Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

martedì 23 aprile 2013

L'arte del periodo classico (V-IV secolo)


Il Periodo classico greco – Il periodo classico dell'arte greca va dal V secolo a.C. fino alla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. e raggiunse il maggior splendore nell'età di Pericle (495-429 a.C.).
Quest'arte rappresentò la conquista di valori nuovi e fino allora sconosciuti, rimasti poi essenziali nella storia dell'umanità: esaltò l'uomo come misura di tutte le cose ed espresse equilibrio, armonia, ordine e proporzione, fissandoli in canoni che delinearono un ideale di bellezza e di perfezione formale.
La sua destinazione religiosa è evidente nelle numerose statue di divinità le cui figure, costumi e atteggiamenti ritraggono con naturalezza la forma umana a immagine della divinità; capolavoro esemplare del periodo è il Tempio di Zeus a Olimpia nel V secolo, soprattutto per le metope figurate e le sculture del frontone. La sua destinazione pubblica si manifestò nei più significativi monumenti e nelle costruzioni civili erette nell'Acropoli di Atene, dal Partenone dorico di Ictino, ai Propilei di Mnesicle (in cui l'ordine dorico si unisce a quello ionico), all'Eretteo di Filocle e al tempietto di Atena Nike di Callicrate, di pieno stile ionico.
Tutti i più importanti santuari del mondo greco si arricchirono di templi, di tesori, di monumenti votivi. Le città, che furono impostate su criteri urbanistici basati su assi ortogonali, si regolarizzarono poi secondo il sistema detto ippodameo dal nome di Ippodamo di Mileto, autore della nuova sistemazione della città del Pireo. L'agorá, centro politico e commerciale, assunse aspetto monumentale con la costruzione di templi, di portici (stoái), di fontane imponenti, di altri monumenti pubblici.
Dopo le guerre persiane a Ippodamo, architetto e urbanista, fu affidata la costruzione del Pireo e nel 445-444 a. C. partecipò alla fondazione di Turi. Ippodamo giudicava ideale una città di 10.000 abitanti divisi in classi (contadini, artigiani, soldati), nella quale fossero differenziate le proprietà pubbliche, private e sacre. Ippodamo avrebbe ideato l'impianto urbano a scacchiera, definito da poche grandi strade ortogonali (platéiai) e da una fitta rete di strade minori (stenopói), sistema che avrebbe messo in pratica nella realizzazione del Pireo e di Turi. I ritrovamenti del Pireo e le scoperte nell'area di Turi-Sibari sembrano confermare alcuni aspetti dei dati trasmessi dalle fonti, soprattutto per la presenza di un grandioso impianto ortogonale con strade larghe da 12 a 15 metri. Ippodamo di Mileto non deve tuttavia essere considerato l'inventore di tale sistema urbanistico, già largamente applicato in età greca arcaica nelle città coloniali d'Occidente – Megara Iblea, Agrigento, Imera, Naxos, Metaponto – dove ebbe un certo sviluppo agli inizi del V secolo a. C.

L’architettura greca classica – Sotto il governo di Pericle, nel momento più alto della storia di Atene si procede alla ricostruzione degli edifici sacri dell’Acropoli, distrutta dai persiani durante il saccheggio della città (480 e 479 a.C.).
Nella concezione di Pericle, il predominio di Atene sulla Grecia doveva coincidere con la grandezza della sua civiltà e del suo impianto edilizio-architettonico. Promosse di conseguenza una eccezionale attività edilizia, tra cui la costruzione del Partenone e dell'Eretteo sull'Acropoli e l'ampliamento del Pireo. Sotto il suo governo si radunarono ad Atene filosofi come Socrate, Anassagora e Protagora, tragediografi come Sofocle ed Euripide, storici come Erodoto. Pericle stesso insieme con la celebre etera Aspasia, radunò intorno a sé un importante circolo intellettuale. I culti, le feste e i templi furono protagonisti dell'età di Pericle: la rinnovata fede religiosa, conseguente alle vittorie sui Persiani, trovò la sua espressione nelle opere dello scultore Fidia e del tragediografo Sofocle. La cultura classica non si esaurì con la morte di Pericle nel 429 a.C., ma anzi raggiunse in seguito il suo apogeo con filosofi come Platone e Aristotele, il medico Ippocrate, lo storico Senofonte.
A Fidia Pericle assegnò il ruolo di epìscopos (sovraintendente) e probabilmente si occupò, oltre a scolpire numerose statue e fregi ad ornamento dei templi, di stendere una sorta di piano generale per la costruzione delle varie opere.
Il Partenone, dedicato ad Atena, dea protettrice della città, concretizza l’ideale di equilibrio e misura, è dorico, ma risente dell’influenza attica, che lo rende più agile ed elegante. Sorto sulle fondazioni di un precedente tempio di Atena tra il 447 e il 438 a. C., ad opera dell'architetto Ictino, attivo nella seconda metà del V secolo a. C. Ad Ictino sono legate tre opere fondamentali – il Telesterio di Eleusi, il tempio di Apollo a Figalia e soprattutto il Partenone.

