Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

domenica 26 maggio 2013

L'arte romana in età imperiale di Massimo Capuozzo

L'architettura in età imperiale – L'architettura romana dell'età imperiale, che è quella più ampiamente documentata, si giovò del perfezionamento di tecniche, come l'opus caementicium, già adottato in epoca sillana, costituito da un conglomerato di calcestruzzo in pietrame e malta, che permisero la costruzione di edifici sempre più grandiosi, coperti spesso a volta e a cupola. Essa si ispira a costanti concetti di razionalità e utilità pratica. Tra gli ordini architettonici si preferì quello corinzio con capitello costituito da un corpo a tronco di cono rovesciato, decorato con foglie d'acanto e volute angolari.
Le città furono costruite o sistemate secondo regolari disposizioni a scacchiera derivanti dai castra (come Torino, Como o Aosta, in Italia; Barcellona, in Spagna), organizzate intorno al foro con gli edifici più importanti quali il capitolium, la curia e la basilica e attraversato da due strade che si incrociano ad angolo retto, il cardo e il decumano. A imitazione di Roma, le città furono dotate degli altri monumenti necessari alla vita cittadina – terme, teatri, anfiteatri, mercati – e fornite di perfetti impianti di acquedotti e fognature.

Il classicismo augusteo e l'età giulio-claudia – Perfezione tecnica e formale, realismo romano, motivi ellenistici e gusto classicheggiante caratterizzano la produzione artistica dell'età di Augusto (63-14 a.C.). Anche in un monumento ufficiale come l'Ara Pacis le diverse tendenze possono sembrare non perfettamente fuse, ma unica è la concezione generale dell'opera, in cui architettura e decorazione scultorea sono strettamente legate e le singole figurazioni appaiono tipicamente romane anche nel significato, che era quello di esaltare la "romanità".

L'Ara Pacis è una delle più alte espressioni dell'arte augustea e un'opera di profondo simbolismo, che acquista significato nel quadro del passaggio storico dalla Repubblica all’Impero.
La sua costruzione fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. ed il completamento dell'opera richiese tre anni e mezzo, per realizzare la ricca e complessa decorazione, affidata a scultori attici attivi a Roma nel I secolo.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto con due fronti e due lati. Al centro dei lati più corti due aperture danno accesso all'altare, sul quale venivano compiuti i sacrifici. La decorazione scultorea corre sui lati esterni e su quelli interni del recinto sacro.
Quella esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato, l'inferiore una decorazione vegetale a girali d'acanto che celano nel fogliame piccoli animali o si intrecciano con rami di altre piante. L'intera composizione è sormontata dalla presenza di cigni ad ali spiegate. La valenza simbolica dell'intero disegno e dei singoli elementi allude allo stato aureo di natura e al ritorno di un'età di rinascita e prosperità sotto la guida del princeps.

La fascia superiore esterna del recinto rappresenta, sui lati nord e sud, una processione. Sul fronte meridionale, compare Augusto a capo velato e coronato di alloro, preceduto e seguito dai membri delle principali cariche sacerdotali dello Stato: lo precedono i Pontifices e lo circondano gli Augures mentre al suo seguito si riconoscono i tre Flamines maiores.
La processione rappresenta il reditus di Augusto, il suo ritorno a Roma dalle vittoriose campagne in Gallia e Spagna ed i consoli e i massimi sacerdoti romani sarebbero rappresentati nell'atto di accogliere il principe vittorioso, portatore di pace, prosperità e abbondanza.
Sullo stesso fronte meridionale è ritratto Agrippa, amico, principale collaboratore e genero di Augusto, morto durante la realizzazione dell’Ara Pacis. Agrippa apre la sequenza dei familiari, concepita come un vero e proprio programma dinastico. La successione dei congiunti è così sapientemente calcolata che tutti gli imperatori romani, fino a Nerone, discendono dai membri della famiglia Giulia qui raffigurati. Sul lato settentrionale del recinto la processione ritrae gli ordines sacerdotali mostrando in questo modo la rappresentazione delle cariche religiose più importanti dell’ordinamento romano.

