Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

giovedì 11 settembre 2014

Storia III

Verso una nuova civiltà: la nuova società urbana.
1. Il Basso Medioevo (secoli XI - XV) – Il secolo XI mostra una svolta nella storia d’Europa: ha inizio in quell’epoca un progresso che – a differenza dei parziali e temporanei tentativi di rinascita per opera di Giustiniano e di Carlo Magno, tentativi cui segui­rono nuovi periodi di declino – durò quasi ininterrottamente fino ai tempi moderni.
Nell’Alto Medioevo si possono distinguere nell’Europa cinque aree culturali:
·          bizantina
·          musulmana
·          scandinava
·          slava
·          europea.
Mentre il centro dell’iniziativa poli­tica e di propulsione della cultura europea dall’VIII all’XI secolo risiedeva nel regno dei Franchi e nella Germania occidentale, dopo l’XI secolo, la nuova cultura si esprime attraverso più centri e, diversamente da quella feudale, abbastanza omo­genea, si differenzia notevolmente.
Dall’XI secolo inizia il basso Medioevo in cui si manifestano tanti segni di cambiamento radicale nella società, nell’economia, nella cultura, nel modo di vivere e di pensare, che molti studiosi hanno adottato l’espressione autunno del Medioevo, per indicare un lungo periodo che si presenta come il lento tramonto dell’età medievale che si concluse molto dopo, con la nascita dell’Europa moderna.
Per molti aspetti, infatti, il Medioevo non è finito:
·          il sistema feudale, per quanto in crisi ed in trasformazione, rimane alla base dell’organizzazione sociale, militare e agricola;
·          la cultura delle masse rimane ancorata alla visione cristiana del mondo;
·          molti valori ideali, morali, artistici che si sono affermati nei secoli dopo la caduta dell’Impero romano restano costanti.
Altri fattori storici mostrano l’inizio di un’epoca più dinamica, con mutamenti più rapidi:
·          la crisi delle concezioni universalistiche, secondo le quali il Papato e l’Impero sono le due entità politiche e spirituali in cui tutti i cristiani hanno la loro collocazione naturale.
·          lo sviluppo economico delle attività produttive di carattere manifatturiero, dei commerci e dalla nascita di una grande attività bancaria, sostituisce la chiusa economia medievale.
·          le città diventano i motori della crescita, anche demografica, dell’Europa.
Nei primi tre secoli del secondo millennio, le premesse culturali, lentamente elaborate nell’alto Medioevo, danno in ogni campo i loro frutti. Ne deriva una grande civiltà, articolata e coerente nelle sue varie manifestazioni, dalle forme politico-sociali a quelle dell’arte e del pensiero.
Nel basso medioevo l’area culturale latina, la cosiddetta Cristianità, si ampliò ulteriormente e sottrasse al dominio musulmano la Sicilia, gran parte della penisola iberica e, per qualche tempo, anche Gerusalemme e la Terrasanta e il centro di gravità di questo mondo culturale è costituito dalla Francia, dalla Germania re­nana e dall’Inghilterra meridionale. Ivi si trovano i centri di cultura più famosi, come Chartres, Parigi, Orléans, Oxford, Colonia. Ivi, per oltre due secoli, si affer­mano i pensatori prima che altrove e la nuova poesia in volgare.
Successivamente la nuova cultura si espresse attraverso più centri e, diversamente da quella feudale, ancora abbastanza omogenea, andò notevolmente differenziandosi soprattutto nel XIII e nel XIV secolo si manifestarono tanti segni di cambiamento radicale nella società, nell’economia, nella cultura, nel modo di vivere e di pensare, che molti studiosi hanno adottato l’espressione autunno del Medioevo per indicare il lungo periodo che, partendo proprio dal Duecento, si presenta come il lento tramonto dell’età medievale che si concluderà molto dopo con la nascita della società moderna in Europa.
Occorre segnalare la crisi definitiva delle concezioni universalistiche, cioè di quelle idee secondo le quali il Papato e l’Impero potevano e dovevano costituire le due entità politiche e spirituali al cui interno avevano la loro posizione naturale tutti i cristiani.
Nel corso del Trecento il Papato dovette rinunciare definitivamente ad esercitare un controllo sul potere politico che, contemporaneamente, andava assumendo un carattere nuovo e moderno negli Stati nazionali, retti da monarchie, che si formarono in Francia e Inghilterra. Il nome di Impero sopravvisse, ma senza nessun carattere universale, solo per indicare l’insieme di regni, di principati e di città dell’area tedesca ed austriaca che riconoscevano il titolo di imperatore ad un principe che era eletto.
L’altro fattore innovativo fu l’enorme sviluppo delle attività produttive di carattere manifatturiero, dei commerci e dalla nascita conseguente di una grande attività bancaria, segno che l’economia medievale non era più un’economia chiusa, caratterizzata da uno scarso bisogno di moneta e dalla sua limitata circolazione. Le città diventano i motori della crescita, anche demografica, dell’Europa.
L’età compresa tra l’XI ed il XV secolo rappresenta per l’Italia, più vistosamente nelle sue regioni centrosettentrionali, uno dei momenti di maggior splendore, una delle sedi privilegiate, dove si manifestarono più vigorosamente i cambiamenti economici e sociali che portarono all’emergere di nuove istitu­zioni politiche, di nuove forme di attività commerciale, di vita religiosa, di arte e letteratura: in questo periodo la letteratura italiana nacque e fondò saldamente la propria tradizione; questo processo ebbe un punto di svolta decisivo e del tutto eccezionale con la comparsa di tre grandi autori, Dante, Petrarca e Boccaccio che, con le loro opere, superarono molto le esperienze che li precedeva­no e crearono modelli tanto forti che è possibile affermare che con loro nacque la tradizione letteraria italiana con i caratte­ri che la distinguono dalle altre.
A metà del Trecento (1347-48) tutta l’Europa fu sconvolta da un’epidemia di peste che falcidiò la popolazione, fino a dimezzarla in alcune regioni: questo avvenimento spezzò in due il XIV secolo, determinando una crisi, oltre che economica, anche morale, politica, religiosa.
Il 1348, secondo moltissimi studiosi, rappresentò tuttavia l’anno del concepimento dell’uomo dell’età moderna: fu la peste a mettere in moto il cambiamento d’epoca che segnò la fine del Medioevo ed aprì le porte al Rinascimento.
David Herlihy ha dimostrato che, dopo il 1348 non fu più possibile mantenere i modelli culturali del XIII secolo: le gravissime perdite in vite umane causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, avrebbe avuto effetti positivi. Herlihy definisce la peste l'ora degli uomini nuovi: il crollo demografico rese possibile ad una percentuale significativa della popolazione la disponibilità di terreni agricoli e di posti di lavoro remunerativi, i terreni meno redditizi furono abbandonati, il che, in alcune zone, comportò l'abbandono di interi villaggi, le corporazioni ammisero nuovi membri, cui prima si negava l'iscrizione. I fitti agricoli crollarono, mentre le retribuzioni nelle città aumentarono sensibilmente. Per questo un gran numero di persone godette, dopo la peste, di un benessere che in precedenza era irraggiungibile. L'aumento del costo della manodopera favorì un'accentuata meccanizzazione del lavoro così il tardo Medioevo divenne un'epoca di notevoli innovazioni tecniche. David Herlihy cita l'esempio della stampa e delle armi da fuoco: fino a quando i compensi degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era una soluzione soddisfacente per la riproduzione delle opere. L'aumento del costo del lavoro diede il via a una serie di esperimenti che sfociò nell'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg e la stessa evoluzione della tecnica delle armi da fuoco sia da ricondurre alla carenza di soldati.
La Chiesa, cui moltissime vittime dell'epidemia avevano lasciato in eredità i loro beni, uscì dalla peste nera più ricca, ma anche meno popolare di prima. Non era riuscita a dare una risposta soddisfacente al perché Dio avesse messo alla prova l'umanità in maniera tanto dura, né era riuscita ad essere vicina al proprio gregge, quando questo ne aveva maggior bisogno. Il movimento dei flagellanti aveva messo in discussione l'autorità della Chiesa. Anche dopo che questo movimento tramontò, molti cercarono Dio in sette mistiche e in movimenti di riforma, che alla fine distrussero l'unità spirituale dei cristiani.
Secondo alcuni storici della cultura, tra cui in particolare Egon Friedell, la peste nera causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e di universo, scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora, e vede un rapporto causale diretto tra la catastrofe della peste nera e il Rinascimento.
La seconda parte del Trecento è un periodo in cui l’Europa, dopo un momento di regresso stordita dal grave colpo subito, cominciò a risollevarsi, ma le condizioni erano completamente cambiate che la ripresa dello sviluppo determinò la rottura degli equilibri precedenti e il baricentro economico e finanziario, fino allora localizzato nell’Italia centro-settentrionale, cominciò a spostarsi lentamente verso i paesi del centro-nord dell’Europa.
La morte appare come fine naturale di una vita tutta naturale: negli uomini di questa età c'è un'angoscia che il mondo medioevale risolveva religiosamente, svalutando la vita corporea in vista dell'aldilà, si svalutava anche la morte che diveniva un passaggio ad una vita migliore. Per i moderni la morte è invece la fine di tutto.
Questo senso della morte così inteso si ritrova nelle raffigurazioni pittoriche delle danze macabre. Nelle danze macabre sono raffigurati gli scheletri, personificazione della morte, mentre gli uomini sono solitamente abbigliati in modo da rappresentare le diverse categorie della società dell'epoca, dai personaggi più umili, come contadini e artigiani, ai più potenti, come l'imperatore, il papa, principi e prelati. Il soggetto ha la funzione di memento mori e, rispetto ai soggetti apocalittici più diffusi nell'alto medioevo, come le rappresentazioni del giudizio universale, esprime una visione più individualistica della morte e talvolta anche una certa ironia nei confronti delle gerarchie sociali dell'epoca. È importante notare che con il tempo la figura della Morte come agente della volontà divina scompaia, lasciando iconograficamente soltanto i cadaveri, simboli del conturbante richiamo dell'aldilà, laicizzando l'ideale della morte stessa. Questa parentesi però durò poco: a breve, componimenti come La Danza macabra delle donne e La Danza dei ciechi riconsegnano il tema della Danza Macabra al moralismo ed alla sfera religioso-sacrale cristiana.