Nel 447 a. C., sotto la direzione di Fidia e insieme a Callicrate, soprintendente ai lavori, Ictino iniziò la costruzione del Partenone sul quale scrisse anche un trattato purtroppo perduto in cui sono evidenti una particolare sensibilità per i valori plastici ed un alleggerimento dell'architettura dorica. Il Partenone è un perfetto tempio dorico periptero in marmo pentelico,  marmo a grana fine proveniente dalle cave del monte Pentelico largamente sfruttate nell'età di Pericle, (69,56×30,87 m) con 8 colonne sulla fronte e 17 sui lati lunghi, in cui sono adottate le più raffinate correzioni ottiche.
Nella cella, divisa in tre navate, c’era la grande statua di Atena, in oro e avorio, opera di Fidia. Allo stesso Fidia e ai suoi aiuti si deve la decorazione scultorea (oggi in parte al British Museum) comprendente le 92 metope del fregio dorico (con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia e Iliupérsis), il fregio continuo sul muro esterno della cella con la processione delle Panatenaiche, le sculture dei frontoni raffiguranti la nascita di Atena a Est e la lotta tra Atena e Poseidone per il possesso dell'Attica a Ovest.
In età cristiana il tempio fu trasformato in chiesa dedicata a S. Sofia, nel 1456 in moschea, il Partenone fu squarciato da un'esplosione nell'assedio di Atene ad opera di Francesco Morosini nel 1687 e da allora cominciò la spoliazione dei suoi marmi. Il restauro è stato completato nel 1930 col rialzamento del colonnato.
Mnèsicle (V secolo a.C.), è l'autore dei Propilèi, eretti fra il 437 e il 432 sopra l'antico ingresso dei tempi di Pisistrato, ma mai condotti a termine: il progetto originario prevedeva forse la sistemazione di tutto il lato Ovest del colle.

I Propilei hanno il compito di separare in maniera maestosa il territorio dell’Acròpoli dal resto della città e si articolano in un corpo centrale con cinque ingressi e due atri e in due avancorpi; quello maggiore a Nord ospitava la pinacoteca con quadri di Polignoto. L'abile sfruttamento del livello del terreno, la giustapposizione delle masse e la commistione degli ordini dorico e ionico ne fanno una splendida creazione architettonica.
Il Tempietto di Atena Nike, ad opera di Callìcrate, posto accanto ai Propilèi è un edificio semplice, molto piccolo e grazioso.
L’Eretteo di Fìlocle della fine V secolo, invece, pur essendo molto piccolo ha una struttura molto complessa perché in esso erano riuniti più ambienti dedicati a culti diversi (famosa è la loggetta delle Cariatidi, posta all’esterno).
L’architettura teatrale dà esempi nel IV secolo nel teatro di Dioniso ad Atene, in quelli di Delfi e Megalopoli e nel teatro di Epidauro, dall’acustica ancor oggi perfetta, creato da Policleto il Giovane (attivo dal 390 al 340 a.C.) insieme alla thólos, edificio circolare di ordine corinzio riccamente ornato che completa la sistemazione di quel santuario, il cui tempio di Asclepio, anch’esso del sec. IV a.C., fu opera di Teodoto.
Notevole anche l’architettura funeraria, illustrata soprattutto dalle tombe reali di Macedonia, con sale a volta e ricca decorazione, da quelle principesche dell’Asia Minore – il mausoleo di Alicarnasso, il monumento delle Nereidi di Xanto), e dai vari tipi di monumenti della necropoli di Cirene.

