Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

lunedì 26 agosto 2013

Grammantologia per moduli: il testo poetico (Classe II)

III MODULO IL TESTO POETICO
XI UNITÀ
Educazione letteraria. La metrica classica - Nell’età classica la poesia era quantitativa, si basava cioè sull’alternanza tra sillabe lunghe e sillabe brevi: il metro più diffuso era l’esametro, verso nei quali è scritto il poema[1] classico. Essa doveva essere letta o declamata, scandendola rigorosamente a tempo, sebbene recenti studi linguistici abbiano messo evidenza la natura melodica delle due lingue classiche, che la faceva assomigliare quasi più alle lingue orientali che alle attuali lingue neolatine.
Comunicazione Parafrasi – La parafrasi indica la trasformazione di un testo scritto nella propria lingua, ma in un registro linguistico distante (sia esso arcaico, elevato o poetico) in prosa nel registro medio e attuale.
Il processo di parafrasi prevede dunque operazioni come:
·         la ricostruzione sintattica e delle figure sintattiche,
·         la sostituzione degli scarti linguistici (forma linguistica antica, scomparsa o desueta) e degli altri scarti linguistici[2]
·         l’esplicitazione delle figure retoriche di significato
·         la riscrittura in prosa del testo poetico.
Possono anche essere operati dei chiarimenti di alcuni punti del testo: una buona parafrasi include infatti tutti i dettagli e rende il testo originale più semplice da comprendere. Poiché il testo risultante è normalmente più ampio del testo di partenza, quest’operazione si oppone a quella del riassunto.
Come necessario effetto collaterale della parafrasi, il profondo rapporto tra significante e significato, tipico della comunicazione letteraria e fulcro dei testi poetici finisce normalmente sacrificato.
Riflessione sulla lingua. La ricostruzione sintattica e delle figure sintattiche La poesia fonda il suo messaggio sulla ricerca di un linguaggio particolare, diverso da quello ordinario ed ottiene quest’effetto anche modificando l’ordine che normalmente le parole assumono all’interno di una frase.
Lo studio di questi cambiamenti riguarda l’aspetto sintattico del testo poetico quindi la parafrasi deriva dall’osservazione su come vengono disposte le parole nella frase[3] e le frasi nei periodi[4] e dalla modificazione della costruzione[5] secondo il linguaggio prosastico.
Alcuni di questi cambiamenti, detti figure sintattiche, caratterizzavano la sintassi della poesia classica e sono stati ampiamente utilizzati fino alla fine dell’800.
La poesia del ventesimo secolo utilizza di meno le figure sintattiche, prediligendo invece le figure di significato, ma questo non significa che esse non si trovino in moltissimi autori.
Tra le più comuni figure sintattiche si trovano: 
·         Anafora[6]
·         Anastrofe[7] o inversione
·         Antitesi[8]
·         Asindeto[9]
·         Chiasmo[10]
·         Climax[11]
·         Iperbato[12]
·         Parallelismo[13]
·         Polisindeto[14]
Educazione letteraria L’esplicitazione delle figure retoriche di significato - Ogni volta che si usa la lingua, allontanandosi dall’uso standard per ottenere un effetto di maggiore efficacia si dice che si usa una figura: essa è quindi l’uso della lingua in modo più o meno distante dall’uso standard.
Lo studio delle combinazioni possibili e degli effetti determinati da un uso lontano da quello standard fu iniziato dai Greci nel sec. V a.C.; i Greci chiamarono retorica (l’arte del dire) questa disciplina.
Le più comuni figure retoriche del significato sono:
Riflessioni sulla lingua. Complemento di paragone – Il complemento di paragone indica il secondo termine di un confronto.
Risponde alla domanda: di chi?, dopo il comparativo di maggioranza o minoranza; come? quanto? dopo un com­parativo[30].
Riflessioni sulla lingua. Complemento partitivo - Il complemento partitivo, è il complemento che indica l’insieme di cui fa parte l’elemento di cui si parla.
Il complemento risponde alle domande: tra chi? tra che cosa? all’interno di quale insieme?
Es:. Il lupo era il più cattivo degli abitanti del bosco
Es:. Chi di voi non ha mai sentito la favola di Cappuccetto Rosso?
Il complemento partitivo dipende da:
·         un sostantivo che indica una quantità.
Es:. Una parte di noi non accettò la proposta.
·         un pronome numerale.
Es.: A caso verranno scelti quattro fra i partecipanti.
·         un aggettivo superlativo relativo.
Es.: La balena è il più grande tra i mammiferi marini.
·         un pronome interrogativo.
Es.: Quale delle seguenti parole è un avverbio?
·         un pronome indefinito.
Es.: Ciascuno dei membri del circolo riceverà l’invito.
Può essere introdotto dalle preposizioni “di”, “tra” e “fra”.

Riflessioni sulla lingua. Proposizioni comparative – Le proposizioni comparative sono quelle proposizioni che contengono un confronto con la reggente, compiono cioè il medesimo ufficio del complemento di paragone; perciò si di­stinguono in comparative di uguaglianza, di maggioranza e minoranza.
Esse sono quasi sempre esplicite, eccetto quelle rette da piuttosto che.
Es.: Voglio studiare piuttosto che giocherellare.
Le proposizioni comparative sono collegate alla reggente dalle espressioni: più (meno)... che, più (meno)... di quanto, più (meno)... di quello che, ecc.; al po­sto di più può esserci meglio, al posto di meno può esserci peggio. Usano l’in­dicativo e il congiuntivo.
Es.: Il mio nuovo vestito è più elegante di quanto pen­sassi. (Proposizione subordinata comparativa di maggioranza).
Es.: È un libro me­no interessante di quanto pensassi. (Proposizione subordinata comparativa di minoranza).
Es.: Ho lavorato più di quanto mi fosse consentito. (Proposizione su­bordinata comparativa di uguaglianza).

XII UNITÀ
Comunicazione. Il testo espositivo-informativo – Per testo espositivo si intende la presentazione esauriente, condotta a scopo informativo, di un determinato argomento.
Sono testi espositivi la relazione, l’articolo informativo.
Oggetto dell’esposizione può essere:
·         un argomento di esperienza personale
·         un argomento culturale di qualsiasi disciplina.
Il testo espositivo può:
·         limitarsi a presentare dati, fatti, informazioni
·         far seguire ai dati, ai fatti e alle informazioni la loro interpretazione.

Comunicazione. Il testo argomentativo – Per testo argomentativo si intende la presentazione di un’argomentazione, discussione o dimostrazione che si fa adducendo argomenti favorevoli e contrari a quanto si espone; le argomentazioni sono ragioni, opinioni, prove, pro o contro una certa tesi.
Sono testi argomentativi sono i saggi, gli articoli problematici.
Oggetto dell’argomentazione possono essere:
·         idee, problemi, previsioni, fatti, comportamenti.
Il testo argomentativo può:
·         riguardare un fatto di attualità
·         affrontare un argomento di carattere generale o culturale di qualsiasi disciplina.

Comunicazione. La scrittura documentata – Per scrittura documentata si intende una scrittura basata su altri scritti, testi o fonti da cui attingere, per elaborare un nuovo documento.
La scrittura documentata muove dunque da una base documentaria che può essere acquisita:
·         attraverso una ricerca bibliografica
·         ricavata da un singolo testo
·         raccolta attraverso una ricerca sul campo.
Forme di scrittura documentata sono l’articolo, la relazione ed il saggio breve.
La scelta di un modello di scrittura, tra quelli previsti dall’esame di stato, presuppone, da parte di chi scrive, la conoscenza dei requisiti specifici che differenziano un modello di scrittura da un altro, soprattutto in base
·         alle differenti funzioni comunicative
·         alle diverse norme di trasmissione del messaggio
·         al contesto
·         allo scopo
·         al punto di vista dell’emittente
·         all’attenzione
·         al destinatario

Comunicazione. L’articolo. – L’articolo[31] è uno scritto pubblicato su un giornale e può riguardare vari argomenti: informazione, opinione, scientifico, letterario, sportivo ed altro.
Il giornale raccoglie testi di varia natura e dotati di caratteristiche specifiche: in ogni giornale si può individuare una varia tipologia di articoli prodotta da vari fattori
·         modo di raccolta dei contenuti
·         natura dell’argomento
·         tecniche di stesura
·         scopi del testo.
Fondamentalmente ci sono due tipi di articolo:
1.      l’articolo informativo che riferisce fatti, avvenimenti, dichiarazioni, nel quale le unità informative possono essere separate da quelle di valutazione e di commento;
2.      l’articolo problematico che prende spunto da un fatto per far emergere un problema, discuterlo, commentarlo nel quale le unità informative implicano anche una valutazione perché il giornalista ha utilizzato delle parole connotate.
Tuttavia i due aspetti, dell’informare e del discutere o del commentare, possono essere presenti nello stesso articolo che potrà essere definito informativo-problematico, in parti distinguibili o no.
“I fatti separati dalle opinioni” è una delle regole auree del giornalismo, in base alla quale l’articolista dovrebbe sempre separare il resoconto dei fatti dalle sue personali riflessioni e dal suo commento[32]. Non è sempre facile presentare i fatti separati dalle opinioni, ma quando ciò avviene le riflessioni indotte dagli eventi riferiti sono inserite in uno spazio programmaticamente assegnato al commento.
Quanto alla struttura compositiva dell’articolo di cronaca, si distinguono le seguenti norme:
1.              esposizione secondo l’ordine cronologico, quando i fatti sono narrati nell’ordine in cui sono accaduti;
2.              disposizione delle notizie in ordine di piramide rovesciata, quando si comunica prima la
notizia più importante, poi le altre in ordine di interesse decrescente[33].
3.              Riflessioni conclusive

Comunicazione. La stesura – Nella stesura del testo, occorre prestare attenzione all’uso di un italiano corretto, alla scelta di uno stile appropriato e, soprattutto, coerente per tutta la lunghezza dell’elaborato; uno degli errori più frequenti consiste nell’oscillazione stilistica, nell’incapacità di mantenere lo stesso registro e lo stesso tono attraverso le frasi e i paragrafi.
Nello scrivere è opportuno rispettare la regola basilare della chiarezza: il nostro punto di vista su una pagina di storia, su un evento culturale, su un fenomeno sociale, su un aspetto della vita politica ed economica deve essere comunicato in maniera semplice e accessibile a tutti i lettori.
Per questo argomenti, analisi, riflessioni e valutazioni vanno esposti in modo sintetico e chiaro, poiché sono diretti anche a persone che non necessariamente hanno un elevato grado di cultura.
Questo obiettivo si raggiunge con:
·         una buona distribuzione del contenuto informativo all’interno del testo: nella distribuzione delle idee-informazioni, non dimenticare mai il lead[34], cioè l’inizio che corrisponde alle prime cinque-dieci righe del testo. Il lead è dunque il nucleo centrale dell’argomento che s’intende trattare.
·         opportune scelte lessicali: per farsi capire si useranno termini comunemente adoperati dalla maggior parte delle persone, cioè quelli del lessico italiano di base, ma è sconsigliabile cedere alle forme del linguaggio parlato. Ogni riferimento storico ed i termini scientifici, economici, sociologici devono essere resi in un linguaggio mediale: quando si fa uso del lessico tecnico, bisogna proporzionarlo al tipo di destinatario.
·         un’esatta strutturazione del periodo: si consiglia di preferire una costruzione il più possibile   lineare,  essenziale,   magari   elementare. È opportuno limitare i periodi a venti-venticinque-trenta parole, virgole, articoli e preposizioni inclusi, per non mettere mai il lettore in condizioni disperdere il filo.
·         la punteggiatura: vale la regola di leggere a voce alta: se manca il fiato, c’è qualcosa che non va.
·         È necessario, infine, evitare gli incisi, le elencazioni meticolose, le lunghe citazioni, perché disturbano la semplicità lineare della frase, rischiano di appesantirla dandole un andamento tortuoso: in poche parole annoiano.
Nella fase di revisione e controllo bisogna:
·         Verificare la pertinenza e la messa a fuoco del problema;
·         Verificare la completezza delle informazioni che sono state proposte;
·         Verificare l’articolazione logica del discorso e quindi la corretta disposizione delle varie argomentazioni;
·         L’uso dei termini del sottocodice specialistico deve essere opportuno e appropriato;
·         Verificare la costruzione sintattica delle frasi, l’ortografia, la punteggiatura.
Nella fase di rilettura-correzione bisogna:
·         eliminare ogni informazione non strettamente indispensabile;
·         eliminare tutte le ripetizioni e le parole superflue che non aggiungono nulla di sostanziale all’argomentazione;
·         eliminare gli aggettivi e gli avverbi inutili;
·         fare in modo che lo stile sia rigoroso e controllato adeguato al livello del destinatario e coerente con il tema trattato.

