Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

domenica 22 settembre 2013

Il Rinascimento: sintesi di Storia dell'arte

Il periodo del Rinascimento, dal Quattrocento alla prima metà del Cinquecento coincise con l'instaurazione del sistema politico assolutistico dei grandi Stati nazionali che caratterizzò l'Europa moderna. Se nella vita politica si affermò l'onnipotenza della monarchia, nella storia socio-economica assunse rilievo centrale la figura del mercante, mentre l'equilibrio tra città e campagna era attraversato da forti tensioni provenienti dal mondo agrario.
Il Rinascimento fu un fenomeno europeo, ma le sue radici furono italiane, anzi fiorentine: infatti fu l'umanesimo fiorentino (F. Petrarca, L. Bruni, M. Ficino ecc.) a promuovere inizialmente il recupero di testi latini e greci, a riassimilare per primo i modelli dell'antichità classica nei campi dell'arte e della vita intellettuale, a riscoprire il mondo, l'uomo e la natura quali luoghi primari di elaborazione del sapere. Le manifestazioni più emblematiche dell'estetica rinascimentale scaturirono dalle arti visive e dall'architettura (alle quali furono dedicati anche testi e trattati normativi sulla prospettiva e la città ideale), resi possibili grazie al mecenatismo sia delle corti italiane sia del papato romano.
Apertosi simbolicamente nel 1401 con il concorso tra Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti per la seconda porta del battistero di Firenze, il Rinascimento si protrasse fino alla metà del XVI secolo. Si configurò come fenomeno tipicamente italiano e stimolatore di nuove energie, anche se venne a maturazione nel clima generale di rinnovato interesse naturalistico comune a tutta l'arte europea, in particolare parallelamente e in fecondo intreccio con l'umanesimo nordico nato nelle Fiandre.
Il concetto di Rinascimento come ripresa degli ideali e delle forme dell'arte classica, dopo il Medioevo, trovò la sua esposizione sistematica nell'opera letteraria di Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori, edita a Firenze nel 1550, che individuò il germe della rinascita nella pittura di Giotto e nella scultura di Nicola Pisano.
La sintesi di Giotto fu recuperata e superata largamente a Firenze agli inizi del Quattrocento da un architetto, Filippo Brunelleschi, da uno scultore, Donatello, e da un pittore, Masaccio. Costoro attuarono una rivoluzionaria trasformazione della concezione e delle funzioni dell'attività artistica: nelle loro mani l'arte, non più attività meccanica, ma intellettuale, diventò strumento di conoscenza e di indagine della realtà, cioè disciplina basata su precisi fondamenti teorici. Tali fondamenti sono riconoscibili per la prima volta nell'invenzione della prospettiva da parte di Brunelleschi. Le possibilità fornite dal mezzo prospettico di misurare, conoscere e ricreare uno spazio a misura umana furono espresse nella nitida scansione geometrica delle architetture di Brunelleschi, nel proporzionato ambito spaziale che accoglie le figure eroiche dei rilievi di Donatello e dei dipinti di Masaccio. Questo antropocentrismo, per cui l'uomo è misura di tutte le cose, rientra nel grande programma di renovatio dell'antichità classica che gli artisti del Quattrocento si proposero di attuare. L'antico tuttavia non fu inteso, in questa prima fase, come un modello da imitare, bensì come coscienza storica del passato, fonte di ispirazione per elaborazioni autonome. In questa linea Donatello risuscitò il nudo classico nel David bronzeo del Bargello, ricreò il ritratto romano, realistico ed eroico, ripropose il tema del monumento equestre nel Gattamelata a Padova, e su questa linea si mosse tutta la scultura fiorentina del secolo fino a Michelangelo.
L'architetto e scultore Filippo Brunelleschi (1377-1446), vissuto a Firenze creò un'architettura rigorosamente razionale, basata sul linearismo prospettico e sulla chiara modulazione dello spazio; fu anche il primo a rivendicare il ruolo dell'architettura come arte liberale.
Il suo apprendistato di artista si svolse nella bottega di un orafo. Si mise poi in luce con il concorso del 1402 per la seconda porta bronzea del Battistero di Firenze: la sua formella con il Sacrificio di Isacco fu giudicata ex aequo con quella vincitrice di Lorenzo Ghiberti, al cui sereno classicismo si contrappongono la tensione drammatica e il vibrante plasticismo di Brunelleschi. Unica altra sua scultura fu in seguito (1409-1420) il Crocifisso ligneo della cappella Gonchi in S. Maria Novella.
L'interesse per l'architettura fu presto prevalente in Brunelleschi: dal 1409 sono documentati suoi interventi e pareri per i lavori in S. Maria del Fiore e nel 1418 presentò il modello per la cupola. Frattanto compì viaggi a Roma dal 1402, anche con Donatello, studiando con passione i monumenti antichi. Sulla base di questo studio, e tramite l'amicizia col matematico Paolo Dal Pozzo Toscanelli, l'artista giunse a elaborare la prima formulazione delle leggi della prospettiva: le due tavolette con vedute di edifici in prospettiva (perdute ma descritte dalle fonti letterarie) dovevano essere la dimostrazione di un nuovo metodo di misurazione razionale dello spazio, fondamentale per la progettazione architettonica. Sulla base delle nuove ricerche risolse il problema della cupola di S. Maria del Fiore e condusse l'opera con rivoluzionari sistemi costruttivi; adottando la muratura in mattoni a spinapesce eliminò centine e armature e creò una struttura che si autososteneva scaricando i pesi e le spinte per mezzo di una doppia calotta a sesto acuto, in tal modo il volume interno della cupola si differenziava in modo armonico da quello esterno. Nel 1432 progettò, mettendola in atto nel 1436, la lanterna della cupola, necessario punto di convergenza delle linee di forza dei costoloni.
Nel 1419 iniziò il portico dell'Ospedale degli Innocenti a Firenze, che concepì come corpo di collegamento tra l'ospedale stesso e lo spazio circostante, la piazza, fornendo un altro capolavoro esemplare del suo stile progettuale prospettico.
Su commissione di Giovanni de' Medici, Brunelleschi sviluppò nella chiesa di S. Lorenzo due temi fondamentali: lo schema basilicale della chiesa e quello a pianta centrale della sacrestia vecchia del 1428, formata dal coordinamento di due puri elementi geometrici, un vano cubico sormontato da una cupola emisferica a vele, raccordata alle pareti da pennacchi.
La semplicità esemplare di queste strutture si arricchì nelle opere successive: la chiesa di S. Spirito in Oltrarno del 1440 e la cappella dei Pazzi (1430-1444) nel chiostro di S. Croce. Progettò, ancora a Firenze, altri edifici civili e realizzò gli interventi al piano nobile del Palazzo di Parte Guelfa nel 1425 e a Palazzo Pitti (ca 1440). Quest'ultimo, imponente nella semplice massa squadrata a bugnato rustico, divenne il prototipo del palazzo signorile del Rinascimento.
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze ca 1386-1466), fu uno dei maggiori scultori italiani per l'energica struttura plastica, l'impostazione prospettica e la vibrante sensibilità del modellato esibite dalle sue opere.
Si formò nel 1403 nella bottega di Lorenzo Ghiberti e nell'ambito dei cantieri tardogotici fiorentini del battistero, del campanile e del duomo (dal 1407). Se reminiscenze tardogotiche sono evidenti nell'elegante linearismo delle prime opere (i due Profetini per la porta della Mandorla in Duomo, 1406-08, e il David marmoreo del Museo del Bargello, 1409), già il San Giovanni Evangelista (1409, Museo dell'Opera del Duomo) e il San Marco (1411-12, Orsanmichele) esprimono un rifiuto dei moduli gotici e una nuova visione classico-realistica.