2. La crisi del sistema feudale e la riorganizzazione politica dell’Europa – Gli Stati attuali derivano dal processo di riorganizzazione dell’Europa che segue al disfacimento del regime feudale. Si tratta di un’organizzazione molto instabile, con guerre frequenti al suo interno e incapace di esprimere un’autorità unica ed un ordine generale.
La massima autorità è l’Imperatore. Il territorio è suddiviso in feudi, ciascuno dei quali è assegnato ad un feudatario, scelto dall’Imperatore. Feudatario ed Imperatore sono legati soltanto da un vincolo personale di fedeltà e lealtà, ma un simile legame è insufficiente a garantire l’unità di potere politico su un territorio tanto vasto. Ciò spiega le frequenti guerre dell’Imperatore contro i feudatari ribelli, per sottometterli alla sua autorità, dei feudatari contro l’Imperatore, per acquistare indipendenza, e dei feudatari fra loro stessi, per sopraffarsi a vicenda.
Inoltre, l’autorità imperiale è contestata dal Papa, che anch’egli cercava di affermare la propria supremazia, nella secolare vicenda della lotta per le investiture [[1]]. La posta in gioco è il potere di scegliere i feudatari e quindi la loro dipendenza dall’Imperatore o dal Papa.
L’Europa si sgretolava così in tanti poteri locali più o meno indipendenti che, nel corso di più secoli e procedendo dal basso, danno un nuovo ordine all’Europa.
L’assenza di un’autorità politica capace di garantire l’ordine permetteva le scorrerie di bande violente che rendevano insicura la vita nelle campagne e nei cen­tri urbani. Allora, un capobanda imponeva con la forza il proprio dominio su un territorio, garantendo la sicurezza e l’amministrazione della giustizia. In cambio, però, esigeva obbedienza ed il pagamento di tributi. In questo modo, si affermava un piccolo centro di potere, capace di garantire quell’ordine che il regime feudale non è in grado di assicurare. Tante signorie, nel corso dei secoli dal XIII al XV, nacquero così, da un capobanda che si imponeva in una città o in contado. Affermata la sua autorità, il nuovo signore contrattava la sua fedeltà con l’Imperatore, strappandogli l’investitura feudale, insieme a poteri e privilegi. L’autorità dell’Imperatore è così umiliata, dovendo egli subire il fatto compiuto.
La stessa cosa avvenne con altri poteri che si venivano affermando localmente. Talora sono le città che si davano un proprio governo libero, spesso dominato dalle corporazioni delle arti e dei mestieri o dei mercanti, oppure sono i grandi monasteri che si arrogavano compiti da feudatari.
L’Europa presentava così una miriade di situazioni diverse, di signorie, di città, di monasteri, di corporazioni che formalmente rispettavano l’Imperatore ma che, sostanzialmente, ne sono indipendenti.
Nel sistema feudale mancavano i tre caratteri propri dell’organizzazione statale (sovranità, impersonalità e giuridicità):
·          nessun potere sovrano è in grado di imporsi ai numerosi poteri particolari;
·          i rapporti di potere sono di tipo personale;
·          sebbene esistesse un complicatissimo sistema di regole giuridiche che determinavano la posizione dei feudatari rispetto all’Imperatore e agli abitanti dei feudi, contavano di più i puri e semplici rapporti di forza.
Proprio da questa situazione comincia la storia della formazione dello Stato moderno. L’ordinamento feudale fu formalmente abolito nel 1648 con la pace di Westfalia, quando fu sancita la fine dell’Impero e del Papato, come autorità politiche europee, e si riconobbe l’autorità suprema dei diversi sovrani nelle loro terre. Ma questa data è solo la presa d’atto di un processo in corso già da molto tempo.

La ripresa dell’agricoltura – La rinascita dopo il Mille – l’anno del terrore per la temuta fine del mondo – prende l’avvio da una decisa ripresa dell’agri­coltura:
· ricerca di nuove terre da coltivare strappandole alle selve e alle paludi;
· maggiore razionalità nelle colture, grazie anche ad una maggior organicità ed efficienza dei grandi complessi fondiari, soprattutto quelli dei monasteri e delle Chiese, ma anche quelli regi e quelli dei grandi feudatari.
La grande contesa per la terra, scatenatasi tra i signori secolari e tra questi e i vescovi e gli abati non contrasta questo risveglio, anzi lo favorisce: la perdita di alcune proprietà spesso spingeva a compensare guadagnando nuove terre alle colture.
La crescita demografica, che ne è a sua volta favorita, contribuisce inoltre ad accelerare il fenomeno: si tratta sia di un au­mento assoluto di popolazione che crea nuovi insediamenti in terre già incolte, sia di spostamenti o concentrazioni.
L’aumento della popolazione ed il migliore tenore di vita nelle curtes signorili e nei mo­nasteri favorirono lo sviluppo della produzione di manufatti e la formazione di schiere più numerose e diversificate di artigiani, cui spettava il compito di fornire prodotti più raffinati e più funzionali alla vita dei castelli, delle abbazie e dei vescovadi; artigiani alla cui opera è tra l’altro affidata la costruzione, l’arredamento e l’abbellimento delle nuove dimore e delle chiese.

I mercanti - Uno dei segni del cambiamento economico-sociale è l’emergere, a metà dell’XI secolo, di una nuova classe, i mercanti che occuparono nella società un posto sempre più rilevante. Inizialmente sono soprattutto negozianti girovaghi che vanno a rifornirsi della merce dov’è abbondante, per portarla dove sapevano di trovarne l’acquirente. Successivamente i mercanti preferiscono appog­giarsi alle fiere che si tenevano periodicamente, quasi sempre in concomitanza con ri­correnze religiose presso monasteri e città.
L’attività del mercante è molto remunerativa, ma gravosa e rischiosa. Per questo i mercanti si univano in gruppi, viaggiava­no in carovane, mettevano in comune dei capitali. Si tratta dapprima di associazioni temporanee, che successivamente danno luogo a istituzioni stabili: nel Nord le gilde e le anse, in Italia le corporazioni.

La ripresa della città - Sotto lo stimolo della generale ripresa economica e di quella degli scambi commerciali che si sono manifestate nella società rurale alla fine del millennio rinasce la città grazie:
· ad una maggiore disponibilità di beni;
· ad una maggiore sicurezza e facilità di trasporti e comunicazioni;
· ad una maggiore circolazione monetaria.
Il processo di fuga, che porta al disperdersi della scarsa popolazione in isolati centri nelle campagne, nei pressi delle abbazie e dei castelli, si inverte.
Le città che hanno rico­struito le mura per far fronte alle razzie degli Ungari, diventano un ricercato luogo di rifugio. I contadini che vi accorrevano vi trovavano inoltre anche la possibilità di un’elevazione sociale ed economica: l’esercizio di un mestiere, oltre a liberarli dalla servitù della gleba, permetteva loro di acquistare benessere e ricchezze. Anche i nobili feudali, principalmente i minori, i valvassori, lasciano i castelli per cercare nella città una forma di vita più confortevole, una partecipazione più diretta alla vita politica, e, nell’associa­zione con i propri consorti, una più forte capacità di resistenza alle richieste dei vassalli maggiori.
La chiusa economia curtense, fondata quasi esclusivamente sul baratto, cede il posto ad un’economia più varia e ricca, caratterizzata dallo scambio mercantile, in base alla quale si produce non più solo per consumare, ma per vendere, e dalla presenza del denaro. Tutto ciò si ripercuote favorevolmente sulle città, che diventano sempre più popolose e più ricche.
Diversamente dalla città romana occidentale, la città medioevale, è un attivo centro di produzione e di commercio e il suo governo è funzionale alle esigenze che ne derivano ed alle quali sono subordinate quelle della campagna.
La ripresa economica riporta la città al centro dell’iniziativa politica.

La società urbana - La rivoluzione economica, conseguente ad una più consistente produzione di beni e ad un commercio sempre più esteso ed articolato, mette in crisi l’or­dinamento sociale preesistente, lo sconvolge, per dar luogo ad una nuova composizione sociale.
La società cittadina è molto più articolata di quella feudale:
· i nobili, riuniti in consorterie;
· il popolo grasso, al di sotto dei nobili, raccolti attorno al vescovo come suo consiglio, costituiva la ricca borghesia, organizzato in arti maggiori che ben presto, sommergendo la vecchia classe feudale, prese nelle sue mani il governo della città per realizzare una politica espansionistica che garantisca la sicurezza delle vie commerciali. I nobili e il popolo grasso sono designati, nel loro insieme, come i magnati;
· il popolo minuto degli artigiani e dei bottegai, riunito nelle arti minori che raramente partecipa alla vita politica della città;
· i nullatenenti, i salariati che restano sempre esclusi da ogni attività politica.

Una nuova istituzione politica: il Comune - I cittadini, divenuti più numerosi, più ric­chi, più istruiti, non accettano più di essere soggetti al vescovo-conte o al feudatario nel cui territorio la città sorge: vogliono prendere il governo nelle loro mani.
Per difen­dere gli interessi comuni contro le pretese del vescovo o del feudatario, si riuniscono in una società giurata, il Comune.
I modi in cui nasce e si sviluppa questa istituzione politica, questa nuova forma di governo repubblicano della città, sono quanto mai vari.
In generale, però, il Comune nasce quale organizzazione privata, quale società giurata, ad opera di nobili minori – i valvassori – che si raccolgono attorno al vescovo-conte, dapprima per coadiu­varlo e successivamente per sostituirlo nel governo della città. È un’associazione che si propone la difesa degli interessi comuni contro le pretese del signore feudale, ricorren­do, se necessario, anche alle armi.
Più tardi entrarono a far parte della società anche i borghesi, a cominciare dai più influenti – commercianti, mercanti, banchieri, notai, me­dici e speziali, ecc. – e l’istituzione si ampliò a poco a poco, assumendosi la responsabi­lità degli interessi di tutta la città, in nome anche di coloro che, di fatto, non partecipavano al governo.
Come uno Stato, il comune si arroga ed esercita i diritti so­vrani:
· fare guerra e pace;
· battere moneta;
· amministrare la giustizia;
· arruolare uomini;
· riscuotere imposte.
Sono diritti che spettavano all’Imperatore che però è troppo lontano e troppo debole per impedirne l’usurpazione.
Le istituzioni comunali si presentarono dapprima nelle città marinare, dove la vita economica rifiorì prima che altrove: Venezia, Genova, Pisa, Amalfi; poi, dalla pri­ma metà del secolo XI, nelle città della Lombardia, del Veneto e della Toscana.
In Italia il Comune restò sempre un’istituzione propria del settentrione e del centro. Nel Meridione, tranne rare eccezioni, la forza del feudalesimo normanno prima e angioino poi non le lasciò spazio per svilupparsi.
a) Le Corporazioni medioevali – Col nome di Arti si indicarono nel Medioevo le Corporazioni [[2]degli artigiani, dei mercanti e in genere di lavoratori raggruppati per categorie.
Sorte attorno alla metà del XII secolo all’interno dei Comuni, le Corporazioni, sono associazioni che riuniscono le varie categorie di artigiani o di borghesi in un solo corpo, dapprima come espressione economica e giuridica di coloro che esercitano le arti e i mestieri, successivamente come strumento politico per esprimere e tutelare i loro interessi nel governo della città. I cittadini, infatti, partecipano alla vita del Comune e alla sua direzione politica non individualmente, ma tramite l’arte di cui sono membri.
Le Arti si davano costituzioni o statuti[3]  che regolano:
· l’esercizio di un’arte o mestiere
· la produzione dei beni, i prezzi, le ore di lavoro, i salari, la qualità dei prodotti,
· l’ascesa, all’interno della stessa arte, dai livelli più bassi (apprendista, garzone) al più elevato (maestro),
· le norme sulle caratteristiche del prodotto e ne fissano il prezzo.
Esse hanno propri magistrati, che facevano da arbitri nelle controversie fra i soci e talvolta rappresentano l’Arte nel governo cittadino.
Quasi sempre le norme delle costituzioni hanno finalità di difesa degli interessi di tutta la Corporazione costituiti a danno di quelli emergenti, e mirano ad ostacolare la concorrenza, creando situazioni di monopolio [[4]].
Chiunque voglia esercitare un mestiere deve registrarsi alla relativa Corporazione, prima come apprendista per imparare il mestiere; poi come socio del padrone dell’azienda; e infine come maestro, ovvero padrone di un’azienda sua personale.
Solitamente le arti si distinguono in
· arti maggiori che raccolgono la cosiddetta borghesia grassa: industriali, ricchi mercanti, banchieri, giudici, notai, medici;
· arti minori costituite da semplici artigiani.
In alcune città le arti maggiori hanno presto parte e privilegi nel governo del Comune, ma in seguito acquistano influenza anche le arti minori, che in alcuni casi, come a Milano alla fine del secolo XII e a Firenze negli ultimi decenni del XIII, rimuovono dal potere le arti maggiori.
Le corporazioni medioevali non sono un fenomeno esclusivamente italiano: esse, infatti, si trovano, con nomi diversi (ad esempio gildeanse) in tutti i Paesi europei che hanno raggiunto un alto sviluppo economico.
b) Le magistrature comunali - Il Comune dà luogo ad una sua struttura politica che, pur diversificandosi nei particolari da città a città, può essere così schematizzata:
· il potere esecutivo è nelle mani dei consoli – che variano di numero a seconda della città – cui compete il fare pace o guerra e lo stipulare alleanze e trattati;
· il potere legislativo tocca ai consigli, costituiti dai cittadini più autorevoli, e, di solito sono due, il consiglio maggiore o generale per gli affari generali e il consiglio minore o di credenza per gli affari riservati;
· il parlamento o arengo, l’assemblea generale di tutti i cittadini, ha il compito di eleggere i magistrati, tra cui i consoli e i consiglieri, e di ratificare le decisioni dei consoli.
Questa struttura originaria si evolve nel senso di ridurre l’importanza dell’assemblea dei cittadini che finisce con lo sparire, lasciando le sue competenze al consiglio maggiore, e di aumentare il numero dei consigli e, in ogni consiglio, dei consiglieri.
La vita dei Comuni è travagliata da perenni lotte interne tra nobili, popolo grasso e popolo minuto, e anche da lotte tra le famiglie più potenti strette in consorterie tra loro nemiche che si appoggiano all’una o all’altra classe. Per mettere fine a queste lotte, ai consoli si sostituisce un podestà, un cittadino chiamato da altra città perché sia al di sopra delle fazioni. Più tardi gli si affianca un capitano del popolo, col compito di tener testa ai nobili e di tutelare gli interessi dei popolani, o, per essere più precisi, delle arti maggiori che ne riuniscono la parte più ricca, il popolo grasso.
In alcuni casi, come a Firenze, esautorati tanto il podestà che il capitano del popolo, il governo è assunto direttamente dalle arti attraverso un collegio di rappresentanti delle organizzazioni artigiane, i priori delle arti.