Riflessione sulla lingua. Proposizioni relative – La proposizioni relative sono proposizioni completive che si collegano alla reggente con un pronome, avverbio o aggettivo relativo:
che, il quale, cui, colui il quale, colui che, dove, donde, dovunque, comunque, intanto, che, chi, ecc[35].
Le proposizioni relative sono rette da un pronome o da un avverbio relativo (che, il quale, cui, dove) che richiama nella subordinata un sostantivo (o anche un pronome) della principale; questo sostantivo, che funge da base della relativa, è detto antecedente.
Es.:Ma quelli presero la strada dond’era lui venuto. (Manzoni). (Proposizione subordinata relativa).
Es.: Mi è piaciuto il regalo che mi hai mandato. (Proposizione subordinata relativa)
Riflessione sulla lingua. Complemento di fine – Il complemento di fine esprime lo scopo per cui si compie un’azione ed è formato da un sostantivo preceduto da preposizioni quali a, da, in, per o da locuzioni come a fine di, a scopo di.
Es.:Si faccia attenzione a non confonderlo con il complemento di limitazione!
Es.:Tutti i popoli si adoperano per la pace
Proposizioni finali – Sono quelle proposizioni che indicano lo scopo o il fine di ciò che è espres­so nella reggente.
Le proposizioni finali possono avere la forma esplicita con il verbo al congiuntivo introdotte dalle congiunzioni finali perché, affinché, acciocché, ecc.
Es.: Ti ho regalato il libro affinché tu io leggessi. (Proposizione subordinata finale esplicita).
Hanno forma implicita quando sono introdotte dalle preposizioni, a, di, da, per ed hanno il verbo all’infinito.
Es.: Domani andremo a Roma per visitare il Museo Etrusco. (Proposizione subordinata finale implicita).

XIII UNITÀ
Educazione letteraria. La metrica accentuativa – Dopo l’anno mille il volgare, da dialetto parlato dai ceti popolari, è innalzato a dignità di lingua letteraria, accompagnando lo sviluppo di nuove forme di poesia e nuove metriche.
In Italia nel periodo di Dante e del Dolce Stil Novo, la poesia si afferma come mezzo di intrattenimento letterario e assume forma prevalentemente scritta: questo porta i poeti italiani a comporre opere più strettamente aderenti ai canoni grammaticali e stilistici del genere, e a prestare maggiore attenzione alle qualità visive della parola scritta, come la rima e l’alternarsi dei versi. Intorno alla fine del 1200 si diffuse anche la poesia burlesca.
Nel XIX secolo, con la nascita del concetto dell’arte per l’arte, la poesia si libera progressivamente dai vecchi moduli e compaiono sempre più frequentemente componimenti in versi sciolti, cioè che non seguono nessuno schema particolare, e spesso non hanno né una struttura né una rima.
Via via che la poesia si evolve, si libera dai suoi schemi sempre più opprimenti per poi diventare forma pura d’espressione.
L’Ermetismo si può definire la forma più rarefatta di poesia, atta a trasmettere i sentimenti allo stato puro. Ma anche l’Ermetismo si può definire superato.
Il concetto di poesia oggi è molto diverso da quello dei modelli letterari; molta della poesia italiana contemporanea non rientra nelle forme e nella metrica tradizionali ed il consumo letterario è molto più orientato al romanzo e in generale alla prosa, spostando la poesia verso una posizione di nicchia.

Riflessione sulla lingua. L’accento - In ogni parola c’è una sillaba, pronunziata con maggiore forza delle altre perchè la voce si ferma su di essa più che sulle altre. L’insistenza della voce sulla vocale della sillaba si chiama accento tonico o semplicemente accento.
Le altre sillabe si dicono atone.
Secondo l’accento le parole si dividono in:
·         Tronche o ossìtone, quando l’accento cade sull’ultima sillaba. Es. bontà, città;
·         Piane o parossìtone, quando l’accento cade sulla penultima sillaba: pàne, civìle;
·         sdrucciole o proparossìtone, quando l’accento cade sulla terzultima sillaba: classìfica, tàvolo;
·         Bisdrucciole, quando l’accento cade sulla quartultima sillaba: màndaglielo, scrìvimelo;
·         Trisdrucciole, quando l’accento cade sulla quintultima sillaba: òrdinaglielo.
In italiano la maggior parte delle parole sono piane, seguite a lunga distanza dalle sdrucciole e dalle tronche[36].
È obbligatorio segnare l’accento grafico:
·         Sulle parole tronche di due o più sillabe: città, caffè, virtù, mezzodì;
·         Sui monosillabi che terminano con un dittongo ascendente: può, più;
·         Sui seguenti monosillabi: ciò, già, giù, scià;
·         Sui monosillabi che, scritti senza accento, si confonderebbero con altri monosillabi identici per forma ma diversi per significato:
(verbo)
da (preposizione)
(sostantivo)
di (preposizione)
è (verbo)
e (congiunzione)
(avverbio)
la (articolo)
(avverbio)
li (pronome)
(congiunzione)
ne (particella pronominale e avverbio)
(avverbio)
si (pronome personale)
(pronome)
se (congiunzione o pronome personale atono)

L’accento grafico, infine, va segnato
·         sui composti di tre, di re, di su e di blu (ventitré, viceré, lassù rossoblù),
·         sui composti della congiunzione che (benché, giacché, allorché, altroché ecc.)
·         nelle parole composte il cui secondo membro sia monosillabo (autogrù, lungopò).
Di norma l’accento grafico non si segna quando cade nel corpo delle parole[37].

Educazione letteraria. Il livello fonico della poesia - La poesia è l’arte di usare tanto il significato semantico delle parole quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa.
In una poesia il significato è solo una parte della comunicazione che avviene quando si legge o si ascolta una poesia; l’altra parte non è verbale, ma emotiva.
Queste strette commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una poesia in lingue diverse dall’originale, perché il suono e il ritmo originali vanno irrimediabilmente persi e devono essere sostituiti da un adattamento nella nuova lingua, che in genere è solo un’approssimazione dell’originale. Per tali motivi nello studio di un testo poetico è fondamentale lo studio della metrica[38].

Educazione letteraria. La metrica - La poesia, come quasi ogni genere letterario, nasce come voce e, solo successivamente, diventa voce scritta. Ogni poesia, anche la più intimista, va immaginata come espressa a voce; la critica letteraria, poi, analizzando una parte significativa della produzione poetica di una certa cultura stabilisce dei canoni, delle categorie ricorrenti e significative, che classificano la composizione dei versi e delle strofe.
La forma di una poesia ossia la metrica ne determina il ritmo: lo specifico della poesia, infatti, diversamente dalla prosa, è, infatti, collegato al ritmo che non è un semplice accompagnamento musicale del contenuto, ma ne è parte integrante.
In greco ed in latino, la metrica era fondata sulla quantità (brevità o lunghezza) delle sillabe (metrica quantitativa); nelle lingue moderne si basa su rima accenti e numero delle sillabe (metrica accentuativa).
La metrica di una poesia si decide da:
·         Metro è lo schema metrico e la struttura caratteristica di un certo tipo di componimento.
·         Rima è l’omofonia completa fra le ultime parole di due o più versi a partire dall’ultima sillaba tonica.
·         Strofa o strofe è un gruppo di versi, di numero e di tipo fisso o variabile, organizzati secondo uno schema, in genere ritmico, seguito da una pausa.
Il ritmo è dunque la cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che caratterizza il verso, in base al numero delle sillabe ed agli accenti ritmici, disposti secondo particolari schemi in ogni tipo di verso.
Nella metrica, per accento si intende il maggior rilievo che alcuni suoni hanno rispetto ad altri nell’ambito di un brano o di una frase, per questo si hanno:
·         Suoni più accentati (accento forte),
·         Suoni meno accentati (accento debole)
·         Suoni non accentati.
Gli accenti ritmici sono quindi gli accenti fondamentali, che cadono sulle sillabe toniche dove la voce si appoggia di più. Anche i versi più liberi hanno il loro ritmo e non esiste poesia senza ritmo, che talvolta supera perfino le intenzioni stesse del poeta, che vorrebbe reprimerlo per esaltare la singola parola, come accade in alcune poesie ermetiche.
Il ritmo è quindi il susseguirsi di una serie di accenti con una periodica regolarità. Esso è basato sulla suddivisione del tempo in forme e misure variabili, talvolta regolari e simmetriche, altre volte irregolari e asimmetriche. Il ritmo è dunque un movimento che si ripete regolarmente. Qualsiasi movimento che non si ripeta regolarmente può essere detto come aritmico.
In generale il ritmo del verso si fa più incalzante quanto più sono numerosi e ravvicinati e gli accenti tra loro; l’abile uso degli accenti di un verso è parte fondamentale della sensibilità artistica di un autore.
L’accentuazione dei suoni di un brano può anche avere altre funzioni ed i ritmi sono così distinti in diverse tipologie:
·         Ritmo lento e monotono.
·         Ritmo veloce e martellante.
·         Ritmo calmo alternato a ritmo veloce ed ossessivo.
·         Ritmo incalzante.
·         Ritmo cantilenante
·         Ritmo calmo, meditativo.
·         Ritmo solenne
·         Ritmo epico.
·         Ritmo musicale
·         Ritmo spezzato.
Educazione letteraria. Il verso - Il verso, la riga di una poesia, è un’unità metrico-ritmica di una composizione poetica, costituita da un certo numero di piedi o di metri nella poesia quantitativa (quella greca e latina) il cui adattamento alla metrica italiana fu definito da Carducci metrica barbara, nella poesia accentuativa, invece è costituita da un certo numero di sillabe o di accenti.
Si dicono versi sciolti, quelli non legati da rima e non raggruppati da schemi strofici tradizionali.
Si dicono versi liberi quelli che non seguono nessuna norma metrica e ritmica tradizionale.

La poesia esternatrice ed Omero
dal carme de’ I sepolcri di Ugo Foscolo
E me che i tempi ed il desio d’onore
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse[39]
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ali vi spazza
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
eterno per la Ninfa[42] a cui fu sposo
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udì la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
la morta amica almen[46] guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. -
Così orando moriva. E ne gemea[47]
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor[51] che il Nume in petto
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
E dicea sospirando: - Oh se mai d’Argo,
ritorno il cielo, invan la patria vostra
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan[57] di Priamo, e crescerete ahi presto
proteggete i miei padri: e chi la scure
mendico un cieco errar sotto le vostre
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
per far più bello l’ultimo trofeo
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
per la patria versato, e finché il Sole


XIV UNITÀ
Riflessione sulla lingua La sillaba - La sillaba è la più piccola combinazione di suoni o fonemi, in cui può essere scomposta una parola. Essa si pronuncia con un’unica emissione di voce.
Una sillaba può essere composta:
·         da una vocale (A-o-sta)
·         da un dittongo (uo-vo)
·         da un trittongo (a-iuo-la)
·         da una o più consonanti seguite o precedute da una vocale o da un dittongo  (ma-ti-ta, fiu-me, al-ber-go)
1.      Ogni sillaba deve avere almeno una vocale:
Es.: a-mi-che-vol-men-te
2.      Una vocale o un dittongo, posti all’inizio di una parola e seguiti da una consonante, costituiscono una sillaba:
Es.: o-ra-rio, au-gu-rio
3.      Le vocali dei dittonghi e dei trittonghi non si dividono mai:
Es.: mie-le, a-iuo-la
4.      Una consonante semplice forma una sillaba con la vocale e il dittongo che la seguono: Es.: co-ro-na, piu-ma,
5.      Le consonanti doppie e quelle del gruppo cq si dividono tra due sillabe:
Es.: ap-pal-lot-to-la-re, ac-qua
Riflessione sulla lingua La divisione in sillabe – Oggi la scrittura al computer ha semplificato le cose poiché i comuni programmi di videoscrittura non spezzano le parole in fine riga, sembra inutile conoscere le regole della divisione in sillabe.
Ma quando, nello scrivere a mano, dobbiamo andare a capo è necessario dividere le parole, non possiamo farlo a caso: è necessario conoscere delle precise regole, quelle della divisione in sillabe.
In ogni caso, nella scrittura di libri e giornali la conoscenza di tali regole è essenziale.
I digrammi e i trigrammi, gruppi di lettere che formano un solo suono, non si dividono mai.
Essi sono:
1
gl + i
Es.: e-gli
2
gn + vocale
Es.: gno-mo
3
sc + le vocali e, i
Es.: sce-na, sci-vo-lo
4
ch + le vocali e, i:
Es.: chi-mi-co, o-che
5
gh + le vocali e, i
Es.: ru-ghe, a-ghi
6
ci e gi + le vocali a, o, u
Es.: ca-mi-cia, mi-cio, gio-va-ne, giu-sto
7
gli + vocale
Es.: a-glio, mo-glie
8
sci + vocale
Es.: li-scio, a-sciu-ga-re
1. I gruppi formati da  due o tre differenti consonanti + una vocale costituiscono una sillaba, se con questo insieme di lettere può iniziare una parola della lingua italiana:
Es.: re-cla-mo, a-pri-re, a-stra-le, re-cri-mi-na-re, pro-ble-ma.
2. Gli insiemi di due o tre consonanti che non potremmo mai trovare all’inizio di una parola italiana: rt, cn, lt, mbr, nfr, e così via, devono essere divisi tra due sillabe, come negli esempi seguenti: 
Es.: cor-to, tec-ni-co, al-to, om-bra, in-fran-ge-re.
3. La s seguita da una o più consonanti forma generalmente una sillaba con la vocale seguente, non con quella che la precede:
Es.: a-stro, ri-spon-de-re, di-sprez-zo.
4. Nelle parole composte, nelle quali il primo elemento termina per i e il secondo elemento comincia per vocale, l’insieme delle vocali risultante da tale unione non deve essere considerato un dittongo e va diviso tra due sillabe:
Es.: chi-un-que, ri-e-du-ca-re
5. I prefissi come dis-, tras-, trans-, in-, ben-, mal- possono essere separati dalla radice e formare una sillaba a sé oppure divisi, secondo le regole generali della divisione in sillabe:
Es.: dis-a-bi-ta-to oppure di-sa-bi-ta-to,
tras-por-ta-re  oppure tra-spor-ta-re,
mal-in-ten-zio-na-to oppure ma-lin-ten-zio-na-to
Oggi, però, si tende a seguire le regole generali e prevale la seconda delle possibilità.
Riflessione sulla lingua. Sillabe con dittonghi e trittonghi. Lo iatoIl dittongo è l’unione nella stessa sillaba di due vocali: quando una a, una e oppure una o, dette vocali forti, si incontrano con una i o una u, dette vocali deboli, e quando si incontrano due vocali deboli si crea un dittongo.
Nel dittongo le vocali non devono essere mai divise tra due sillabe:
Es.: a-ria, spe-cie, uo-vo, au-to, fiu-me, fiu-to
Il trittongo si forma dall’unione di tre vocali: due deboli, una forte.
Come nel dittongo, anche nel trittongo le vocali che lo costituiscono non possono essere mai separate:
Es.: a-iuo-la
Per iato nella grammatica italiana si intendono due fenomeni letteralmente distinti:
1 Si considera iato l’incontro di due vocali forti con l’accento sulla prima vocale;
2 Si considera iato l’incontro di due vocali forti con l’accento sulla seconda, oppure l’incontro di una vocale forte con una debole, la quale è però accentata.
Nello iato le vocali fanno parte di sillabe differenti:
Es.: zì-o, pa-ù-ra, ma-e-stra,  po-e-ta