Con l'amico F. Brunelleschi compì viaggi a Roma (1404-08) per studiare, disegnare, misurare sculture e monumenti antichi, un processo di maturazione giunto a pieno compimento nel San Giorgio per una nicchia di Orsanmichele (1416, ora al Museo del Bargello di Firenze). La conoscenza del classico gli valse soprattutto come stimolo per un'appassionata indagine della realtà: ne sono testimonianza le statue dei Profeti scolpite nel ventennio successivo per il campanile (ora in gran parte al Museo dell'Opera del duomo di Firenze), figure la cui drammatica umanità si esprime in forme di intenso e talora spietato realismo (Geremia, ca 1426; Abacuc, 1434-36).
Verosimilmente intorno al 1423 ebbe inizio la sua collaborazione con lo scultore e architetto Michelozzo Michelozzi (Firenze 1396-1472). Dal sodalizio nacquero il fonte battesimale del Battistero di Siena (ca 1425, nel quale il rilievo bronzeo col Banchetto di Erode è esempio già maturo della tecnica donatelliana dello stiacciato (bassorilievo che affiora poco dal fondo, per ottenere una perfetta graduazione prospettica dei piani); il sepolcro dell'antipapa Giovanni XXIII (ca 1425-27, Firenze, Battistero); il sepolcro del cardinale Brancacci (1427, Napoli, S. Angelo a Nilo), dove a Donatello spetta solo il rilievo con l'Assunzione della Vergine.
Dopo il 1430 le ricerche di Donatello sull'antico si fecero più intense (del 1433 è un altro viaggio a Roma) e ne scaturirono opere fondamentali: il David bronzeo del Bargello (ca 1430-33); la cantoria del Duomo (1433-39, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo), dove si svolge ininterrotta una sfrenata danza bacchica di putti. Lo stesso motivo è ripreso nel pulpito esterno della cattedrale di Prato (1429-38). Tra il 1435 e il 1443 Donatello lavorò, su commissione di Cosimo de' Medici (figlio di Giovanni de' Medici), alla decorazione della Sacrestia Vecchia di S. Lorenzo, eseguendo otto medaglioni in stucco dipinto (Evangelisti e Storie del Battista), tre sovrapporte, anch'esse in stucco, con figure di Santi, e due porte bronzee, scompartite in formelle con figure di Martiri e Apostoli.
Nel 1443 si trasferì a Padova, dove la sua presenza fino al 1454 fu fattore determinante per l'evoluzione dell'intera civiltà artistica settentrionale: qui egli creò, nel monumento equestre al Gattamelata (1447-53), una versione moderna dei monumenti romani.
Qui iniziò, col grande complesso dell'Altar Maggiore nella basilica di S. Antonio (1446-50), l'ultima fase della sua attività. Le opere dell'ultimo periodo fiorentino sono immagini di angoscia esistenziale, di meditazione sul dolore e sulla morte: esemplari in tal senso la Maddalena lignea del Battistero (1454-55) e le figure dei due pulpiti bronzei di S. Lorenzo (1460, non ultimati alla sua morte e in parte eseguiti da aiuti).
Tommaso di ser Giovanni Cassai, detto Masaccio, nacque a S. Giovanni Valdarno nel 1401 e morì a Roma nel 1428. Nella sua pittura la severa costruzione prospettica e spaziale, il saggio uso del chiaroscuro e del colore (spesso assunto a valori altamente simbolici), che ne fanno, insieme ai suoi ispiratori F. Brunelleschi e Donatello, uno degli iniziatori del Rinascimento, si accompagnano a un profondo contenuto umano e morale espresso con intensa drammaticità, tale da trovare riscontro solo nell'opera di Michelangelo.
Della sua vita si hanno scarse notizie: collaboratore a Firenze di Masolino da Panicale (ca 1383-ca1447), le cui opere erano intrise di ispirazione fiabesca e cortese derivata dal gotico internazionale, il giovane Masaccio consumò in questa città tutto il suo brevissimo ma fondamentale percorso artistico, prima di essere chiamato a Roma, dove morì improvvisamente a soli ventisette anni.
Le sue opere non sono numerose: S. Anna Metterza (1424-25, Firenze, Uffizi) in collaborazione con Masolino, Madonna in trono (1426, Londra, National Gallery), Crocifissione (Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte); opera facente parte, con la precedente, dello smembrato polittico eseguito nel 1426 per la chiesa del Carmine a Pisa.
Gli affreschi della Cappella Brancacci al Carmine a Firenze (1424-25), eseguiti in parte in collaborazione con Masolino e di cui sono suoi Cacciata dei progenitori, Battesimo dei neofiti, Il tributo, Distribuzione dei beni alla comunità, Morte di Anania, Resurrezione del figlio di Teofilo, nei quali è evidente la celebrazione della monumentalità e della drammaticità umana (contrapposte alla fragilità delle figure realizzate da Masolino). 
Nell'affresco della Trinità (1427-28, Firenze, S. Maria Novella), vero e proprio itinerario visivo che ha inizio con il memento mori (lo scheletro) e culmina nella rivelazione della verità (la Trinità), Masaccio seppe fondere la drammaticità tipica di Donatello e le regole teoriche proprie di Brunelleschi.
Fra' Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro detto Beato Angelico (Vicchio di Mugello ca 1400 - Roma 1455), elaborò un personale linguaggio pittorico, spiritualizzato ma aderente al tempo, che si rivelò poi determinante nello svolgimento della pittura toscana.
Già suggestionato dalla lineare e vibrante pittura di Lorenzo Monaco (ca 1370-1423), dal decorativismo tardogotico dei miniaturisti fiorentini e dal magistero artistico di Donatello e L. Ghiberti, recepì in particolare la lezione di Masaccio.
Tra il 1418 e il 1423 entrò nell'ordine domenicano presso il convento di Fiesole, per il quale eseguì il Trittico di S. Pietro Martire (ca 1428-29, Firenze, Museo di S. Marco).
Con la nuova strutturazione spaziale e prospettica delle opere successive (Incoronazione della Vergine, 1433, Parigi, Louvre; Annunciazione, 1430-35, Madrid, El Prado; il Giudizio Universale, Firenze, Museo di S. Marco), aderì compiutamente allo spirito rinascimentale, soprattutto col grande Tabernacolo dei linaioli (1433; Museo di S. Marco), che nell'impostazione della Madonna ricorda la composizione masaccesca della tavola della Madonna con sant'Anna.
Intorno al 1435 dipinse l'Annunciazione (Cortona, Museo diocesano), la Deposizione, già in S. Trinità, e la Deposizione per la chiesa del tempio (entrambe al Museo di S. Marco).
Dal 1438 al 1447 l'artista lavorò al Convento di S. Marco, affrescando la grande Crocifissione del capitolo e numerose scene nel chiostro e nelle celle (Annunciazione, Trasfigurazione, Incoronazione della Vergine). Agli inizi del 1446 l'Angelico era a Roma, dove eseguì la decorazione di vari ambienti dei palazzi vaticani. Della sua attività romana rimangono oggi solo gli affreschi della cappella Niccolina con Storie dei protomartiri Stefano e Lorenzo. Morì durante un secondo soggiorno romano, dopo aver iniziato la decorazione della cappella di S. Brizio nel Duomo di Orvieto.
La pittura dell'Angelico, carica di senso mistico, è l'esaltazione di una bellezza pura e trascendente che si sfuma nella suggestiva luminosità cromatica e si concretizza nella quasi miniaturistica definizione delle figure e delle cose. Il tutto fondato e nutrito dalle acquisizioni culturali e artistiche più recenti.
Andrea Mantegna (Isola di Carturo, Padova 1431 - Mantova 1506) ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del Rinascimento toscano nell'Italia settentrionale.
