L’Alto
Medioevo – Il termine alto Medioevo è usato nella storiografia
artistica per indicare il lungo periodo intercorso tra le ultime manifestazioni
del tardoantico[1] e le prime espressioni del Romanico, cioè tra il VI e l’XI secolo.
Dopo la caduta
dell'Impero romano d'Occidente,
mentre in Oriente l'Impero bizantino divenne
l'erede della tradizione culturale di Roma, in Occidente l'unità seguita alla
conquista romana si spezzò, per il disgregarsi delle strutture sociali,
economiche e politiche del mondo antico e per l'azione distruttrice dei popoli
invasori.
L'Europa
attraversò una fase assai complessa di frazionamento interno, nella quale emersero
sempre più chiaramente le differenziazioni tra i singoli Paesi, che si avviarono
a porre le basi storiche per il loro futuro costituirsi come entità nazionali.
Le
manifestazioni artistiche di questo periodo non nacquero quindi da un substrato
comune, ma presentavano anzi una tipica mancanza di unità, rivelando apporti e
influssi eterogenei, attraverso i quali tuttavia si giunge alla formulazione di
espressioni formali nuove e originali, che entrarono a far parte del linguaggio
del periodo romanico, quando l'Europa ritrovò uno sviluppo culturale
sostanzialmente unitario.
Le prime
affermazioni originali di un nuovo orientamento artistico sono costituite dalle
opere dei popoli barbarici[2], in cui si
manifesta un gusto per l'intreccio astratto, altamente decorativo, in completa
antitesi con la tradizione figurativa classica.
In Italia questo
trapasso fu particolarmente significativo: l'arte paleocristiana –
nei primi tempi della storia del cristianesimo, fino
al VI secolo, specialmente l'arte fiorita tra i secoli III e VI nei territori
posti sotto il dominio romano – aveva dato vita in tutta la penisola a un
linguaggio artistico abbastanza uniforme, proseguendo la cultura figurativa del
tardoantico, e questa continuità non era stata spezzata dal costituirsi dei
regni romano-barbarici – l'esempio tipico è quello di Ravenna sotto Teodorico – né dalla
riconquista bizantina; fu solo l'invasione longobarda a introdurre nuovi
elementi, che posero fine alla tradizione antica e aprirono la via allo
sviluppo di una diversa cultura
figurativa longobarda[3].
Mentre infatti a
Roma il percorso dal paleocristiano alle prime esperienze romaniche avviene
senza violente fratture, ma anche senza sviluppi innovatori, proprio nella Longobardia, dove già alla fine del VII secolo
operano i Maestri Comacini, attraverso esperienze frammentarie e
difficili si giunse a formulare i primi accenni dell'architettura romanica.
La denominazione
Maestri Comacini, attribuita
nell'Editto di Rotari nel 643 e in quello di Liutprando nel 713
a maestranze corporativamente organizzate di muratori, capomastri, lapicidi.
Sul termine comacinus,
dall'oscura etimologia e presto caduto in disuso, sono state formulate molte
supposizioni: la tesi più attendibile resta quella che lo fa derivare da una
matrice topologica; tali maestranze si sarebbero infatti formate nella zona
intorno a Como.
Il linguaggio
dei Maestri Comacini trovò, pur attingendo largamente a esperienze
ravennato-bizantine, accenti di una propria originalità, soprattutto nella tecnica
costruttiva e in taluni elementi decorativi e di stile che dovevano diventare
parte integrante dell'arte lombarda. La tradizione comacina non andò perduta
nel periodo romanico; nella regione comasca seguitarono, infatti, a formarsi
maestranze che viaggiando per l'Europa diffusero i loro repertori, dando luogo
a una corrente che è stata definita comasco-lombarda.
Se l'apporto
barbarico nel campo dell'architettura è comunque difficile da definire, esso
risulta importantissimo per le arti decorative: il gusto per l'intreccio
ornamentale impronta di sé la straordinaria produzione miniaturistica dell'arte
anglosassone, una delle espressioni più originali del Medioevo europeo, e gli
oggetti lavorati in legno o in metallo dell'arte
nordica e vichinga[4].