Educazione letteraria. Il  metro - Il metro è l’unità di misura dei versi che si classificano in base al numero delle sillabe di cui sono composti e possono variare da due a sedici.
Si hanno dieci tipi di versi, di cui cinque parisillabi (2, 4, 6, 8, 10 sillabe) e cinque imparisillabi (3, 5, 7, 9, 11 sillabe).
Alcuni poeti sporadicamente hanno usato versi costituiti da un numero di sillabe più alto.
Es.:  E ammirami per il mio calore e per la mia fede: mentre io ti parlerò di Percy l’arcangelo e di Walt Whitman, un uomo,... (A.de Bosis, Giovine che mi guardi parlare, v 13) costituito di 35 sillabe.
Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell’infinito. (A. Negri, Il muro, v 1) costituito di 30 sillabe.
E berrà del suo vino, torchiato le sere d’autunno in cantina (C. Pavese, Atlantic Oil, v 32) costituito di 19 sillabe.
Essi sono:
·         bisillabo[62]
·         ternario[63]
·         quadrisillabo[64]
·         quinario[65]
·         senario[66]
·         settenario[67]
·         ottonario[68]
·         novenario[69]
·         decasillabo[70]
·         endecasillabo[71]
Si dicono doppi i versi uguali, in coppia nella stessa riga, interrotti da una pausa o cesura. Essi sono:
·         Doppio quinario[72];
·         Doppio senario[73];
·         Doppio settenario[74] (o martelliano o alessandrino)
·         Doppio ottonario.
Strettamente legate al metro del verso sono le figure metriche.
Le figure metriche sono fenomeni sillabici, tipici della poesia, che non comportano alterazioni grafiche, ma solo una diversa modalità di lettura, ai fini del computo sillabico del verso.
Esse sono:
·         Dialefe[75]
·         Dieresi[76]
·         Sinalefe[77]
·         Sineresi[78]

XV UNITÀ
Riflessioni sulla lingua. Elisione e troncamento – Per evitare suoni di difficile articolazione spesso togliamo la vocale a fine parola (quando non è accentata) nel caso in cui la parola successiva inizi anch’essa per vocale.
L’elisione ed il troncamento di un’intera sillaba si segnano con l’apostrofo[79].
Es.:      un’altra invece di una altra
po’ invece di poco
vo’ invece di voglio
di’ invece di dici
Elisione e troncamento sono fenomeni legati all’incontro di due parole, esistono però anche dei casi in cui vi è la caduta della vocale o della sillaba finale di una parola, indipendentemente dall’incontro con altre parole.
Per indicare la perdita è necessario mettere un segno d’apostrofo, i casi più diffusi sono:
1
sta’ = imperativo di stare.
Es. Sta’ fermo!
2
fa’ = imperativo di fare.
Es. Fa’ i compiti!
3
da’ = imperativo di dare.
Es. Da’ la mancia a Mirko!
4
di’= imperativo di dire.
Es. Di’ quello che pensi!
5
va’ = imperativo di andare.
Es. Va’ a prendere il quaderno!
Riflessioni sulla lingua. Riflessioni sulla lingua. Elisione – L’elisione[80] consiste nella soppressione della vocale finale atona di una parola dinanzi alla vocale iniziale della parola seguente per ragioni eufoniche ed al posto della vocale caduta si mette un apposito segno, l’apostrofo.
Riflessioni sulla lingua. Riflessioni sulla lingua. Troncamento – Il troncamento[81] o apocope[82] rappresenta la caduta di uno o piú suoni atoni in fine di parola davanti ad un’altra parola iniziante sia per vocale sia per consonante per ragioni eufoniche e/o di brevità.
Perché il troncamento sia possibile, la lettera che precede la vocale o la sillaba da eliminare deve essere una delle seguenti: l – m –n – r.
Non si esegue mai il troncamento quando la parola che segue inizia con s impura, z, gn, ps.

Educazione letteraria Figure fonetiche sillabiche – Alcuni fenomeni fonetici, pur non essendo delle vere e proprie figure metriche come la dieresi, la sineresi, la dialefe e la sinalefe,  possono avere una rilevanza metrica cioè possono essere utilizzate per ottenere l’esatta misura del verso.
Esse sono:
·         afèresi[83]
·         pròstesi[84]
·         apòcope[85],
·         epítesi (o paragòge)[86].
·         sìncope[87]
·         epèntesi[88]
Educazione letteraria. Rima - La rima è l’omofonia, ossia l’identità dei suoni, tra due o più parole a partire dall’ultima vocale accentata, e si verifica per lo più tra le clausole dei versi di un componimento (altrimenti, essa si definisce rima interna).
Nell’analisi metrica, i versi che rimano tra loro sono indicati mediante la stessa lettera.
A seconda del loro schemi rimico, le rime si distinguono in:
·         Baciata[89]
·         Alternata[90]
·         Incrociata[91]
·         Incatenata:
·         Ipermetra[92]
·         Ipermetra[93]
Oltre alla rima acquistano grande valore le cosiddette figure fonetiche che riguardano la ripetizione o il parallelismo dei suoni.
Le figure fonetiche sono:
·         Allitterazione[94]
·         Assonanza[95]
·         Consonanza[96]:
·         Onomatopea[97]
·         Paronomasia[98]
·         Enjambement[99]

XVI UNITÀ
Educazione letteraria. Strofa - La strofa o strofe è l’insieme di più versi, di numero e di tipo fisso o variabile, organizzati secondo uno schema e formanti un periodo ritmico, seguito da una pausa in genere ripetuto più volte.
Per poter definire i vari tipi di strofe occorre prendere in considerazione sia la successione delle rime sia il numero dei versi. La strofa può quindi essere considerata un sistema ritmico, stabilito dalla combinazione delle rime e dalla struttura metrica dei versi che la compongono. Le combinazioni strofiche possono essere infinite perché esse, pur essendo legate a regole fisse di decodificazione del testo poetico, sono riferibili anche alla capacità di innovazione e alla libertà del poeta.
La strofa è sinonimo di stanza ed i generi metrici, a seconda del numero dei versi,sono dette:
La strofa può quindi essere considerata un sistema ritmico che è stabilito dalla combinazione delle rime e dalla struttura metrica dei versi che la compongono. Le combinazioni strofiche possono essere infinite. Esse sono legate a regole fisse di decodificazione del testo poetico ma anche alla capacità di innovazione e alla libertà del poeta, tant’è con la rivoluzione si diffuse l’uso della strofa libera[105].

La cavalla storna
da Canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste[106]
frangean[107] la biada[108] con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa[109] spiaggia;

che nelle froge[110] avea[111] del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi[112].

Con su la greppia[113] un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea[114] sommessa:

« O cavallina, cavallina storna[115],
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto
[116];

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie
[117].

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.

Tu c’hai nel cuore la marina brulla[118],
tu dai retta alla sua voce fanciulla».

La cavalla volgea[119] la scarna[120] testa
verso mia madre, che dicea
[121] più mesta:

« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso[122] nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti[123] la tua via,
perché facesse in pace l’agonia . . . »

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dové[124] pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe
[125],

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbraccio’ su la criniera.

« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise
[126].

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian
[127] sognando il bianco della strada.

La paglia non battean[128] con l’unghie vuote:
dormian
[129] sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.


I due fanciulli
Da Poemetti[130] di Giovanni Pascoli
I
Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d’oro
dell’ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d’un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de’ tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l’uno e l’altro, esangue,
ne’ tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un’acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l’uno dell’altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

II
A letto, il buio li fasciò, gremito
d’ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d’ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L’uno si volse, e l’altro ancor, leggero:
nel buio udì l’un cuore, non lontano
il calpestìo dell’altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l’uno all’altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

III 
Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all’ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a’ silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d’un’ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d’aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch’ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.

Il gelsomino notturno[131]
Da I canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli
E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni[132]
le farfalle crepuscolari[133].

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala[134].
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta[135] per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento ...

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

Ballata e sestina della lontananza
Da L’Isotteo e la Chimera di Gabriele D’Annunzio
Quando piú ne’ profondi orti le rose
aulivano per l’aria de la sera
e mesceasi a quel lor tepido fiato
sapor di miele da’ pomari[136] d’oro,
venne Isaotta un tempo a le mie braccia,
candida e mite quale a maggio luna.

Non sí dolce chinò li occhi la Luna
su ‘l suo vago sopito in tra le rose
Endimïon[137], tendendo ambo le braccia,
(splendeva il Latmo[138] a la vermiglia sera,
cui bagnano i ruscelli in vene d’oro:
sol de’ veltri s’udia l’ansante fiato)

com’ella sovra me. Caldo il suo fiato
io sentía su ‘l mio volto, ed a la luna
vedea brillare la cesarie[139] d’oro
cui cingevano i miei sogni e le rose.
Fulgida aurora a me parve la sera,
ne ‘l cerchio de le sue morbide braccia.

Dolce cosa languir tra le sue braccia!
Dolce, languendo, bevere il suo fiato!
Voci correan d’amor per l’alta serra[140];
e bramire[141] s’udian cervi a la luna
da’ chiusi, e Agosto[142] a l’ombra de le rose
cantar soletto in su la tibia[143] d’oro,

e a quando a quando, come in vaso d’oro
pioggia di perle, da le verdi braccia
de li alberi che misti eran di rose
le odorifere gomme[144] ad ogni fiato
d’aura cader su’ fonti ove la luna
piovea gl’incanti de l’estiva sera.

O donna ch’anzi vespro a me fai sera,
cui Laura[145] è suora[146] ne le rime d’oro,
deh foss’io, come il vago[147] de la Luna,
addormentato, e alfin tra le tue braccia
mi risvegliassi e bevere[148] il tuo fiato
potessi ancora, in letto alto di rose!

Tu la Bella[149] vedrai diman da sera
e a lei ricingerai le chiome d’oro,
canzon, nata di notte senza luna.


ESERCIZI
C. 1 Svolgi la parafrasi dei brani proposti
C. 2 Svolgi il riassunto dei brani proposti
R. L. 1 Individua tutte le figure sintattiche presenti nei brani proposti trascrivile e ricostruiscile sintatticamente.
R. L. 2 Individua tutti gli scarti linguistici presenti nei brani proposti trascrivili, classificali ed indicane il significato nell’uso corrente.
R. L. 3 Trascrivi i primi 5 versi di ogni testo, mettendo gli accenti tonici su tutte le parole, tranne su quelle atone, e classificandole in:
·         tronche o ossìtone
·         piane o parossìtone
·         sdrucciole o proparossìtone
·         bisdrucciole
·         trisdrucciole
R. L. 4 Trascrivi i primi 5 versi di ogni testo, scomponendo in sillabe, mettendo gli accenti tonici su tutte le parole, tranne su quelle atone, individuando infine la presenza di
·         Dittonghi
·         Trittonghi
·         Iati
R. L. 5 Trascrivi i primi 5 versi di ogni testo, individuando e classificando elisioni e troncamenti
R. L. 6 Individua e trascrivi tutte le figure fonetiche sillabiche presenti nei testi, classificandole in: 
·         afèresi
·         pròstesi
·         apòcope,
·         epítesi (o paragòge)
·         sìncope
·         epèntesi
E. L. 1 Individua tutte le figure le figure metriche presenti nei brani proposti trascrivile e classificale, indicando se si tratta di
·         Dialefe
·         Dieresi
·         Sinalefe
·         Sineresi
E. L.  2  Individua tutti i metri presenti nei testi proposti se sono:
·         bisillabo
·         ternario
·         quadrisillabo
·         quinario
·         senario
·         settenario
·         ottonario
·         novenario
·         decasillabo
·         endecasillabo
E. L. 3 Individua tutte le figure le figure metriche presenti nei brani proposti trascrivile e classificale, indicando se si tratta di:
·         Allitterazione
·         Assonanza
·         Consonanza:
·         Onomatopea
·         Paronomasia
·         Enjambement
E.L. Individua tutti i sistemi strofici presenti nei brani proposti, indicando se si tratta di
·         Distico
·         Terzina
·         Quartina
·         Sestina
·         ottava
E. L. 1 Individua tutte le figure le figure retoriche di significato presenti nei brani proposti trascrivile ed esplicitale.



