che le piume ha sparte
di color vari ed ha purpureo il rostro,
e lingua snoda in guisa larga, e parte
la voce sí ch’assembra il sermon nostro.
Questi ivi allor continovò con arte
tanta il parlar che fu mirabil mostro.
Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
e fermaro i susurri in aria i venti.

"Deh mira" egli cantò "spuntar la rosa
dal verde suo modesta e verginella,
che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
quanto si mostra men, tanto è piú bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
dispiega; ecco poi langue e non par quella,
quella non par che desiata inanti
fu da mille donzelle e mille amanti.

Cosí trapassa al trapassar d’un giorno
de la vita mortale il fiore e ’l verde;
né perché faccia indietro april ritorno,
si rinfiora ella mai, né si rinverde.
Cogliam la rosa in su ’l mattino adorno
di questo dí, che tosto il seren perde;
cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando
esser si puote riamato amando."


La favola di Narciso
Da Adone, di Giambattista Marino canto V, 169-216
Il mito di Narciso offre a Marino materia per una narrazione in cui il tormento  di strano amor novo del giovane è vissuto tra luci, colori e  sensazioni tattili offerte da  una natura esuberante. La passione amorosa è espressa in  sospiri e desideri ardenti tipici dello stile barocco, fino al compimento del destin del vaneggiante e vago/vagheggiator dela sua vana imago con la metamorfosi finale.

Tra verdi colli in guisa di teatro
siede rustica valle e boschereccia;
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia;
fonticel di bell'ombre algente ed atro
inghirlandato di fiorita treccia
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.

Su la sponda letal di questo fonte
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge,
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
E quivi Amor, mentr'egli a ber s'inchina,
vuol ch'impari a schernir virtù divina.

Ferma ne le bell'onde il guardo intento
e la propria sembianza entro vi vede;
sente di strano amor novo tormento
per lei che finta imagine non crede;
abbraccia l'ombra nel fugace argento
e sospira e desia ciò che possiede;
quel che cercando va porta in se stesso,
miser, né può trovar quel ch'ha da presso.

Corre per refrigerio al'onda fresca,
ma maggior quindi al cor sete gli sorge;
ivi sveglia la fiamma, accende l'esca,
dove a temprar l'arsura il piè lo scorge;
arde e perché l'ardor vie più s'accresca
la sua stessa beltà forza gli porge
e, nel'incendio d'una fredda stampa,
mentre il viso si bagna il petto avampa.

La contempla e saluta e tragge, ahi folle!
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero.
Invidia a quell'umor liquido e molle
la forma vaga e'l simulacro altero
e, geloso del bene ond'egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.

Mancando alfin lo spirto a l'infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del'onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L'onda che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogni suo vigor prende da l'acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.