La diffusione di
queste tendenze astrattizzanti fu tuttavia frenata nel periodo carolingio,
quando l'azione di Carlo Magno tese
a creare una sintesi di diverse culture, riassumendo la classicità come
riferimento ideale di una nuova civiltà figurativa di tipo aulico.
Caratteri
evidenti sia nella ripresa architettonica, sia nell'esigenza plastica che anima
la scultura e le arti decorative carolingie
fiorite nell'Europa occidentale dal secolo VIII
alla metà del X, in seguito alla rinascita artistica promossa da Carlo Magno, la cui
opera fu continuata dai discendenti, soprattutto Carlo il Calvo. Il centro di irradiazione fu Aquisgrana, sede della
corte, ma gli impulsi spirituali della rinascenza carolingia trovarono il
terreno ideale per il loro sviluppo nei monasteri della Francia occidentale,
della Renania e della Germania meridionale, dell'Italia settentrionale:
Saint-Denis, Reims, Metz, Tours, Lione, Magonza, Fulda, Reichenau, San Gallo e
Milano furono i grandi centri in cui fiorì l'arte carolingia.
Riallacciata in
parte alla precedente civiltà merovingia, l'arte carolingia introduce alla notevole
fioritura artistica del susseguente periodo ottoniano, di
gusto tipicamente germanico e che già prelude alle prime esperienze del
romanico.
L’Arte ottoniana fiorì tra il X secolo e
la prima metà dell'XI durante i regni degli imperatori della casa di Sassonia
di nome Ottone, nel territorio del Sacro Romano Impero compreso tra il Reno e l'Elba, ma con frange fin
nei bacini della Mosa e della Mosella, della Senna e della Loira.
L'arte ottoniana
si pone come necessario termine di passaggio tra lo stile carolingio e
il Romanico, alle cui fasi più precoci in Spagna, Italia e
Francia esso si affianca.
Caratterizzata
dalla ripresa di schemi e di motivi carolingi, nell'arte ottoniana si fondono
anche spunti bizantini (nel
972 Ottone II sposò
la principessa greca Teofano), particolarmente evidenti nel comporre pacato
e solenne e nell'intensa forza espressiva dei gesti, tipica del mondo
germanico.
Particolare
interesse riveste in Spagna l'arte dei Visigoti, che ebbe il suo ultimo sviluppo, di fronte
all'avanzata araba, nella zona asturiana, elaborando forme architettoniche a
carattere preromanico.
Nel secolo X la lunga elaborazione architettonica precedente giunge a
maturazione e viene a formarsi uno stile quasi uniforme, dalla Provenza alla
Linguadoca, dalla Catalogna alla Borgogna, per il quale Josep Puig i Cadafalch (1869-1956) ha coniato il termine di prima arte romanica.
[1] Il tardoantico – Il termine Spätantike fu
coniato da Alois Riegl che,
nella sua opera Industria artistica tardo-romana del 1901, respinse la concezione classicistica che considerava l'arte greca quale
modello e termine di confronto per l'arte romana, mettendo invece in risalto
l'importanza e l'originalità del periodo artistico che inizia nel sec. III d.
C. e che, per il progressivo distacco dallo spirito dell'arte greca, era
considerato dai classicisti barbaro e decadente.
Riegl,
intendendo l'arte come fenomeno universale, espressione di un Kunstwollen – volontà d'arte –inteso come gusto di un determinato periodo storico
o anche di un singolo artista, il fattore predominante di ogni creazione
artistica – o di un Volksgeist – spirito
di un popolo – specifico di ogni epoca e che si esprime in tutto il complesso
dei fatti culturali, Riegl giunse a rivalutare gli aspetti decorativi e
ornamentali, in genere sottovalutati, superando la tradizionale opposizione di
arti maggiori e minori, e a collocare nella giusta prospettiva storica fenomeni a
quell'epoca ignorati o incompresi dalla critica. Il conseguente concetto di autonomia di
ogni forma d'arte facilitò il riconoscimento della validità delle arti non
classiche e, in particolare, la comprensione dell'arte tardoantica.