[1] Poema - Un poema è una composizione letteraria in versi, per lo più di carattere narrativo o didascalico e di ampia estensione, spesso suddivisa in più parti.
Con questo termine si intende generalmente il genere letterario che comprende tali composizioni.
Un poema è in genere scritto in versi endecasillabi, perché sono versi narrativi, serve per raccontare, ed è molto più lungo di una poesia.
Ha tre momenti fissi:
·         Protasi: riassunto in pochi versi di tutto il contenuto dell’opera;
·         Invocazione: richiesta di aiuto (ispirazione) ad un’entità superiore (dèi, muse della letteratura nell’età classica, Maria nella letteratura religiosa del cristianesimo, oppure una vera donna come nel caso di Ludovico Ariosto)
·         Dedica: nel poema classico, la dedica non è presente in modo scritto perché era destinato alla declamazione orale, dal medioevo in poi la dedica sarà presente per dimostrare gratitudine a chi ospita l’autore.
Un poema può avere vario tono ed argomento e si può distinguere fra l’altro, a seconda della materia, in:
·         Poema cavalleresco - è un insieme di narrazioni e di poemi che trattano tematiche inerenti le gesta dei cavalieri medievali. Si distingue dalla letteratura epica in quanto alterna i toni tipici dell'epica con quelli satirici o grotteschi, per la presenza di interventi soggettivi dell'autore e per la grande varietà delle azioni descritte. Nel Medioevo e nel Rinascimento furono composti in Europa numerosi poemi epici, comunemente raccolti sotto la definizione di epica cavalleresca, perché narrano le imprese dei cavalieri medioevali. Pur ispirandosi alla figura del cavaliere, questi poemi sono spesso molto diversi tra loro. Evidenti sono ad esempio le differenze tra due forme di narrazione epica nate entrambe in Francia: le chansons de geste (materia di Francia) e i romanzi cavallereschi del ciclo di re Artù (materia di Bretagna). I miti e le leggende dei popoli germanici trovarono la loro espressione più importante nel Canto dei Nibelunghi, mentre gli sviluppi della poesia epica in Italia ci mostrano la trasformazione subita nel tempo dall'immagine del cavaliere: il passaggio dagli ideali e dai valori del Medioevo a quelli del mondo rinascimentali modifica profondamente le caratteristiche degli eroi, come risulta evidente, in particolare, dall'Orlando furioso di Ludovico Ariosto.
·         Poema didascalico - è un genere letterario che, in forma di poema si propone di impartire un ammaestramento scientifico, religioso, morale, dottrinale, etc. Il più antico esempio è costituito dal breve poema Le opere e i giorni di Esiodo, risalente all'VIII sec. a.C. contenente una serie di consigli per le opere agricole delle singole stagioni. Nel poema esiodeo il poeta impartisce agli uomini consigli pratici per l'attività fondamentale in una comunità agricola. La poesia didascalica è diffusa nella Letteratura greca e nel III sec a.C. secolo nell'opera I fenomeni di Arato ed è stata ripresa dalla Letteratura latina, con il capolavoro De rerum natura di Lucrezio. Rientrano nel genere didascalico anche le Georgiche di Virgilio, composte intorno al 30 a.C. La poesia didascalica è presente anche abbondantemente nella Letteratura italiana fino da Bonvesin de la Riva, Brunetto Latini e Dante.
·         Poema epico
·         Poema eroico
·         Poema eroicomico è un genere letterario del XVII secolo che ribalta le tecniche stilistiche e i cliché della poesia epica allo scopo di ottenere un effetto comico.
·         Poema sinfonico - Il poema sinfonico è una composizione musicale di solito di ampio respiro che sviluppa musicalmente una idea poetica, ispirata a una opera letteraria in versi o in prosa o ad un'opera figurativa o filosofica. È una derivazione diretta della musica a programma che fu una delle forme predilette dai musicisti romantici, ad esempio Hector Berlioz nella sua Sinfonia fantastica e nell'Aroldo in Italia.
[2] Scarto linguistico – vedi modulo I  
[3] Frase – vedi modulo I
[4] Periodo: è l’insieme di due o più proposizioni collegate in successione logica in modo da formare un’unità funzionale autonoma; le struttura del periodo si distingue in:
·         paratattica quando le proposizioni di un discorso sono coordinate fra loro, senza utilizzare alcuna congiunzione;
·         ipotattico quando il rapporto di subordinazione che esiste tra due frasi viene evidenziato mediante un segno funzionale.
[5] Costruzione: è un’ordinata disposizione delle parole in una frase o delle frasi in un periodo.
[6] Anafora: l’anafora consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di più versi o enunciati successivi.
Es.:      Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Come l’allitterazione, anche l’anafora si presenta con frequenza nel linguaggio pubblicitario, per richiamare l’attenzione dell’ascoltatore.
Es.:      Selenia, speciale formula Alfa Romeo... Selenia, il motore dei nuovi motori.
[7] Anastrofe o inversione: l’anafora o inversione consiste nel capovolgimento dell’ordine di alcuni elementi della frase.
Es.:      sempre caro mi fu quest’ermo colle
al posto di quest’ermo colle mi fu sempre caro.
[8] Antitesi: l’antitesi consiste nella contrapposizione di idee, espressa mettendo in corrispondenza parole di significato opposto; conferisce a due immagini consecutive e spesso simmetriche un maggior rilievo, facendo leva sulla loro più o meno accentuata contrapposizione.
Es.:      Pace non trovo e non ho da far guerra
di fuor si legge com’io dentro avvampi
[9] Asindeto: l’asindeto consiste nell’eliminazione delle congiunzioni tra un termine e l’altro, lasciando solo la virgola a separarli; si prenda come esempio la prima parte di Meriggiare.
L’asindeto è una figura sintattica molto usata nella poesia del ‘900.
[10] Chiasmo: il chiasmo è collegato all’inversione, dispone in ordine opposto gli elementi corrispondenti di due versi o frasi.
Es.:      Le donne,     i cavalier
l’armi,           gli amori
[11] Climax: La climax consiste nell’enumerazione di termini in ordine crescente (es.: disagio, paura, terrore).
Questa figura si trova anche in altri settori dell’arte come ad esempio il cinema.
Se invece l’enumerazione dei termini avviene in ordine decrescente (terrore, paura, disagio), si ha l’anticlimax, che è tuttavia molto più raro.
[12] Iperbato: Affine all’anastrofe che rappresenta un’inversione nell’ordine naturale delle parole all’interno di una frase, l’iperbato si produce quando tale inversione comporta lo spostamento di un segmento di enunciato all’interno di un sintagma.
Es.:                  [...] ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
Es.:                  ...tardo ai fiori
ronzìo di coleotteri
(Eugenio Montale, Derelitte..., 1-3)
Es        ...a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura
[13] Parallelismo: Il parallelismo consiste, al contrario del chiasmo, nel disporre nello stesso ordine gli elementi corrispondenti di due versi o frasi.
Es.:      l’albero cui tendevi
la pargoletta mano
il verde melograno
da’ bei vermigli fior
[14] Polisindeto: il polisindeto, al contrario dell’asindeto, consiste nella ripetizione della congiunzione prima di ogni elemento dell’enumerazione, con l’effetto di dare molta enfasi al verso o alla frase.
Es.:      e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò…  (Carducci)
[15] Allegoria - L’allegoria è la figura retorica per cui un concetto astratto è espresso attraverso un’immagine concreta: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, l’accostamento non è basato su qualità evidenti o sul significato comune del termine, bensì su un altro concetto che spesso attinge al patrimonio di immagini condivise della società. Essa opera comunque su un piano superiore rispetto al visibile e al primo significato: spesso l’allegoria si appoggia a convenzioni di livello filosofico o metafisico.
Es.:
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’ era dal principio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’ alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
 questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
Qui le tre fiere rappresentano tre mali che turbano l’animo dell’uomo: la superbia e la violenza (leone), l’avarizia e la cupidigia (lupa), l’avidità o per alcuni la lussuria (lonza).
[16] Antitesi – l’antitesi è l’accostamento di concetti opposti per significato, espressi da sintagmi diversi.
Es.:      Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore ha miele e assenzio
(l’assenzio è un liquore che si ottiene dalla pianta assenzio: ha sapore amaro)
Es.:      Tutto ei provo: la gloria
maggior dopo il periglio
la fuga e la vittoria
la reggia e il triste esiglio;
Il seguente verso di Dante è un esempio di come si possa “lavorare” con l’antitesi ed ottenere effetti ad incastro
Es.:      Amor condusse noi ad una morte
amor e morte sono opposti per significato (l’amore dà la vita) e sono prima ed ultima parola del verso; al centro del verso si trovano noi e una opposti in quanto noi indica un plurale, mentre una indica il singolare.
[17] Ellissi - L’ellissi consiste nell’omissione, all’interno di una frase, di uno o più termini che sia possibile sottintendere. È frequente nei proverbi e nelle sentenze
Es.: A nemico che fugge, ponti d’oro.
Simile all’ellissi è la frase nominale, molto ricorrente nel linguaggio giornalistico, che consiste nella soppressione del verbo e nella trasmissione del suo contenuto e di parte delle sue funzioni ad un sintagma nominale che resta presente nella frase.
[18] Eufemismo - L’eufemismo consiste nell’uso di una parola o di una perifrasi al fine di attenuare il carico espressivo di ciò che si intende dire, perché ritenuto o troppo banale, o troppo offensivo, osceno o troppo crudo.
Es.: “questo piatto lascia a desiderare” per non dire che è ripugnante
“mordere la polvere” per non dire essere in una posizione secondaria
“il caro nonno non è più tra noi” per attenuare una proposizione di senso troppo crudo del tipo “il nonno è morto”
[19] Iperbole - L’iperbole è una figura retorica che consiste nell’esagerazione nella descrizione della realtà tramite espressioni che l’amplifichino, per eccesso o per difetto.
Es.:
« quella macchina, la desidero da morire! »
«il prezzo del petrolio è schizzato alle stelle »
« ti amo da morire »
«ti stavo aspettando da una vita »
« vado a fare quattro passi »
« ci facciamo due spaghetti»
«perdere quell’amichevole fu per noi una catastrofica sconfitta »
Dagli studiosi è stato messo in luce che l’iperbole presuppone la buona fede di chi la usa: non si tratta infatti di un’alterazione della realtà al fine di ingannare ma, al contrario, allo scopo di dare credibilità al messaggio, attraverso un eccesso nella frase che imprima nel destinatario il concetto che si vuole esprimere.
[20] Litote - La litote consiste nel dare un giudizio usando il termine contrario preceduto dalla negazione.
Es.: “Quell’uomo non è un genio”, per indicare che una persona è stupida.
La litote può anche essere per così dire positiva.
Es.: “questa non è una pessima idea” significa approvarla.
Generalmente però viene usata per rafforzare un giudizio negativo, lasciando in superficie una versione che sembra più edulcorata.
[21] Metafora: la metafora è il trasferimento di significato dal campo semantico di una parola al campo di un’altra, per una caratteristica riscontrabile in entrambe le parole. Equivale ad una operazione di intersezione, cioè l’operazione di riconoscere somiglianze tenendo conto di differenze tra due o più classi (insiemi).
Es.:
O falce di luna calante
Campo semantico di falce: strumento, di ferro, a forma molto arcuata, ecc...
Campo semantico di luna: satellite della Terra, ha un periodo di rivoluzione attorno ad essa di 28 giorni; fasi lunari - i periodi di tempo nei quali la luna è visibile/non visibile dalla Terra; la luna ha dapprima una forma arcuata, via via meno arcuata fino a divenire piena (tutta visibile), poi diminuisce riassumendo forma arcuata, infine non è più visibile –