[1] I canti del poema sono venti e in otta­ve, com’era consuetudine per i poemi cavallereschi, si snodano intorno alle seguenti vi­cende.
Dal cielo, Dio volge lo sguardo sul campo dei cristiani e decide che il comando delle operazioni per la conquista della città sia affidato a Goffredo di Bu­glione, che è il più degno e il più ricco di fede.
Sono passati in rassegna i principi cristiani, tra i quali spiccano Rinaldo e Tan­credi, che è tormentato da un infelice amore per una musulmana, Clorinda. Goffredo, divenuto capo dell’esercito, si prepara ad as­salire la città, difesa dal sultano Aladino.
A Gerusalemme scompare un’im­magine sacra della Madonna dalla chiesa dei cristiani; Aladino ne incolpa i cristiani medesimi e decide di perseguitarli. Una fanciulla cristiana, Sofronia, si accusa del furto; altrettanto fa un giovane, Olindo, che è in­namorato di lei e vuole salvarla. I due giova­ni sono condannati a perire insieme sul rogo. Clorinda, la guerriera, si commuove della loro vicenda e per i suoi meriti ottiene dal re la loro liberazione. Anche l’Egitto, per voce del guerriero Argante, dichiara guerra ai cristiani.
I cristiani sono in vista di Gerusa­lemme e salutano commossi la città dov’è sepolto Cristo. Clorinda esce loro incontro e combatte con Tancredi che, avendola riconosciuta, si limita a difendersi e dichiara il suo amore. In una imboscata guidata da Ar­gante, muore il principe cristiano Dudone, cui sono celebrati solenni funerali.
Su istigazione del dio dell’inferno, il mago Idraote manda la sua bella nipote Armida al campo cristiano per chiedere a Goffredo l’aiuto di dieci guerrieri che vendichino un torto da lei sofferto nella sua pa­tria, Damasco. Scopo dell’inganno è quello di trascinare in avventure lontane i migliori guerrieri cristiani. L’inganno riesce.
La scelta dei guerrieri genera di­scordie nel campo, dal quale si allontanano Rinaldo e parecchi altri, sedotti dalla bellez­za di Armida. Intanto è annunciato l’arrivo della flotta egiziana.
Argante sfida a singolar tenzone un cristiano. Accetta Tancredi, ma il duello viene interrotto per il calare della notte. Er­minia, figlia del re di Antiochia, innamorata di Tancredi, veste le armi di Clorinda e cerca di raggiungere la tenda dei principe normanno. Scoperta, è costretta a fuggire.
Erminia in fuga si rifugia presso alcuni pastori, che vivono una loro semplice vita in mezzo alla selva, lontani dalle passio­ni del mondo e dalla guerra. Tancredi, che ha inseguito Erminia credendola Clorinda, finisce momentaneamente nel castello incantato di Armida ed è sottratto così ai suoi doveri; il suo duello con Argante è continua­to da Raimondo di Tolosa, e disturbato dall’intervento dei diavoli.
Solimano fa strage dei cristiani danesi. Giunge la notizia che Rinaldo è morto. Durante la notte, la fu­ria Aletto porta discordia nel campo dei cri­stiani, facendo credere che responsabile della morte di Rinaldo sia Goffredo. La di­scordia è sedata a stento.
Continuano le imprese di Solima­no. Interven­gono nella battaglia anche Clorinda e Ar­gante e numerosi guerrieri cristiani. Solimano è condotto in Gerusa­lemme dalle arti magiche di Ismeno. Al campo cristiano si apprende che Rinaldo non è morto, ma anzi ha liberato i cavalieri sedotti dalle grazie di Armida e ora si sta di­rigendo ad Antiochia.
Dopo una solenne processione al monte Olivéto, i cristiani attaccano la città avvicinando alle mura una grande torre. Si accendono furiosi combattimenti, Goffredo è ferito, ma grazie a Tancredi i cristiani han­no la meglio finché cala la notte.
Nella notte, Clorinda e Argante escono dalla città e incendiano la torre, Tan­credi assale Clorinda, mentre Argante riesce a porsi in salvo in città. Nel duello che se­gue. Clorinda è colpita a morte e chiede al suo avversario il battesimo. Toltole l’elmo, Tancredi la riconosce e s’accorge così di avere ucciso la donna che ama. La sua disperazione lo porta sull’orlo del suicidio.
Canto XIII. Per le arti magiche di Ismeno, la selva dalla quale i cristiani si forniscono di. legname per lp torri d’assalto, diviene un luogo d’incanti dove nessuno può entrare. Contemporaneamente Ismeno provoca una terribile siccità che tormenta gli assedianti. Solo le ardenti preghiere di Goffredo otten­gono da Dio un temporale.