In seguito
numerosi studiosi, in particolare Gerhart Rodenwaldt, i cui studi più importanti riguardano l'arte romana, di
cui egli vide l'autonomia e distinse l'elemento classicistico dalla componente
italica popolare, e Ranuccio Bianchi Bandinelli, hanno meglio definito le
motivazioni di carattere storico, sociale, economico e filosofico che
costituiscono l'humus dell'arte romana tardoantica che si
accompagna alla decadenza e alla fine dell'impero e del mondo antico come la
crisi economica, la crescente pressione delle popolazioni barbare,
l’assolutismo e il carattere quasi divino dell'imperatore.
Alla vita
pubblica si preferì l'evasione nell'irrazionale, nel misticismo delle religioni
orientali e della filosofia neoplatonica.
Sul piano
artistico questa situazione si tradusse nell'abbandono della tradizione greca,
nel disgregarsi della solida forma plastica, nell'accentuazione del colorismo,
del chiaroscuro violento, nella deformazione delle figure, nel ripudio degli
antichi canoni di euritmia – l’armonia derivante dalla
proporzione e dall'adatta disposizione delle varie parti di un'opera d'arte,
specialmente architettonica – e di proporzione, nel sentimento di dolore e di
angoscia che emana dai ritratti, dalle figure di combattenti o di barbari, con
soluzioni iconografiche e formali legate al riaffiorare, nell'arte ufficiale,
di quel filone artistico italico e popolare in precedenza emarginato dalla
tradizione greca.
È soprattutto
nella scultura che i vari aspetti del tardoantico si riflettono con maggior
evidenza –ritratti imperiali, sarcofagi con
decorazione in altorilievo, rilievi degli archi di Settimio Severo, di
Galerio e di Costantino.
Nella pittura,
nei mosaici, negli avori, nella toreutica
– l’arte di lavorare il metallo mediante svariati
procedimenti: a cesello, a sbalzo, a bulino – si
nota il progressivo affermarsi di quelle tendenze astratte, ieratiche, fortemente
simboliche che caratterizzeranno l'arte cristiana e bizantina, mentre il filone
realistico-popolare si affermò nell'arte provinciale, soprattutto in Gallia e
nella Renania, creando le premesse dell'arte medievale.
[2] Arte barbarica – Con arte barbarica si definisce storicamente l'arte
dei popoli nomadi germanici che invasero il territorio dell'Impero romano,
sviluppatasi dal IV al IX secolo, epoca in cui la rinascita carolingia impose
una nuova visione artistica, almeno nei Paesi europei. Non però in Scandinavia,
dove l'oreficeria conservò i tradizionali motivi nordici, con uno svolgimento
parallelo a quella carolingia. È compresa sotto questo nome anche l'arte dei
popoli irlandesi e scandinavi, che non vennero in contatto diretto col mondo
romano.
L'attività
artistica dei barbari si limitò quasi esclusivamente all'oreficeria; sono giunte fino a noi anche opere in
pietra scolpita, mentre la pittura e l'architettura – come è comprensibile
trattandosi di popoli nomadi – non ebbero sviluppi autonomi: le manifestazioni
artistiche in questo campo furono infatti dovute ai popoli conquistati oppure
agli invasori dopo che si furono stanziati in modo definitivo.
Nulla è rimasto
dell'architettura lignea, diffusa soprattutto in Scandinavia, dove la
tradizione costruttiva continuò nei secoli successivi. I monumenti in pietra
sono in genere costituiti da lastre tombali; quelle franche, prodotte in
ambiente cristiano, sono adorne di rilievi piuttosto rozzi. Figure umane
sommariamente delineate si trovano anche in lastre in pietra rinvenute in
Germania, tra cui una, raffigurante un cavaliere, proveniente da Hornhausen
(secoli VII-VIII; Halle, Landesmuseum für Vorgeschichte). Per uno dei più noti, la lastra di Hornhausen (Halle,
Landesmus. für Vorgeschichte, sec. 8°) - dove sopra a una fascia a intreccio in
II stile animalistico è rappresentato un c. passante con lancia e scudo rotondo
-, si è proposta un'originaria funzione come parte di una recinzione
presbiteriale, di cui si conservano altri frammenti, uno dei quali con la croce
(Böhner, 1976-1977).