La scultura classica – In tutto il mondo greco la scultura del periodo classico presenta differenze più di qualità che di stile.
Nel V secolo a.C. Policleto di Argo, attivo dal 460 al 420 a.C., fissò un modulo per la costruzione armonica del corpo umano e lo liberò, grazie a una precisa rispondenza di ritmi, dalla rigidità della figurazione arcaica. Egli espresse il suo canone artistico, esposto anche in un trattato oggi perduto, nel Doriforo (440 a. C.), in cui le proporzioni, costruite sul modulo di base, si articolano nella disposizione a chiasmo degli arti: alla gamba portante si oppone il braccio flesso, alla gamba piegata e arretrata si oppone il braccio abbassato, con corrispondenza di ritmi ai fianchi, nelle spalle, nell'inclinazione del capo. Amplificata e temperata nella resa anatomica dall'influsso attico è la soluzione ritmica al problema della figura virile nuda stante, realizzata nel Diadumeno (430 a. C.).
L'ateniese Fidia, attivo nella prima metà del V secolo in varie città greche, ma soprattutto ad Atene, dove diede espressione artistica ai grandi progetti dell'età di Pericle, impostò nuove concezioni artistiche nella grandiosità di composizione delle scene, nella serena idealizzazione delle sue maestose figure, nell'abilità di trattazione del panneggio, come si riscontra nelle sculture del Partenone, oggi in parte al British Museum di Londra, e nelle opere, note solo da copie, come lo Zeus di Olimpia e l'Athena Parthénos. Le notizie sulla sua vita sono scarse: certamente fu allievo di Egìas. Le notizie relative alla sua morte sono discordanti: secondo alcuni in carcere ad Atene, accusato dapprima del furto di parte dell'oro destinato alla costruzione dell'Atena Parthènos, e poi di empietà per aver eseguito il suo ritratto e quello di Pericle sullo scudo della dea; secondo altri a Olimpia, dove si sarebbe rifugiato dopo esser fuggito da Atene. Eseguì numerose e celebrate opere, in vari materiali e con le più svariate tecniche, eccellendo sia nella rappresentazione del nudo sia nella resa del panneggio leggero e trasparente sui corpi, il cosiddetto panneggio bagnato. Si conoscono da copie l'Apollo Parnópios, statua bronzea eretta sull'Acropoli di Atene; l'Atena Lemnia, pure sull'Acropoli; l'Anadùmeno di Olimpia, bronzeo, riconosciuto nel tipo Farnese in marmo del British Museum di Londra; l'Amazzone di Efeso; l'Anacreonte. Ma la realizzazione più grandiosa di Fìdia fu la sistemazione urbanistica dell'Acropoli di Atene e in particolare del Partenone, di cui eseguì con aiuti la decorazione scultorea (frontoni, metope e grande fregio) conservata per la maggior parte al British Museum.

Le novantadue metope doriche furono scolpite come altorilievi datate 446-440 a.C. Le metope del lato est del Partenone, sopra l'entrata principale, raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano l'Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud — con l'eccezione di 13-20 metope piuttosto problematiche, ormai perdute — mostrano la Centauromachia Tessala. Sul lato nord del Partenone, le metope sono poco conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.
Parecchie metope rimangono ancora sull'edificio ma con l'eccezione di quelle del lato nord, che sono severamente danneggiate. Alcune di esse sono situate al museo dell'Acropoli, altre, più numerose, sono al British Museum ed una può essere ammirata al museo del Louvre.
Il tratto più caratteristico nella decorazione del Partenone è sicuramente il lungo fregio ionico posto lungo le pareti esterne della cella. Si tratta di una caratteristica innovativa, dal momento che il resto del tempio è costruito in stile dorico.