Le due fronti dall'edificio, ai lati delle porte, sono decorate nella fascia superiore da quattro pannelli, due per ciascun lato. Sui pannelli del fronte occidentale sono rappresentati Enea che sacrifica una scrofa ai penati che celebra la discendenza della gens Julia, da Enea e da suo figlio Julo, da cui prende il nome la famiglia di Augusto, e Romolo e Remo allattati dalla lupa, molto frammentario, che rappresenta la lupa che allatta Romolo e Remo alla presenza del dio Marte, padre dei gemelli, e del pastore Faustolo. In questo modo l’Ara Pacis significava la doppia origine divina dei romani e del principe: dal dio guerriero i primi, tramite i gemelli, da Venere il secondo, tramite il pius Enea.
Sul fronte orientale il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Tellus, secondo il motivo ellenistico della terra fertile e dei suoi frutti, rappresentati dai due putti che le siedono in grembo. La Tellus è interpretabile come divinità polisemica, dalle molte valenze simboliche, riassuntiva dei significati di pace e prosperità e assimilabile alle figure di Gea, Venere e Rea Silvia. Ai lati due ninfe, una su un cigno, la seconda su un drago marino. Del pannello di destra resta solo il frammento di una figura femminile seduta sopra un trofeo d’armi: la dea Roma vincitrice, forse affiancata dalle figurazioni di Honos e Virtus.
L’Ara Pacis accoglieva chi entrasse dalla via Flaminia con la rappresentazione della pax romana stabilita tramite l’imperio terra marique.
Anche lungo le pareti interne del recinto si svolgono due fregi sovrapposti, rappresentanti l'inferiore una palizzata in legno e il superiore una serie di ghirlande di frutta e foglie.
L'altare interno è la parte meno conservata dell'Ara. all'altezza della mensa rimane invece una figurazione di dimensioni ridotte, dove si distinguono le vestali.
Meno perfette formalmente, forse più naturali e realistiche, furono altre opere, come il fregio del tempio di Apollo Sosiano (20 a.C.) con Corteo trionfale. Precisione accademica, gusto classico, sensibilità veristica mostrano anche i quasi 150 busti e statue di Augusto.
L’indirizzo classicheggiante dell’età di Augusto, presente anche nella raffinata toreutica – lavorazione artistica dei metalli come bronzo, ferro, oro, argento – nelle gemme, nei cammei, continuò per tutta l’età giulio-claudia (sec. I d.C.). Nella scultura i ritratti di questo periodo mostrano però, già con Caligola (12-41 d.C.) e poi con Claudio (41-54 d.C.) e Nerone (54-68 d.C.), notazioni più realistiche e ricerca di caratterizzazione. Le opere in rilievo di carattere storico (nell’Ara Pietatis Augustae del 43 d.C.) vedono l’introduzione di sfondi architettonici con preciso valore topografico.
Nella pittura parietale, che vede il susseguirsi di quattro stili.
Il primo stile (II – metà del I a.C.), detto ad incrostazione, è semplicemente un rivestimento in stucco e colori atto ad imitare lastre marmoree.
Il secondo stile (metà del I secolo a.C. – inizio del I sec d.C.), è più complesso ed unisce alle prospettive architettoniche come nella casa dei Grifi al Palatino o come nella villa di Boscoreale grandi scene figurate derivanti o ispirate da celebri quadri classici ed ellenistici che ritraevano scene epiche e idilliache, ma non mancano paesaggi o scene di giardino come nella Villa di Livia a Prima Porta, ora al Museo nazionale romano, o anche megalografie in cui copie di pitture greche e motivi romani sono riuniti in un insieme abilmente omogeneo come nella Villa dei Misteri a Pompei.
Il terzo stile della prima metà del I sec d.C., della parete reale, semplifica le prospettive e diminuisce la strutture architettoniche dipinte, per dar luogo ad una sorta di indeterminatezza, che pone i soggetti in uno spazio indefinito.
Il quarto stile della seconda metà del I sec. a.C. utilizza un forte illusionismo prospettico, è molto fastoso e rappresenta ambienti ricchi e sfarzosi.
La conquista dell’Egitto portò all’introduzione di motivi egizi o egittizzanti come pigmei, coccodrilli ecc. dell’arte alessandrina, che si aggiunsero, come moda temporanea, alle altre componenti ellenistiche, soprattutto nella pittura e nel rilievo.

L'età dei Flavi – Alla morte di Nerone nel 68 d.C., si conclude il dominio della famiglia di Augusto e si crearono disordini nella fase di successione, finché l’esercito non nominò imperatore T. Flavio Vespasiano che con il figlio Tito (79-81d.C.), succedutogli, garantì un periodo di stabilità, durante il quale l’arte romana raggiunse il più alto splendore ed originalità, acquisendo un proprio linguaggio.
Alcuni rilievi aulici dell’età dei Flavi come l’Arco di Tito al foro romano (eretto per celebrare le vittorie nella guerra giudaica, è ad un fornice solo, si poggia su due grandi pilastri ed è sormontato da un attico) sono caratterizzati dall’inserimento della figura nello spazio, con sovrapposizione di piani, che dà ai rilievi un vivo senso chiaroscurale. L'Arco venne costruito dal Senato in memoria dell'imperatore Tito dopo la sua morte avvenuta nell'81 d.C.

L'arco, a un solo fornice, conserva la maggior parte delle decorazioni dal lato del Colosseo; sulla facciata si possono notare quattro semicolonne in marmo. La decorazione più importante di tutto l'arco è quella posta all'interno. 