Canto XIV. Goffredo manda due messi a cercare Rinaldo; si apprende che il giovane guerriero, vittima degli incantesimi di Armi-da, è chiuso in un suo castello fatato, nelle lontane Isole Fortunate.
Canto XV. I due messi viaggiano verso le Isole Fortunate e riescono a entrare nel ma­gico castello.
Canto XVI. Rinaldo, raggiunto dai due me si e liberato dall’incantesimo, abbandona Armida che è innamorata di lui e ritorna sul­la via del campo.
Canto XVII. Armida si reca in Egitto a cer­care un guerriero pagano che la vendica dell’abbandono di Rinaldo; il quale, intanto giunto in Palestina, ottiene nuove armi, tra cui uno scudo, che celebra le glorie delta ca­sa d’Este.
Canto XVIII. Rinaldo, purificatosi dalle s colpe sul monte Oliveto, rompe gli incanti della selva e così i cristiani possono costruire tre torri, con l’ausilio delle quali, dopo aspra battaglia, riescono a entrare in città. Il mago Ismeno, dopo averli invano contrastati con le sue arti, muore. E intanto annunciato l’arrivo dell’esercito egiziano.
Canto XIX. Argante combatte in duello con Tancredi e resta ucciso. Tancredi, ferito gravemente, è soccorso da Erminia. Saccheg­gio di Gerusalemme. Aladino si rifugia nella torre di David.
Canto XX. All’arrivo dell’esercito egiziano la battaglia si fa terribile. Tra i morti è il grande Solimano e molti dei campioni di Ar­mida, che si rappacifica con Rinaldo e pro­mette di farsi cristiana. Cadono pure, tra i tanti, due eroici sposi cristiani, Gildippe e Odoardo; Aladino è ucciso da Raimondo di Tolosa; cade infine l’ultimo campione musulmano Emireno per mano di Goffredo, può così entrare vittorioso nel Santo Sepolcro e sciogliere il voto.
[2] Sola…ne fu: Dalle mura di Gerusalemme; all’impresa di distruggere la torre cristiana Clorinda era mossa con un altro guerriero pagano, Argante, re di Circassia; costui, dopo l’azione, era rientrato in Gerusalemme, mentre Clorinda si era imprudentemente allontanata per inseguire e punire un guerriero cristiano, Arimone, che l’aveva colpita.
[3] Si mosse: Si allontanò.
[4] Fora: Fuori dalle mura.
[5] Avisto..fosse: Non si era ancora accorto che ella si fosse allontanata.
[6]Denso: Per il fumo degli incendi e la polvere del combattimento.
[7] La cura: La possibilità di curarsi degli altri.
[8] Il senso: La vista
[9]Ma poi…rivenne: Ma poi che ebbe placata l’ira dell’animo uccidendo l’avversario, e ritornò in sé, riprese il domino di sé.
[10] Morta…si tenne: si considerò morta. La morte è ormai sentita dalla donna come un destino inevitabile.
[11] Ch’alcuno..guata: che nessuno la guarda.
[12] Nov’arte: nuovo accorgimento.
[13] Di lor…s’infinge: si finge cristiana.
[14] S’avolge: si mescola.
[15] Si desvia: fa perdere le sue tracce.
[16] Che lei conosca: non come Clorinda, la donna amata, ma come il guerriero pagano che ha incendiato la torre e ucciso Arimone.
[17] Sorgiunto:sopraggiunto.
[18] Segnolla: non la perse di vista.
[19] Vuol... provarla: vuole sfidarla a duello.
[20] Degno…paragone: degno che con lui si confronti il proprio valore.
[21] alpestre cima: il colle di Gerusalemme.
[22] verso... dispone: verso un’altra porta della città, dove si prepara ad entrare.
[23] in guisa... suone: le sue armi,nell’impeto della corsa a cavallo,risuonano talmente ecc.
[24] Che porte: che cosa porti.
[25] Piè: a piedi.
[26] vansi a ritrovar: si scagliano l'uno contro l'altro.
[27]  Degne... memorande: il poeta lamenta che l’oscurità della notte nasconda imprese degne della piena luce (d’un chiaro sol), di un vasto pubblico (d’un pieno teatro), e si ripropone di sottrarle all’oscurità e all’oblio e di tramandarle ai posteri; ne ‘l tragga: tragga il combattimento dall’oscurità, e all’oblio; in bel sereno: in piena luce; spieghi e mande: dispieghi e tramandi..
[28] Tra lor gloria... l'alta memoria: e tra le loro imprese gloriose splenda anche l'alto ricordo delle tue tenebre.
[29] Schivar…parar…colpi or finti…pieni…scarsi: sono modi tecnici dello scontro cavalleresco.
[30] toglie... arte: l'oscurità della notte e il furore impediscono ai combattenti di usare l'abilità, la tecnica raffinata della scherma.