Lo strumento falce e la luna nella fase calante hanno la stessa forma; allora invece di dire:”O luna calante che sembri (sei arcuata come) una falce” si trasferisce la forma dalla falce alla luna calante;
Es.: Ridon or per le piagge erbette e fiori
Erbette: è un diminutivo, fa pensare a erba nuova, quindi piccola.
Fiori: aprono la loro corolla stimolati dai raggi solari.
Ridere: sta ad indicare una reazione dell’essere umano di felicità.
Invece di dire: erbette e fiori che sembrano uomini e donne che ridono felici, si trasferisce il ridere ad erbette e fiori.
[22] Metonimia – La metonimia è il trasferimento di significato da una parola ad altra con il seguente meccanismo:
a)      la causa per l’effetto
b)      l’autore per l’opera
Es.: leggere Manzoni
c)      il produttore per il prodotto:
Es.: un Martini,
un Ferré
d)      il proprietario per la cosa posseduta:
Es.: Federico va a cento all’ora (ma è l’auto di Federico che raggiunge quella velocità)
e)      il patrono per la chiesa:
Es.: messa in San Giovanni
f)       la divinità per i suoi attributi o l’ambito di influenza:
Es.: Cupido per l’amore,
Bacco per il vino
g)       i mezzi per lo scopo:
Es.: compiere un ottimo lavoro
h)       il concreto per l’astratto e viceversa
Es: gioia per persona che dà gioia
fortuna, rovina per persone o cose che producono tali effetti
avere fegato, cioè coraggio
l’umanità per l’insieme di tutti gli uomini
i)        il contenente per il contenuto:
Es.: bere una bottiglia
j)        lo strumento per chi lo usa:
Es.: è un ottimo pennello
k)      il fisico per il morale:
Es.: avere un gran cuore
l)        il luogo per gli abitanti:
Es.: l’Italia per gli Italiani
m)    la località di produzione per il prodotto:
Es.: il Bordeaux
n)      la marca per il prodotto:
Es.: una FIAT,
un Rolex
o)      il simbolo per la cosa simboleggiata:
Es.: armi per guerra,
alloro per gloria poetica
p)      le divise per indicare chi le porta:
Es.: Camice Rosse per Garibaldini,
Rossoneri per giocatori del Milan
i Verdi per indicare un partito politico (antonomasia metonimica)
q)      la sede per l’istituzione o l’organo di governo o l’industria-società:
Es.: il Vaticano per il Papa
Palazzo Chigi per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
[23] Ossimoro - L’ossimoro la fusione di due concetti opposti per significato in una immagine; si esprime tramite un solo sintagma nel quali sono presenti parole opposte per significato o due sintagmi di cui il secondo dipendente dal primo.
Es.:
Di questo son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento
Il sintagma nominale disperazione calma è formato da un nome disperazione che sta ad indicare agitazione al massimo grado di intensità e da un aggettivo calma il cui significato è l’opposto di disperazione.
Un piccolo infinito scampanio
Nel sintagma nominale indicato i due aggettivi attribuiti al nome sono tra loro opposti per significato
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d’istante
Il sintagma preposizionale d’istante dipende dal sintagma nominale eternità.
Antitesi e ossimori sono largamente usati anche nella lingua standard, soprattutto dai titoli di giornali, nei titoli di film e naturalmente dalla pubblicità.
[24] Personificazione - La personificazione consiste nell’attribuzione di fattezze, comportamenti, pensieri, tratti (anche psicologici e comportamentali) umani a qualcosa che umano non è.
Oggetto di personificazione può ben essere un oggetto inanimato, un animale, ma anche un concetto astratto, come ad esempio la pace, la giustizia, la vendetta etc.
[25] Preterizione - La preterizione, nota anche come paralessi, paralissi o paralipsi, è la figura retorica in cui si finge di non voler dir nulla di ciò di cui si sta parlando.
Es.:
“Non ti dico cosa mi è successo...”
“Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.”
[26] Prosopopea - La prosopopea si ha quando si attribuiscono qualità o azioni umane ad animali, oggetti, o concetti astratti. Spesso questi parlano come se fossero persone. È una prosopopea anche il discorso di un defunto.
Nel linguaggio comune è sinonimo di arroganza, pomposità, boria
[27] Similitudine: la similitudine è l’accostamento tra due concetti tramite come, sembra, simile; equivale ad un’operazione di mettere in corrispondenza, cioè l’operazione di confronto fra elementi appartenenti a più insiemi (classi) in base a caratteristiche prescelte o ad un’operazione di mettere in relazione, cioè l’operazione di confronto fra elementi appartenenti allo stesso insieme (classe) in base a caratteristiche prescelte.
Es:       Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
Soldati di G. Ungaretti.
È riconosciuta una somiglianza tra i soldati del titolo e le foglie nella stagione d’autunno. La somiglianza è lo stato di precarietà: per le foglie in autunno il loro star per morire e per i soldati la possibilità sempre presente di morire.
Lo stesso effetto può essere dato da una correlazione: così...come, tal...quale. In questo caso si ha una comparazione.
Es.:      Come una pantera esce da forra profonda
[...]
così il figlio del nobile Antenore...
[28] Sineddoche: La sineddoche, aspetto particolare della metonimia, è il trasferimento di significato da una parola ad altra con il seguente meccanismo:
a)      il tutto per la parte.
Es.: l’Europa (i paesi dell’Unione) ha deliberato;
Italia batte Germania 2-0 (intendendo le rispettive squadre nazionali di calcio)
b)      la parte per il tutto:
Es.: tetto per casa, bocche (persone) da sfamare
c)      il genere per la specie:
Es.: felino per gatto,
mortali per uomini
d)      la specie per il genere.
Es.: pini per conifere,
pane per cibo
e)      il plurale per il singolare:
Es.: la servitù per un solo domestico
f)       il singolare per il plurale.
Es.: l’Italiano per gli Italiani
g)      la materia per il prodotto (ma molti considerano questo caso una metonimia): ferro per spada.
Es.:      le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate
eran le tue
Pupille (parte dell’occhio) sta per il tutto, cioè occhio
h)      il singolare per il plurale e viceversa
Es.:      Sei ancora quello della pietra e della fionda
uomo del mio tempo
Uomo (il singolare) sta per tutti gli uomini (il plurale)
i)        il genere per la specie e viceversa.
Es.:      O animal grazïoso e benigno
Animal (il genere) sta ad indicare nel verso di Dante l’uomo (la specie)
[29] Sinestesia – La sinestesia è l’associazione di parole il cui significato si riferisce a sfere sensoriali diverse
Es.: La luce era gridata a perdifiato
La luce riguarda la sfera sensoriale della vista; gridata fa riferimento alla sfera sensoriale dell’udito.
Es.: Pure i dorati silenzi ad ora ad ora
silenzi fa riferimento alla sfera uditiva, dorati fa riferimento ad un colore, di conseguenza alla sfera visiva
[30] L’aggettivo qualificativo - I concetti espressi dagli aggettivi qualificativi e da molti avverbi possono essere soggetti a una gradazione per meglio esprimere una certa intensità espressiva.
La grammatica ha codificato tre tipi di gradazioni:
·         grado positivo, in cui la qualità è espressa senza indicazione di quantità o intensità;
·         grado comparativo, in cui la gradazione intensiva è messa a confronto con un altro termine di paragone o con un’altra qualità posseduta dal soggetto;
·         grado superlativo, in cui la gradazione intensiva è espressa al suo massimo in senso assoluto o relativo:
Grado positivo
Daniela è elegante.
Grado comparativo
Daniela è più elegante di Marta.
Daniela è meno elegante di Marta.
Daniela è elegante quanto Marta.
Grado superlativo
Daniela è elegantissima.
Daniela è la più elegante del gruppo.
Il comparativo - Il grado comparativo dell’aggettivo serve per esprimere un confronto fra due termini, in relazione a una qualità possedute da entrambi o in relazione a qualità diverse da un unico termine.
Es.: La mia amica Valeria è più paziente di me.
Es.: L’ ippopotamo è più vorace che veloce.
Gli elementi messi a confronto sono chiamati primo e secondo termine di paragone.
Il comparativo può essere di tre tipi:
·         comparativo di maggioranza, quando il primo termine di paragone possiede la qualità indicata dall’aggettivo in misura maggiore rispetto al secondo termine di paragone. L’aggettivo, in questo caso, è introdotto da più, il secondo termine di paragone da di o che:
Es.: Miriam è più alta di Luisa.
Es.: Sono più esperto di prima.
Es.: Sono più stanchi che affamati.
·         comparativo di minoranza, quando il primo termine di paragone possiede la qualità indicata dall’aggettivo in misura minore rispetto al secondo termine di paragone. L’aggettivo, in questo caso, è introdotto da meno, il secondo termine di paragone da di o che:
Es.: Miriam è meno alta di Luisa.
Es.: Carla è meno studiosa che intelligente.
·         comparativo di uguaglianza, quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura uguale nei due termini di paragone. In questo caso l’aggettivo è introdotto da tanto o così (espressi o sottintesi), il secondo termine di paragone indifferentemente da quanto o come:
Es.: Miriam è (tanto) alta quanto Luisa.
Es.: Simona è (così) simpatica come te.
Il superlativo - L’aggettivo qualificativo è di grado superlativo quando esprime una qualità posseduta al massimo livello.
Il grado superlativo può essere di due tipi: relativo o assoluto.
Superlativo relativo - Il superlativo relativo esprime una qualità posseduta al massimo o al minimo grado, stabilendo un confronto fra l’unità e un gruppo di persone o cose (secondo termine di paragone).
Il superlativo relativo si ottiene premettendo all’aggettivo l’articolo determinativo assieme agli avverbi più o meno (la più dolce, il meno volenteroso).
Il secondo termine, che può essere anche sottinteso, è introdotto da di, tra, fra. A volte l’articolo determinativo si può trovare separato dagli avverbi più o meno:
L’elefante è il più grande di tutti gli animali.
Il treno meno veloce (di tutti) è l’accelerato.
Superlativo assoluto - Il superlativo assoluto degli aggettivi esprime una qualità posseduta al massimo grado dal nome cui si riferisce, senza alcun paragone con altre grandezze. Esso si può formare in vari modi:
·         aggiungendo all’aggettivo di grado positivo il suffisso -issimo, -a, -i, -e (alto/altissimo, stanco/stanchissimo);
·         premettendo all’aggettivo di grado positivo avverbi come molto, assai, oltremodo, immensamente, incredibilmente, estremamente... (molto vivace, immensamente ricco);
·         premettendo all’aggettivo di grado positivo i prefissi arci-, stra-, super-, iper-, ultra-, extra-, sovra- (arcinoto, stracarico, ipersensibile);
·         ripetendo l’aggettivo di grado positivo due volte (forte forte, piano piano, svelto svelto, zitto zitto);
·         rinforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo (nuovo fiammante, piena zeppo, stanco morto)
·         rinforzando l’aggettivo di grado positivo mediante tutto (tutto felice, tutta matta);
·         unendo all’aggettivo di grado positivo le locuzioni quanto mai, oltre ogni dire, come una campana, in canna (quanto mai intelligente, amabile oltre ogni dire, sordo come una campana, povero in canna).
Comparativi e superlativi particolari - Per alcuni aggettivi qualificativi, oltre alle normali forme di comparativo e di superlativo, si usano anche speciali, in genere derivanti dal corrispondente latino. Tra gli aggettivi che possiedono queste forme speciali ci sono:
grado positivo
grado comparativo di maggioranza
grado superlativo relativo
grado superlativo assoluto
Buono
più buono – migliore
il migliore
buonissimo – ottimo
Cattivo
più cattivo – peggiore
il peggiore
cattivissimo – pessimo
Grande
Più grande – maggiore
il maggiore
grandissimo – massimo
Piccolo
più piccolo – minore
il minore
piccolissimo - minimo