CLXXIII
Orlando sente che la morte lo invade,
dalla testa sul cuore gli discende.
Sotto un pino se ne va correndo,
sull’erba verde s’è coricato prono,
sotto di sé mette la spada e il corno.
Ha rivolto il capo verso la pagana gente:
l’ha fatto perché in verità desidera
che Carlo dica a tutta la sua gente
che da vincitore è morto il nobile conte.
Confessa la sua colpa rapido e sovente,
per i suoi peccati tende il guanto a Dio.
CLXXIV
Orlando sente che il suo tempo è finito.
Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;
con una mano s’è battuto il petto:
“Dio! Mea culpa, per la grazia tua,
dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,
che ho commesso dal giorno che son nato
fino a questo giorno in cui sono abbattuto!”.
Il guanto destro ha teso verso Dio.
Angeli dal cielo sino a lui discendono.
CLXXV
Il conte Orlando è disteso sotto un pino,
verso la Spagna ha rivolto il viso.
Di molte cose comincia a ricordarsi,
di tante terre che ha conquistato il prode,
della dolce Francia, della sua stirpe,
di Carlo Magno, suo re, che lo nutrì;
non può frenare lacrime e sospiri.
Ma non vuol dimenticar se stesso,
proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:
“Padre vero, che giammai smentisci,
tu che resuscitasti Lazzaro da morte
e Daniele salvasti dai leoni,
salva l’anima mia da tutti i pericoli
per i peccati che in vita mia commisi!”.
A Dio ha offerto il guanto destro:
san Gabriele con la sua mano l’ha preso.
Sopra il braccio teneva il capo chino;
con le mani giunte è andato alla sua fine.
Dio gli manda l’angelo Cherubino
e San Michele del pericolo del mare;
insieme a loro venne san Gabriele:
portano in paradiso l’anima del conte.

La risposta dell’Occidente all’Islam: le Crociate - Lo sviluppo economico ed in particolare commerciale delle città e, con esso, lo sviluppo delle nuove istituzioni comunali, sono favoriti da un’importante impresa che segna anche un’estrema occasione per il mondo feudale cavalleresco di conquistare gloria, ricchezza e potere: le Crociate.
Esse sono una tra le più vistose manifestazioni della ripresa del mondo cristiano, che è stato asserragliato in ristretto territorio dall’avanzata araba e che ora, dopo averla bloccata – in Oriente a Costantinopoli nel 718 ed in Francia a Poitiers nel 732 – passava al contrattacco contro l’Islam, rappresentato dai Turchi sostituitisi agli Arabi; e, nel contem­po, favorirono esse stesse questa ripresa, dando incremento ai commerci.
Ne traggono profitto, in particolare, le città marinare italiane: Venezia, Genova, e, sia pure in misura minore, Amalfi, nel frattempo inglobata nel Regno normanno e Pisa. Quando, infatti, i crociati vittoriosi dei Turchi costituiscono in Terra Santa degli stati feudali, le città marinare hanno l’opportunità di stabilirvi eccellenti basi commerciali.
Tutto ciò non deve far dimenticare che le Crociate sono anche l’espressione di un vivo sentimento religioso che fanatizza intere folle, spingendole ad affrontare fatiche immani e rischi. Col procedere del tempo la componente religiosa va scemando e prevalgono gli interessi commerciali e politici.
La più importante delle Crociate è indubbiamente la prima (1096-1099). Essa è bandita da Papa Urbano II per liberare il Santo Sepolcro, l’accesso al quale è divenuto difficile per i pellegrini a causa dell’intolleranza dei Turchi che, nel 1076, si sono sosti­tuiti agli Arabi in Gerusalemme. Alla Crociata partecipano, sotto la guida di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, alcuni grandi feudatari ed uno stuolo di feudatari minori. Sconfitti i Turchi in un seguito di battaglie in Asia Minore, i crociati, nel 1099, liberano Gerusalemme, e fondano nei territori conquistati una serie di stati feudali. La ripresa dei Turchi, che riescono a strappare progressivamente i territori conquistati dai Cristiani, giungendo a rioccupare Gerusalemme nel 1187, dà luogo alle successive Crociate.
Le crociate fallirono il loro scopo originario, la liberazione dei Luoghi Santi dai musulmani. Restano tuttavia un fenomeno storico della massima rilevanza non solo religiosa, ma politica, economico-sociale, culturale.
Politicamente, impegnarono i musulmani contenendone e ritardandone l’avanzata in Europa, e ciò permise lo sviluppo degli Stati centro-occidentali. L’Impero bizantino, a sua volta, pur avendo ostacolato, e non senza ragioni, le crociate, grazie ad esse poté sopravvivere più a lungo, in quanto i Turchi erano il nemico comune suo e dei crociati.
Dal punto di vista sociale, le crociate offrirono infinite occasioni di affermazione ad una feudalità, specialmente minore, che in Occidente tendeva a esaurirsi in una vita angusta e rissosa, senza prospettive di migliori posizioni materiali e spirituali: la cavalleria trovò in Oriente il suo più severo e valido banco di prova. La borghesia, infine, e con essa i ceti più modesti, vide aprirsi dalle armi dei crociati gli orizzonti di un’attività commerciale e di un arricchimento senza precedenti, che costituirono le basi della sua potenza politica. La borghesia delle Repubbliche marinare italiane fu tra tutte la maggior beneficiaria delle crociate: Pisani, Genovesi, Veneziani si assicurarono basi commerciali, privilegi, monopoli e quartieri, logge e fondachi in tutto l’Oriente sempre meno controllato da Bisanzio; fieramente rivali tra loro, si divisero in certo modo le rispettive zone d’influenza, ma non esitarono mai a violarle, in vista del predominio assoluto.
Ai rapporti militari e commerciali si accompagnavano naturalmente i rapporti culturali in senso lato: con le merci (soprattutto merci pregiate: spezie, seterie, metalli preziosi, gemme) passarono dall’Oriente bizantino e musulmano all’Occidente anche codici di classici greci e testi arabi, sia originali, sia derivati da antichi testi greci che in Europa erano sconosciuti o erano andati perduti.
Anche nel campo religioso, gli incontri tra fedi diverse contribuirono a un’apertura più larga e predisposero alla reciproca comprensione e alla tolleranza. E pure rilevanti furono l’allargamento delle conoscenze geografiche e l’ambizione di accrescerle, con nuove e imprevedibili esperienze. Per questi motivi fondamentali, e per molti altri ancora, le crociate, al di là delle intenzioni dei loro protagonisti, furono portatrici di stimoli fecondi allo sviluppo della civiltà europea nel suo complesso e costituiscono quindi una componente essenziale della sua storia.

I Normanni nel Mezzogiorno – L’unificazione del Meridione, che è politicamente diviso tra Bizantini – Calabria, Basilicata e Puglia – Longobardi – ducato di Benevento, poi frazionato nei due principati di Benevento e Salerno e nella contea di Capua – ed Arabi – Sicilia occupata dall’827 al 902, e stanziamenti temporanei in Puglia –, è opera dei Normanni, che, chiamati come truppe mercenarie nelle contese fra i vari stati, nel giro di cento anni (1030-1130), dopo essersi costituito un proprio feudo, riescono ad unificare l’Italia meridionale e la Sicilia, prima in due regni distinti, e infine, con Ruggero II, in un unico regno detto Regno di Sicilia nel 1130.
Nel 1030 il capo normanno Rainolfo Drengot ottenne dal duca di Napoli, per il quale aveva combattuto, la signoria di Aversa, cui si aggiunse quella di Gaeta.
Roberto il Guiscardo, della famiglia degli Hauteville (Altavilla), dopo un periodo di lotta con il Papato, culminato nella vittoria di Civitate nel 1056, ne divenne il principale alleato, sostenendolo militarmente nella lotta per le investiture contro l’Impero. Roberto il Guiscardo conquistò Puglia, Calabria e Campania, mentre il fratello Ruggero, al termine di una guerra durata dal 1061 al 1091, tolse la Sicilia agli emirati arabi di Palermo. Fallì invece il suo tentativo di espansione verso l’Impero bizantino poiché, sbarcato a Corfù e a Durazzo, fu costretto a tornare in Italia per domare una rivolta scoppiata in Puglia e per salvare il papa Gregorio VII da Enrico IV nel 1084.
Nel 1130, ad opera di Ruggero II (1095-1154), nipote del Guiscardo, fu costituito il Regno di Sicilia, che riuniva tutto il Mezzogiorno nelle mani dei Normanni.
Ruggero II emanò una legislazione valida per tutto il territorio, rispettando però anche le norme locali. Il Regno fu diviso in diverse circoscrizioni (giustizierati), ognuna retta da due funzionari (un giustiziere e un camerario) di nomina regia. I maggiori dignitari del Regno, con funzioni di giurisdizione, si riunirono attorno al re nella Magna Curia, primo nucleo di un’amministrazione centrale.
Alla morte del re Guglielmo II nel 1189, alla dinastia normanna subentrò quella sveva, quando l’Imperatore Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa e padre di Federico II, sposò l’erede dei Normanni, Costanza d’Altavilla (1146-1198).