Particolarmente
significative le steli funebri del Gotland (Svezia), scolpite o dipinte con
scene delle saghe nordiche distribuite in fasce (sec. V-VIII, Stoccolma,
Historiska Museet).
[3] L’arte longobarda – Le principali testimonianze dell'arte longobarda
sono affidate a una ricca serie di oggetti in metallo, spesso prezioso, che i
Longobardi portarono con sé dalla Pannonia e
che continuarono a produrre durante la permanenza in Italia. Questi oggetti –
soprattutto else di spada, fibule, croci – provenienti in gran parte dalle necropoli longobarde,
sono generalmente lavorati con un'elementare tecnica di oreficeria e decorati
con intrecci lineari o con motivi zoomorfi come fibule e croci nel Museo
Archeologico Nazionale di Cividale.
Non mancano
tuttavia figurazioni stilizzate, come nella croce
del duca Gisulfo del secolo VI-VII al Museo Archeologico Nazionale di
Cividale, o nella lamina sbalzata
dell'elmo di Agilulfo del VII
secolo al Museo Nazionale del Bargello
di Firenze.
Spesso questi
oggetti di oreficeria sono arricchiti con pietre preziose o semplicemente
colorate come la croce di Agilulfo
del VII secolo nel Tesoro del Duomo a
Monza.
Accanto alle
opere di oreficeria sono inoltre da ricordare alcune sculture in pietra
appartenenti all'ultimo periodo della dominazione longobarda, tra le quali il sarcofago di Teodota a Pavia del 720 e i bassorilievi dell'altare del duca Ratchis della metà
dell’VIII secolo del Museo Cristiano di Cividale, raffiguranti alcune scene del Nuovo Testamento, che in
origine dovevano essere ricoperti da uno strato bianco di stucco e decorati con
paste colorate, in modo da assomigliare a un lavoro di oreficeria.
Dell'architettura
longobarda sono note le piante di alcune chiese che rivelano riferimenti
classici e orientali, pur distinguendosi per la loro originalità come Santa Sofia a Benevento, a pianta
stellare, con doppio ambulacro, del 762.
[4] Arte vichinga – Si è soliti definire vichinga la produzione
artistica dell'ultima fase della civiltà scandinava, nel periodo precedente la
diffusione del romanico, cioè tra il sec. IX e la metà dell'XI. Una delle
principali fonti per la conoscenza dell'arte vichinga è data dalla ricca serie
di oggetti ritrovati nella nave funeraria di Oseberg e
dalle figurazioni della pietra runica di
Jellinge. Nel 1903, sotto un tumulo di argilla, sono stati rinvenuti una
nave funeraria vichinga lunga 22 m insieme a un carro e a quattro slitte,
accompagnati da arredi domestici, armi e monili. La nave, che appare riccamente
decorata con intagli a intreccio zoomorfo di straordinaria astrazione
fantastica, è una delle più significative testimonianze dell'arte scandinava
degli inizi del sec. IX. Questi oggetti sono caratterizzati da un esuberante
intreccio zoomorfo dove gli animali, costretti entro
cornici geometriche, assumono un aspetto quasi nastriforme, di raffinata
stilizzazione grafica.
Alla formazione
di uno stile tipicamente vichingo non è estranea l'influenza sia dell'arte
anglo-irlandese, sia dell'arte carolingia, visibile soprattutto
nell'introduzione di motivi vegetali. L'ornato carolingio si ritrova
principalmente in una serie di fermagli eseguiti sul modello della spilla carolingia di Hon, oggi a Oslo,
Universitatets Oldsakesamling.
Successivamente
l'ornato zoomorfo e le forme vegetali si fusero in un unico tipo di decorazione
i cui principali esempi sono dati da una serie di oggetti in bronzo provenienti
da Källunge e da Söderala (sec. X-XI) e dagli intagli degli stipiti lignei
della chiesa norvegese di Urnes.
Mancano purtroppo, per una completa valutazione dell'arte
vichinga, testimonianze dell'architettura, nota solo attraverso descrizioni
(del tempio di Uppsala, con tetto conico rilucente d'oro; di padiglioni reali,
con il tetto a lanterna a piani arretrati, sul tipo delle più tarde stavkirchen).