Allievo a Padova fra il 1442 e il 1448 presso la bottega del pittore Francesco Squarcione (1397-1468) si formò in un ambiente culturale assai fecondo per gli apporti degli artisti toscani che vi erano allora attivi. Nel 1448 gli fu commissionata la decorazione della Cappella Ovetari agli Eremitani (distrutta in un bombardamento nella seconda guerra mondiale). In quest'opera Mantenga seppe fondere il gusto per l'antichità (derivato dalla bottega dello Squarcione, che era anche collezionista di marmi antichi) e l'uso della prospettiva (derivata dai toscani). Anche negli altri capolavori del periodo padovano, come il Polittico di S. Luca (1453-54, Milano, Brera), la Pala di S. Zeno (1456-59) per la chiesa veronese, e l'Orazione nell'orto (1455-60, Londra, National Gallery), Mantegna fissò il mito classico della cultura umanistica veneta.
Nel 1460 l'artista si stabilì a Mantova quale pittore di corte di Ludovico III Gonzaga. Della prima attività mantovana, la decorazione della cappella del castello di S. Giorgio, rimangono oggi solo il trittico con l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione e l'Ascensione (1460-70 ca, Firenze, Uffizi) e la Morte della Vergine (1461, Madrid, Prado), che preannunciano l'opera più famosa, la decorazione della Camera degli sposi, la stanza di rappresentanza di Palazzo Ducale (Mantova 1471-74), con le due scene della Famiglia di Ludovico Gonzaga radunata per una cerimonia e dell'Incontro del marchese Ludovico col figlio Francesco cardinale e col suo seguito. In questi affreschi Andrea riesce a trasformare illusionisticamente lo spazio della camera con la decorazione pittorica.
La maggiore rievocazione mantegnesca del mondo classico è costituita dalle nove tele che raffigurano su una linea continua il Trionfo di Cesare (1480-95, Hampton Court, Royal Collection).
Intorno al 1480 risale il S. Sebastiano conservato al Louvre di Parigi. Negli ultimi anni la ricerca stilistica di Mantegna fu indirizzata sia verso un colorismo intenso (Madonna della Vittoria, 1496, Parigi, Louvre), sia verso una ripresa degli scorci audaci, delle forme definite dal disegno (S. Sebastiano, Venezia, Ca' d'Oro; Cristo morto, Milano, Brera).
Alla tarda attività dell'artista appartengono anche il Parnaso e il Trionfo della Virtù, dipinti nel 1497 per lo studiolo d'Isabella d'Este a Mantova e ora al Louvre, e alcuni bellissimi monocromi (Sansone e Dalila, Il trionfo di Scipione, Londra, National Gallery). Vanno ricordati inoltre i disegni (Giuditta con la testa di Oloferne) e le incisioni di soggetto religioso e mitologico (Baccanali), conservati agli Uffizi (Gabinetto dei disegni e delle stampe).
L'architetto, letterato e poeta Leon Battista Alberti (Genova 1404 - Roma 1472) concepì l'architettura come progettazione, arte liberale e non arte meccanica. Le sue opere architettoniche rivelano la grande cultura classica e la ricerca di una bellezza fatta di armonia e geometrico equilibrio.
Studiò a Padova e a Bologna, dove nel 1428 ottenne la laurea in diritto canonico. Dopo esser stato a Firenze, Bologna e Ferrara, ottenne nel 1432 l'ufficio di abbreviatore apostolico a Roma. L'interesse per l'antichità classica lo portò alla Descriptio urbis Romae del 1434, il primo sistematico tentativo di messa a punto dell'aspetto di Roma antica. Descrisse per la prima volta il metodo prospettico nel De pictura del 1435, dedicato a Brunelleschi, spiegando la costruzione geometrica della piramide visiva costruita con punto centrico e punto di distanza, che assieme ai successivi (De statua e De re aedificatoria) aveva l’intento di fornire regole e basi scientifiche all’artista, con la consapevolezza che si stava passando dalla figura di semplice artigiano a quella di vero e proprio intellettuale, tenuto in grande considerazione soprattutto negli ambienti di corte.
La sua cultura lo rese ricercato presso le corti del tempo: a Ferrara progettò l'Arco del Cavallo (su cui poggia la statua equestre di Nicolò III d'Este) e il campanile della cattedrale. Di nuovo a Roma con Nicolò V, fu incaricato del riordino urbanistico della città e del restauro di S. Maria Maggiore, S. Stefano Rotondo, S. Teodoro. A Roma scrisse il trattato in 10 libri De re aedificatoria del 1452), in cui si occupò dell'aspetto urbanistico della città del Quattrocento, dei suoi edifici e della loro tipologia e distribuzione, degli ordini e dei materiali da costruzione.
Nel frattempo (1446-50) per Sigismondo Malatesta progettò il rivestimento con nuove strutture della chiesa gotica di S. Francesco a Rimini, che divenne il Tempio Malatestiano, in cui la facciata riprende il motivo dell'arco trionfale romano a tre fornici.
Ricevette incarichi importanti dalla famiglia fiorentina dei Rucellai: il completamento della facciata di S. Maria Novella e il palazzo Rucellai, con facciata a ordini sovrapposti.
Dal 1459 la sua attività si svolse soprattutto a Mantova, con la chiesa a pianta centrale di S. Sebastiano (dal 1460) e quella a pianta longitudinale di S. Andrea (dal 1470).
Piero della Francesca (Sansepolcro (1415/20-1492) fu una figura cardine della pittura rinascimentale per il rigore della stesura prospettica e la geometrica e quasi astratta perfezione dei volumi, immersi in una luminosità diffusa e sottile. Per primo in Italia utilizzò la tecnica della pittura a olio, importata dagli artisti fiamminghi.
Compì un lungo soggiorno a Firenze dove completò la sua formazione collaborando, nel 1439, con Domenico Veneziano, agli affreschi perduti del coro di S. Egidio. Le prime opere, collocabili prima del 1450 (S. Gerolamo e un devoto, Venezia, Gallerie dell'Accademia; Battesimo di Cristo, Londra, National Gallery; i pannelli con la Crocifissione e i SS. Sebastiano e Giovanni Battista, facenti parte del Polittico della Misericordia, Sansepolcro, Pinacoteca, commissionato nel 1445, ma compiuto solo nel 1462), dimostrano da un lato l'assimilazione del plasticismo di Masaccio, del rigore prospettico di F. Brunelleschi e L. B. Alberti, della luminosità cromatica del Beato Angelico e di Domenico Veneziano, dall'altro lato l'emergere del personale modo espressivo dell'artista.
Intorno al 1450 l'attività di Piero si fece particolarmente intensa: fu prima a Ferrara, dove la sua opera, perduta, influenzò nettamente la cultura locale, poi a Rimini, dove lasciò nel Tempio Malatestiano l'affresco votivo col ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta nel 1451. Nel 1452 subentrò nella decorazione ad affresco del coro di S. Francesco ad Arezzo, con vicende della Leggenda della vera Croce.
Intorno a questi anni si collocano i rapporti di Piero con la corte di Federico da Montefeltro a Urbino, uno degli ambienti più colti e aperti d'Italia, nel quale l'artista lasciò, nel giro di un ventennio, alcune delle sue opere di maggior prestigio: la tavoletta con la Flagellazione di Cristo (1455-60) e la più tarda Madonna di Senigallia, risalente al 1470 (ambedue conservate a Urbino, Galleria nazionale delle Marche); lo straordinario dittico coi Ritratti dei duchi di Montefeltro (1465, Firenze, Uffizi), con scene dei Trionfi dei duchi dipinte sul retro delle tavole; infine la Sacra conversazione (ca 1472-74, Milano, Brera).