I Comuni e l’Impero degli Staufen [[5]] – Il risveglio delle città ed il costituirsi dei liberi Comuni è stato favorito dalla debolezza dell’Impero di nazionalità germanica dopo la morte di Ottone III nel 1002 ed è stato rafforzato dalla crisi in cui precipitò la Germania che, fu lacerata da un’aspra contesa fra due opposte fazioni a sostegno di due casate rivali.
Si chiamavano Ghibellini i fautori della Casa di Svevia, essi si proclamavano difensori dell’onore dell’Impero perché affermavano la superiorità dell’imperatore sul Papa, sostenuta dal Privilegium Othonis. Si chiamavano Guelfi i sostenitori della Casa di Baviera, fautori della libertà della Chiesa romana, e quindi favorevoli al Concordato di Worms.
a) Federico Barbarossa - Quando, nel 1152, è eletto re di Germania Federico I della casa di Svevia, detto il Barbarossa, il suo programma di restaurazione dell’autorità imperiale trova un ostacolo proprio nei Comuni italiani, gelosi delle autonomie conquistate.
Ristabilita la pace in Germania, Federico decide di ripristinare l’autorità imperiale in Italia, infatti, le difficoltà dell’Impero avevano consentito ai comuni italiani di sottrarsi, di fatto, al controllo politico dell’Imperatore.
Nel 1154 scese in Italia per farsi incoronare imperatore e convocò la Dieta di Roncaglia per condannare la rivendicazione di sovranità dei comuni. È naturale che i Comuni trovino appoggio nel Papato, che vede nell’Impero l’antagonista di cui deve contenere la potenza per mantenere la propria supremazia. Nel 1158 Federico scende una seconda volta e distrugge Crema e Milano che si erano ribellate. Con la distruzione di Milano, dopo un duro assedio nel 1162, i Comuni lombardi si coalizzano a Pontida nel 1167 nella Lega Lombarda,   insieme di 36 città che nellabattaglia di Legnano del 1176 sconfiggono il Barbarossa. Con la pace di Costanza nel 1183 tra l’Imperatore da una parte ed il Papa ed i Comuni della lega lombarda dall’altra, sono i momenti cruciali di questa vicenda: i Comuni videro riconosciuta la loro sovranità.
b) Federico II – La lotta tra Papato e Comuni da una parte, ed Impero dall’altra, si ripresenta con Federico II, nipote del Barbarossa. È l’ultimo tentativo di restaurazione imperiale: i Comuni, costi­tuitisi in una nuova Lega lombarda, sono dapprima battuti nel 1237 a Corte­nuova, poi sconfissero a loro volta le truppe imperiali a Parma nel 1248 e a Fossalta nel 1249, dove è catturato lo stesso figlio di Federico, Enzo.
L’imperatore non rinunciò a preparare la propria rivincita, ma morì improvvisa­mente proprio mentre stava riunendo un grande esercito in Puglia nel 1250.
c) Guelfi e ghibellini – Alle lotte tra i Comuni e l’Impero si intrecciano, a creare uno stato quasi permanente di guerra, le lotte per assicurarsi le vie di traffico e il monopolio dei mer­cati. A queste lotte esterne si accompagnarono, a rendere più inquieta e turbolenta la vita cittadina, le contese interne tra opposte fazioni, rappresentanti di interessi diversi: nobili e cives (= mercanti, borghesi), magnati e arti minori, ceti privilegiati e popolani esclusi dal governo.
La lotta tra Papato e Impero fornisce alle parti avverse la possibilità di scegliersi un alleato tra i due grandi contendenti per prevalere sugli avversari. Questo è l’effettivo significato della contrapposizione tra guelfi(sostenitori del Papa) e ghibellini (sostenitori dell’Impero) che caratterizza le lotte del XIII e XIV secolo.
La scomparsa di Federico II non riportò la pace, in quan­to la lunga lotta tra impero e Comuni aveva esasperato i contrasti tra le città e tra le opposte fazioni dei guelfi e dei ghi­bellini, che continuarono a combattersi, cercando l’appoggio ora del papato, ora dell’impero.
d) La crisi dell’Impero – I tempi sono cambiati: quando, 60 anni dopo la morte di Federico II, Dante auspica la restaurazione dell’Impero ad opera di Enrico VII, «il grande Arrigo», esso in realtà è finito per sempre: l’unità politica europea su cui si fondava la pretesa di universalità dell’Impero cede il posto ad una pluralità di forti Stati nazionali, che vanno costituendosi sotto la guida di monarchie assolute come Francia, Spagna e Inghilterra.
Il fallimento dell’impresa di Enrico VII, sceso in Italia nel 1308 per porre pace e restaurarvi l’autorità imperiale e la sua morte nel 1313, sono l’espressione concreta del definitivo declino di questa istituzione medioevale, che tuttavia durerà, almeno formalmente, fino al 1806.

La teocrazia di Innocenzo III – Nella lotta con l’Impero, il Papato ha rafforzato la sua posizione politica: lo Stato della Chiesa, che ha avuto le sue modeste origini dalla donazione di Liutprando, è divenuto un vasto territorio che tagliava a metà la penisola, estendendosi dall’Adriatico al Tirreno.
a) Innocenzo III – Con l’ascesa al soglio papale di Innocenzo III (1160-1216) riafferma il potere papale, affermandosi come teorico della teocrazia pontificia, in linea con le idee di Gregorio VII che voleva il papato al di sopra di qualsiasi autorità politica esistente. Promosse la IV Crociata nel 1202, stimolò la cristianizzazione nei Paesi baltici, favorì la riscossa degli Stati cristiani della Spagna.
Condusse una politica di arbitrato della Chiesa in Francia con Filippo II Augusto, in Spagna, Portogallo, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Svezia e Danimarca. In Germania riconobbe imperatore Ottone di Brunswick, ma in seguito lo scomunicò, dichiarandolo deposto dalla sua carica ed eleggendo al suo posto il pupillo Federico, figlio del defunto imperatore Enrico VI. Scomunicò anche Giovanni Senza Terra, re d’Inghilterra, alleato di Ottone, ma in seguito lo investì del trono inglese come di un feudo papale.
In campo religioso iniziò la riforma della Curia romana, curò la formazione dei vescovi e ne rafforzò l’autorità, promosse la riforma dei monasteri, favorì il sorgere di nuovi ordini dediti alla cura dei poveri e dei malati e seguì con favorevole interesse il sorgere dell’ordine domenicano e dell’ordine francescano, promulgò una vasta e importante legislazione canonica. Fu anche autore dell’importante trattatello mistico De contemptu mundi, dello scritto De sacro altaris mysterio e di numerosi Sermones.
b) Le nuove eresie medievali – Al rafforzamento politico del Papato si accompagna un’azione decisa contro le eresie che possono minare l’unità del mondo cattolico. Innocenzo III si mostra inflessibile verso i movimenti ereticali, lottò in Francia contro i valdesi, i catari, gli albigesi (1208) contro i quali bandì una crudele crociata.
Gli Albigesi, diffusi in Provenza, che sono oggetto di una vera e propria Crociata che porta, fra il 1209 ed il 1229, distruzione e morte in quel fiorente paese. Lo stesso Innocenzo III si avvale, per combattere gli eretici, dell’Inquisizio­ne, un tribunale ecclesiastico che, per la crudeltà dei mezzi adottati, è rimasto tristemente famoso.
Nel 1215 convocò a Roma il IV Concilio Lateranense (XII Ecumenico), che condannò il catarismo e precisò la dottrina dei sacramenti.
c) I nuovi ordini religiosi – Con altri mezzi, più consoni allo spirito religioso, cercano di reagire alle eresie e contribuiscono al rafforzamento della fede i fondatori di due ordini religiosi, San Francesco d’Assisi (1182-1226) e San Domenico di Guzmàn in Spagna (1170-1222), che, con la predicazione e l’esempio di una vita cristiana improntata all’amore per il prossimo, cercano di fronteggiare la violenza che insanguinava le città, travagliate da continue guerre e da lotte intestine.
d) I domenicani – L’ordine di frati predicatori (Ordo Praedicatorum) fu fondato da San Domenico nel 1206. I domenicani si posero fin dall’inizio come compiti principali quelli della predicazione e dello studio; la loro attività culturale e d’insegnamento è stata ed è accuratamente organizzata e di notevole livello. Approvato da papa Onorio III nel 1216, l’ordine prese forma definita in due Capitoli Generali (supremo organo legislativo dell’ordine) tenutisi a Bologna nel 1220 e 1221; rapidamente le comunità domenicane si moltiplicarono in tutta Europa, estendendosi presto anche all’Asia. Durante il Medioevo l’ordine, organizzatosi presso la maggioranza delle università, fornì molti fra i maggiori pensatori europei; l’adattamento delle dottrine di Aristotele alla filosofia cristiana fu compito svolto in misura notevole dai domenicani, e particolarmente da Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. Il papato affidò ai domenicani compiti di grande rilievo, come la predicazione delle Crociate, la riscossione dei tributi, il compimento di missioni diplomatiche; generalmente erano membri dell’ordine a formare i tribunali della Inquisizione.
e) I francescani – Ordine religioso mendicante (Ordo fratrum minorum, abbreviazione O.F.M.), fu fondato nel 1209 da Francesco d’Assisi che dettò per esso una breve regola, approvata verbalmente nel 1210 da papa Innocenzo III e ufficialmente da Onorio III nel 1223. A questo primo ordine si affiancarono contemporaneamente il secondo ordine femminile delle clarisse e il terzo ordine dei laici, o terziari francescani. Il fondamento ideale dell’ordine era costituito dalla vocazione a una vita di povertà evangelica e di predicazione, secondo il modello di Gesù e degli apostoli: non solo ogni singolo membro dell’Ordine dei Frati Minori Francescani doveva essere povero, ma, a differenza dei più antichi ordini monastici, l’ordine stesso nel suo complesso doveva rinunciare a ogni possesso. Una stabile organizzazione venne elaborata secondo un rigido schema gerarchico: un generale (minister generalis, eletto ogni 12 anni) alla guida dell’ordine; alle sue dipendenze i provinciali (ministri provinciales, sovrintendenti alle province) e sotto di questi i custodi (sovrintendenti alle custodie, in cui si ripartirono le province) e i guardiani (superiori dei conventi). Resa stabile da una tale saldezza organizzativa, la diffusione dei francescani fu molto rapida in ogni parte d’Europa: nel 1217 già erano presenti in Francia e dal 1221 in Germania, mentre, con l’avvento dell’età moderna, presero parte in misura assai rilevante alle missioni cattoliche. Tipico della diffusione dell’Ordine dei Frati Minori Francescani fu, a differenza dei precedenti ordini monastici, l’insediamento prevalentemente urbano. Altro fenomeno importante fu la presenza francescana nel mondo della cultura medievale, in specie nelle maggiori università europee, come quelle di Parigi e di Oxford: tra il sec. XIII ed il XIV si svilupparono scuole teologiche francescane cui spetta un posto di grandissimo rilievo nella storia della filosofia scolastica, e che ebbero quali esponenti del proprio pensiero filosofi come, Bonaventura di BagnoregioRuggero BaconeGiovanni Duns ScotoGuglielmo di Occam.