L'intero fregio marmoreo è stato scolpito in altorilievo. Il fregio continuo era lungo 160 metri di cui ne sopravvivono 130, oggi in vari musei europei. La parte mancante ci è nota dai disegni effettuati da Jacques Carrey nel 1674. In una prima semplice lettura, il fregio rappresenta la solenne processione che si teneva ogni quattro anni in occasione delle feste panatenaiche. Sono invece possibili diverse interpretazioni sul significato della rappresentazione o sulla sua possibile attribuzione ad un evento storico preciso: c'è chi ipotizza che l'ampio spazio riservato alla rappresentazione della cavalleria sia un esplicito riferimento all'eroismo bellico delle Guerre Persiane; altri hanno ritenuto di riconoscere nei vari personaggi della processione figure rappresentanti la polis aristocratica e arcaica in contrapposizione ad altre che incarnerebbero invece la democrazia dell'Atene classica, in un tentativo di unire passato e presente. L'intero fregio è stato concepito per essere letto a partire dall'angolo sud-ovest: lo spettatore a partire da questo angolo poteva scegliere se dirigersi verso nord, oppure dirigersi direttamente verso est. Dall'angolo sud-ovest del fregio prendono il via dunque due processioni che girano attorno alla cella per confluire poi sul lato est (quello dell'ingresso al tempio), al cui centro è rappresentato il gesto della consegna del Peplo alla dea Atena. Al gesto della consegna assiste la schiera degli dei e degli eroi. Tutte le figure del fregio sono state rappresentate da Fidia in modo idealizzato, come se tutti i personaggi fossero abitanti di una dimensione trascendente di eterna festa e allegria. Questo effetto complessivo di aura divina è dato dalla scelta di soggetti giovani, dalle espressioni dei quali non traspare fatica, nonostante molti siano impegnati in qualche azione (come trasportare anfore o cavalcare), bensì solenne allegria.
Di Fidia era anche il colossale simulacro crisoelefantino della dea, la famosa Atena Parthènos (438 a. C.), di cui si ha eco sbiadita in statuette e copie parziali. Crisoelefantina era anche la statua di Zeus per il tempio di Olimpia, nota da monete adrianee, da gemme e da una testa di Cirene. L'originalità del linguaggio plastico fidiaco innovò completamente la scultura greca dandole l'impronta della classicità, ed ebbe un'influenza enorme anche sull'arte di epoche molto più tarde.
La conoscenza della scultura è completata da numerose altre opere, tra cui si ricordano il gruppo bronzeo dell'Auriga di Delfi.
L’Auriga di Delfi, opera di Sòtade di Tèspie appare ancora immobile. Il bronzo fu realizzato attorno al 475 a.C. per celebrare la vittoria di Hièron nella corsa dei carri, durante i Giochi Pitici, e donato al santuario di Apollo Delfico da Polizèlo, tiranno di Gèla.

L’Auriga, l’unico componente pervenutoci integro del gruppo creato da Sotade (comprendente anche un principe, uno schiavo, il carro e i cavalli) ha il corpo racchiuso in un architettonico chitone. Questo, fittamente pieghettato secondo linee diagonali su spalle e avambracci, diviene appena più morbido in corrispondenza del busto, stretto da una cintura, per poi piombare in lunghe pieghe verticali che lasciano, però, scoperti i mallèoli e i piedi nudi. La testa del conducente, dai capelli cesellati che si arricciolano e si gonfiano sulle tempie, è cinta dalla benda, l’unico premio simbolico di ogni gara agonistica, ed è appena volta a sinistra. Il leggero incurvamento all’indietro del busto, che accompagna il gesto di trattenere i cavalli tenendo tese le redini, non basta a superare la sensazione di staticità. Occorre, tuttavia, tener presente che solo la metà superiore del corpo dell’auriga era visibile al di sopra dello schermo protettivo anteriore del carro, pertanto, il piccolo movimento del busto bastava a suscitare una sensazione di naturalezza negli osservatori, quando il gruppo statuario era ancora integro.