Guardando in direzione del Foro Romano, sul lato sinistro si possono vedere dei portatori che trasportano oggetti conquistati nella campagna di Tito contro gli Ebrei (in questo caso trombe d'argento e il candelabro a sette bracci, gli oggetti più importanti al momento della conquista di Gerusalemme; accanto ad essi si possono vedere altri portatori con cartelli sui quali con buona probabilità erano incisi i nomi delle città conquistate).
All'estrema destra si può notare un arco sormontato da due quadrighe: si tratta della Porta Trionfale, situata nel Foro Boario, inizio della cerimonia del trionfo.

Sul pannello di destra dell'Arco si può vedere la quadriga su cui si trova Tito, preceduta dalla dea Roma che trattiene i cavalli per il morso; alle spalle dell'imperatore sono raffigurate una Vittoria e due figure maschili, un giovane a torso nudo e un anziano con la toga, nei quali alla fine si sono riconosciute le personificazioni rispettivamente del Popolo e del Senato di Roma; in secondo piano sono presenti profili di teste e numerosi fasci littori a rappresentare l'affollamento dei magistrati dietro al trionfatore.
La volta a cassettoni posta al centro dell'arco presenta la raffigurazione di Tito trasportato in cielo da un'aquila (riferimento alla divinizzazione di tutti gli imperatori dopo la morte).
Gli edifici più importanti assunsero piante complesse, con ambienti anche poligonali, circolari, o mistilinei, in cui erano sempre più largamente impiegate strutture laterizie e volte a concrezione di materiale leggero come la Domus Flavia dell’architetto Rabirio.

A quest’epoca risale la costruzione, iniziata nel 75 d.C., dell’anfiteatro Flavio o Colosseo, così chiamato poiché era stato costruito presso una statua colossale di Nerone, edificio ellittico adibito soprattutto ai giochi dei gladiatori e dotato di un’arena coperta di sabbia, circondata da gradinate divise in settori (cavea), capaci di 45 000 posti. La struttura che circonda la cavea ha una facciata esterna curvilinea che si articola su quattro piani.

L’età di Traiano – Le tendenze plastiche e coloristiche dell'età dei Flavi si accentuarono nel lungo fregio continuo della Colonna Traiana (ai tempi anche colorata) in cui i diversi elementi formali genericamente ellenistici sono fusi in una composizione pienamente romana non solo per l'intento di esaltazione politica o per la nuova disposizione a rotolo continuo, ma anche per l'espressione artistica, caratterizzata da grande espressività e attenta ricerca psicologica.
Situata nel Foro di Traiano, questa colonna onoraria venne inaugurata nel 113 d.C.
Alta 29,74 metri (40 metri se si considerano anche il basamento e il capitello), la colonna è formata da 18 grandi tamburi sovrapposti (alti 1,5 metri con un diametro di 3,5 metri) in marmo di Carrara scavati all'interno per realizzare una scala a chiocciola che porta fino al piccolo terrazzo posto sopra il capitello dorico. Alla sommità della colonna era posta la statua di Traiano andata persa nel Medioevo e sostituita nel 1587 (all'epoca di papa Sisto V) con l'attuale statua di San Pietro. La colonna poggia su un basamento a forma di dado su uno zoccolo coronato da una cornice con agli angoli quattro aquile che reggono dei festoni e ornato su tre lati da rilievi di armi e insegne daciche. Sul quarto lato, quello principale, è posto un pannello retto da due Vittorie e recante un'iscrizione dedicatoria. All'interno del basamento, accessibile tramite una porta posta sotto l'iscrizione, era custodita l'urna d'oro contenente le ceneri di Traiano.
Lungo il fusto della colonna si svolge a spirale con 23 giri un fregio a rilievo (lungo circa 200 metri per un'altezza che varia, in funzione della prospettiva, dai 90 cm a 1,15 metri); questo fregio illustra le fasi più importanti delle guerre condotte da Traiano contro i Daci (che abitavano l'odierna Romania) nel 101-102 e nel 105-106 d.C.
Il fregio, nel quale sono state contate circa 2500 figure (Traiano è presente in una sessantina di scene), è stato realizzato come un rotolo che si svolge attorno al fusto della colonna la cui visione era facilitata dalla vista che si poteva avere dalle terrazze delle due biblioteche e della Basilica Ulpia, poste ai fianchi della colonna.
L'architettura dell’età di Traiano (98-117 d.C.) fu rivolta, in tutto l'impero, a grandiose opere pubbliche, dai porti di Roma e Civitavecchia in Italia ai monumenti della Spagna come l’acquedotto di Segovia e il ponte di Alcántara, a quelli dell'Africa romana, dove era traianeo l'impianto a castrum di Thamugadi. Esempio significativo fu anche il già nominato complesso, urbanistico e architettonico insieme, del Foro Traiano a Roma e le Terme sul colle Oppio (entrambi opera dell'architetto Apollodoro di Damasco), che costituiscono il primo grande esempio del nuovo tipo di impianto termale romano, con un nucleo monumentale centrale circondato da ampie aree libere.