Il declino del Papato - Dopo la morte di Federico II nel 1250, il Papa, favorendo il fratello del re di Francia, Carlo d’Angiò, nella conquista del regno di Sicilia nel 1266, regno che comprendeva anche l’Italia meridionale, sventa il rinnovarsi del pericolo che ha rappresentato per lo Stato pontificio l’unione della corona imperiale e di quella di Sicilia nella persona di Federico II.
Nonostante questo successo politico, anche il Papato, come già l’Impero, vede declinare la supremazia che sembrava aver conseguito ai tempi di Gregorio VII (1073-1085) ed Innocenzo III (1198-1216). Inutilmente Bonifacio VIII Caetani (1294-1303) riafferma la supremazia del pontefice nella Bolla Unam Sanctam.
La stessa ragione che ha portato al declino dell’Impero segna quello del Papato: il costituirsi di nuove forze politiche, le monarchie nazionali, alle quali le due istituzioni che hanno dominato la scena nel Medioevo non sono più in grado di tener testa.
a) Bonifacio VIII – Bonifacio VIII fu un intransigente sostenitore del primato spirituale e temporale dei papi alle soglie di un periodo che avrebbe segnato al contrario la decadenza della Chiesa medievale. Alle aspirazioni di rinnovamento religioso delle correnti escatologico-spiritualistiche oppose dapprima una politica di repressione e quindi di integrazione. In Italia sostenne la propria supremazia con diverse intromissioni nei conflitti che agitavano Stati e città della penisola, interventi destinati comunque al fallimento o ad effimeri successi.
Lo scacco della politica di Bonifacio VIII apparve evidente e definitivo sulla scena internazionale, in particolare nella lotta che lo oppose a Filippo IV di Francia: al divieto di tassare gli ecclesiastici imposto dal papa, Filippo rispose con un rifiuto e, al rinnovato appello del papa all’obbedienza, il re francese oppose la deliberazione degli Stati Generali per la prima volta riuniti nel 1302 che negarono la supremazia pontificia sulla monarchia. La bolla Unam sanctam del 1302 di Bonifacio VIII, dove è tra l’altro affermata la necessità della soggezione al papa per l’ottenimento della salvezza, fu l’ultimo, vano tentativo di ristabilire l’assoluta supremazia temporale del papato: nel 1303 Guglielmo di Nogaret, inviato di Filippo, arrestò di Bonifacio VIII ad Anagni e, per quanto una sollevazione popolare ottenesse l’immediata liberazione del papa, che un mese dopo moriva, questo episodio segnò l’effettiva sconfitta delle pretese di Bonifacio VIII e, con esse, dell’ideologia teocratica medievale ormai superata dall’affermarsi della nuova realtà degli Stati nazionali.
b) La Cattività avignonese – La subordinazione del pontefice al re di Francia e il trasporto della sede pontificia da Roma ad Avignone con Clemente V de Got nel 1305, per sottrarla ai disordini che travagliavano la città, sono l’espressione più vistosa di questo declino.
La Cattività avignonese dura fino al 1377. I sette papi di questo lasso di tempo furono tutti francesi. Nel 1367, Urbano V riportò la sede papale a Roma, ma solo per un breve lasso di tempo. Tre anni dopo si era di nuovo ad Avignone. Fu eletto Gregorio XI. Gregorio fu l’ultimo papa francese e avignonese: con lui il 17 gennaio del 1377 la sede papale tornò stabilmente a Roma.
c) Il Grande scisma d’occidente – Alla morte di Gregorio, ebbe luogo il Grande scisma d’occidente: mentre in Francia il papa era Clemente VII, a Roma c’era Urbano VI. Nei successivi concili, il problema non fu risolto; e anzi, dopo quello del 1409 di Pisa, i papi diventarono addirittura tre. Solo al termine del concilio di Costanza (1414-1418) in cui furono ritenuti non validi i tre papi esistenti, e durante il quale sarà eletto Martino V nel 1417 si avrà un papa solo per tutta la cristianità, e non più due o tre.

Il Mezzogiorno angioino – L’instaurarsi della dinastia angioina nel Sud segna sulla distanza il declino del Mezzogiorno, che, sotto gli Arabi, i Normanni e gli Svevi, ha conosciuto momenti di grande floridezza e splendore.
Palermo, che Federico II ha scelto come sede della sua corte, è, come già sotto la dominazione araba, una delle città più ricche e colte d’Europa.
Nel 1250 muore Federico II lasciando erede dell’impero, del Regno di Sicilia e di Gerusalemme il figlio Corrado IV; vicario in Sicilia e in Italia il figlio naturale Manfredi. Essendo Corrado IV impegnato in Germania nel tentativo di farsi riconoscere imperatore, Manfredi amministrò l’Italia in modo autonomo ed alla morte di Corrado IV nel 1254 e alla notizia falsa, della morte dell’erede al trono Corradino, si fece proclamare re di Sicilia nel 1258).
Il 26 febbraio 1266 Manfredi fu sconfitto a Benevento da Carlo d’Angiò che, s’impadronì di tutto il Mezzogiorno e vi insediò feudatari francesi. Incoronato re di Napoli Carlo d’Angiò spostò la capitale da Palermo a Napoli la vecchia capitale sarebbe stata per lui troppo decentrata.
Carlo d’Angiò sempre assillato dal bisogno di danaro fu costretto ad imporre imposte e balzelli. Essendo esenti dalle nuove imposte nobili, provenzali ed ecclesiastici, il peso di questo regime fiscale finiva col cadere quasi completamente sulle spalle del ceto medio e del popolo generando malcontento e causando tumulti come la rivolta dei Vespri siciliani del 1282 e la guerra ventennale che ne segue, la Sicilia passa alla casa d’Aragona, restando l’Italia meridionale agli Angioini con la pace di Caltabellotta del 1302.
A Carlo I successe Carlo II, e a questi il figlio Roberto che fu chiamato “il più saggio tra i cristiani” e il “pacificatore d’Italia”. Roberto, capo del partito guelfo ebbe interessi nel campo letterario ed artistico che lo spinsero a contornarsi delle migliori menti del suo tempo ed a chiamare a Napoli gli artisti più quotati, i letterati e gli scienziati più famosi per lo Studio Generale.
L’egemonia in Italia della casa d’Angiò guidò anche la politica del re Roberto d’Angiò (1309-1343) che si presentò come il sostenitore delle forze nazionali contro le interferenze tedesche, come il pacificatore della penisola, ottenendo il consenso di artisti, poeti e studiosi. La corte di Napoli divenne sotto di lui, uomo sensibile e colto, un fiorente centro di attività intellettuale. Vi si formò un’importante scuola giuridica, vi operarono pittori come Giotto e Simone Martini, vi soggiornarono poeti e scrittori come Petrarca e Boccaccio.
Questa fastosa apparenza tuttavia celava una grave crisi interna. Il potere della corona era limitato dalle tendenze anarchiche dei baroni, tendenze che Roberto d’Angiò si sforzò di contrastare concedendo altre terre, detratte dal patrimonio demaniale, e altri privilegi, con il risultato di diminuire le entrate e le prerogative della monarchia.
D’altronde questa non aveva la possibilità di appoggiarsi sul ceto borghese, debole economicamente e compresso nei privilegi della nobiltà e del clero. Nel regno di Napoli avveniva allora un processo inverso a quello che era in atto negli stati europei: la corona anziché combattere la nobiltà con l’aiuto della borghesia aveva scelto la via del compromesso; in questo modo fra il XIV secolo e la fine del XV secolo la feudalità ben lungi dall’essere un’articolazione periferica del potere statale, come era al Nord, era una classe potente e ricca, che deteneva nelle proprie mani la vita economica di paesi e villaggi.
Un altro motivo di crisi del Regno era rappresentato dalla massiccia presenza nella sua vita economica di forestieri, in particolare Fiorentini e Catalani, che si accaparrarono ogni tipo di posti e di favori, facendo spesso prevalere interessi estranei a quelli locali.
Una rigida struttura feudale, importata dalla Francia invece di creare condizioni adatte all’affermarsi di attività mercantili e finanziarie e dello svilupparsi della borghesia, andava soffocando e spegnendo quei centri e quelle correnti di attività commerciale e marinara che dal tempo delle repubbliche marinare, fino in pratica all’insediamento degli Angioini avevano assicurato al Mezzogiorno della penisola una notevole prosperità economica. Questo processo di diffusione del feudalesimo sotto il dominio angioino avveniva proprio nel periodo in cui le città dell’Italia centrale e settentrionale erano le protagoniste del grande sviluppo commerciale e finanziario realizzato dall’Europa centro-occidentale. Si creava così una situazione di arretratezza della parte meridionale della penisola italiana rispetto a quella centrale e settentrionale, una frattura fra questa e quella, nello sviluppo economico e politico che si sarebbe sempre più definita ed aggravata nei secoli successivi.
La crisi del Regno di Napoli si manifestò pienamente alla morte di Roberto d’Angiò cui successe la nipote Giovanna. Fu sotto il regno di Giovanna I (1343-1382) che lo stato napoletano apparve in piena disgregazione in balìa di forze e sovrani stranieri, lacerato dai contrasti e dall’anarchismo della feudalità. Per lunghi anni arse un’aspra guerra tra Angioini e Durazzeschi. Nella guerra entrò a far parte ad un certo momento Alfonso V d’Aragona, re di Aragona, Sardegna e Sicilia.