Alla corrente postfidiaca appartennero Callimaco, al quale si devono forse i rilievi dal panneggio bagnato della balaustra del tempietto di Atena Nike, e Peonio di Mende.
Nel IV secolo, i tre scultori che, reagendo all'idealizzazione fidiaca, diedero maggiore importanza all'uomo e ai suoi sentimenti furono Prassitele – forse originale è il famoso Hérmes del Museo di Olimpia – Scopas, autore delle sculture del tempio di Atena Alea a Tegea, e Lisippo, che fa muovere le sue figure nello spazio in piena tridimensionalità, introducendo l'arte ellenistica. La loro celebrità è attestata dalle fonti classiche e dalle numerose copie delle loro opere, che consentono di ricostruirne la personalità.
Prassitele, figlio di Cefisodoto e padre degli scultori Cefisodoto e Timarco, è considerato con Fidia e Policleto il più grande scultore dell'antichità. Visse e si formò ad Atene, ma lavorò anche per altre città, da Olimpia a Tespie, da Cnido a Platea. Nonostante la perdita di molte sue creazioni, Prassitele è tra gli scultori antichi meglio noti; le fonti riferiscono infatti molti dati della sua vita e ricordano tra l'altro che la bellissima Frine gli servì da modello e le sue opere furono tra le più copiate nell'antichità. Maestro del colorismo attico – faceva aggiungere, pare, un'ultima velatura pittorica, che richiedeva al pittore Nicia, sulle carni nude – innovò la soluzione data da Policleto al problema della figura stante e gravitante, ma fu più ricco di lui nella tematica, se ne distinse anche dal punto di vista tecnico, essendo più scultore in marmo che bronzista. Preferì trattare figure nude giovanili dai volti sereni, piene di grazia nel morbido e sfumato plasticismo, nella struttura slanciata dei corpi e nei ritmi flessuosi, ma seppe trarre anche dal panneggio sottilissimi effetti chiaroscurali. Il suo giovanile Satiro versante (che si trovava probabilmente sulla via dei Tripodi ad Atene), il Satiro in riposo, l'Apollo Sauroctono (noto da circa settanta copie, tra cui una bronzea a Villa Albani), l'Eros di Tespie (esposto a Roma nel portico di Ottavia, del quale una buona copia è il torso del Palatino al Louvre), per non citare il famoso Hermes e Dioniso del Museo di Olimpia, ritenuto da alcuni un originale mostrano nudi maschili dalla tenera corposità e dai vivi risalti coloristici, gravitanti al di fuori del proprio asse in molle abbandono e sostenuti da un appoggio esterno. Scolpita nel marmo fra il 340 e il 330 avanti Cristo, e trovata nel tempio di Hera ad Olimpia, è fondamentale in quanto summa totale delle novità stilistiche e concettuali portate dal suo autore nella scultura greca: l'opera totale raffigura un episodio del mito di Dioniso, il dio del vino e dell'ebbrezza, che ancora fanciullo venne affidato ad Hermes, messaggero degli dei e inventore della lira, dal padre Zeus affinché potesse osservarlo. Hermes, raffigurato in posizione eretta, nell'originale recentemente ricostruito regge sul braccio sinistro Dioniso fanciullo, che sembra guardare con tono un po' minaccioso, quasi per rimproverarlo.