In queste opere la straordinaria finezza della stesura pittorica e l'acutezza descrittiva dei particolari rivelano l'attenzione con cui Piero guardò alle esperienze fiamminghe, con le quali entrò in contatto alla corte di Urbino, e che più intensamente rievocò nella tarda Natività (ca 1475, National Gallery di Londra). Lungo l'arco dei soggiorni urbinati si collocano altre opere, in particolare, per la città natale, la Madonna del parto (ca 1460, Monterchi, cappella del cimitero) e la Risurrezione di Cristo (1463-65, Sansepolcro, Pinacoteca).
Svolse anche attività di teorico, scrivendo il trattato De prospectiva pingendi (1490 ca) e il libretto De quinque corporibus regularibus (dopo il 1492).
Sandro Filipepi, detto il Botticelli (Firenze 1445-1510), fu pittore interprete della cultura umanistica medicea: ricercò una raffinata perfezione formale e un'armonia della composizione che, insieme con la trasparenza del colore, trasfigurano la realtà e la pongono fuori del suo tempo. La sua formazione avvenne nella bottega di Filippo Lippi e in quella del Verrocchio, la cui influenza, unita a quella del Pollaiolo, si fa evidente nella Fortezza (1470, Firenze, Uffizi) eseguita per il Tribunale della Mercanzia.
Verso il 1478 realizzò la celebre Allegoria della Primavera, eseguita per Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, che è l'espressione più compiuta del suo linguaggio maturo e delle sue idee umanistico-platoniche di bellezza e amore. Della stessa atmosfera è pervasa la Nascita di Venere (Firenze, Uffizi), databile intorno al 1485.
Tra i due capolavori è situato il soggiorno romano dell'artista (1481-82), durante il quale Botticelli lavorò con Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Perugino, agli affreschi nella Cappella Sistina, eseguendo i tre riquadri con la Punizione dei ribelli, le Prove di Mosè e le Prove di Cristo. Posteriori al suo ritorno a Firenze (1483-85) sono la Madonna del Magnificat e la Madonna della melagrana, ora agli Uffizi.
Intorno al 1490 Lorenzo di Pier Francesco de' Medici affidò a Botticelli l'incarico di illustrare la Divina Commedia (94 disegni sono conservati tra la Biblioteca vaticana e il Gabinetto delle stampe di Berlino). In questo periodo Botticelli appare già volto verso una religiosità che la predicazione del Savonarola trasformerà in esaltazione mistica: la sua pittura si fece a carattere prevalentemente sacro (Crocifissione simbolica, Pietà) e di intensa drammaticità, espressa con linee spezzate e colori lividi (La calunnia), fino a toccare alta tensione spirituale in forme arcaicizzanti (Natività, Ultimi atti di S. Zanobi, intorno agli inizi del sec. XVI).
Nella seconda metà del Quattrocento Napoli non ricoprì un ruolo culturale paragonabile a quello esercitato da Firenze, Ferrara o Urbino, tuttavia diede un apporto essenziale allo sviluppo della pittura rinascimentale con l'attività di alcuni artisti, quali Colantonio e Antonello da Messina che a Napoli appunto si formarono.
Determinante a fissare quel clima culturale e artistico fu la diffusione di opere fiamminghe (Roger Van der Weyden e Jan Van Eyck) raccolte dai sovrani d'Angiò e d'Aragona.
Colantonio (Napoli ca 1420-70) ebbe un'importante collocazione nel mondo culturale napoletano, ricco di fermenti umanistici e aperto agli apporti borgognoni, iberici e soprattutto fiamminghi. Nel S. Gerolamo e il leone (1445, Napoli, Capodimonte) l'artista ripropone infatti un ambiente tipicamente fiammingo.
Antonello da Messina (Messina ca 1430-79) svolse probabilmente il suo noviziato a Napoli presso Colantonio. Nel 1456 era a Messina e nel 1475 a Venezia, periodo in cui si accostò a Giovanni Bellini e realizzò la Crocifissione oggi conservata a Bucarest.
Nel 1476 ritornò a Messina rimanendovi fino alla morte.
Nelle due tavolette (La visita dei tre angeli ad Abramo e S. Girolamo penitente) di Reggio Calabria e nel S. Girolamo nello studio (1475, Londra, National Gallery) si avvertono influenze fiamminghe.
L'influsso di Piero della Francesca è invece rintracciabile in dipinti successivi (le Annunziate, il Salvator Mundi), che rivelano una profonda conquista del senso dello spazio.
Sintesi perfetta di particolarismo fiammingo e di impianto spaziale pierfrancescano è la Madonna col Bambino (1465-70) della National Gallery di Washington. Il punto più alto di queste ricerche di Antonello è rappresentato dal polittico di S. Gregorio (1473).
A Venezia nascono, tra l'altro, il S. Sebastiano e la pala di S. Cassiano (1475-76).
Il particolare colorismo di queste opere sarà uno stimolo importante per gli sviluppi della pittura tonale veneta.
Nella storia dell'arte, l'espressione arte fiamminga viene applicata alle manifestazioni artistiche, specialmente pittoriche, fiorite con ben definite caratteristiche storiche e stilistiche nelle Fiandre (regioni meridionali dei Paesi Bassi e regioni settentrionali del Belgio) a partire dal sec. XV fino al XVII.
L'arte fiamminga ha le sue origini verso la metà del Trecento per il confluire di esperienze del raffinato gotico francese e di influssi senesi sul fondo del vivace naturalismo locale, ma soltanto nel secolo seguente, con Jan Van Eyck (ca 1390 - Bruges 1441, le cui opere più celebri sono i Coniugi Arnolfini (1434, Londra, National Gallery) e la Madonna del cancelliere Rolin (1433, Parigi, Louvre) oltre a numerosi ritratti, si affermò nei suoi caratteri essenziali.
La grande protagonista dell'umanesimo fiammingo, che nasce parallelamente all'umanesimo italiano, è la natura, indagata con lenticolare attenzione in tutte le sue particolarità e di cui l'uomo è aspetto fondamentale ma non predominante; e il fattore unificante della visione non è la concezione razionale e geometrica dello spazio, ma la luce, principio stesso della visione, una luce reale e non astratta.
Questa poetica venne arricchita dalle ricerche di Robert Campin (Tournai ca 1375 - 1444) identificato con il Maestro di Flémalle; dalle tendenze più drammatiche di Roger Van der Weyden (Tournai ca 1400 - Bruxelles 1464), che si interessò al particolare realistico e all'analisi della psicologia umana unitamente alla sensibilità luministica e produsse un'importante serie di ritratti come Il Gran Bastardo Antonio di Borgogna di Bruxelles e la Giovane donna di Berlino; dall'intimismo di Petrus Christus (Baerle, Gand ca 1410 - Bruges 1472/73); dalla severità morale e dalla luminosità di Dierik Bouts (Haarlem 145 - Lovanio 1475); dall'intenso naturalismo di Hans Memling (Mömligen ca 1435 - Bruges 1494). Un posto di rilievo trova la eterodossa, visionaria arte di Hieronymus Bosch (ca 1450-1516), creatore di un magico e demoniaco mondo di allegorie, visto con spirito critico e moraleggiante.
Intanto, nel corso del sec. XV, la pittura fiamminga aveva esteso il suo influsso a livello europeo, dalla Francia meridionale alla Spagna e al Portogallo (dove Van Eyck viaggiò nel 1428), dai paesi tedeschi alla stessa Italia dove si ricordano i viaggi di Van der Weyden a Ferrara nel 1450, dell'altro pittore Giusto di Gand (attivo tra il 1460-75) a Urbino nel 1473-75, e l'influsso esercitato da opere importate dalle Fiandre come il celebre Trittico Portinari (1476 ca) di Hugo Van der Goes (1435-1482) a Firenze.