[31] Gli argomenti di carattere sociale, culturale, scientifici individuano per l’articolo una posizione che oscilla tra l’editoriale (articolo di apertura di un giornale, con funzione di riflessione su un argomento di particolare rilievo nell’attualità), l’articolo di commento, l’articolo di terza pagina (è la pagina culturale e letteraria), in ogni caso posizioni riservate a eventi di larga incidenza storica o contemporanea.
[32] La regola delle 5 w - Per rendere praticabile questa formula i giornalisti anglosassoni hanno quindi elaborato il cosiddetto “principio delle 5 W” cui possiamo aggiungere 1 H che derivano dalle domande, in inglese:
  1. who?   = chi?
  2. where?            = dove?
  3. when? = quando?
  4. what?  = che cosa?
  5. why?   = perché?
  6. how     = come?
Rispondere a queste domande garantisce generalmente, che l’informazione comunicata al lettore-ascoltatore, sia un’informazione più essenziale e al tempo stesso più completa e che egli abbia cosi tutti gli elementi per formulare un proprio giudizio sui fatti e confrontarlo con quello dei vari opinionisti.
[33] La piramide rovesciata - Attualmente il secondo modo è il più diffuso. Esso offre, tra gli altri vantaggi, quello di far capire subito al lettore se l’articolo gli interessa e di cogliere rapidamente gli aspetti più rilevanti del fatto. L’insieme dei fatti nell’ordine in cui sono narrati dal giornalista che si avvale di vari artifici, quali ad esempio anticipazioni ed effetti di suspence, costituisce l’intreccio, mentre la fabula è la ricostruzione dei fatti nella loro successione effettiva.
[34] Il lead – Il lead, dall’inglese to lead = guidare.. In italiano si dice inizio o cappello o attacco. Nel linguaggio letterario il termine è incipit, la frase che incomincia. Non vi sfugge l’importanza del cominciare un articolo o un saggio con una frase che attiri immediatamente il lettore o l’ascoltatore e che, nello stesso tempo, lo guidi alla comprensione della notizia.
Per evitare imbarazzanti ed inutili ripetizioni è buona regola, purtroppo non sempre osservata, di articolare le due parti del lead, anche per non “svuotare” il servizio vero e proprio, togliendogli ogni interesse.
1.      Per costruire un lead che sia efficace ed in piena regola, ci sono delle norme da osservare.
2.      È innanzi tutto preferibile ricorrere alla forma passiva: “Michael Jackson è stato arrestato dalla polizia di Los Angeles” e non “La polizia di Los Angeles ha arrestato Michael Jackson”.
3.      Cercare di estrapolare la notizia principale ed essenziale: “Da domani il giornale costerà due euro”. E non: “In seguito all’aumento dei costi della carta, la Federazione degli editori ha deciso di aumentare di un euro il prezzo di vendita dei giornali”.
4.      Mettere sempre l’accento sulle persone e non sull’evento: “Trenta persone sono morte in un attentato terroristico a Istanbul” – e non: “In un attentato terroristico a Istanbul sono morte trenta persone”.
5.      Evitare assolutamente di cominciare con una domanda. Esempio: “La Viterbese vincerà il campionato? Lo sapremo stasera”. E’ meglio dire: “Soltanto stasera sapremo se la Viterbese vincerà il campionato”.
6.      Mai usare una negazione (o una frase al negativo) ad inizio di frase. Non scriveremo, dunque, “La Viterbese non ha evitato la retrocessione in C2 nonostante una splendida vittoria sul Frosinone”, ma “La Viterbese è stata retrocessa in C2 nonostante una splendida vittoria sul Frosinone”.
[35] Si distinguono due tipi di relative: la determinata (o limitativa) e l’appositiva (o esplicativa).
La relativa determinata serve a limitare o a precisare il senso dell’antecedente, che risulterebbe altrimenti incompiuto.
La relativa appositiva fornisce invece un’aggiunta di per sé non indispensabile alla compiutezza dell’antecedente. La relativa appositiva introduce un elemento accessorio che spesso si presenta come una parentesi nel discorso, e per questo è separata dall’antecedente per mezzo di una virgola, o chiusa tra due virgole.
La proposizione relativa può indicare varie circostanze dell’azione espressa dalla principale, acquistando frequentemente un valore temporale, finale, consecutivo, causale, condizionale, concessivo.
Il modo del verbo è l’indicativo quando il fatto espresso è presentato come reale, certo; è il congiuntivo o il condizionale quando è presentato come possibile, ipotetico, desiderato.
[36] Accento acuto ed accento grave In italiano gli accenti grafici, cioè i segni con cui si marca la vocale tonica della parola, sono di due tipi:
·         L’accento acuto: é;
·         L’accento grave: à.
Si segna l’accento grave sulle vocali a, i, u, quando è necessario: libertà, più, capì. Invece sulle vocali e ed o si segna l’accento acuto quando hanno un suono chiuso, come nelle parole: pésca (= l’azione del pescare), vólto (= il viso), perché, ; si segna l’accento grave quando hanno un suono aperto, come nelle parole: pèsca (il frutto), vòlto (participio passato di volgere) è, cioè.
[37] Uso dell’accento nel corpo della parola - Tuttavia è consigliabile segnarlo nei seguenti casi:
·         Quando solo l’accento distingue due o più parole omografe, cioè due o più parole che hanno identica grafia ma pronuncia e significato diversi, come:
·         Lèggere e leggère
·         Nocciolo e nocciolo
·         Gito, agito e agitò;
·         Nelle forme plurali delle parole in -orio quando possono essere confuse con le forme plurali delle parole in -ore: direttòri (plurale di direttorio) / direttóri (plurale di direttore);
·         Nelle forme plurali delle parole in -io quando possono essere confuse con i plurali di altre parole simili: princìpi (plurale di principio) / prìncipi (plurale di principe);
·         Nelle voci del verbo dare che possono essere confuse con i loro omografi: danno, dato, dagli;
Tutte le volte che si vuole indicare l’esatta pronuncia di una parola rara e difficile: ecchìmosi, prosèliti, streptomicìna.
[38] Metrica - La metrica è la struttura letteraria di un componimento poetico, che ne determina il ritmo e l’andamento generale. Con il termine metrica si indica quella particolare branca della filologia che si occupa dello studio di queste strutture.
[39] Le muse Le Muse sono i nove personaggi della mitologia greca e romana, figlie di Zeus e di Mnemosine o Armonia, o, secondo un’altra versione, di Gaia (Terra) e Urano (Cielo) L’importanza delle muse nella mitologia antica fu assai elevata: esse infatti rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, di cui erano anche patrone.
[40] Pimplee: – Pimplee è uno dei molteplici sono gli appellativi dati alle Muse, sovente riferiti alle località in cui esse soggiornarono
[41] Inseminata: di terreno, su cui non si è seminato; incolto, abbandonato: ed oggi nella Troade inseminata | eterno splende ai pellegrini un loco (Foscolo)
[42] Ninfa: - La mitologia greca annovera molte ninfe, semidivinità della natura. Qui Foscolo fa riferimento ad Elettra, una ninfa oceanina, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, quindi una delle Oceanine. Secondo Omero Elettra e Zeus concepirono Dardano, capostipite dei re di Troia, e perciò detti Dardanidi. Elettra era una ninfa a cui era consacrato l’ambra, un materiale importante per chi viaggiasse nel mare in quell’epoca.
[43] Diè: sta per diede.
[44] Dardano: Dardano era figlio di Zeus, e dell’oceanina Elettra figlia di Atlante. Dardano è considerato il capostipite della dinastia troiana.
Secondo alcune tradizioni, quando Dardano giunse in Asia Minore sposò Batiea, figlia del re del paese, Teucro, o, secondo altre fonti, Arisbe.
Dall’unione di Dardano con la sua sposa nacque Erittonio che sposerà Astiope. Dai discendenti Pandione e Troo, a quest’ultimo la mitologia accredita la derivazione del nome Troia alla cittadella. Lo stesso quindi è il capostipite della stirpe troiana di Priamo. Dall’altra stirpe, quella di Pandione, sarà generato Teseo. Dardano è considerato un civilizzatore sul piano religioso: a lui si deve infatti il culto del Palladio nella cittadella di Troia, e l’introduzione del culto di Cibele in Frigia.
[45] Assaraco: Assarco o Assaraco era il nome di uno dei figli di Troo e Calliroe. Troo, mitico fondatore di Troia ebbe un figlio Assarco che prese il suo posto sul trono di Troia, al comando di tutti i dardani.
Fu re di Troia, ed ebbe come moglie Ieromnene, che diede vita a Capi, padre di Anchise, che generò Enea.
Assarco ebbe due fratelli Ilo il giovane, Ganimede dalla famosa bellezza ed una sorella, Cleopatra.
[46] Almen: sta per almeno.
[47] Gemea: sta per gemeva.
[48] l’immortal: sta per l’immortale.
[49] Piovea: sta per pioveva. Osservare l’uso del verbo piovere, intransitivo ma usato da Foscolo transitivamente nel senso di faceva piovere.
[50] Sciogliean: sta per scioglievano.
[51] Allor: sta per allora.
[52] Fea: sta per
[53] Nepoti: sta per nipoti. È un latinismo.
[54] Tidìde: Diomede figlio di Tideo. Nota l’uso del patronimico. Un patronimico è la parte del nome di una persona che indica la discendenza paterna. Si distingue dal cognome perché, mentre quest’ultimo è fisso, il patronimico varia nelle generazioni.
Dal punto di vista onomastico è l’espressione delegata a indicare il vincolo col proprio padre, come, ad esempio, in greco il Pelide Achille (dal nome del padre Peleo), il Tidide Diomede(dal nome del padre Tideo) il Laerziade Odisseo (dal nome del padre Laerte).
[55] di Läerte al figlio: Odisseo figlio di Laerte.
[56] Servar: sta per servare latinismo per conservare.
[57] Piantan: sta per piantano.
[58] Pelìdi: sta per Achei. Nota la figura di significato
[59] Prenci: sta per principi.
[60] Argivi: argivi sta per Achei. Nota la figura di significato
[61] Lagrimato: sta per lacrimato = pianto.
[62] Bisillabo: Il bisillabo o binario è un verso di due sillabe ed ha per forza un solo accento sulla prima sillaba:
es.:       Dopo tanta
Nébbia
a ùna a ùna
si svelano
le stelle
(G. Ungaretti, Sereno, vv 1-6)
[63] Trisillabo - Il trisillabo o ternario è un verso molto raro e di solito si trova inframmezzato a versi più lunghi, in cui l’accento si trova sulla seconda sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende tre sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente due oppure quattro.
Es.:      Si tàce,
non gètta
più nùlla.
Si tàce,
non s’òde
romóre
di sòrta,
che fórse…
che fórse
sia mòrta?
(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv 26-35)
La mòrte
si scónta
vivéndo
(G. Ungaretti, Sono una creatura, vv 12-14)
[64] Quadrisillabo - Il quadrisillabo o quaternario, non molto comune nella poesia italiana, è un verso di quattro sillabe nel quale l’accento principale si trova sulla terza sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana, il verso comprende quattro sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola, ne contiene rispettivamente tre oppure cinque.
generalmente Si ha un accento secondario sulla prima sillaba.
Es.:      Col mare
mi sono fatto
ùna bàra
dì freschézza
(G. Ungaretti, Universo)
Spesso questo verso è usato alternato con versi più lunghi come gli ottonari.
Es.:      Paranzelle in alto mare
biànche biànche,
io vedeva palpitare
còme stànche:
o speranze. Ale di sogni
pér il màre!
(G. Pascoli, Speranze e memorie, vv 1-6)
[65] Quinario - Il quinario o pentasillabo è un verso nel quale l’accento principale si trova sulla quarta sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende cinque sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente quattro oppure sei. Gli accenti metrici sono generalmente con un accento secondario sulla prima o sulla seconda sillaba l’altro sulla quarta sillaba.
Es.:      Vìva la chiòcciola,
vìva una béstia
che unìsce il mèrito
àlla modèstia.
 (G. Giusti, La chiocciola, vv 1-4)
Anche questo verso spesso è usato alternato a settenari ed endecasillabi o come clausola.
Es.:      Lungo la strada vedi su la siepe
ridere a mazzi le vermiglie bacche.
nei campi arati tornano al presepe
                                          tàrde le vàcche.
(G. Pascoli, Sera d’ottobre, vv 1-4
[66] Senario - Il senario è un verso è un verso di sei sillabe nel quale l’accento tonico si colloca sulla quinta sillaba metrica. Di conseguenza, se l’ultima parola è piana il verso comprende sei sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne comprende rispettivamente cinque oppure sette. Il senario due accenti ritmici, uno sulla seconda e l’altro sulla quinta sillaba.
Es.:      Sul chiùso quadérno
di vàti famósi,
dal mùsco matérno
lontàna ripósi,
ripósi marmórea,
dell’ónde già fìglia,
ritórta conchìglia.
(G. Zanella, Sopra una conchiglia fossile, vv 1-7)
[67] Settenario - Il settenario,  con l’endecasillabo uno dei versi più ricorrenti nella poesia italiana, è un verso nel quale l’accento principale si trova sulla sesta sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende sette sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente sei oppure otto.
Il settenario ha un accento fisso sulla sesta sillaba e l’altro mobile su una delle prime quattro.
Es.:      L’àlbero a cui tendévi                
la pargolétta màno,                    
il vèrde melogràno                     
da’ bei vermìgli fiòr,
nel muto òrto solingo
rinverdì tutto or óra
e giùgno lo ristòra
di lùce e di calór.                      
(G. Carducci, Pianto antico, vv 1-8)
Il settenario molto spesso è alternato a quinari ed endecasillabi.
Es.:      Silvia, rimèmbri ancóra
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendèa
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salìvi?
(G. Leopardi, A Silvia, vv 1-6)
[68] Ottonario - L’ottonario è un verso di otto  sillabe nel quale l’accento principale si trova sulla settima sillaba: se l’ultima parola è piana comprende otto sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha sette o nove. Gli accenti metrici si collocano generalmente sulle sedi dispari. Accenti secondari possono situarsi sulla seconda, quarta e sesta sillaba. L’ottonario  ha gli accenti ritmici sulla terza e sulla settima sillaba.
Es.:      Quant’è bèlla giovinèzza
che si fùgge tuttavìa:
chi vuol èsser lieto, sìa,
di domàn non c’è certèzza.
Quest’è Bàcco e Ariànna,
belli, e l’ùn dell’altro ardènti:
perché ‘l tèmpo fugge e ingànna,
sempre insième stan contènti.
(Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, vv 1-8)
[69] Novenario - Il novenario o enneasillabo è un verso di nove sillabe è un verso in cui l’accento principale si trova sull’ottava sillaba metrica: quindi, se l’ultima parola è piana comprende nove sillabe metriche, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente otto oppure dieci. Il novenario ha tre accenti ritmici che cadono sulla seconda, sulla quinta e sull’ottava sillaba.
Es.:      Il giòrno fu pièno di làmpi;
ma óra verrànno le stélle,
le tàcite stélle. Nei càmpi
c’è un brève gre gré di ranèlle.
Le trèmule fóglie dei pioppi
trascórre una giòia leggièra.
(G. Pascoli, La mia sera, vv 1-6)
[70] Decasillabo - Il decasillabo è un verso nel quale l’accento principale si trova sulla nona sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende dieci sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente nove oppure undici. Gli accenti metrici sono generalmente con accenti secondari sulla terza e sesta sillaba.
Es.:      Soffermàti sull’àrida spónda,
volti i guàrdi al varcàto Ticìno,
tutti assòrti nel nòvo destìno,
certi in còr dell’antìca virtù,
han giuràto: Non fìa che quest’ónda
scorra più tra due rìve stranière;
non fia lòco ove sòrgan barrière
tra l’Itàlia e l’Itàlia, mai più!
(A. Manzoni, Marzo 1821, vv 1-8)
[71] Endecasillabo - L’endecasillabo, metro principale della nostra poesia è il verso nel quale l’accento principale si trova sulla decima sillaba metrica.
L’endecasillabo è il verso in cui le sedi degli accenti sono più varie, sebbene di solito gli endecasillabi presentano un accento fisso o sulla quarta o sulla sesta sede. Per questa sua flessibilità l’endecasillabo è stato il verso prediletto ed il più utilizzato nella poesia italiani e si trova in tutte le formazioni più importanti, come la ballata, la canzone, il sonetto, l’ottava.
Es.:      E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
[72] doppio quinario - es.:         Al mìo cantùccio, / dónde non sénto
se nón le réste / brusìr del gràno,
il suón dell’óre / viène col vènto
dal nón vedùto / bórgo montàno:
suòno che uguàle, / che blàndo càde,
come ùna vóce / che pérsuàde.
(G. Pascoli, L’ora di Barga, vv 1-6)
[73] Doppio settenario -  Es.:     Dagli àtrii muscósi, / dai Fòri cadènti,
dai bòschi, dall’àrse / fucìne stridènti,
dai sòlchi bagnàti / di sèrvo sudór,
un vólgo dispèrso / repènte si désta;
intènde l’orécchio, / sollèva la tèsta
percòsso da nòvo / crescènte romór.
(A. Manzoni, Dagli atrii muscosi…, vv 1-6, Adelchi)
[74] Doppio ottonario - Es.:       Su i càmpi di Maréngo / batte la lùna; fósco
tra la Bòrmida e il Tànaro / s’agita e mùgge un bòsco,
un bòsco d’alabàrde, / d’uòmini e di cavàlli,
che fùggon d’Alessàndria / da i màl tentati vàlli.
 (G. Carducci, Su i campi di Marengo, vv 1-8)
[75]Dialefe - La dialefe: è il fenomeno inverso della sinalefe e si verifica quando la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola successiva formano due sillabe separate. Si applica quando le due vocali o la prima di loro sono accentate.
Es.: che la diritta viaˇera smarrita. (Dante, Inferno, I , v. 3)
La dialefe è favorita di solito da pause grammaticali o dall’inversione dell’ordine logico delle parole.
[76] Dieresi – La dieresi: è la figura metrica opposta alla sineresi in questo caso un dittongo si divide in due sillabe. Essa è segnata da due puntini che vengono posti sulle vocali più deboli.
Es.: la somma sapïenza e ‘l primo amore. (Dante, Inferno, III, v. 6)
La parola sapienza, secondo la comune sillabazione italiana, è un trisillabo (sa-pien-za); ma in questo verso è computata come quadrisillabo (sa-pi-en-za).
[77] Sinalefe – la sinalefe è la fusione in un’unica sillaba metrica delle vocali finali di una parola con quella iniziale della parola successiva.
Es.: «mi ritrovai per una selva oscura» (Dante, Inferno I, v 2)
Il suo schema metrico, in cui si evidenzia la sinalefe, è il seguente
Sill 1
Sill 2
Sill 3
Sill 4
Sill 5
Sill 6
Sill 7
Sill 8
Sill 9
Sill 10
Sill 11
Mi
Ri
Tro
Vai
Pe
r u
Na
sel
va o
scu
ra.