Il corpo di Hermes è in condizione di totale abbandono: la sua struttura è costruita sull'inclinazione di tre assi, due rappresentati dalla testa e dalle gambe in direzione parallela, il terzo rappresentato dal tronco in direzione obliqua rispetto i precedenti. Questa struttura a causa dello spostamento dell'intero gruppo scultoreo rispetto l'asse di gravità comunica un forte senso di instabilità e nel contempo di dinamismo. A sostenere fisicamente l'intera opera intervengono però elementi esterni come la presenza di un tronco d'albero o un lembo di drappeggio, atti ad evitare il crollo della scultura.
Hermes, ritratto più umano che divino, è caratterizzato da un volto languido, trasognato, e il suo corpo ha una superficie morbida, luminosa, sembra ai limiti della trasparenza, grazie al marmo, materiale preferito da Prassitele. Il modellato è soffice, privo di asperità, la muscolatura è molle e poco pronunciata, quasi effeminata, molto sensibile alla luce che crea uno sfumato tenue, ovattato. Grandissima fama ebbe l'Afrodite creata per Cnido (di cui una buona copia è al Vaticano), tappa fondamentale nella storia dell'antica rappresentazione della figura femminile, presentata qui in piena nudità. Anche alcune lastre marmoree da Mantinea con la Gara tra Apollo e Marsia e sei Muse (Museo Nazionale di Atene) ripetono tipi divini di Prassitele, mentre una creazione matura, l'Apollo Liceo, è nota da alcune copie tra cui una eburnea e su scala ridotta del Museo ateniese dell'Agorà.
Scopas di Paro, figlio forse di Aristandro, fu attivo tra il 380 a. C. e il 330 in Attica, Asia Minore e nel Peloponneso, ponendosi, tra i grandi rinnovatori della scultura greca. Lo stile scopadeo si distingue dal sereno ideale prassitelico per la capacità di tradurre drammaticamente in forme plastiche l'intensità di sentimenti e passioni. Questi caratteri sono presenti nei frammenti scultorei dei frontoni del tempio di Atena Alea a Tegea, di cui si sa che Scopa diresse la ricostruzione dopo l'incendio del 395 a. C., soprattutto nelle teste di guerrieri e in quella di Eracle. Analogo pathos presentano i rilievi di una colonna dell'Artemision di Efeso con il mito di Alcesti. Delle numerose sculture riferite dalle fonti a Scopa, soprattutto statue marmoree di divinità, poche sono state identificate con relativa certezza tra le copie di età romana; tra queste le più accettabili sono l'Eracle della collezione Lansdowne di Londra, identificato da alcuni con l'Eracle di Sicione; la Menade di Dresda (Staatliche Kunstsammlungen), nella quale la tesa e passionale agitazione diviene furore dionisiaco; il Pothos, simbolo del nostalgico desiderio amoroso, noto in più copie tra cui quella dei Musei Capitolini di Roma; e il Meleagro, rappresentato da varie decine di copie.
La statua rappresenta una delle menadi, le fanciulle seguaci del dio Dioniso che ne celebravano il culto con cerimonie orgiastiche e danze forsennate al suono di flauti e tamburelli, al culmine delle quali aveva luogo il sacrificio di un capretto o di un capriolo, dilaniato a colpi di coltello e divorato crudo nel momento del parossismo estatico.
La Menade di Dresda sebbene molto danneggiata, non perde i suoi tratti fondamentali. L'agitazione che pervade tutta la figura è resa dall'impetuosa torsione a vortice che, dalla gamba sinistra, passa per il busto e il collo sino alla testa, gettata all'indietro e girata, a seguire lo sguardo, verso sinistra; il volto è pieno, bocca naso e occhi sono ravvicinati, questi ultimi schiacciati contro le forti arcate orbitali per conferire maggiore intensità all'espressione. Il panneggio si apre e si volge verso l'alto, assecondando il ritmo ascensionale della statua. Il totale abbandonarsi del corpo alla passione è sottolineato anche dalla massa scomposta dei capelli, dall'arioso movimento del chitone che, stretto da una cintura appena sopra la vita, si spalanca nel vortice della danza, lasciando scoperto il fianco sinistro, e dal forte contrasto chiaroscurale tra panneggi e capigliatura da una parte e superfici nude dall'altra. Le braccia, perdute, dovevano seguire la generale torsione del corpo: il braccio sinistro, sollevato, stringeva contro la spalla un capretto; il destro era teso all'indietro e la mano impugnava un coltello.