L’età di Adriano e degli Antonini – Intensissima e varia fu anche l'attività edilizia di Adriano (117-138 d.C.) non solo in Grecia con la ricostruzione di Atene e nelle città greche dell'Asia Minore come il Traianeo di Pergamo, ma in tutto l'impero, dalla Britannia con il vallum di Adriano, all'Africa con le terme di Leptis Magna.
L'architettura fu ricchissima di idee e di motivi, con predilezione per le linee curve, per le planimetrie centralizzate e per i grandi ambienti coperti a volta di vario tipo come la Villa Adriana di Tivoli ed il Pantheon che caratterizzarono l'architettura romana più tarda.

Il Pantheon, così chiamato perché era un tempio dedicato a più divinità, fu concepito come Augusteum, ossia come luogo sacro dedicato al divinizzato imperatore Augusto fu fatto costruire dal genero dello stesso Augusto, il console Agrippa nel 27 a.C., nel quadro della ristrutturazione di tutto il Campo marzio centrale, allora iniziata dallo stesso Agrippa è giunto a noi quasi integro nella ricostruzione eseguita da Adriano nel 130 d.C. La prima costruzione, realizzata fra il 27 e il 25 a. C. era di forma diversa dall'attuale: era un tempio canonico di forma rettangolare mentre l'aspetto attuale dell'edificio invece risale ai primi tempi del regno di Adriano, fra il 118 e il 125 d. C. La ricostruzione di età adrianea modificò completamente l’assetto dell'edificio primitivo.
Il grande portico colonnato (largo m. 33,10 e profondo m. 15,50) ha una facciata composta da colonne monolitiche di granito, con capitelli e basi di marmo bianco. In corrispondenza della prima, terza, sesta e ottava colonna si susseguono in profondità altre due colonne, che formano così tre navate: più larga quella centrale, che conduce all'ingresso, più strette le laterali, che si concludono con due grandi nicchie per le statue di Augusto e di Agrippa.

La cupola, perfettamente emisferica, con un diametro di m. 43,30, la più grande mai realizzata in muratura, è costruita in un conglomerato particolarmente leggero, formato da malta e da scaglie di travertino, sostituite man mano che si sale, da lapilli e pietra pomice. Essa fu ottenuta con un'unica gettata al di sopra di una grandiosa centina di legno. È decorata con cinque ordini di cassettoni concentrici (28 per ciascun ordine), che si vanno restringendo fino all'apertura circolare, larga quasi m. 9, che la conclude.
L'interno del tempio presenta una pianta circolare caratterizzato dalla maestosità della cupola a cassettoni.
L'unica apertura è al centro della cupola e crea un effetto luminoso che esalta la grandiosità e l'armonia del monumento.
In questo stesso periodo Ci fu inoltre un ritorno a composte eleganze classicheggianti come nei tondi adrianei che vennero inseriti nell'Arco di Costantino.
L'arte dei primi Antonini mostra una tendenza al pittoricismo, in particolare nei ritratti, in cui, grazie anche all'utilizzo del trapano, il contrasto tra la levigatezza delle carni e le superfici mosse dei capelli o della barba appare sempre più forte. La base della colonna dell'imperatore Antonino Pio (138-161) a Roma (Vaticano) presenta, a differenza di altri rilievi storici contemporanei di composta classicità, figure di cavalieri a tutto tondo, galoppanti spesso di scorcio, immersi nello spazio intorno al gruppo centrale.
Il pittoricismo, già chiaro negli otto rilievi storici di Marco Aurelio (161-180) inseriti poi nell'Arco di Costantino, fu particolarmente accentuato nel fregio della colonna aureliana, più povera di invenzioni rispetto a quella di Traiano e dal modellato ruvido e duro, ma dall'espressività forte e drammatica; la frequente posizione frontale dell'imperatore, che ne indica il carattere divino, come anche la scena del miracolo della pioggia nel paese dei Quadi, preludono all'elemento irrazionale e metafisico che, rompendo la tradizione ellenistica, si affermò poi nell'arte tardoantica e nel Medioevo.
Situata nella zona del campo Marzio settentrionale, in corrispondenza dell'attuale piazza Montecitorio, la colonna Aureliana è uno dei più importanti monumenti di questa zona antica ancora in situ. Essa fu realizzata dopo il 180 (data della morte di Marco Aurelio), e prima del 196 (poiché da un'iscrizione sappiamo che il custode ad essa preposto, di nome Adrasto, ottenne il permesso di servirsi dei legni delle impalcature per costruirsi una casa: i lavori erano dunque terminati).
La colonna ebbe come modello quella di Traiano, ed era in antico collegata attraverso una scalinata alla via Flaminia sottostante, ed era situata in una posizione più elevata di ca. m. 3,86 dell'attuale. Aveva un basamento altissimo, con sculture su tre lati, che furono distrutte nel 1589 per ordine di Sisto V, che curò un restauro della colonna e vi fece porre alla sommità una statua di San Paolo.
L'altezza del fusto è di m. 29,601 e quella totale di m. 41,951. Il fregio rappresenta le guerre di Marco Aurelio contro Germani e Sarmati. Anche qui, come nella colonna traiana, la narrazione degli eventi inizia col passaggio dell'esercito romano su di un ponte attraverso il Danubio. A metà è presente inoltre - altra analogia - una Vittoria che divide due serie di episodi (campagne del 172-173 e 174-175. 
Vi sono tuttavia importanti differenze con la colonna traiana: l'altezza del fregio è maggiore, le figure meno dense, più staccate le une dalle altre dal fondo, ciò che permette del resto una migliore leggibilità. Il rilievo perde la qualità di raffinatezza compositiva, con la sua notevole complessità di piani e di sfondi, che erano, nel monumento traianeo, un evidente riflesso della tradizione ellenistica. Qui invece assistiamo alla tendenza alla semplificazione e alla schematizzazione, mentre si mira ad animare le superfici con forti contrasti di luce, ottenuti lavorando in profondità col trapano. Una scultura che si potrebbe quasi definire "espressionistica" e che prelude già al linguaggio che si affermerà con forza nel III sec. (si veda per esempio il rilievo da noi presentato dell'arco di Settimio Severo che presenta un rapporto assai stretto con questi).
La crisi della società romana, che porterà alle violente convulsioni del III sec., primo segno della impotenza dell'Impero, si riflette fedelmente nella tendenza ad abbandonare i classici equilibri e le sottili raffinatezze formali dell'età adrianea ed antonina, per forme capaci di esprimere contenuti ben altrimenti drammatici: la tetra melanconia di alcuni pensieri di Marco Aurelio è la migliore illustrazione letteraria dell'arte della colonna.
Da ricordare, infine, la famosa statua di Marco Aurelio: sebbene modesta nel trattamento delle superfici, rende la fermezza d’animo dell’imperatore e il senso di moto nel passo del cavallo e rimane l’unico esempio di statua equestre romana pervenutaci; all'epoca del posizionamento (la statua venne eretta nel 176 d.C.) le statue equestri erano numerosissime, ma in seguito vennero distrutte dai cristiani. La statua di Marco Aurelio venne identificata con l'immagine di Costantino, imperatore convertitosi al cristianesimo, e per questo risparmiata.