[78] Sineresi – La sineresi: consiste nel fondere in una sola sillaba all’interno di una parola due o più vocali vicine ma appartenenti a sillabe diverse.
Es.: Questi parea che contra me venisse (Dante, Inferno I, 46)
Parea, secondo la grammatica, ha tre sillabe, in questo verso ne ha due soltanto.
[79] Apostrofo - L’apostrofo (‘) è un carattere usato, nelle lingue scritte che indica soprattutto l’elisione, talora il troncamento. Da non confondere con l’apostrofo è l’apostrofe retorica.
[80] L’elisione deve attuare nei seguenti casi:
1.
Con ci davanti a voci del verbo essere:
c’è, c’era, c’erano
2.
Con l’articolo una:
un’ora
3.
Con gli articoli lo, la, e le relative preposizioni articolate:
l’orto, all’orto, dall’orto, nell’orto,
l’anima, all’anima, dell’anima, nell’anima
4.
Con gli davanti a parole che iniziano con i:
gl’Italiani
5.
Con bello/bella, quello/quella:
bell’uomo, quell’erba
6.
Con santo davanti a vocale:
sant’Agnese
7.
Con alcune locuzioni caratteristiche:
senz’altro, tutt’altro, mezz’ora
8.
Con la preposizione da in alcune espressioni:
d’allora, d’ora, d’altra parte
9.
Con la preposizione di in alcune espressioni:
d’accordo, d’epoca, d’oro
facoltativa
1.
Con le particelle mi, ti, si