In quest’opera resta poco della razionalità e del controllo delle opere, ad esempio, di Policleto, raffigurando i nuovi orizzonti sociali, politici, culturali e religiosi che attraversavano la Grecia in un momento di instabilità come il IV secolo a.C.
Di grande importanza è la partecipazione di Scopas alla decorazione del mausoleo di Alicarnasso, iniziata nel 350 a. C. con la collaborazione di Briasside, Timoteo e Leocare; benché l'attribuzione delle diverse lastre scolpite (oggi al British Museum di Londra) sia molto dibattuta, si riferiscono a Scopas alcune scene di Amazzonomachia per l'intenso patetismo e le torsioni accentuate: questi caratteri, tipici della visione artistica scopadea, furono fondamentali per gli sviluppi della scultura ellenistica.
Lisippo di Sicione fu lo scultore ufficiale di Alessandro Magno e dei suoi successori.
Eseguì statue di divinità, atleti, dinasti, ritratti, gruppi mitologici; le sue opere erano collocate nei santuari e città della Grecia e dell'Italia. Secondo Plinio, Lisippo creò un nuovo canone della figura umana, superando il geometrismo, il ritmo chiastico e la frontalità di Policleto e realizzando figure più alte e slanciate, con la testa piccola e la capigliatura mossa, libere nello spazio secondo una nuova concezione ottica.
Punto fermo per la conoscenza dell'arte di Lisippo è la statua dell'Apoxyómenos, raffigurante un atleta che si deterge dopo una gara con lo strigile sotto il braccio destro, teso in avanti, per togliere l'olio di cui si era cosparso in precedenza. La statua, realizzata probabilmente poco prima del 330 a.C., è nota dalla copia dei Musei Vaticani. Con lo slancio delle braccia e la ponderazione instabile l'Apoxyómenos si inserisce in uno spazio reale, a tre dimensioni. In questa opera Lisippo mise in atto la nuova ponderazione: la gamba sinistra diviene portante, quella destra scarta lateralmente e l'azione principale è attribuita alla mano sinistra, quindi nessuna parte del corpo è in riposo. Ne derivano un equilibrio instabile e un bilanciamento dinamico della figura. Nell'Apoxyomenos, Lisippo impiegò anche un nuovo canone, caratterizzato dalle minori proporzioni della testa rispetto al corpo, circa 1/8, e da gambe sottili e occhi piccoli: in questo modo lo scultore si distaccò dall'uso delle proporzioni dei suoi contemporanei.
Un'ulteriore novità dell'opera di Lisippo è costituita dalla posizione delle braccia protese verso l'osservatore: in questo modo la scultura conquista lo spazio davanti a sè e il torace resta in secondo piano. Inoltre le due parti del corpo sono poste in contrasto tra loro: la solidità si concentra nella parte sinistra, con la gamba portante, e l'instabilità nella destra,con la gamba piegata e il braccio spinto in avanti. La statua risulta molto diversa a seconda che la si guardi di fronte o di profilo: da questa seconda prospettiva infatti risulta più evidente la conquista dello spazio attraverso il movimento delle braccia.
A esso può accostarsi la statua di Agias trovata a Delfi, statua di atleta che faceva parte di un donario del dinasta Daochos di Tessaglia. Altre attribuzioni convincenti sono: l'Eros che incorda l'arco (forse l'Eros di Tespie), noto da numerose copie romane; il ritratto di Alessandro con la lancia, noto da bronzetti; il ritratto di Socrate, noto da varie copie, che con il suo realismo psicologico supera l'idealismo del ritratto di età classica; l'Eracle in riposo, appoggiato alla clava, noto dalla gigantesca copia di Napoli conosciuta come Ercole Farnese e da bronzetti.