L’età dei severi e di Diocleziano – La scultura dell'età dei Severi, caratterizzata dal vivace colorismo, è documentata a Roma dall'Arco di Settimio Severo, imperatore dal 193 al 211, che nelle file sovrapposte di figure ripete lo schema del fregio continuo, e, a Leptis Magna, dall'Arco quadrifronte e dai pilastri della basilica, opera di artisti della scuola di Afrodisia.
La scultura romana del III secolo è rappresentata soprattutto da ritratti, spesso dai lineamenti contratti e dolorosi, e dai sarcofagi, con figure sovraffollate e talora deformate, ma di intensa espressività e con figurazioni simboliche genericamente orientali. Nell'arco quadrifronte di Galerio a Salonicco, con scene allegoriche più che belliche, le teste dei tetrarchi (secondo la divisione dell'impero in quattro operata da Diocleziano) presentavano la visione stereometrica propria del tardoantico.
Nella pittura non mancano forme classicheggianti, anche nella sorgente arte cristiana.
Tra le ultime grandiose realizzazioni architettoniche figurano le Terme di Caracalla (211-217) nelle quali erano presenti i grandi mosaici con gladiatori, e le Terme di Diocleziano (284-305) a Roma oltre che il suo palazzo di Spalato, nonché i monumenti imperiali di Treviri.
Il Palazzo di Diocleziano a Spalato è un’enorme struttura che coincide con il centro storico della città: fu realizzato tra il 293 ed il 305 per ordine dell’imperatore che voleva qui la propria dimora.
Il palazzo presenta le forme di un’enorme villa fortificata consacrata alla figura dell’imperatore, per il quale esisteva già un mausoleo al suo interno. La pianta rispecchia quella degli accampamenti militari romani, presentando il classico reticolo a scacchiera formato da cardines e decumani. Tutta la struttura era circondata da una massiccia cinta muraria, sulla quale si aprivano a nord la Porta Aurea, ad est la Porta Argentea, ad ovest la Porta Ferrea  e infine a sud, sul mare la Porta Aenea o bronzea.