Le Signorie – Nella seconda metà del XIII secolo quasi ovunque gli ordinamenti comunali si trasformarono in signorie, cioè l’effettivo esercizio del potere passò nelle mani di un solo individuo (il dominus o signore) che inizialmente fu il rappresentante delle forze borghesi che si erano affermate vittoriosamente. Il passaggio al regime signorile si attuò diversamente nelle varie realtà cittadine italiane ed in alcune non rappresentò che un episodio saltuario.
Le Signorie fecero la loro comparsa dap­prima nell’Italia settentrionale, e precisamente nel Veneto e nella Lombardia, dove più precoce e ricca era stata la fioritura dei Comuni.
a) Il sorgere delle Signorie – Le lotte intestine tra fazioni opposte (nobili-popolani; guelfi-ghibellini), che dilaniavano quasi ininterrottamente le città, portarono alla morte delle istituzioni comunali e della libertà.
Il desiderio di ordine e di pace favorisce l’ascesa di uno dei nobili appartenenti alle famiglie con maggior seguito, al quale si affidò il governo, la Signoria, della città, dapprima per un tempo determinato (di solito per un anno, a volte anche per cinque), poi a vita.
Si sostituiva così, ad una repubblica corporativa, una dittatura personale, anche se in più casi continuavano a sopravvivere formalmente intatte le magistrature comunali, che il signore affidava ai suoi fedeli, ed il cui compito si riduceva alla ratifica dì quanto egli ha già deciso.
b) La Signoria e lo Stato moderno – La Signoria, se può essere considerata un’involuzione perché segna la scomparsa della partecipazione dei cittadini al governo, rappresentò senz’altro un progresso per più versi. La concentrazione dei poteri in mano di un solo pose fine alle lotte intestine con van­taggio della prosperità economica. È favorita, per la stessa ragione, la capacità espan­sionistica degli stati cittadini più forti, che riescono così a costituire degli stati regionali in grado di fronteggiare, almeno inizialmente, le monarchie nazionali che si vanno formando fuori d’Italia. Infine, mentre nel Comune i cittadini godevano di una diversa capacità politica secondo la classe o la corporazione di appartenenza, di fronte al si­gnore essi sono tutti eguali, benché tutti sudditi sprovvisti di potere politico. Il signore è, in ultima analisi, un sovrano assoluto che assomma nelle sue mani tutto il potere e la cui volontà è la fonte di tutte le leggi.
In questo senso esso è la prima appa­rizione in Europa dello stato moderno, cioè dello stato che non riconosce al di sopra di sé nessun’altra volontà o condizionamento, a differenza dello stato feudale in cui il sovrano è limitato dal potere superiore della Chiesa e dalle immunità dei feudatari.
c) Milano – Dopo la battaglia di Cortenuova a Milano si affermò Pagano della Torre, feudatario appartenente a una famiglia da tempo residente nella città. L’arcivescovo Ottone Visconti, che guidava l’opposizione nobiliare ghibellina, sconfisse i Della Torre in battaglia nel 1277 e si fece proclamare signore. Il nipote Matteo (1250-1322) estese i domini milanesi al Monferrato aprendo nuove possibilità ai mercanti e agli artigiani e trasformando Milano in una grande città manifatturiera e commerciale.
Il potere fu ripreso dai Della Torre nel 1302 e i Visconti lo riconquistarono stabilmente nel 1329 e primeggiarono nelle figure dell’arcivescovo Giovanni (1290-1354) e di Gian Galeazzo (1347-1402). Nella prima metà del XIV secolo cominciò l’espansionismo della Signoria viscontea. Dopo la lotta contro Mastino della Scala, i Visconti ottennero Brescia che si aggiunse ai domini su Como, Vercelli, Pavia, Lodi, Piacenza, Cremona, Crema e Bergamo. Giovanni Visconti (1349-1354) si impadronì di Parma, Alessandria, Tortona, Bologna e Genova. I suoi nipoti Galeazzo, Bernabò e Matteo persero Genova e Bologna.
d) Firenze – Nel XIII sec. Firenze era uno dei maggiori centri economici italiani ed europei i cui mercanti esercitavano soprattutto il commercio della lana ma erano spesso impegnati anche in attività bancarie (nel 1252 fu coniato il fiorino d’oro, che si affermò come moneta per i mercati internazionali). In campo amministrativo assunse importanza sempre maggiore la borghesia delle arti (vi erano 7 arti maggiori, 5 medie e 9 minori). Nel 1282 si costituì il governo dei Priori delle arti, formato da sei priori che affiancarono e poi sostituirono i magistrati precedenti. Nel 1292 gli Ordinamenti di giustizia, voluti da Giano della Bella, esclusero i magnati dal governo riservando le magistrature e i consigli solo agli appartenenti alle arti minori o mediane. In seguito fu concesso ai magnati di partecipare all’amministrazione cittadina purché si iscrivessero a un’arte (fu il caso di Dante Alighieri che si iscrisse all’arte dei medici e speziali).
Tra il XIII e il XIV sec. i regimi signorili furono soltanto transitori.
Firenze fu percorsa da lotte intestine tra famiglie rivali, ordinate negli schieramenti guelfo e ghibellino. Dopo transitori periodi di regime signorile Firenze entrò in conflitto con lo Stato Pontificio per non aver aderito alla Lega antiviscontea, conflitto che ebbe ripercussione sulla vita civile, portando al cosiddetto tumulto dei ciompi (dal nome dei cardatori di lana detti ciompi) nel 1378. I ciompi (scardassatori e lavoratori dell’industria laniera) si sollevarono contro la borghesia e nominarono un loro gonfaloniere, Michele di Lando. La classe dirigente dovette costituire nuove arti (tintori, farsettai, ciompi) ed ammettere al governo i loro rappresentanti. Indeboliti internamente dalla defezione dei tintori e dei farsettai e abbandonati da Michele di Lando, i ciompi furono estromessi dal potere che passò nelle mani di poche famiglie di grandi commercianti e banchieri, come gli Albizzi e gli Strozzi, per passare nella seconda metà del XV sec. in quelle della famiglia de’ Medici.
e) Venezia – Diversamente che a Firenze, a Venezia le arti non ebbero mai funzione politica; inoltre non era mai esistita nemmeno una nobiltà feudale che potesse contrastare i mercanti. Il problema dei mercanti veneziani fu quello di limitare i poteri del doge, il magistrato di origine bizantina, e nello stesso tempo di impedire l’ascesa di nuove classi. Dopo aver creato organi che limitavano il potere del doge ed eliminato l’assemblea popolare, nel 1297 (la cosiddetta “serrata del Maggior Consiglio”) fu stabilito che potessero fare parte del Maggior Consiglio (l’organo che dal 1172 eleggeva il doge e aveva funzioni legislative) solo coloro che vi avevano fatto parte negli ultimi 4 anni o appartenessero a famiglie i cui membri ne avessero fatto parte (l’aggregazione di nuove famiglie fu permessa secondo rigide norme di procedura). Due tentativi di instaurare la Signoria furono facilmente stroncati e si istituì il “Consiglio dei Dieci”, col compito di prevenire ogni attentato all’oligarchia.
f) Altre Signorie – Nelle altre città italiane alcune Signorie si formarono su base podestarile, altre come vicariato imperiale, altre ancora per dedizione a un signore forestiero. Le principali sorsero a Verona (Della Scala), a Padova (da Carrara), a Ferrara (d’Este), a Mantova (Gonzaga), a Treviso (da Camino), a Ravenna (da Polenta), a Urbino (da Montefeltro).
g) Le compagnie di ventura – L’ascesa del signore, che di norma si appoggiava alle forze popolari per contrastare e spazzare l’opposizione dei nobili suoi avversari, gelosi delle proprie prerogative, è favorita dall’uso invalso di ricorrere a soldati mercenari, le co­siddette compagnie di ventura, per combattere le continue guerre, alle quali i cittadini cercavano di sottrarsi. Per svolgere indisturbati le proprie attività produttive, per non correre i rischi del combattimento e per sottrarsi alle fatiche e ai disagi della vita militare, essi preferivano pagare un tributo, con il quale il Comune prima e il signore poi assoldavano milizie mercenarie.
Queste, in mano al signore, costituiscono un poten­te strumento per realizzare una politica indipendente dal consenso dei cittadini e, per fronteggiare la loro eventuale opposizione e tenere a freno i malcontenti.
Nei confronti delle compagnie di ventura, considerata una delle piaghe del tempo, si leva­rono voci di politici e anche di poeti, come Petrarca.
h) La polverizzazione politica della penisola – In Piemonte non sorsero Signorie di rilievo: è il campo di espansione dei Visconti, mentre si protraevano forme feudali di governo grazie alla potenza dei Savoia che hanno inco­minciato ad estendere i loro domini in Italia, e dei marchesi di Saluzzo e del Monferrato.
Nelle città marinare le forme di governo comunale si mantennero più a lungo.
Nell’Italia centrale, mentre Firenze si manteneva a Comune sino a quando, nel 1434, Cosimo de’ Medici ne divenne di fatto il signore, pur senza modificare l’ordinamento preesistente, si costituiscono numerose piccole Signorie, quando la lontananza del pontefice, rifugiatosi ad Avignone, favorisce il disgregarsi dello Stato pontificio.
È una situazione di vera e propria polverizzazione politica cui si sot­traeva soltanto il Meridione che manteneva ancora una certa unità, anche dopo il di­stacco della Sicilia dal regno di Napoli.
Tale condizione di frazionamento è aggravata dal fatto che anche le Signorie o le Repubbliche maggiori, come Milano e Firenze, non presentavano un’unità territoriale, e spesso le città soggette passavano da un signore all’altro nella ricerca di una migliore difesa dei loro interessi o in connessione con il prevalere di una fazione politica al loro interno. Ne conseguiva uno stato permanente di guerra, in cui i fronti e le alleanze mutavano continuamente.

Le monarchie nazionali - Mentre in Italia si sviluppavano gli Stati cittadini comunali che, evolvendosi in principati, davano luogo a Stati regionali con la conseguente divi­sione politica della penisola, in FranciaSpagna ed Inghilterra si costruivano forti mo­narchie che crearono Stati nazionali unitari [6]. Ciò costituì un elemento di forza che con­sentì loro dì assumere quella posizione di preminenza politica sino ad allora tenuta da­gli Stati italiani.
In Francia l’unificazione nazionale è opera della monarchia capetingia [[7]], iniziata nel 987, ed è il risultato di un lungo processo di smantellamento della grande feudalità francese. La lotta tra monarchia e feudatari è resa più difficile dal fatto che il maggiore dei grandi feudatari è lo stesso re d’Inghilterra, vassallo del re di Francia in quanto duca di Normandia. I sovrani che maggiormente portarono avanti il processo di unificazione sono Filippo II, che a Bouvines  [[8]] nel 1214 sconfisse il re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, e Luigi IX il Santo. La Francia corse il pericolo maggiore quando, all’estinzione del ramo primogenito dei Capetingi [[9]] nel 1328, il re d’Inghilterra Edoardo VIII vantò diritti sul trono francese. Ne segue la guerra dei Cento anni [[10]] (1337-1453) che, dopo alterne vicende, in cui la monarchia francese si vede sull’orlo della sconfitta nella battaglia di Azincourt, del 1415, si concluse con l’integrale riscatto del ter­ritorio nazionale, ad eccezione di Calais rimasta in mano agli Inglesi. Nel momento più grave della lotta è risolutivo a risollevare gli animi dei francesi e le sorti della nazione l’intervento diGiovanna d’Arco, una pastorella che, cinte le armi e dicendosi chiamata da Dio, riuscì a battere gli Inglesi. Fatta da loro prigioniera, è condannata e arsa co­me eretica.
Il processo di unificazione è portato avanti poi da Luigi XI [[11]] (1461-1483) e da Carlo VIII [[12]] (1470-1498). Sotto quest’ultimo re, la Francia è lo Stato più forte dell’Europa del tempo.
Lo Stato unitario spagnolo è il risultato della lotta dei regni cristiani di Spagna contro i Mori, la cosiddettaReconquista [[13]]. L’atto finale dell’unificazione è il matrimonio di Isabella, regina di Castiglia, con Ferdinando II il Cattolico, re d’Aragona, che, uniti, hanno ragione dell’ultima resistenza musulmana a Granada nel 1492.
Dall’unificazione della penisola iberica restava escluso il regno del Portogallo.
Lo Stato unitario inglese ha le sue origini nella conquista dell’Inghilterra ad opera di Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia nel 1066. Si è già detto delle lotte dei re d’Inghilterra contro i re di Francia di cui sono vassalli. La sconfitta subita da Giovanni Senza Terra a Bouvines dà forza alla nobiltà feudale inglese che riuscì a strappare al re un insieme di limitazioni del potere regio fissate nel documento noto co­me Magna charta libertatum del 1215. Questa concessione sarà il punto di partenza per la conquista di quelle libertà che portarono successivamente alla costituzione di un Parla­mento diviso in Camera dei Lord, i rappresentanti della nobiltà feudale, e Camera dei Comuni, i rappresentanti delle città.
È la prima apparizione, sia pure in forme limita­te, di una monarchia costituzionale, cioè dì una monarchia in cui il potere del sovrano è condizionato da quello dei rappresentanti dei sudditi.
La guerra delle Due Rose che contrappose per ragioni di successione la casa di York alla casa dei Lancaster con i rispettivi sostenitori, dissanguò la nobiltà feudale e re­se possibile una svolta assolutistica con la dinastia dei Tudor. Il processo di liberalizzazione riprenderà soltanto nel secolo XVII.
L’Austria, sorta sulle rovine del Sacro Romano Impero di nazio­nalità germanica cui si è cercato di porre fine con la riforma dell’Impero [14], è un altro Stato che, alla fine del Medioevo, acquistò un ruolo di primaria importanza a fianco di Francia, Spagna ed Inghilterra. La sua comparsa nel numero delle grandi potenze si ha con Massimiliano d’Asburgo [[15]], arciduca d’Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero (1493-1519).