Il Cinquecento fu un secolo caratterizzato da laceranti e drammatici contrasti: la scossa della riforma protestante di Lutero (1517), i successivi sviluppi della controriforma cattolica. Eventi che alterarono profondamente i termini dell'operare artistico: l'arte diventò ricerca inquieta delle ragioni dell'azione umana nella storia, dell'esperienza umana del divino. Questi contrasti si rispecchiarono in modo esemplare nelle esperienze dei più grandi artisti del momento: nell'indagine sperimentale di Leonardo; nella bruciante tensione spirituale di Michelangelo; nel misurato e luminoso classicismo compositivo di Raffaello. Venezia parve vivere più a lungo una felice stagione di classicismo, nella pittura di Giorgione e del primo periodo di Tiziano. Ma la vera erede del prestigio di Firenze fu Roma, che dopo il ritorno dei papi da Avignone aveva conosciuto, per il mecenatismo papale, un intenso rinnovamento edilizio e culturale.
Leonardo (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux, presso Amboise, 1519) fu uno dei massimi artefici del Rinascimento: pittore, scultore, architetto e scienziato, ma anche ingegnere e scrittore, ha testimoniato un'ampiezza di conoscenze e di interessi che ha largamente e puntualmente profuso nelle sue poliedriche attività, alla ricerca di un'armonica corrispondenza e complementarietà tra arte, natura e scienza.
Stabilitosi nel 1469 a Firenze, entrò da apprendista nella bottega del Verrocchio e frequentò intanto gli ambienti umanistici e le famiglie altolocate di Firenze. Il primo sicuro intervento di Leonardo si ha nel Battesimo (ca 1470-75, Uffizi). Ancora legata all'ambiente del Verrocchio è l'Annunciazione (1472-75, Uffizi), fin troppo decorativa nell'ornamentazione dei marmi, nei panneggi elaborati, nella minuzia con cui sono dipinti i fiori, ma completamente nuova nello sfondo luminosissimo e lontano che si contrappone alla fila scura di alberetti, un effetto che Leonardo riprese anche nel suo primo ritratto, creduto di Ginevra Benci (1474-76, Washington, National Gallery), gravemente mutilato nella parte inferiore, dove la posizione delle mani accentuava la torsione del busto, disposto a piramide.
Nel 1481, dopo aver già dipinto il S. Gerolamo (Pinacoteca vaticana), ricevette la sua prima importante commissione, l'Adorazione dei Magi per il convento di S. Donato a Scoperto (che non fu mai consegnata e oggi si trova agli Uffizi), in cui si ha la prima grande realizzazione della spazialità leonardesca: intorno alla Madonna, le figure si dispongono a semicerchi, ma la struttura non risulta chiusa perché i personaggi esterni e il fondo di rovine sono coordinati secondo vari e divergenti punti di fuga. Basilare nella composizione dell'opera (lasciata incompiuta alla partenza di Leonardo per Milano) è il disegno, strumento di definizione spaziale, volumetrica e anatomica, raffinato in un secondo momento dal chiaroscuro, che permette sia la resa trasparente dell'atmosfera sia la gradazione del colore e quindi della luce. La stesura del colore rappresenta un momento finale, quasi secondario, della messa in opera, secondo una poetica che è all'opposto di quella dell'ambiente veneto, dove in quegli anni il colore stava divenendo l'elemento strutturale portante della composizione.
Dal 1483 al 1499, Leonardo fu al servizio di Ludovico il Moro come pittore, scultore, architetto, costumista, regista e scenografo. Presso la sua corte egli trovò l'ambiente favorevole allo sviluppo dei suoi interessi scientifici nel campo sia della fisica sia delle scienze naturali. Nel 1483 approntò i disegni preparatori per il monumento equestre in bronzo a Francesco Sforza. Nella Vergine delle rocce, dipinta tra il 1483 e il 1486 (Parigi, Louvre; una seconda versione, del 1503-06, si trova alla National Gallery di Londra), la composizione a piramide del gruppo costituito dalla Madonna, dal Bambino, da S. Giovannino e dall'angelo è arricchita e movimentata dall'incrociarsi di linee convergenti indicate dai gesti. La tecnica dello sfumato (cioè del morbidissimo chiaroscuro tipico di Leonardo) si sovrappone al disegno e ne sfalda i contorni.
Nel 1493 terminò il modello in creta a grandezza naturale del gran cavallo per il monumento Sforza, la cui fusione in bronzo è stata realizzata nel 1999 e collocata allo stadio milanese di San Siro. Intorno al 1495, iniziò i lavori per l'Ultima Cena nel refettorio di S. Maria delle Grazie, per la quale sperimentò una nuova tecnica che, abolendo il tradizionale strato di intonaco, gli permettesse di lavorare con la lentezza e meticolosità che gli erano proprie. Tale tecnica si rivelò nel tempo inadeguata e già alla metà del Cinquecento l'umidità aveva corroso quasi tutto il colore che doveva essere brillantissimo. Negli anni milanesi Leonardo ritrasse inoltre due favorite di Ludovico il Moro: Lucrezia Crivelli andrebbe identificata nella Belle Ferronière (Parigi, Louvre), Cecilia Gallerani nella Dama con l'ermellino (Cracovia, Czartoryski Muzeum); entrambi i ritratti si basano sulla raffigurazione del busto lievemente rotante.
Nel 1499 la fine della signoria sforzesca, costrinse Leonardo a lasciare Milano: dapprima fu a Mantova, dove eseguì il ritratto di Isabella d'Este. Tornato a Firenze nel 1503, Leonardo dipinse la Leda, nota da copie di allievi (la più famosa è quella di Roma, già collezione Spiridion e attualmente proprietà dello Stato) e La Gioconda (Parigi, Louvre), celeberrimo ritratto di Lisa, moglie del mercante Francesco Bartolomeo del Giocondo, che stilisticamente rappresenta uno dei più alti esempi della ritrattistica rinascimentale, per l'unità di tutti gli elementi che la compongono attuata per mezzo dell'infinitesimale gradazione della luce.
Nel 1506 tornò a Milano. Eseguì i disegni preparatori per il monumento equestre di Giangiacomo Trivulzio (1441-1518). Nel 1513 si recò a Roma dove eseguì l'ultimo suo quadro, il S. Giovanni Battista (Parigi, Louvre) che nel monocromo di toni bruni e dorati ripete con maggiore raffinatezza la rappresentazione del trapassare quasi inavvertibile della luce, nell'abolizione del disegno e del contorno.
Verso la fine del 1516, accogliendo un invito di Francesco I, Leonardo lasciò Roma per la Francia. Nei disegni della Fine del mondo, espresse la sua convinzione, sull'esistenza di un'armonia universale sicuramente presente anche nell'apparente caos della fine del mondo. Morì nel 1519 nel castello di Cloux, presso Amboise.
Di questo poliedrico artista del ´500 restano anche numerosi codici contenenti disegni e note scientifiche, solitamente scritti a rovescio, da destra a sinistra, tra cui i maggiori: Codice Atlantico (Milano, Biblioteca ambrosiana), Codice sul volo degli uccelli (Torino, Biblioteca reale), Fogli A, B, C (Biblioteca reale del castello di Windsor) con studi anatomici, Codice 8936 e 8937 sulle macchine e la fusione del cavallo (Biblioteca nazionale di Madrid).
Donato di Pascuccio d'Antonio, detto il Bramante (Monte Asdruvaldo, Fermignano 1444 - Roma 1514), architetto e pittore erede spirituale di Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, con la sua opera architettonica, ricca di effetti luminosi precorse il gusto e le conquiste del Cinquecento, fondendo armoniosamente grandiosità strutturale e risorse prospettiche. La sua formazione si svolse nell'ambiente urbinate della corte di Federico da Montefeltro, permeato del classicismo dell'Alberti e dell'esperienza prospettica di Piero della Francesca.