La pittura e la ceramica classiche - Conquistato lo scorcio già alla fine del VI secolo a.C., si affrontarono nel V secolo i problemi di ombreggiatura con Apollodoro skiagráphos, cioè pittore delle ombre e di prospettiva con Agatarco scenografo. Nomi famosissimi sono quelli di Polignoto, che introdusse per primo un tentativo di ricerca prospettica, Zeusi e Parrasio, che operarono ad Atene alla fine del V secolo.
Nel secolo seguente, in cui sembrarono affermarsi la scuola realistica e la pittura su tavola, il pittore più famoso fu Apelle, che lavorò per Alessandro Magno.
Dalla metà del VI secolo la ceramica attica dominò tutti i mercati del mondo greco, decadendo poi fino a estinguersi alla fine del IV secolo. Dopo il 450 a.C. sorsero nell'Italia meridionale fabbriche locali di vasi figurati molto simili a quelli attici a figure rosse (vasi protoitalioti), che nel sec. IV (vasi italioti) assunsero caratteristiche proprie. Anche la ceramica italiota cessò, come quella attica, alla fine del IV secolo a.C.

La cultura italica in fase classica – Sotto il dominio dei Sanniti, iniziato nel 423 a.C., Capua iniziò a produrre un caratteristico tipo di scultura su tufo, mentre Chiusi con gli etruschi lavorava il calcare. Le sculture votive in terracotta, soprattutto quelle raffiguranti i busti, testimoniano un sincero naturalismo: l'effetto luce è lo studio del momento caratterizzante, stimolo vitale nella definizione del movimento e di un linguaggio interiore.
Nel 400 a.C. i Lucani conquistano Paestum (Posidonia) e da questo periodo incomincia a prendere forza la pittura a carattere funerario che si diffonderà a partire dal 273 a.C.: la Macedonia si mette in vista con la famosa tomba da Adenochori. Le opere pittoriche rimanevano in esposizione per tutto il tempo del rito funerario, ed illustravano gli aspetti più importanti: oblazioni, musiche e spettacoli. Con il fondo generalmente in bianco, e l'aggiunta del rosso, giallo e nero, si sfiorano il limiti del tetracromismo, tanto ritenuto importante da Apelle, al tempo in cui aumentavano considerevolmente le decorazioni pittoriche delle tombe. Sporadicamente appare l'azzurro (colore che insieme agli altri completa il vero tetracromismo) e il verde. Il colore viene steso in modo naturale su uno strato di calce applicato in precedenza sul travertino: uno strappo alla regola ellenica che caratterizza queste opere rustiche, una scelta di autenticità rispetto alla convenzione di imitare con lo stucco i vari tipi di marmo che fanno da supporto per la pittura.
Dall'Etruria e dalle zone falische viene diffuso in tutta la Sabina uno stile animalistico con particolari raffigurazioni di mostri creati dalla fantasia, che ha una forte influenza anche al di là dell'Appennino. La zona umbra già dal V secolo a.C. incrementa fortemente la produzione di minuscoli bronzi, raffiguranti divinità in atto di guerra, snellite spesso esageratamente fino a raggiungere la deformazione. Mentre in tutta la penisola italiana si accolgono, attraverso le varietà regionali, schemi figurativi tra loro collegati, nell'isola siciliana le opere dei Siculi e degli Elimi si devono confrontare in modo del tutto autonomo con quelle dei Greci e Punici, prendendo precocemente forme monumentali per gli edifici e luoghi di culto. Il periodo che segue è, in ogni zona, influenzato dalle rivoluzioni ellenistiche.

Si affaccia Roma – È necessario soffermarsi sul particolare rapporto che ebbero inizialmente i romani con l’arte, dal momento che i primi reperti artistici di questo popolo si collocano solo nell’ultimo periodo della repubblica. Si suppone, infatti, che i romani avessero come primario interesse l’organizzazione dello Stato e della macchina bellica, utile all’espansione territoriale e che considerassero, perciò, l’opera d’arte un’inutile frivolezza. Solo quando, dopo la grande espansione territoriale dell’impero, avviene la fusione con altri popoli e con le loro culture e quando nel 146 a.C., dopo aver conquistato la Grecia, entrano nell’orbita ellenistica si ha una produzione artistica indubbiamente romana, ma fortemente determinata dagli influssi dei popoli assoggettati.
Gli apporti più importanti vennero prima e soprattutto dall’Etruria poi dalla Magna Grecia, quindi dalla Grecia e dal mondo ellenistico e infine, in età imperiale, dalle altre aree dell’Impero romano e anche dalle popolazioni esterne, soprattutto orientali, con cui Roma venne progressivamente in contatto.
È nell'architettura che l'arte di Roma diede gli apporti più originali. Accanto all'architettura religiosa, particolare importanza assume l'architettura civile, dai fori e dalle basiliche agli anfiteatri, agli acquedotti e alle terme.
Massimo Capuozzo 

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