L’invenzione della polvere da sparo e della stampa – La vivacità della vita intellettuale e l’ampliarsi degli orizzonti dell’uomo europeo in questo periodo sono testimoniati an­che da alcune invenzioni destinate ad avere una straordinaria importanza nel futuro: l’invenzione della polvere da sparo e quella della stampa.
L’invenzione della polvere da sparo è dovuta a un monaco tedesco, Bertoldo Schwartz, e risale ai primi anni del XIV secolo. In realtà la polvere, una miscela detonante di zolfo, carbone e salnitro, è già nota ai Cinesi e agli Arabi, che l’usavano, i primi per i fuochi d’artificio, i secondi per spaccare le rocce. L’invenzione consistette nella costru­zione di armi appositamente progettate per lanciare, grazie alla forza dirompente di ta­le miscela, dei grossi proiettili a grande distanza. L’efficacia di queste armi tardò a far­si sentire; ma quando, nel secolo XVI, esse divennero più precise e sicure, portarono alla scomparsa della cavalleria feudale pesantemente armata per lasciare posto a fante­rie armate d’archibugio e alla cavalleria leggera. Le innovazioni introdotte dalle armi da fuoco favorirono le monarchie assolute nelle loro lotte contro la nobiltà feudale, perché possono disporre dei maggiori mezzi finanziari richiesti dalla costruzione delle artiglierie e dal mantenimento dei reparti che dovevano usarle. Pertanto la scoperta delle armi da fuoco contribuì, alla lunga, ad accelerare la decadenza politica del mon­do feudale.
L’invenzione della stampa risale al tedesco Giovanni Gutenberg che, verso il 1454, pub­blicò a Magonza dei volumi stampati per la prima volta con caratteri mobili. Questo procedimento facilitava e rendeva più economica la stampa e permetteva di sfruttare meglio, per la riproduzione in molteplici esemplari, la carta che già dal secolo XII ha cominciato a fabbricarsi anche in Europa, portatavi dagli Arabi che ne hanno ap­presa la tecnica dai Cinesi. La combinazione di queste due invenzioni, la carta e la stampa a caratteri mobili, facilitò la diffusione della cultura: i libri non sono più il privilegio dei conventi, degli ecclesiastici e dei principi, ma poterono essere acquistati anche dalla borghesia, rafforzando il processo già in atto della laicizzazione della cultu­ra e contribuendo alla circolazione delle idee.

Le scoperte geografiche - In questo periodo la conoscenza che l’uomo europeo ha del­la Terra si amplia con eccezionale rapidità. Fino alla fine del secolo XIII si può dire che per l’uomo europeo la terra abitata andava dal lontano, nebuloso e quasi mitico Catai, la Cina, o dal Cipango, il Giappone, di cui ha avuto notizia da alcuni missionari o mercanti (Giovanni dal Pian del Carpine tra i primi, Marco Polo tra i secondi), allo stretto di Gibilterra.
La stessa Africa, al di là delle coste settentrionali, è scono­sciuta. La spinta ad ampliare la conoscenza del mondo non venne, come si poteva pensare e come l’episodio dell’Ulisse dantesco suggeriva, da un desiderio di pura conoscenza, ma dall’esigenza dei mercanti europei di trovare una via per l’Oriente (indi­cato genericamente col nome di Indie) che non soggiacesse al monopolio degli Arabi, che controllavano le grandi strade carovaniere attraverso l’Asia Minore.
I primi progetti in questo senso consistettero nella ricerca di una via che circumnavigas­se l’Africa. Su questa strada si sono messi i genovesi fratelli Vivaldi che hanno ol­trepassato lo stretto di Gibilterra nel 1291 ed altri navigatori genovesi che, nel secolo successivo, sono giunti sino alle Canarie e alle Azzorre. Però le iniziative più organi­che sono opera di Portoghesi, sotto lo stimolo del loro re Enrico il Navigatore (1426-1460). Sullo slancio delle prime spedizioni in questa direzione, Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza nel 1486, e Vasco de Gama arrivò a Calcutta nel 1498.
Però quest’ultimo successo parve allora sminuito dal fatto che sei anni prima (12 ottobre 1492) Cristoforo Colombo, al servizio dei re di Spagna, ritenne di essere per­venuto alle Indie per una via totalmente diversa: la via d’Occidente. Convinto della sfe­ricità della Terra grazie agli studi di un geografo italiano, Paolo Toscanelli, egli ha pensato che, veleggiando verso occidente attraverso l’Atlantico, sarebbe giunto al Catai. E quando, dopo un viaggio di circa dieci settimane arrivò all’isola di Guanahànì, nei Caraibi, egli ritenne di essere giunto nell’arcipelago del Giappone; in realtà ha sco­perto un nuovo continente, come dimostrarono i viaggi successivi di Giovanni Caboto, di Vasco Nunez de Balboa e di Amerigo Vespucci dal quale il nuovo continente prese il nome di America (terra Americi, come scrisse allora un cartografo tedesco sul suo atlante).
Già con questi ultimi viaggi, alla spinta originaria (ricerca della via per le Indie) ne è subentrata un’altra: quella di esplorare le nuove terre e di fondarvi colonie, cioè scali commerciali e punti di raccolta delle materie prime. Presto seguirà il disegno di conqui­stare vasti territori per assoggettarli alla madrepatria europea: nasceranno così i grandi imperi coloniali.
Il desiderio di esplorazione guidò alcuni anni più tardi (1519-22) Ferdinando Magellano in un viaggio di circumnavigazione del globo. In poco più di 120 anni l’uomo europeo ha superato le vietate colonne d’Ercole, e acquisito la conoscenza di quasi tutta la Terra.
La scoperta dei nuovi continenti da parte delle potenze europee – dapprima Spagna e Portogallo, poi Olanda, Inghilterra e Francia – deve avere conseguenze di eccezio­nale portata nella storia successiva.
L’europeizzazione del mondo, con la compressione o addirittura la scomparsa delle altre civiltà, ne è una delle più vistose. Le ricchezze che le potenze europee traggono dalle colonie consentirono loro di rafforzare il dominio sulle popolazioni extraeuropee riducendole a quelle condizioni di sudditanza e di subalternità che ancora ai nostri giorni non sono state del tutto rimosse. Il processo di decolonizzazione è stato il primo momento di tale rimozione.
Per l’Italia la scoperta di nuovi continenti segna la fine della posizione di centralità di cui ha goduto fino ad allora.

La rottura dell’unità del mondo cristiano: la Riforma - Frutto dello spirito critico caratterizzante questo periodo è anche la Riforma protestante, il vasto e profondo movi­mento religioso che staccò dalla Chiesa di Roma le popolazioni germaniche e anglosas­soni. Con ciò venne meno un altro dei fondamentali caratteri del Medioevo: l’unità del mondo cristiano.
Il movimento di ribellione partì da un monaco agostiniano tedesco, Martin Lutero (1483-1545), il quale rivendicò al credente il diritto di interpretare le Sacre Scritture se­condo coscienza e non secondo i dettami della gerarchia ecclesiastica.
La predicazione di Martin Lutero potè avere successo e portare al distacco di mezza Europa dalla Chiesa di Roma perché ha l’appoggio dei principi tedeschi. Essi vi trovarono l’occasione politica per contrapporsi all’Imperatore, nei cui confronti volevano affermare la propria autonomia, e, nel contempo, un pretesto per incamerare i grandi beni degli or­dini religiosi che sono soppressi; e infine un modo per interrompere il flusso di denaro che lasciava i loro Stati diretto a Roma, sotto forma di decime e di acquisto di indulgenze.
Il popolo segue i principi e i riformatori perché vede nella riforma l’affermazione della na­zionalità germanica contro quella latina, e perché sperava che il rinnovamento religioso comportasse un rinnovamento sociale, con la costituzione di una società più giusta.
È questa la base della rivolta dei cavalieri (lo strato più basso della classe nobiliare) e di quel­la dei contadini, rivolte che sono entrambe duramente represse dai principi, con l’appro­vazione di Lutero.
Al distacco della Germania da Roma per opera di Lutero seguirono il distacco della Danimarca, quello della Svezia, della Norvegia e dei Paesi Bassi, e, ad opera di Zwingli e di Calvino, di buona parte della Svizzera, e infine dell’Inghilterra ad opera del suo re Enrico VIII.
La riforma protestante riceve notevole impulso dal francese Giovanni Calvino (Noyon, Piccardia 1509 - Ginevra 1564), che con l'Istituzione della religione cristiana del 1536 pose la base dottrinale del calvinismo, centrata sull'idea della sovranità assoluta di Dio, il quale concede la grazia e la salvezza ai prescelti al di là dei loro meriti e secondo criteri insondabili dall'uomo, la cosiddetta dottrina della predestinazione; i prescelti si riconoscono per la fede assoluta e fiduciosa in Dio e nella sua provvidenza e per la severa integrità di vita.
A Ginevra, dove si trasferì, istituì una teocrazia per garantire una rigorosa coerenza tra i principi religiosi e la condotta morale, la cui osservanza doveva essere controllata da membri scelti dalla comunità tra i fedeli di onesta condotta. La Chiesa è la comunità degli eletti, che riuniva i predestinati di Dio alla salvezza e vi sono riconosciuti quattro ministeri (i pastori, i dottori, gli anziani e i diaconi), ai quali è affidato il governo della comunità ecclesiale e civile.
È da rilevare che si staccarono dal cattolicesimo proprio alcune nazioni, come l’Inghilterra e i Paesi Bassi, che, per un concorrere di circostanze favorevoli, svolgeranno un ruolo di primo piano nella storia moderna e in quella contemporanea, mentre alcune tra le nazioni rimaste cattoliche, come ad esempio la Spagna e l’Italia, sono destinate a conoscere nel futuro un periodo di declino.
Di particolare importanza sarà il fatto che la colonizzazione inglese, che darà origine agli Stati Uniti d’America, avverrà ad opera di riformati.