La prima esperienza di pittore prospettivo fu fondamentale per la realizzazione della sua prima opera di architettura, la sistemazione della chiesa di S. Maria presso S. Satiro a Milano (1479-83), dove risolse i condizionamenti di spazio imposti dal preesistente edificio con una falsa abside prospettica, che ristabilisce l'equilibrio proporzionale dell'insieme, dando al ristretto spazio un'illusoria qualità monumentale e scenografica.
A Milano, Bramante venne a contatto con i maggiori artisti del momento: con Leonardo fu interessato alla sistemazione della piazza e del castello ducale di Vigevano, ancora con Leonardo e il senese Francesco di Giorgio Martini fornì consulenze per il Duomo di Milano e per il Duomo di Pavia. Importanti lavori condusse in S. Maria delle Grazie a Milano, dove progettò, oltre al piccolo chiostro e alla sagrestia vecchia, la grandiosa tribuna. Altre attività degli anni milanesi riguardarono la parziale realizzazione della canonica e dei chiostri di S. Ambrogio (1492-98) e gli interventi al Castello Sforzesco.
Ultima testimonianza, pressoché certa, dell'attività lombarda di Bramante è l'arcone della chiesa di S. Maria Nuova ad Abbiategrasso (1497). Nel 1499, alla caduta di Ludovico il Moro, anche questo artista abbandonò Milano.
A Roma, dove gli stimoli più vivi gli vennero dallo studio dei monumenti e dei sistemi costruttivi degli antichi, ricevette il maggiore impulso alla sua attività da papa Giulio II che gli affidò incarichi grandiosi: il rinnovamento dei Palazzi Vaticani (1503), il progetto del cortile del Belvedere (1504), interventi urbanistici con la ristrutturazione di via della Lungara, via Giulia, via dei Banchi (1505-08) e infine il progetto del nuovo S. Pietro (1506). Purtroppo ben poco è rimasto integro di questa straordinaria attività. Perduti sono inoltre il monumentale Palazzo dei Tribunali (1506-08) e il Palazzo Caprini in Borgo (ca 1510), prototipi per l'architettura civile del Cinquecento. Integri rimangono il coro di S. Maria del Popolo (1505-07) e il tempietto di S. Pietro in Montorio (realizzato ca 1502-10), vero paradigma dell'ideale pianta centrale.
Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (Castelfranco Veneto 1477/78 - Venezia 1510), nell'arco di un decennio attuò un modo di far pittura rivoluzionario nello stile e nei contenuti ponendo le basi della pittura cinquecentesca veneziana e influenzando anche artisti posteriori.
Le prime opere, l'Adorazione dei pastori (Washington, National Gallery), la pala di Castelfranco (1505), il ritratto di Laura (1506), si svincolano dall'impostazione spaziale quattrocentesca per istituire un nuovo rapporto fra le figure e la natura, realizzato nella pittura di tono: il colore, cioè, diventa l'elemento costruttivo della composizione, cogliendo direttamente le cose vive e naturali... senza far disegno, come comprese Vasari. Nel 1508 eseguì gli affreschi della facciata del Fondaco dei Tedeschi sul Canal Grande, di cui resta un frammento con Giovane ignuda (1508).
Intorno al 1506-11 sono datate anche le opere fondamentali: Venere dormiente (1508-10); Concerto campestre (1510 ca), La tempesta (1506 ca) e I tre filosofi (1508 ca). Di queste ultime due (a carattere misterioso) rimangono ancora irrisolti i temi che l'artista volle trattare. Delle opere attribuite o attribuibili a Giorgione, una ventina in tutto, si ricordano ancora: Cristo portacroce (Venezia, S. Rocco); il Giovane con la freccia (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Tramonto (Londra, collezione privata); Ritratto virile (1508 ca, S. Diego, California, Fine Arts Gallery).
Michelangelo Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475 - Roma 1564) rappresentò il punto culminante dell'arte rinascimentale e lasciò un'importante eredità che sarebbe poi sfociata nel manierismo.
Avviato dal padre Ludovico agli studi umanistici, nel 1488, a Firenze entrò a bottega dal Ghirlandaio e poi studiò la statuaria antica. Accolto da Lorenzo il Magnifico nella sua cerchia di artisti, letterati e filosofi, assorbì quelle dottrine neoplatoniche che costituiranno una delle componenti essenziali della sua cultura. Lo studio della grande tradizione fiorentina, da Giotto a Masaccio, e l'interesse per la classicità sono evidenti nelle sue prime opere di scultura: la Madonna della Scala, che recupera in modo originale lo stiacciato donatelliano, e la Battaglia dei Centauri, dal marcato plasticismo (ambedue 1490-92 a Firenze, Casa Buonarroti). La crisi dell'umanesimo fiorentino, seguita alla predicazione del Savonarola e alla morte del Magnifico, turbò profondamente Michelangelo (è di questo momento il Crocifisso ligneo dal modellato delicatissimo, per il convento di S. Spirito, ora a Casa Buonarroti), il quale dopo l'ingresso in città delle truppe francesi di Carlo VIII lasciò Firenze, trasferendosi nel 1494 a Bologna (dove realizzò le sculture per l'arca di S. Domenico, il S. Petronio, S. Patroclo e un Angelo).
Nel 1496 si trasferì a Roma e qui s'impose all'attenzione eseguendo il sensuale Bacco (Firenze, Bargello) e l'intensa Pietà in S. Pietro, che costituì la prima opera su un tema che Michelangelo sviluppò lungo tutto l'arco della sua attività la meditazione sulla morte che ne divenne un costante nucleo ispiratore. Di poco posteriore è la Madonna con Bambino in Notre-Dame a Bruges. Nel 1501, rientrando a Firenze, Michelangelo affermò la sua personalità in una serie di opere fondamentali: la Madonna Pitti (1501, Firenze, Bargello) e il Tondo Taddei (1502, Londra, Royal Academy), libera interpretazione dei modi compositivi di Leonardo da Vinci. Il primo capolavoro pittorico di Michelangelo è la Sacra Famiglia detta Tondo Doni (ca 1504, Firenze, Uffizi). In queste opere pittoriche l'artista parve contrapporsi polemicamente a Leonardo, forzando gli schemi formali, sottolineando la linea dinamica del contorno e rinnegando il valore dello sfumato leonardesco. Ma l'opera più celebre di questo momento è il David marmoreo (1501-4, Firenze, Accademia), collocato davanti a Palazzo Vecchio come simbolo della libertà della Repubblica fiorentina e insieme incarnazione dell'ideale rinascimentale dell'uomo padrone del proprio destino. Sono ancora di questo periodo le statue per l'altare Piccolomini nel Duomo di Siena (S. Paolo, S. Pietro, S. Pio) e l'incompiuto S. Matteo, commissionato dall'opera di S. Maria del Fiore.
Nel 1505 papa Giulio II commissionò a Michelangelo il progetto del proprio monumento funebre da erigersi in S. Pietro, per il quale vennero scolpiti le due figure di Schiavi (1513-14, Parigi, Louvre) e il superbo Mosè (1515-16, Roma, S. Pietro in Vincoli) e più tardi i quattro Prigioni (Firenze, Accademia). Nel 1508 Michelangelo aveva assunto l'incarico di affrescare la volta della Cappella Sistina, che fu compiuta in quattro anni di solitario lavoro: creando una nuova struttura dipinta, inserì al centro le Storie della Genesi (1508-12) e ai lati le poderose figure dei Profeti, delle Sibille, degli Ignudi, secondo un complesso programma iconografico che, mentre narra il più antico epos della storia dell'umanità, allude simbolicamente alla vicenda eterna dell'elevazione dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino.