mi importa/m’importa, ti accolsi/t’accolsi, si accende/s’accende
2.
Con questo e grande:

questo assegno/quest’assegno, grande uomo/grand’uomo
3.
Con la preposizione di in alcune espressioni
di esempio/d’esempio
Il monosillabo da non si elide, scriveremo perciò da amare e non d’amare. A questa regola fanno eccezione alcuni casi cristallizzati dall’uso: d’ora in poi, d’ora in avanti, d’altronde, d’altra parte.
[81] Il troncamento si deve attuare nei seguenti casi:
1.
Con uno e suoi composti (alcuno, ciascuno, ecc)
un uomo, alcun luogo
2.
Con buono, bello, quello davanti a consonante:
buon giorno, bel cane, quel giorno
3.
Con santo davanti a consonante:
san Mattia
4.
Con quale davanti a “è”:
qual è
Facoltativo
1.
Con tale e quale davanti a vocale e consonante
tal uomo/tale uomo, qual buon vento/quale buon vento
2.

Con l’aggettivo grande davanti a nomi maschili che cominciano per consonante:
gran signore/grande signore
3.
Con frate davanti a consonante e suora davanti a vocale e consonante
Fra Cristoforo/frate Cristoforo, suor Antonia/suora Antonia

[82] Apocope – Il termine apocope E infatti, come sa chiunque abbia anche solo i rudimenti di greco classico, «apocope» significa «taglio (via da)», «amputazione».
[83] Aferesi - L’afèresi è un fenomeno fonetico storica che consiste nella caduta d’una vocale o d’una sillaba all’inizio di parola.
Può anche essere una ‘figura retorica’ che dà luogo a forme poetiche:
Es.: inverno = verno
[84] Prostesi - La pròstesi o pròtesi (dal greco próthesis, derivato da protithénai, «porre avanti») è un fenomeno fonetico che consiste nell’aggiunta di una vocale o una sillaba, all’inizio di una parola.
Es.: in strada = in istrada
[85] Apocope – L’apòcope (anche detta troncamento) è un fenomeno fonetico che consiste nella caduta della vocale o della sillaba finale atona della parola.
L’apocope differisce dall’elisione perché può determinare la caduta di un’intera sillaba e perché può avvenire davanti a una parola che inizia per consonante. Salvo nei casi particolari rappresentati dagli imperativi in seconda persona singolare di dare, dire, fare, stare, andare e dagli equivalenti tronchi di poco (po’), modo (nella locuzione a mo’ di), bene (be’; viene spesso sostituito da beh) e dell’arcaico e desueto “tògli” con il significato di “prendi” (to’; es. to’ questa caramella= prendi questa caramella), il troncamento, a differenza dell’elisione, non è marcato dall’apostrofo.
[86] Epitesi - L’epítesi (anche detta «paragòge») è un fenomeno fonetico che consiste nell’aggiunta d’una vocale o d’una sillaba alla fine d’una parola.
Es.: David = David(d)e.
In italiano antico era anche frequente dopo vocale:
Es.:      amò = amoe
fu = fue
[87] Sincope - La síncope è un fenomeno fonetico storica che consiste nell’eliminazione d’una lettera o d’una sillaba all’interno della parola.
Può anche essere una figura fonetica che dà luogo a forme poetiche:
opera = opra
spirito = spirto
Il contrario della sincope è l’epèntesi.
[88] Epentesi - L’epèntesi è un fenomeno fonetico che consiste nell’aggiunta di una vocale o di una sillaba all’interno di una parola.
Es.:      asma = ansima
biasma = biasima
medesmo = medesimo
Il contrario dell’epentesi è la síncope.
[89] Baciata – la rima si dice  baciata quando un verso è in rima con quello successivo.
Lo schema metrico è AABB.
Es.:      «Una donna s’alza e cànta
La segue il vento e l’incànta
Sulla terra la stènde
il sogno vero la prènde »
(G. Ungaretti - Canto beduino, vv. 1-4)
[90] Alternata - la rima si dice alternata, quando il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto.
Schema metrico è ABAB, CDCD.
Es.       «Lo stagno risplende. Se tàce
la rana. Ma guizza un bagliore
d’acceso smeraldo, di bràce
azzurra: il martin pescatore.
E non sono triste, ma sono
stupito se guardo il mio giardìno...
Stupito che? non mi sono
mai sentito tanto bambìno... »
(G. Gozzano - L’assenza - vv. 21-28)
[91] Incrociata: la rima si dice incrociata, quando il primo verso rima con il quarto, il secondo con il terzo.
Schema metrico è ABBA CDDC.
Es.:      « Non pianger più. Torna il diletto fìglio
a la tua casa. È stanco di mentìre.
Vieni; usciamo. Tempo di rifiorìre.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un gìglio.
Vieni; usciamo. Il giardino è abbandonato
serva ancora per noi qualche sentièro
Ti dirò come sia dolce il mistèro
che vela certe cose del passàto.»
(G. D’Annunzio - Consolazione - vv. 1-8)
[92] Incatenata – la rima si dice incatenata quando il primo verso rima con il terzo della prima terzina, il secondo con il primo della seconda terzina, il secondo di questa rima con il primo delle terza terzina, e così via.
Il più alto esito di tale schema di rime è la Divina Commedia, interamente strutturata in questo modo.
Lo schema metrico è ABA, BCB, CDC.
Es.:      «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e’l modo ancora m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.»
(Dante - Commedia, Inferno, V, vv. 100-108)
[93] Ipermetra - la rima si dice ipermetra quando una delle due parole è considerata senza la sillaba finale
Es.       «Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!  »
(Eugenio Montale - Non chiederci la parola vv. 5 e segg.)
[94] Allitterazione - L’allitterazione consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di un suono all’inizio o all’interno di parole successive.
Essa pone l’attenzione sui rapporti tra le parole fonicamente messe in rilievo.
Grazie alle allitterazioni possono essere evocate diverse sensazioni condizionate dalle lettere che fanno l’allitterazione stessa.
Alcune linee di tendenza possono essere:
·         le consonanti dal suono secco (g, c e s) evocano una sensazione di durezza.
·         le consonanti dal suono dolce (v e l) evocano una sensazione di morbidezza, piacere.
·         la vocale a evoca un senso di ampiezza.
·         la vocale u evoca un senso di gravezza.
·         la vocale i evoca un senso di chiarezza.
[95] Assonanza - L’assonanza è un fenomeno di metrica che consiste nella parziale identità di suoni di due o più versi.
La forma più comune di assonanza è una rima imperfetta in cui le parole hanno le stesse vocali a partire dalla vocale accentata (vocale tonica), mentre le consonanti sono diverse, anche se spesso di suono simile, ma si possono distinguere diverse tipologie:
·         assonanza semplice, quando coincidono soltanto le vocali (rasone/colore)
·         assonanza della sola tonica, quando coincide solo la vocale accentata (pieta/demandava)
·         assonanza atona, quando coincide la vocale non accentata (limo/toro) o la sillaba non accentata (mare/sere).
·         consonanza tonica, quando coincidono le consonanti (partire = splendore; colle = elle).
L’assonanza è impiegata spesso nella poesia del Novecento al posto della rima, ed è frequente nel linguaggio della pubblicità.
[96] Consonanza – La consonanza si ha quando, a partire dalla vocale accentata, sono uguali le consonanti e diverse le vocali (non comprende la corrispondenza della stessa vocale tonica).
Es.:      màriti
aprìti
[97] Onomatopea - L’onomatopea consiste nell’uso di una parola la cui pronuncia assomiglia al suono o rumore che si intende riprodurre.
Esistono onomatopee
·         naturali che consistono nell’imitazione del suono di qualcosa ossia dalle parole da cui sono derivati termini di uso comune ad esempio miagolare dal verso del gatto.
·         artificiali ossia quelle parole che contengono suoni che si riferiscono ad un suono come fruscio, ticchettio, rimbombo, ciak, etc.;
Es.:      «Clof, clop, clock,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata; [...] »
da La fontana malata di Aldo Palazzeschi
[98] Paronomasia - La paronomàsia consiste nell’accostare due o più parole che abbiano suono molto simile (differendo per una o due lettere) e significato diverso. Può essere usata per rendere perentoria l’associazione tra due concetti, per esaltare la musicalità di un verso o per scopi umoristici.
Es.: Carta canta, Dalle stelle alle stalle, Chi non risica non rosica, Senza arte né parte, Volente o nolente.
Es.:      “...e non mi si partia dinanzi al volto
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino
ch’i’ fui per ritornar più volte volto.” (Dante)
Talor, mentre cammino solo al sole
e guardo coi miei occhi chiari il mondo...” (Sbarbaro)
[99] Enjambement - L’enjambement consiste nell’alterazione tra l’unità del verso e l’unità sintattica ed è quindi una frattura a fine verso della sintassi o di un elemento sintattico al quale esso è collegato.
Es.:      sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. Dante - Inferno, canto XXVI)
L’enjambement si ha dunque quando la frase non termina col verso, ma si protrae in quello successivo.
[100] Distico - Il distico, formato da una strofa di due versi in genere uguali metricamente, é a rima baciata (AA).
Es.: “Al valente segnore A
di cui non so migliore A
sulla terra trovare B
ché non avete pare B (..)
(dal Tesoretto di Brunetto Latini)
[101] Terzina - la terzina, è formata da una strofa di tre versi in genere metricamente uguali.
Le rime possibili sono: ABA BCB CDC DED... incatenata, terza rima o Dantesca ABA CBC DED FEF... 
La terzina, che ha di solito la rima incatenata (ABA BCB) e rappresenta il metro caratteristico della poesia didascalica e della poesia allegorica a cui appartiene anche la Divina Commedia di Dante, è formata da una strofa di tre versi.
Nella terzina vengono usati più frequentemente gli endecasillabi (Giovanni Pascoli, costruendo terzine di novenari, interruppe la tradizione) dove il primo verso rima con il terzo e nella successione delle terzine il secondo verso rima con il primo della terzina che segue. In alcuni autori dell’Ottocento e del Novecento la rima può non essere incatenata, come nel Pascoli di Myricae.
[102] Quartina - La quartina, per lo più a rima incatenata (ABAB) o incrociata (ABBA) è una strofa composta da quattro versi che, come la terzina, può vivere autonomamente. Si possono cioè avere componimenti di sole quartine come nel caso della poesia Diana di Mario Luzi che è composta da quattro quartine che seguono lo schema
ABAB/CDED/FGFG/HILI.
I versi che compongono la quartina di solito sono dello stesso metro e si hanno così quartine composte di 4 endecasillabi o di 4 settenari. Sono state adottate soluzioni differenti solamente da quei poeti che hanno voluto imitare strofe di origine greco-latina. Un esempio ne è la strofa saffica che è composta da tre endecasillabi e un quinario, oppure la strofa alcaica composta di due doppi quinari, da un novenario e da un decasillabo.
[103] Sestina . La sestina è una strofa di sei versi di cui i primi quattro versi a rima alternata (ABAB) e gli altri due a rima baciata (CC). Essa si distingue in
·         sestina narrativa, composta da due distici a rima alternata o incrociata e da un distico a rima baciata (ABABCC;ABBACC) che viene spesso usata per gli argomenti leggeri e scherzosi
·         Sestina Lirica che è una variante della canzone con una struttura complessa che prevede sei stanze a strofe incatenate e parole-rima interamente ripetute.
La sestina fu creata dai poeti provenzali e fu introdotta in Italia da Dante e da Francesco Petrarca, fu usata nei canzonieri del Cinquecento e Seicento e nelle raccolte dell’Arcadia, è infine usata nel Novecento da Gabriele D’Annunzio, da Giuseppe Ungaretti, da Franco Fortini.
[104] Ottava - L’ottava è una strofa di otto versi di cui i primi sei versi a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata è il metro della poesia narrativa e in particolare dei poemi epico-cavallereschi, come l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
L’ottava, di cui si attribuisce l’invenzione a Giovanni Boccaccio che la utilizzò per primo in uno dei suoi poemi, visse il suo periodo più felice tra il Trecento ed il Seicento e fu successivamente ripresa, anche se solo occasionalmente, da Giuseppe Giusti, da Niccolò Tommaseo e da Gabriele D’Annunzio.
[105] Strofa libera - Si dice strofe libera, quella in cui i versi non hanno un numero fisso, non sono legati dal ricorso regolare della rima, o che presenta variazioni nel numero delle sillabe del verso e nella loro disposizione.
[106] Poste: posto destinato a ciascun animale nella stalla.
[107] Frangean: rompevano.
[108] Biada: nome generico dei cereali usati per alimentare il bestiame.
[109] Salsa: salata.
[110] Froge: ciascuna delle estremità carnose delle narici degli equini.
[111] Avea: aveva.
[112] Aguzzi: acuti, appuntiti.
[113] Greppia: nelle stalle, rastrelliera per il fieno posta sopra la mangiatoia.
[114] Dicea: diceva.
[115] Storna: di mantello equino, di colore grigio scuro macchiettato di bianco. Di cavallo, che ha tale mantello.
[116] Giovinetto: ragazzo molto giovane, adolescente.
[117] Briglie: ciascuna delle due redini che si attaccano al morso del cavallo. L’insieme dei finimenti con cui si guida il cavallo.
[118] Brulla: mancante, privo di qualcosa.
[119] Volgea: girava.
[120] Scarna: del corpo o di una sua parte, molto magro, macilento.
[121] Dicea: diceva.
[122] Lasso: affaticato.
[123] Seguitasti: seguisti.
[124] Dové: doveva.
[125] Vampe: fiamma alta e intensa.
[126] Fise: fisso.
[127] Dormian: dormivano.
[128] Battean: battevano.
[129] Dormian: dormivano.
[130] Poemetti – La seconda grande opera poetica di Giovanni Pascoli, Primi Poemetti reca nel frontespizio l’epigrafe latina Paulo Maiora e la dedica A Maria Pascoli.
La prima edizione è del 1897, si intitolava soltanto Poemetti e comprendeva solo 20 testi; la seconda edizione del 1900 ne conteneva 45; la terza, del 1904, prende il titolo definitivo di Primi Poemetti, la quarta edizione ed ultima, del 1907.
La prefazione espone le intenzioni e il significato dell’opera, che riafferma l’importanza della Natura; anche il tema del mistero acquista un significato e una profondità maggiori; il terzo grande tema della raccolta nella solidarietà internazionale tra tutti gli uomini come un popolo di rondoni, un popolo bellicoso e straniero, porta da mangiare alle rondini.
La Sementa racconta la storia di una famiglia contadina che svolge lavori agricoli. I personaggi sono Rosa, la sorella maggiore, Viola, la sorella minore, e due fratelli piccoli, Nando e Dore, guidati da un capofamiglia. Al centro della storia c’è l’innamoramento di Rosa per Rigo un cacciatore.
Nella sezione Il bordone, Pascoli ha inserito alcuni componimenti poetici, come L’aquilone o Suor Virginia o ispirati dal senso oscuro del mistero, come I due fanciulli, Nella nebbia, La grande aspirazione, L’immortalità, Il Libro.
Nello sviluppo di questi temi l'autore ha inserito dei personaggi allegorici come Il cieco e L’eremita.
L’opera termina con un poemetto Italy dedicato all’Italia raminga, che racconta la storia di una famiglia emigrata in America, ma costretta a rientrare, per via di una bimba malata, che viene ricondotta a casa, con la speranza che il clima della Penisola, mite e salubre le possa giovare. Gli emigranti maledicono l’Italia, perché in essa non hanno trovano lavoro, ma Pascoli li invita a non farlo, perché un giorno essa accoglierà tutti e darà lavoro a tutti.
Tutta l’opera poetica è in terzine di endecasillabi a rime incatenate. I componimenti poetici sono quelli che esulano dal romanzo agreste e georgico.
I componimenti più brillanti sono quelli che Pascoli scrisse, in tempi e su riviste diverse, ma che poi sistemò in un ordine ideale nell’opera poetica. Tra questi, un capolavoro assoluto è sicuramente costituito da L’aquilone, che viene dopo due componimenti forti, Il soldato di San Pietro in Campo e Digitale purpurea.
Nella quarta sezione L’accestire notevole è il componimento La siepe.
Ma la sezione che contiene i componimenti più coinvolgenti è la quinta sezione. Il tema di questa sezione è il Mistero e la pace internazionale come nel primo poemetto I due fanciulli. Segue la poesia Nella nebbia una poesia simbolica. Poi La grande aspirazione e il componimento L’immortalità. Seguono tre componimenti poetici Il libro, La felicità e Il cieco, considerato il più bello dell’intera raccolta. Il cieco è un personaggio allegorico è simboleggia l’intera umanità, cieca di fronte al mistero dell’universo e della vita. Egli non conosce la propria provenienza e non conosce la propria destinazione, così come l’umanità non sa da dove è venuta e non sa dove andrà a finire. Il cieco ha perso il cane che lo guidava, così l’umanità ha perso la scienza che la conduceva verso la pace e verso la felicità. Il cieco si rivolge a Dio, per avere indicazioni. Ma Dio non risponde, tace immobilmente.
Nuovi Poemetti reca sul frontespizio il motto Paulo Malora ed è dedicata agli scolari dello scrittore, di Matera, Massa, Livorno, Messina, Pisa e Bologna.
Giovanni Pascoli riprende i temi dei Primi Poemetti e sviluppa ulteriormente la storia della famiglia, inserendo rapsodicamente pregevoli poemetti sparsi, come Il naufrago, La morte del Papa, La pecorella smarrita, La vertigine, Gli emigranti della luna e termina con il poema Pietole.
Questi componimenti sottolineano l'esiguità della Terra nei confronti dell’Universo e indulgono alla riflessione sull'esistenza di Dio, entità percepita nella sua assente indifferenza nei riguardi della vicenda umana.
[131] Il gelsomino notturno – Scritta il 21 luglio 1901, ma l'ideazione è degli anni 1897-98. Inserita nella prima edizione dei Canti di Castelvecchio del 1903. È rivolta all'amico Gabriele Briganti in occasione della nascita del figlio, ma è come se il poeta, che nel 1901 aveva 46 anni, la scrivesse a se stesso, poiché egli s'immagina d'essere uno sposo senza esserlo.
Cinque anni prima della stesura della poesia era naufragato il suo progetto di matrimonio con la facoltosa cugina riminese Imelde, ormai trentenne, figlia di Alessandro Morri. In questa decisione influì pesantemente la sorella di Pascoli, Maria, che viveva con lui.
Nel 1895 il matrimonio della sorella Ida l'aveva sconvolto. Scrive da Roma all'altra sorella Maria: “Questo è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de' miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!”
[132] Viburni: il viburno comprende circa duecento specie di arbusti di dimensioni varie; molto diffusi nei giardini per la facilità di coltivazione, hanno in genere forma arrotondata, o eretta, e raggiungono i 3-4 metri di altezza nell'arco di alcuni anni. Il fogliame è ovale o lanceolato, in genere coriaceo, liscio o rugoso, a seconda della specie, di colore verde scuro. I fusti sono molto ramificati, e sopportano potature anche drastiche, per mantenere l'arbusto più compatto.
[133] Le… crepuscolari: secondo la trdizione popolare le farfalle crepuscolari e quelle nere portano sfortuna e sono presagio di guai e morte ed in esse si nascondono le anime dei dannati.
[134] Sala: stanza destinata alla conversazione e al ricevimento di ospiti.
[135] Chioccetta: la costellazione delle Pleiadi
[136] Pomari: frutteto, specialmente per indicare giardini dell’antichità o rinascimentali. Il termine è letterario.
[137] Endimione – Secondo il mito Endimione fu re dell'Elide, la regione di Olimpia. Le storie su di lui sono discordanti. Le più popolari narrano che per aver cercato di insidiare Hera, una volta scoperto da Zeus, fu maledetto e fu costretto a 50 anni di sonno continuo Secondo tale versione la dea Artemide scoprì Endimione dormiente sul monte Latmo, e, incantata dalla sua bellezza, si recava ogni notte a guardarlo.
Un’altra versione del mito narra che Ipno donò ad Endimione la facoltà di dormire con gli occhi aperti.
[138] Latmo – Le pitture rupestri preistoriche del monte Latmos sono distribuite intorno alla cima del monte e sono le prime testimonianze di arte rupestre dell’Asia minore occidentale.
Tematicamente queste raffigurazioni costituiscono un gruppo distinto: diversamente dalle pitture rupestri dell’Europa occidentale e dalle loro rappresentazioni zoomorfe, il tema principale delle raffigurazioni del Latmos è l’uomo, raffigurato insieme ai suoi simili, più frequentemente in coppia, un uomo e una donna, con chiaro riferimento alla relazione tra i sessi o alla famiglia umana e alla sua sopravvivenza.
A questo cambiamento tematico corrisponde un cambiamento stilistico: al posto delle raffigurazioni zoomorfe della pittura rupestre preistorica, subentra uno stile di rappresentazione della figura umana schematica, di formato ridotto e tendente al simbolismo.
Grazie all’attenzione posta alla famiglia è per la prima volta rappresentato il decisivo cambiamento nelle abitudini di vita dell’uomo, verificatosi con il suo passaggio alla stanzialità.
Il Latmos era uno dei monti sacri dell’Asia Minore. La sua cima, sede di un antichissimo culto rupestre della pioggia e quindi della fertilità, era adorata la divinità anatolica del cielo e della pioggia, il dio più importante dell’Asia Minore, al cui posto subentrò più tardi Zeus.
Allo stesso tempo dietro il culto rupestre si celava una divinità locale della montagna, venerata insieme al dio del cielo. Nella mito classico il dio del monte Latmo continuò ad essere venerato nel personaggio di Endimione.
Nelle pitture rupestri vengono espresse anche le credenze religiose degli uomini della preistoria legate a questa montagna ed esse sono scaturite da questo ambiente naturale: la loro ubicazione e i loro soggetti fanno chiaramente riferimento ad un culto della fertilità praticato sulla cima del monte. Nei luoghi delle pitture rupestri erano celebrate cerimonie nuziali in onore o sotto la protezione del dio del cielo. In tal senso queste pitture potrebbero essere considerate le prime raffigurazioni di feste nuziali della storia dell’umanità e dell’arte.
[139] Cesarie: chioma lunga e folta.
[140] Serra: locale in forma di padiglioni, con pareti costituite da grandi vetrate, per la coltivazione di piante in condizioni climatiche controllate.
[141] Bramire: emettere bramiti. Il bramito è un verso di animali selvatici, specialmente del cervo e dell’orso.
[142] Agosto: personificazione
[143] Tibia: antico strumento a fiato, simile al flauto, di osso, legno o metallo
[144] Gomme: miscela di resine e oli essenziali, per essudazione di varie piante.
[145] Laura: riferimento di D’Annunzio a Laura, la donna cantata da Petrarca nel Canzoniere.
[146] Suora: sorella
[147] Vago: vagare
[148] Bevere: bere
[149] Bella: fa riferimento ad Isaotta

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