Uno degli ambienti maggiormente conservati è il peristilio, lo sfarzoso giardino di Diocleziano dove sarebbero avvenute le cerimonie ufficiali a cui partecipava l’imperatore e la sua corte. Inoltre dal peristilio si accedeva ad ovest ad un tempio dedicato probabilmente a Giove, mentre ad est si collocava il mausoleo imperiale, che in età cristiana fu trasformato in cattedrale. L’appartamento privato, diviso in due metà simmetriche, comprendeva una basilica privata, affiancata da una doppia fila di stanze a pianta centrale e un complesso termale di cui usufruiva l’imperatore e la sua corte.
Massimo Capuozzo
Fecimus quod potuimus

domenica 19 maggio 2013

L'arte ellenistica di Massimo Capuozzo


L’Ellenismo – Il periodo ellenistico va dalla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. alla battaglia di Azio nel 31 a.C., che segnò il definitivo sopravvento di Roma sull'Egitto, l'ultimo stato ellenistico ancora indipendente.
L'arte greca assunse allora un carattere cosmopolita: nuove tendenze si svilupparono nell'incontro tra la grecità e le varie tradizioni locali. Atene e le città continentali della Grecia decaddero, mentre i centri più attivi divennero Alessandria, Antiochia e Pergamo.
L'arte fiorita presso la corte dei Tolomei ad Alessandria d'Egitto, influì profondamente anche sull'arte imperiale romana e su quella cristiana. Caratteristico dell'architettura è l'illusionismo prospettico, mentre nella scultura coesistono lo sfumato pittorico e il gusto per la deformazione caricaturale.
La pittura di genere e lo stile compendiario alessandrino ebbero larga diffusione in età romana.
Dalla metà del II secolo a.C. inizia una tendenza che vede una sorta di revival dell’arte classica, che si prefiggeva di veder tornare l’arte greca agli antichi fasti, ma soprattutto di adempiere alle richieste dei collezionisti romani, che apprezzavano molto lo stile classico. Tra gli esponenti di spicco troviamo Pasitele e Stefano, rispettivamente della prima e della seconda metà del I secolo a.C.

L'architettura – Notevoli innovazioni compaiono nell'architettura dei templi: la planimetria è diversamente organizzata, si afferma deciso l'ordine corinzio accanto allo ionico e ad un tipo stilizzato e allungato di dorico, si diffonde l'edificio a pianta circolare, a thólos.
La novità maggiore dell'architettura ellenistica consiste nella grande pianificazione di aree costruite, siano esse intere città – come Priene e Pergamo – o singole zone all'interno di città preesistenti, in cui la sistemazione è organizzata secondo un piano generale come ad Eleusi, Atene, Delo, Efeso, Mileto.
Nasce un nuovo tipo architettonico, l'ara monumentale – luogo in cui si svolgevano sacrifici agli dei, formato da piattaforme colonnati e gradinate – i cui più significativi esempi sono a Pergamo, Siracusa, Licosura, Samotracia.
A Pergamo fu realizzato la grande ara dedicata a Zeus e ad Atena. Il re Eumene II, in seguito alla sua vittoria sui Galati nel 166 a. C., decise di far costruire e poi dedicare l’altare al dio.
I lavori di costruzione iniziarono intorno al 200 a. C., e furono completati durante il regno di Attalo II, fratello e successore di Eumene. Durante le invasioni barbariche, l’altare fu distrutto, ma degli archeologi tedeschi tentarono di ricostruirlo ed attualmente è possibile ammirarlo al Museo di Pergamo, a Berlino.

L’altare era composto da un recinto di forma quadrangolare, esternamente abbellito da un colonnato disposto a forma di U, al quale si accedeva tramite una grande scalinata, al centro di esso. Nella parte più alta si sviluppava un doppio porticato, caratterizzato da colonne ioniche.
La prima fila di colonne presentava nella sua parte posteriore un fregio continuo con la riproduzione delle avventure di Telefo, il celebre figlio di eroe Eracle.
Splendide e raffinate sculture ornavano e abbellivano i margini della scalinata posta al centro del colonnato e la parte laterale dello zoccolo. Il complesso di queste sculture raffiguravano delle scene di gigantomachia.

Il vero e proprio fregio dell’altare raggiungeva una lunghezza di circa centodieci metri e traduceva in forma scultorea diversi episodi: vi era il mito della lotta tra dei e giganti, la Gigantomachia. Questa raffigurazione voleva ricordare la recente lotta tra il popolo pergameno e quello dei Galati. Erano inoltre raffigurate le scene che ricordavano la figura di Telefo, in bassorilievo, che, arrivato in Misia, fu nominato re e fondò una nuova dinastia.
Anche l'edificio teatrale trovò nuovo sviluppo a Priene, Segesta, Delfi, Pergamo.

La scultura – Delle scuole di scultura, tre furono i centri principali, oltre ad Atene: Alessandria, Rodi e Pergamo. Le forme del primo ellenismo furono influenzate dai grandi maestri del sec. IV: Prassitele, Scopas e Lisippo. Tra gli artisti si ricordano Cefisodoto e Timarco, Boedas, Carete di Lindo; ma molte sono le opere significative non collegabili sicuramente a nomi di artisti come vari esemplari di Afrodite e di Muse, i Niobidi, la Testa bella di Pergamo, alcuni ritratti.
Accanto alle eredità dei grandi maestri, si sviluppò nel primo ellenismo lo stile detto sobrio o semplice o della forma chiusa. L’opera più caratteristica di questa tendenza è la statua di Demostene dell'attico Polieuktos (ca 280 a.C.). Parallelamente si andò affermando un nuovo ideale di plasticismo più ricco e dinamico che si avvaleva di violenti effetti pittorici chiaroscurali come nella Fanciulla di Anzio, ritenuta una delle più singolari statue dell'antichità.