Nel 1513 Michelangelo tornò a Firenze, dove esordì in campo architettonico: con gli incarichi per la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e per la Biblioteca Laurenziana. Nella sacrestia i due monumenti a Giuliano e Lorenzo de' Medici (1525-34), con le statue del Giorno e della Notte, dell'Aurora e del Crepuscolo, e la Madonna col Bambino sull'altare esprimono compiutamente il tema michelangiolesco della riflessione dell'uomo sulla vita e sulla morte. Dopo la cacciata dei Medici, nominato "governatore e procuratore generale sopra alla fabbrica e fortificazione delle mura", Michelangelo partecipò alla difesa della Repubblica fino alla caduta della città (1530). Grazie all'appoggio di papa Clemente VII poté continuare a lavorare anche dopo la restaurazione dei Medici: Cristo risorto per la chiesa di S. Maria sopra Minerva e la Vittoria (1532-34) in Palazzo Vecchio furono modello per un'intera generazione di scultori manieristi.
Nel 1534 Michelangelo si trasferì definitivamente a Roma e ricevette l'incarico da Clemente VII e poi la conferma da Paolo III, di dipingere nella Cappella Sistina il Giudizio Universale sulla parete dell'altare. Il grandioso affresco (1536-41) altera l'iconografia tradizionale del tema e nell'abbandono di ogni intelaiatura architettonica sconvolge il concetto di spazio proprio del Rinascimento e rappresenta un'immane catastrofe: un Dio irato che travolge l'umanità spaventata di fronte a una condanna senza appello. Sulla genesi dell'opera influirono i contatti con i circoli spiritualisti romani per la riforma della Chiesa. Dopo i recenti restauri gli affreschi della Sistina hanno rivelato anche il luminoso senso cromatico abbinato alla plasticità dei volumi.
L'ultima attività di Michelangelo risultò caratterizzata dall'impegno dell'architettura: la sistemazione urbanistica e monumentale della piazza del Campidoglio (1544-54) e altri importanti lavori. Spicca soprattutto il nuovo progetto per S. Pietro (dal 1546), pensato, riprendendo la pianta centrale di Bramante, come un colossale organismo plastico culminante nella grande cupola (terminata dopo la morte dell'artista). Il rapporto con la romanità costante nell'architettura di Michelangelo è presente anche nell'eroico busto del Bruto (Firenze, Bargello). Più degli ultimi affreschi, la Conversione di Saulo e il Martirio di S. Pietro nella Cappella Paolina in Vaticano (1542-50), le ultime sculture sono tra gli esiti più alti dell'arte di Michelangelo: nella Pietà di Palestrina (Firenze, Accademia), nella Pietà del Duomo di Firenze (1550-55) e soprattutto nell'estrema Pietà Rondanini (1552-66, Milano, Castello Sforzesco) la liberazione sulla morte come meditazione dello spirito raggiunge il massimo dell'intensità espressiva.
La forte personalità di Raffaello Sanzio (Urbino 1483 - Roma 1520), pittore e architetto interprete di una forma classica intrisa di spiritualità cristiana, concorse con Leonardo e Michelangelo a determinare il sorgere dell'ultima e straordinaria stagione rinascimentale.
Fu avviato alla pittura dal padre Giovanni Santi. In una prima fase l'influsso del Perugino appare determinante nel ritmo compositivo fluido e ondulato e nelle modulazioni cromatiche delle opere giovanili come l'Incoronazione della Vergine (1502-03, Musei vaticani) e lo Sposalizio della Vergine (1504, Milano, Brera). L'intensa luminosità del chiaroscuro e la limpida articolazione spaziale dello Stendardo di Città di Castello (1499) testimoniano invece una profonda meditazione dell'arte di Piero della Francesca.
Dal 1504 al 1508 Raffaello operò a Firenze. Appartengono a questi anni il Sogno del Cavaliere (Londra, National Gallery), il S. Michele e il S. Giorgio (Parigi, Louvre) e Le tre Grazie (Chantilly, Musée Condé); mirabili opere, un tempo ritenute della sua prima adolescenza, la Madonna Connestabile (S. Pietroburgo, Ermitage), la Madonna del Granduca (Firenze, Palazzo Pitti), la Madonna del Belvedere (1506, Vienna, Kunsthistorisches Museum), la Madonna del cardellino (1507 ca, Firenze, Uffizi), la cosiddetta Belle Jardinière (1507, Parigi, Louvre). Raffaello si impegnò anche nei primi ritratti: la Dama con il liocorno (Roma, Galleria Borghese), i Coniugi Doni (1506, Firenze, Palazzo Pitti) e La muta (1507 ca, Urbino, Galleria nazionale delle Marche).
A Roma, dove la sua presenza è documentata per la prima volta nel 1509, Raffaello iniziò per papa Giulio II la decorazione delle Stanze Vaticane eseguendo personalmente gli affreschi della stanza della Segnatura (1508-11) e della stanza di Eliodoro (1511-14), (1511-14), nei quali lo spunto enciclopedico dà adito ad una celebrazione del mondo umanistico e religioso rinascimentale. Dopo la morte di papa Giulio II, Leone X, il suo successore, affida a Raffaello la decorazione della terza stanza vaticana, destinata ai pranzi cerimoniali, la Stanza dell’Incendio in cui affresca scene di atti gloriosi di alcuni pontefici, tra le quali la scena con l’Incendio di Borgo (1514), in cui papa Leone IV salva il quartiere di Borgo da un furioso incendio.
Fin dalle sue prime opere Raffaello rivelò l'assoluta originalità del suo linguaggio pittorico nella tendenza a semplificare classicamente la composizione, accentuandone in modo nuovo lo spazio architettonico, nel quale si dispongono le figure umane, che acquistano così nella chiara luminosità del tessuto cromatico e nell'equilibrio delle misure e dei gesti un valore di bellezza immobile, ideale e insieme naturalissima.
Negli ultimi anni gli furono affidati sempre più numerosi incarichi che Raffaello realizzò in un alternarsi di momenti di altissima felicità creativa ad altri di crisi e di stanchezza: gli affreschi della sala di Galatea (1511), la decorazione delle Logge Vaticane (1517-19), i cartoni delle Storie evangeliche per gli arazzi della Cappella Sistina (1515-16), la Madonna di Foligno (1511-12, Musei Vaticani), la Madonna Sistina (1513-14, Dresda, Gemäldegalerie), la Madonna della seggiola (1514, Firenze, Palazzo Pitti), la Trasfigurazione (1518-20), terminata nella parte inferiore da Giulio Romano (Pinacoteca Vaticana), e i ritratti di Baldassarre Castiglione (1514-15, Parigi, Louvre), della cosiddetta Velata (1516 ca, Firenze, Palazzo Pitti), di Leone X (1518-19) e di Giulio II (1512), entrambi agli Uffizi di Firenze.
A Raffaello, divenuto architetto della fabbrica di S. Pietro alla morte del Bramante (1514) e poi (1515) conservatore delle antichità romane, spettano anche i progetti della Cappella Chigi in S. Maria del Popolo, di Villa Madama e di S. Eligio degli Orefici.
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore ca 1490 - Venezia 1576) fu una personalità fondamentale nello sviluppo della pittura veneziana ed europea. Grande colorista, egli portò alle estreme conseguenze la pittura tutto colore, creando un linguaggio che influenzò Tintoretto e altri grandi maestri europei quali Rembrandt, Rubens ed El Greco.