La fine della libertà italiana – Le Guerre d’Italia furono una serie di otto conflitti, combattuti prevalentemente in Italia dal 1494 al 1559, che avevano come obiettivo finale la supremazia in Europa. Furono inizialmente avviate da alcuni sovrani francesi, calati in Italia, per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e poi sul Ducato di Milano. Da locali le guerre divennero in breve tempo di scala europea, coinvolgendo oltre alla Francia, soprattutto la Spagna e il Sacro Romano Impero. Al termine delle guerre la Spagna si affermò come la principale potenza continentale, ponendo gran parte della penisola italiana sotto la sua dominazione diretta (Regno di Napoli, Ducato di Milano, Stato dei Presidii) o indiretta; gli unici stati italiani che seppero mantenere una certa autonomia furono la Repubblica di Venezia e il Ducato di Savoia (legato alla Francia), mentre il Papato, pur autonomo, risultava perlopiù legato alla Spagna dalla comune politica di far prevalere in Europa la Controriforma cattolica.
a) La calata dei Francesi di Carlo VIII – Nel 1492, con la morte di Lorenzo il Magnifico, venne meno il delicato equi­librio politico che egli aveva saputo abilmente conservare tra gli Stati italiani. Ludovico il Moro, resosi di fatto signore di Milano, cercò fuori d’Italia un appoggio militare contro Ferrante d’Aragona, re di Napoli, che minacciava di reintegrare con la forza nei suoi diritti Gian Galeazzo, sposo di una sua nipote ed erede legittimo del ducato di Milano.
E precisamente a Carlo VIII di Francia si rivolse Ludovico il Moro, poiché questo ambiziosissimo sovrano, come erede degli Angiò, poteva vantare qualche pretesa sul regno di Napoli.
Assicuratosi, con ampie concessioni territoriali, la neutralità di Spagna, Inghilterra e dell’impero germanico, nel 1494 Carlo VIII varcò le Alpi con un esercito forte di 30.000 uomini e attraversò, senza alcuna opposizione, tutta la penisola: a Firenze addirittura Piero II Medici consegnò al re straniero le chiavi della città. Giunto nell’Italia meridionale, Carlo non trovò neppure qui alcuna resistenza e si impadronì del regno di Napoli, mentre il re Ferrante II fuggiva.
Solo a questo punto gli Stati italiani parvero rendersi conto del pericolo: si formò una lega alla quale aderirono lo stesso Ludovico il Moro, il papa, Ve­nezia, l’imperatore e il re di Spagna. Il piano era di sbarrare la via alle milizie francesi, impedendone il ritorno in patria: l’esercito della lega affrontò i Fran­cesi nel 1495, mentre stavano valicando l’Appennino, a Fornovo, sul fiume Taro. In questa sanguinosa battaglia, la prima in cui si impiegarono largamen­te le artiglierie, Carlo VIII subì gravi perdite, ma riuscì ugualmente a fuggire e a raggiungere, con gran parte del suo esercito, attraverso le Alpi, la Francia.
b) Francesi e Spagnoli si contendono l’Italia – L’iniziativa del sovrano francese era dunque fallita. Ma per l’assoluta man­canza di un’organizzazione politica e statale unitaria del nostro paese, l’im­presa di Carlo VIII era destinata a ripetersi.
Nel 1499, infatti, il suo successore sul trono di Francia, Luigi XII (1498-1515), calò in Italia, questa volta avanzando pretese sul ducato di Milano, dato che tra i suoi diretti antenati vi era una principessa della casa dei Visconti.
Di fronte alle pretese di Luigi XII e al suo esercito, Ludovico il Moro, ab­bandonato da tutti gli altri Stati italiani preoccupati di non compromettersi con un rivale tanto forte, fu costretto alla fuga.
Impadronitosi del ducato di Milano, Luigi XII si accordò con il re di Spagna Ferdinando il Cattolico per la conquista e la spartizione dell’Italia meridionale; i due potenti eserciti stranieri dilagarono nei territori del regno di Napoli, che cadde interamente nelle loro mani. A vittoria ottenuta, si accese però tra le due potenze, circa la divisione dei territori, un conflitto che durò dal 1501 al 1503 e terminò con la vittoria degli Spagnoli, che si assicurarono così il possesso di tutto il regno di Napoli.
Agli inizi del Cinquecento, due dei maggiori Stati italiani, il ducato di Milano a nord e il regno di Napoli a sud della penisola, cadevano dunque sotto la dominazione straniera.
c) Francesco I - Quando Luigi XII morì, nel 1515, gli succedette sul trono di Francia il giovane Francesco Iil quale si mise subito in luce per il suo coraggio e per le sue capacità militari.
Appena incoronato, egli scese in Italia, dirigendosi rapidamente alla volta della Lombardia, dove gli Svizzeri, cacciato Luigi XII, erano rimasti a difesa del ducato; a Marignano, in un’accanita battaglia durata due giorni e due notti, gli Svizzeri furono sconfitti e costretti a ritirarsi, ma sulla via del ritorno si impadronirono di un lembo del ducato di Milano, e precisamente del territorio denominato Canton Ticino, che da allora in poi fece parte della Confederazione. Forte di questa vittoria, Francesco I strinse patti di pace con i suoi avversari: in particolare, accogliendo una richiesta di papa Leone X dei Medici si impegnò a non contrastare la signoria dei Medici che intanto era stata restaurata a Firenze; con la Spagna, sua principale avversaria, Francesco I concluse nel 1516 il trattato di Noyon, che confermava il possesso della Lombardia ai Francesi e del regno di Napoli agli Spagnoli.
d) Carlo V – Per una felice combinazione di eredità, intanto, si preparava un avvenimento che avrebbe cambiato il volto dell’Europa e avrebbe infranto l’equilibrio che s’era venuto a creare tra Francia e Spagna, confermato dal trattato di Noyon. Nel 1516 moriva Ferdinando il Cattolico, lasciando la corona di Spagna, con gli sterminati possedimenti americani ed i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, al nipote Carlo d’Asburgo, che già aveva ricevuto dal padre Filippo il Bello i Paesi Bassi, cioè il territorio attualmente diviso tra Belgio, Olanda e Lus­semburgo, e la Franca Contea.
Tre anni dopo, nel 1519, per la morte dell’im­peratore Massimiliano, suo nonno paterno, Carlo ereditava anche le terre de­gli Asburgo e i diritti alla corona imperiale, che cinse col nome di Carlo V.
La concentrazione di domini così vasti nelle mani di Carlo V sconvolse l’equi­librio politico europeo e allarmò le altre potenze: più di tutte la Francia, che trovatasi completamente circondata dai possedimenti dell’imperatore, sentì minacciata la sua stessa sicurezza e indipendenza.
L’unica possibilità che aveva la Francia di rompere l’accerchiamento era la guerra: essa si protrasse tra alterne vicende per quasi quarant’anni e all’inizio fu combattuta soprattutto in Italia.
e) La guerra fra Francesco I e Carlo V – Le ostilità furono aperte nel 1521 da Francesco I, ma Carlo V, respinti gli at­tacchi dell’avversario, riuscì ad impadronirsi del ducato di Milano, il cui pos­sesso gli permetteva di unire la Germania alla Spagna attraverso il porto di Genova. Accorso in Italia con il suo esercito, Francesco I fu sconfitto a Pavia nel 1525 e fatto prigioniero. Tradotto in Spagna, fu liberato l’anno seguente solo dopo aver rinunciato a ogni pretesa sul ducato di Milano.
Ma appena tornato libero, il re francese rinnegò l’accordo. Stretta un’al­leanza, lega santa di Cognac, con il papa Clemente VII dei Medici, con Venezia e con i Medici, preoccupati di perdere la propria indipendenza di fronte al di­lagare della potenza spagnola in Italia, Francesco I tentò la rivincita; ma Carlo V inviò in Italia un forte esercito, che, oltre a valorosissimi soldati spa­gnoli, comprendeva i lanzichenecchi, mercenari tedeschi avidi di saccheggio. Sbaragliate, presso Mantova, le forze della lega comandate da Giovanni dalle Bande Nere, nel 1527 l’esercito imperiale prese d’assalto Roma e la mise a sacco. Il pontefice si salvò rifugiandosi in Castel Sant’Angelo e subito do­po si ritirò dalla lotta, seguito in questo da tutti gli altri Stati italiani. 
La guerra continuò ancora per altri due anni tra Francesi ed imperiali fino a quando, nel 1529, preoccupato per la situazione creatasi in Germania a causa della Riforma di Lutero e per l’avanzata turca nei Balcani, l’imperatore de­cise di accordarsi con Francesco I con la pace di Cambrai.
Carlo V si riconciliò poi anche con il Papa dal quale ottenne la promessa dell’incoronazione imperiale; in cambio si impegnò a restaurare a Firenze la Si­gnoria dei Medici abbattuta dal popolo nel 1527, approfittando della situa­zione di debolezza in cui era venuta a trovarsi la famiglia medicea, alla no­tizia del sacco di Roma.
Carlo V poteva così scendere in Italia per raccogliere il frutto delle sue vittorie e, dopo aver ricevuto l’atto di sottomissione di tutti gli Stati italiani, si faceva incoronare imperatore a Bologna a febbraio del 1530.
Di fatto la pace di Cambrai fu solo una tregua di sei anni, dopo di che le ostilità tra Francia e Spagna ricominciarono e si protrassero quasi ininterrottamente sino al 1544.
Dopo che Carlo V ebbe domato l’Italia, la guerra tra Francia e Spagna si allargò. I conflitti di questo periodo furono caratterizzati dal coinvolgimento di altre potenze che diedero loro una portata europea. Francesco I, re cristiano,riuscì ad avere come alleati i Turchi – che con la loro flotta infestavano il Me­diterraneo, spargendo il terrore tra gli abitanti delle coste spagnole e italiane – ed i principi tedeschi della Lega di Smalcalda – alleanza conclusa durante l’omonimo congresso tra sette principi e undici città protestanti della Germania, sotto la guida di Giovanni di Sassonia e di Filippo d’Assia. L’alleanza con i Turchi e quella con i principi tedeschi, luterani dimostrò come il Medioevo, con la sua idea unitaria di cristianità, fosse definitivamente tramontato.
Nel 1544, con la pace di Crépy, si concluse questo periodo di lotte; tre anni dopo Francesco I morì, dopo una vita spesa nell’impegno di opporsi al dilagare della potenza spagnola.
Gli succedette sul trono il figlio Enrico IIma siccome le condizioni della Francia continuavano ad essere quelle di una potenza chiusa in una morsa dai domini di Carlo V, Enrico II riprese la politica del padre, alleandosi, come già aveva fatto il padre, con i Turchi e i principi protestanti dell’impero. Anche questa volta le ostilità tra la Francia e Carlo V si intrecciarono con la lotta dei principi tedeschi, ribellatisi all’imperatore per difendere la loro libertà religiosa.
La guerra si trascinò ancora per alcuni anni senza che tuttavia una parte o l’altra riuscisse a trionfare definitivamente.
Alla pace si giunse per la decisione di Carlo V di accordarsi coi principi luterani, concedendo loro ampie libertà religiose con la pace di Augusta del 1555 e di dividere, abdicando, i possessi degli Asburgo: al figlio Filippo II andarono i domini di Spagna e i Paesi Bassi già degli Aragonesi; e al fratello Ferdinando I il titolo imperiale e i possedimenti austriaci.
Nel 1556, logorato dalle malattie e affaticato dalla continue guerre, Carlo V lasciava il trono e si ritirava a vivere in un convento in Spagna, dove morì qualche anno dopo. Crollava così da una parte per la tenace opposizione della Francia, dall’altra per la ribellione dei suoi stessi sudditi protestanti e per l’ascesa dell’impero ottomano, il sogno imperiale di Carlo V di unire sotto il suo scettro tutto il continente europeo.
Convinto che la causa prima di tante guerre era stata l’immensità del suo dominio, Carlo V, prima di ritirarsi, divise l’impero in due parti: lasciò i pos­sedimenti degli Asburgo e la corona imperiale al fratello Ferdinando; la corona di Spagna con i territori americani al figlio Filippo II, al quale andavano anche i Paesi Bassi e i domini italiani.
Spezzato così l’accerchiamento della Francia, si poté giungere alla definitiva pace di Cateau-Cambrésis del 1559, che conferì all’Italia un assetto che durò praticamente immutato per circa 150 anni.

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