[31] Il piè…parte: il piede non si allontana dall’orma che ha segnata sul terreno:stanno a piè fermo,come dirà subito dopo.
[32] L’onta…rinova: è il gioco delle psicologie esasperate: la vergongna (l’onta) per i colpi ricevuti accende lo sdegno (irrita lo sdegno) e spinge a vendicarsi (a la vendetta) con altri colpi; i quali a loro volta suscitano la vergogna di chi li ha ricevuti.
[33] Più si mesce…ristretta: si fa più confusa e serrata.
[34] Dansi co’pomi: si colpiscono coi pomi delle spade.
[35] Infelloniti e crudi: trascurando le leggi cavalleresche e spietati.
[36] Tre volte…braccia: quello che doveva essere un abbraccio d’amore è un abbraccio di odio, (nodi di fier nemico e non d’amante).
[37] Al ferro: all’uso della spada.
[38] il tinge: lo bagna di sangue.
[39] Di molto sangue: col sangue dell’avversario.
[40] Pur: finalmente.
[41] offeso: ferito.
[42] Folle mente: mente che non si rende conto delle cose. La gioia di Tancredi diventerà infatti disperazione quando conoscerà chi è il suo avversario.
[43] estolle: fa insuperbire.
[44] Disse…scoprisse: chiese all’altro di rivelargli il suo nome.
[45] Nostra... copra: la nostra sorte sfortunata vuole che si manifesti qui un valore che non sarà noto ad alcuno. I due si sono allontanati e nessuno assiste al loro duello, ma il motivo del rammarico, che nasce dal non avere testimoni del proprio valore, è consueto nella tradizione cavalleresca.
[46] Vien: accade
[47] De l’opra: delle nostre imprese.
[48] Stato: condizione.
[49] chi... onore: chi renderà gloriosa (onore: onori) la mia morte o chi renderà gloriosa la mia vittoria.
[50] accese: arse. La risposta di Clorinda è superba e provocatoria.
[51] Il tuo dir e ‘l tacer: quello che tu dici (di aver arso la torre),e il fatto che scortesemente taci il tuo nome.
[52] Deboli: indeboliti dagli sforzi del combattimento.
[53] L’arte in bando: l’abilità tecnica è bandita.
[54] porta: ferita ampia e sanguinosa.
[55] Qual l’alto Egeo…danno: come il profondo Egeo, sconvolto dai venti contrari (Aquilone che spira da nord e Noto da sud), non si placa quando essi cessano di spirare, ma le sue onde (‘l suono e ‘l moto de ‘l onde) mantengono la loro tempestosa agitazione, cosi i due guerrieri, nonostante il sangue versato abbia indebolito la loro forza fisica, combattono con l’impeto iniziale, e da esso sospinti vanno ad aggiungere (giunger) ferita a ferita (danno a danno).
[56] Ma ecco…deve: ma ormai è giunta l’ora fatale in cui la vita di Clorinda deve volgere alla fine. Il tono del verso si fa abbandonato ed elegiaco.
[57] Nel bel sen: nel momento della morte fiorisce la femminilità di Clorinda.Vedi,subito dopo, la veste “d’or vago trapunta” che compare sotto l’armatura della guerriera e avvolge morbidamente il seno di lei.
[58] D’or vago trapunta: ricamata di bei ricami d’oro.
[59] egro e languente: privo di forze e vacillante.
[60] Segue: persegue, ricerca,incalza per ottenere.
[61] novo... speme: parole che un sentimento nuovo ispira, un sentimento di fede, speranza e carità; Tasso richiama solennemente le tre virtù teologali, per indicare lo spirito che anima Clorinda nel momento della morte.
[62] Ch’or Dio le infonde: la pagana Clorinda, prima di muovere all’incendio della torre, aveva avuto da un suo servo la rivelazione di essere figlia del re cristiano Senapo. Il che giustifica psicologicamente la conversione della donna.
[63] Se in vita fu ribelle alla fede di Cristo, cioè se fu pagana,vuole che in morte sia ad essa ossequiente (ancella).
[64] Amico: scrive il Momigliano:”basta una parola a dissipare il ricordo di tanta furia, a indurre nella scena un’aura diversa”
[65] Pave: teme.Clorinda non chiede pietà per la sua vita terrena,ma chiede la vita ultraterrena,dell’anima.
[66] lave: cancelli.
[67] Tremar…la man: come per un presentimento.
[68] sciolse e scoprio: liberò dell'elmo e scoprì.
[69] Sue virtuti..mise: raccolse in quel momento tutte le sue energie e le mise di guardia al cuore perché questo non cedesse.
[70] Premendo: comprimendo.
[71] Vita con l’acqua: vita eterna con l’acqua battesimale.
[72] il suon... sciolse: pronunciò la formula rituale del battesimo.
[73] Trasmutassi: si trasfigurò.
[74] Asperso: cosparso.
[75] In lei converso: volto verso di lei.
[76] Passa: trapassa.