Giunse a Venezia giovanissimo e svolse il suo apprendistato presso Gentile Bellini, ma divenne presto allievo e collaboratore di Giorgione. La sua prima attività sviluppò la pittura di tono (Noli me tangere, Londra, National Gallery; serie delle mezze figure femminili, come la Flora, 1515 ca Firenze, Uffizi). Contemporaneamente s'interessò ad A. Mantegna, A. Dürer e Raffaello, indirizzandosi verso un realismo espressivo grandemente innovativo per la cultura veneta (affreschi per la scuola del Santo a Padova, 1511; serie di ritratti fra cui l'Ariosto, Londra, National Gallery; le prime xilografie), che trova espressione nell'Amor Sacro e Amor Profano (1515, Roma, Galleria Borghese) e nella pala dell'Assunta (1518, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari).
Negli anni seguenti iniziò a lavorare per alcune corti italiane (Ferrara, dal 1519; Mantova, dal 1523; Urbino, dal 1532) e per l'imperatore Carlo V (dal 1530), con una produzione di scene mitologiche (due Baccanali, 1518-19, Madrid, Prado; Venere di Urbino, 1538, Firenze, Uffizi). Vasta anche la sua produzione ritrattistica (serie per Carlo V; Uomo dal guanto, ca 1523, Parigi, Louvre; La bella, 1536, Firenze, Palazzo Pitti), apprezzata soprattutto per la caratterizzazione che infondeva ai personaggi ritratti. Ricerca realistica è ravvisabile in alcune pale d'altare, tra cui la Pala Pesaro (1519-26, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari), che costituisce il punto più alto di evidenza compositiva: Tiziano vi affronta il tema della Sacra Conversazione impostando la composizione non più secondo una visione frontale (come nella Pala di Castelfranco di Giorgione), ma secondo una visione in diagonale a più livelli, disponendo il gruppo con la Vergine e il Bambino in alto a destra, i devoti in basso a sinistra e i committenti (famiglia Pesaro) inginocchiati in primo piano.
Il periodo successivo al 1540, culminato nel soggiorno a Roma (1545-46), rappresentò una svolta nell'opera di Tiziano verso un nuovo tipo di figurazione, altamente drammatica ed emotiva (Ecce Homo, 1543, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Paolo III Farnese con i nipoti Alessandro e Ottavio, 1546, Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte). Nel 1548 fu alla dieta di Augusta al seguito di Carlo V (Carlo V alla battaglia di Mühlberg, Filippo II, 1548, Madrid, Prado), che gli diede il ruolo di primo pittore della corte asburgica. Molto intensa fu anche la produzione di scene erotico-mitologiche (Venere con organista, amorino e cagnolino, o la Danae, in diverse redazioni). Una maggiore penetrazione psicologica caratterizzò invece la produzione ritrattistica (Clarice Strozzi a cinque anni, 1542, Berlino, Staatliche Museen; Il giovane dagli occhi glauchi, detto anche Il giovane inglese, Firenze, Palazzo Pitti).
Per Venezia l'attività di Tiziano fu particolarmente rivolta alla realizzazione di pale religiose come Il martirio di S. Lorenzo (1559, chiesa dei Gesuiti). Tra i suoi ultimi capolavori: L'Annunciazione (Venezia, S. Salvatore); Tarquinio e Lucrezia (Vienna, Akademie der bildenden Künste); L'incoronazione di spine (Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen), che segnano il passaggio definitivo alla fase manieristica, infatti, il grande colorista portò alle estreme conseguenze la pittura tutto colore, creando un linguaggio che era atto a sperimentare nuovi profondi mezzi espressivi. Questo atteggiamento influenzò molto Tintoretto, Rembrandt, P.P. Rubens, El Greco e alcuni altri grandi maestri del suo tempo.
Lorenzo Lotto (Venezia ca 1480 - Loreto 1556) fu pittore che maturò un linguaggio originale caratterizzato da vivace cromatismo e da ricca fantasia.
La sua formazione avvenne tra Venezia e Treviso (1503-06), sulla base di una cultura pittorica dominata dalla figura di Giovanni Bellini, ma sensibile anche ad Antonello da Messina e ad Albrecht Dürer, visibile nella Madonna col Bambino e santi, (1503, Napoli, Capodimonte), nell'Assunta della parrocchiale di Asolo (1506) e nella pala della chiesa di S. Cristina al Tivarone (1507, Treviso). Del 1508 è il primo lavoro per le Marche, il polittico della Pinacoteca di Recanati. Le opere successive del soggiorno marchigiano (Deposizione, 1512, Jesi, Pinacoteca; Trasfigurazione, ca 1513, Recanati, Pinacoteca) dimostrano la capacità dell'artista di servirsi di schemi d'impianto raffaellesco per un racconto volutamente scarno.
Dopo il 1513 iniziò il periodo bergamasco di Lotto, in un ambiente più adatto al suo linguaggio sempre più antiaccademico e anticlassico. Dipinse le pale di S. Stefano (1513-16, ora in S. Bartolomeo), di S. Spirito (1521), di S. Bernardino in Pignolo (1521); gli affreschi con Storie di S. Barbara (1524) nella Cappella Suardi a Trescore e quelli con Storie della Vergine (1525) in S. Michele al Pozzo Bianco; il polittico della chiesa di Ponteranica (1527) e le tarsie lignee con Storie bibliche (1524-32) per il coro di S. Maria Maggiore. Particolarmente intensa fu anche la sua attività di ritrattista, in cui Lotto eccelse per l'acuta penetrazione psicologica del personaggio (Ritratto di Lucina Brembate, 1520 ca, Bergamo, Accademia Carrara; Ritratto di giovane, Venezia, Gallerie dell'Accademia).
In seguito, nonostante le importanti commissioni veneziane (Elemosina di S. Antonino, 1542, SS. Giovanni e Paolo), Lotto continuò a viaggiare tra Venezia, Treviso e le Marche, dove lasciò un'altra serie di capolavori: l'estrosa Annunciazione di Recanati (1527, Pinacoteca), la drammatica Crocifissione (1531) di Monte S. Giusto, la Pala di S. Lucia (1532, Jesi, Pinacoteca), la Madonna del Rosario e santi (1539, Cingoli, S. Domenico).
Antonio Allegri, detto il Correggio (Correggio ca 1489-1534), elaborò un ricco e originale linguaggio pittorico, che contribuì al rinnovamento dell'arte cinquecentesca e lasciò stimoli e suggerimenti anche per il secolo successivo.
Già nelle opere giovanili, ai toni mantegneschi si affiancarono, in una sintesi personalissima, invenzioni chiaroscurali di origine leonardesca (Sposalizio di S. Caterina, Washington, National Gallery; Madonna col Bambino 1524-26, Firenze, Uffizi; Natività 1512, e Adorazione dei Magi, 1518, Milano, Brera).
Lo sviluppo successivo dell'arte del Correggio, caratterizzata da un cosciente classicismo, rende necessaria l'ipotesi di un suo viaggio a Roma intorno al 1518, di poco antecedente cioè alla prima grande realizzazione ad affresco dell'artista: la decorazione della volta della Camera della Badessa di S. Paolo a Parma. La nuova carica vitale del Correggio continua esaltante nell'affresco della cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma (1520-23), che anticipa le soluzioni del barocco.

La sua ultima grande impresa è la decorazione della cupola del Duomo di Parma (1526-30), ma accanto e prima di essa si colloca una ricca serie di opere, fra cui i capolavori più celebri (Madonna di S. Girolamo, 1527-28, e Madonna della scodella, 1530, Parma, Galleria nazionale; La notte 1529-30, Dresda, Gemäldegalerie; Noli me tangere, 1518 ca, Madrid, Prado). Dell'ultima attività del Correggio fanno parte i dipinti commissionati dal duca di Mantova e dedicati agli Amori di Giove; restano il sottile erotismo della Danae (1531-32, Roma, Galleria Borghese), di Leda (1531 ca, Berlino, Staatliche Museen), di Io (1531) e di Ganimede (1530-32, Vienna, Kunsthistorisches Museum).

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