Rinvenuta nel 1878 in una nicchia della Villa Imperiale di Anzio, la statua, alta m.1,70, raffigura una giovinetta rivolta a sinistra mentre avanza vestita di chitone e di un ampio himation. L'acconciatura frettolosa dei capelli, che lascia però intravedere i riccioli, la bella linea sinuosa che dalla nuca scende lungo la spalla nuda e più in basso lungo la gamba flessa con il piede leggermente sollevato, mostra, come una particolare libertà di movimento ed un ritmo oscillante ponendola nello stadio intermedio fra l'incedere ed il sostare. Questo atteggiamento e gli oggetti votivi – una benda di lana, un ramoscello d'alloro ed una zampa di leone – posti sul vassoio verso il quale rivolge lo sguardo, lasciano pensare che si trattasse di una sacerdotessa o comunque di un personaggio connesso al culto di qualche divinità.
La raffinatezza dell'esecuzione, la libertà di movimento hanno fatto ritenere ad alcuni che si tratti di un originale greco datato alla seconda metà del III sec. a.C., ritenendolo opera dei figli di Prassitele che recepirono nella scuola paterna anche le nuove conquiste di Lisippo.
La fase finale dell'arte ellenistica a partire dalla seconda metà del II secolo a.C., vide svilupparsi soprattutto nell'Attica le tendenze accademiche indicate con il nome di classicismo e di eclettismo: gli scultori si rifecero ai modelli classici secondo una rielaborazione arcaizzante, producendo anche copie da originali famosi.
Tra le opere più significative del periodo si ricordano la Venere di Milo, il Laocoonte, l'Omero cieco, l'Ulisse e altre sculture di Sperlonga, che rappresentano nello stile tardo ellenistico l'accecamento di Polifemo e l'assalto di Scilla alla nave di Ulisse, di proporzioni colossali, il ratto del Palladio ed Ulisse con il cadavere di Achille.
La Venere di Milo, riferibile alla fine del secondo secolo a. C., fu scoperta nel 1820, nei pressi di un antico teatro, sull'isola di Milo, nell'arcipelago delle Cicladi. In essa si sono volute scorgere molte figure mitologiche, ma questa donna dal busto denudato, che afferma con sicurezza la propria femminilità e sensualità, si presta in particolare all'identificazione con la dea dell'amore. È un'opera nello stile caratteristico della fine dell'epoca ellenistica, che riprende, rinnovandoli, modelli classici.

La contrapposizione tra la morbida pienezza del nudo e la brusca tensione del panneggio, un'attitudine più cordiale e umana di fronte alla grazia femminile e una più agiata e disinvolta presa di possesso dello spazio tridimensionale, attestano quanto vitale potesse ancora risultare il ripensamento dei capolavori del passato.
Il drappo che scivola dolcemente dalle anche, provoca la chiusura delle gambe e rende l'idea del movimento istantaneo e spontaneo della figura. Le corpose pieghe del drappeggio
hanno la funzione di nascondere la giuntura tra i due blocchi sovrapposti, scolpiti separatamente, con i quali è stata realizzata la statua.
Altrettanto separatamente erano stati scolpiti il braccio e il piede sinistro, secondo una tecnica scultorea del tutto nuova.
Il Gruppo del Laocoonte, scultura della scuola di Rodi, riferibile alla nine del II all’inizio del I secolo a. C., è un gruppo marmoreo monumentale custodito a Roma, presso i Musei Vaticani, nel Museo Pio-Clementino. Raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide che vede il troiano Laocoonte ed i suoi figli che lottano coi serpenti marini. Laocoonte era un veggente e sacerdote di Apollo. Si narra che, quando i troiani portarono nella città il cavallo di Troia, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, proferendo la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes. Laocoonte cercò invano di convincere i suoi concittadini a non far entrare nella città di Troia il cavallo lasciato dai greci che avevano sciolto l’assedio alla città. Atena, la divinità contraria ai troiani, per evitare che il suo consiglio trovasse ascolto, punì Laocoonte mandando due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, egli accorse in loro aiuto e fu stritolato assieme a loro. I Troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura.

La statua fu trovata il 14 gennaio del 1506 in prossimità della Domus Aurea di Nerone. Allo scavo assisterono di persona, tra gli altri, Michelangelo e l'architetto Giuliano da Sangallo. Fu proprio Giuliano da Sangallo ad identificare i frammenti con la scultura citata da Plinio che, nella Naturalis Historia, racconta di averla vista nella casa dell'imperatore Tito, attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atanodoro e Polidoro: fin dalla sua scoperta l’opera fu ritenuta un originale creato dagli scultori Haghesandros di Rodi ed i suoi due figli, Athenadoros e Polydoros. Solo recentemente, si sono scoperte notizie su questi tre artisti di Rodi e si è saputo che erano famosi e abili copisti che eseguivano ricercatissime copie per i committenti romani del tardo I secolo a.C.
Il gruppo raffigura il momento finale della tragica fine di Laocoonte e dei suoi due figli mentre sono strangolati da serpenti marini, come vendetta di Atena per il tentativo del sacerdote di Apollo di opporsi all'ingresso del cavallo di Troia nella città.
La sua posa è instabile perché, nel tentativo di liberarsi dalla stretta dei serpenti, Laocoonte richiama tutta la sua forza, manifestando con la più alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e spirituale. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica caricata, quasi teatrale. La resa del nudo mostra una consumata abilità, con l'enfatica torsione del busto che sottolinea lo sforzo e la tensione del protagonista. Il volto è tormentato da un'espressione pateticamente corrucciata. Il ritmo concitato si trasmette poi alle figure dei figli.

L'architettura romana in epoca repubblicana – L'architettura più antica, nota a Roma solo da pochi resti, rientra nell'ambito di quella etrusco-italica caratterizzata dal tempio tuscanico, che a differenza di quello greco era orientato e su alto podio, con alzato di legno rivestito di terrecotte policrome e ornato da statue fittili. I basamenti dei templi, le fortificazioni e altre costruzioni di carattere pratico (cisterne, acquedotti) erano costruiti in blocchi squadrati di tufo locale.
La maggior ricchezza, i contatti con il mondo greco e la venuta a Roma di architetti greci portarono, nel II secolo a.C., all'impiego del marmo in templi di tipo ellenistico.
Contemporaneamente si ebbero nuove creazioni architettoniche, come l'arco trionfale o la basilica (ambiente coperto, a pianta rettangolare, suddiviso in più navate da colonnati o da pilastri con funzione di centro degli affari) e la sistemazione monumentale del Foro Romano, il centro politico ed economico della città risalente al VII secolo a.C., situato nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio e costituì il centro commerciale, religioso e politico della città di Roma.

Le strette connessioni dell'architettura romana e dell'arte romana in genere con quella ellenistica, sono evidenti soprattutto a Pompei; il foro di Pompei (100 ca a.C.), riunisce in un insieme chiuso e coordinato i principali edifici pubblici cittadini, sia civili sia religiosi, è un esempio dell'interesse dell'architettura romana per le soluzioni urbanistiche razionali; Era chiuso al traffico e vi si poteva accedere soltanto a piedi. Qui erano concentrati tutti i monumenti necessari all'amministrazione politica, giudiziaria e alla vita religiosa ed economica della città, ma una vera e propria piazza monumentale costruita nel II secolo a. C. in un'area sostanzialmente priva di edifici più antichi. Si dovette comunque abbattere una parte del muro perimetrale del vicino santuario di Apollo, che avrebbe altrimenti invaso lo spazio riservato alla nuova area aperta. In questa fase, la piazza era pavimentata in lastre di tufo e aveva già una superficie totale di 5396 mq. Furono subito costruiti tutti gli edifici sui lati Nord Ovest e Sud della piazza, mentre sul lato Est si trovavano il primo macellum, taverne e forse abitazioni private, distrutte in seguito per fare spazio a nuovi monumenti. Per nascondere in parte il prospetto irregolare degli edifici della zona meridionale della piazza, il questore Vibio Popidio fece costruire un doppio porticato negli anni intorno alla fondazione della colonia sillana e poco dopo fu restaurato anche il tempio di Giove sul lato opposto della piazza. Un interesse maggiore per la sistemazione del Foro sorse in età augustea tra la fine del I secolo a. C. e l'inizio del I secolo d. C. La vecchia pavimentazione in tufo venne sostituita da una nuova in travertino su cui venne scritto in grandi lettere di bronzo il nome, purtroppo ormai illeggibile, del donatore. Sul lato Est vennero costruiti una serie di edifici dedicati al culto dell'imperatore, venne restaurato l'antico macellum, gli ingressi alla piazza vennero trasformati in archi monumentali. Infine una particolarità: il Foro di Pompei è uno dei pochi del mondo romano in cui le statue onorarie non sono concentrate al centro della piazza, ma disposte sui lati o addirittura sotto il porticato. A Pompei si ritrova anche il più antico anfiteatro (80 ca a.C.).
In questo periodo viene diffondendosi uno dei motivi portanti della scultura romana: il ritratto. Esso trae origine dall’usanza patrizia di ricavare calchi di cera dai propri defunti e talvolta di trarne dei busti e delle statue in marmo (Statua Barberini, I secolo a.C.) o terracotta da conservare come monito per le generazioni successive. Da ciò deriva anche l’estremo realismo della ritrattistica romana, che, a differenza di quella greca, preferisce riprodurre e ricordare le reali sembianze dei soggetti trattati, piuttosto che darne una rappresentazione idealizzata.

Massimo Capuozzo