Il
Periodo classico greco – Il periodo classico dell'arte greca va dal V secolo
a.C. fino alla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. e raggiunse il maggior
splendore nell'età di Pericle (495-429 a.C.).
Quest'arte
rappresentò la conquista di valori nuovi e fino allora sconosciuti, rimasti poi
essenziali nella storia dell'umanità: esaltò l'uomo come misura di tutte le cose ed espresse equilibrio,
armonia, ordine e proporzione, fissandoli in canoni che delinearono un ideale di
bellezza e di perfezione formale.
La sua destinazione
religiosa è evidente nelle numerose statue di divinità le cui figure, costumi e
atteggiamenti ritraggono con naturalezza la forma umana a immagine della
divinità; capolavoro esemplare del periodo è il Tempio di Zeus a Olimpia nel V secolo, soprattutto per le metope
figurate e le sculture del frontone. La sua destinazione pubblica si manifestò
nei più significativi monumenti e nelle costruzioni civili erette nell'Acropoli
di Atene, dal Partenone dorico di Ictino, ai Propilei di Mnesicle (in
cui l'ordine dorico si unisce a quello ionico), all'Eretteo di Filocle e al tempietto di Atena Nike di Callicrate, di pieno stile ionico.
Tutti i più
importanti santuari del mondo greco si arricchirono di templi, di tesori, di
monumenti votivi. Le città, che furono impostate su criteri urbanistici basati
su assi ortogonali, si regolarizzarono poi secondo il sistema detto ippodameo dal nome di Ippodamo di Mileto, autore della nuova
sistemazione della città del Pireo. L'agorá,
centro politico e commerciale, assunse aspetto monumentale con la costruzione
di templi, di portici (stoái),
di fontane imponenti, di altri monumenti pubblici.
Dopo
le guerre persiane a Ippodamo, architetto
e urbanista, fu affidata la costruzione del Pireo e nel
445-444 a. C. partecipò alla fondazione di Turi. Ippodamo giudicava ideale una città di 10.000
abitanti divisi in classi (contadini, artigiani, soldati), nella quale fossero
differenziate le proprietà pubbliche, private e sacre. Ippodamo avrebbe ideato
l'impianto urbano a scacchiera, definito da poche grandi strade ortogonali (platéiai) e da una
fitta rete di strade minori (stenopói),
sistema che avrebbe messo in pratica nella realizzazione del Pireo e di Turi. I
ritrovamenti del Pireo e le scoperte nell'area di Turi-Sibari sembrano
confermare alcuni aspetti dei dati trasmessi dalle fonti, soprattutto per la
presenza di un grandioso impianto ortogonale con strade larghe da 12 a 15
metri. Ippodamo di Mileto non deve tuttavia essere considerato l'inventore di
tale sistema urbanistico, già largamente applicato in età greca arcaica nelle
città coloniali d'Occidente – Megara Iblea, Agrigento, Imera, Naxos, Metaponto – dove ebbe un certo sviluppo agli inizi del V
secolo a. C.
L’architettura greca classica –
Sotto
il governo di Pericle, nel momento più alto della storia di Atene si procede
alla ricostruzione degli edifici sacri dell’Acropoli,
distrutta dai persiani durante il saccheggio della città (480 e 479 a.C.).
Nella concezione di Pericle, il predominio di Atene
sulla Grecia doveva coincidere con la grandezza della sua civiltà e del suo
impianto edilizio-architettonico. Promosse di conseguenza una eccezionale
attività edilizia, tra cui la costruzione del Partenone e dell'Eretteo
sull'Acropoli e l'ampliamento del Pireo. Sotto il suo governo si radunarono ad
Atene filosofi come Socrate, Anassagora e Protagora, tragediografi come Sofocle ed Euripide, storici come Erodoto. Pericle stesso insieme con la celebre etera Aspasia,
radunò intorno a sé un importante circolo intellettuale. I culti, le feste e i
templi furono protagonisti dell'età di Pericle: la rinnovata fede religiosa,
conseguente alle vittorie sui Persiani, trovò la sua espressione nelle opere
dello scultore Fidia e del tragediografo Sofocle. La cultura classica non si esaurì con la morte di Pericle
nel 429 a.C., ma anzi raggiunse in seguito il suo apogeo con filosofi come Platone e Aristotele, il medico Ippocrate, lo storico Senofonte.
A Fidia Pericle assegnò
il ruolo di epìscopos (sovraintendente) e probabilmente si
occupò, oltre a scolpire numerose statue e fregi ad ornamento dei templi, di
stendere una sorta di piano generale per la costruzione delle varie opere.
Il Partenone, dedicato ad Atena, dea
protettrice della città, concretizza l’ideale di equilibrio e misura, è dorico,
ma risente dell’influenza attica, che lo rende più agile ed elegante. Sorto sulle fondazioni di un precedente tempio di
Atena tra il 447 e il 438 a. C., ad opera dell'architetto Ictino, attivo nella seconda metà del V secolo
a. C. Ad Ictino sono legate tre opere fondamentali – il Telesterio di Eleusi, il tempio di Apollo a Figalia e
soprattutto il Partenone.
Nel
447 a. C., sotto la direzione di Fidia e insieme a Callicrate, soprintendente ai lavori, Ictino iniziò la
costruzione del Partenone sul quale scrisse anche un trattato purtroppo perduto
in cui sono evidenti una particolare sensibilità per i valori plastici ed un
alleggerimento dell'architettura dorica. Il Partenone è un perfetto tempio
dorico periptero in marmo pentelico, marmo
a grana fine proveniente dalle cave del monte Pentelico largamente sfruttate
nell'età di Pericle, (69,56×30,87
m) con 8 colonne sulla fronte e 17 sui lati lunghi, in cui sono adottate le più
raffinate correzioni ottiche.
Nella
cella, divisa in tre navate, c’era la grande statua di Atena, in oro e avorio, opera di Fidia. Allo stesso Fidia
e ai suoi aiuti si deve la decorazione scultorea (oggi in parte al British
Museum) comprendente le 92 metope del
fregio dorico (con centauromachia, amazzonomachia,
gigantomachia e Iliupérsis), il fregio
continuo sul muro esterno della cella con la processione delle Panatenaiche, le
sculture dei frontoni raffiguranti la nascita di Atena a Est e la lotta tra
Atena e Poseidone per il possesso dell'Attica a Ovest.
In
età cristiana il tempio fu trasformato in chiesa dedicata a S. Sofia, nel 1456
in moschea, il Partenone fu squarciato da un'esplosione nell'assedio di Atene
ad opera di Francesco Morosini nel 1687 e da
allora cominciò la spoliazione dei suoi marmi. Il restauro è stato completato
nel 1930 col rialzamento del colonnato.
Mnèsicle (V secolo
a.C.), è l'autore dei Propilèi, eretti fra il 437 e il 432
sopra l'antico ingresso dei tempi di Pisistrato, ma mai condotti
a termine: il progetto originario prevedeva forse la sistemazione di tutto il
lato Ovest del colle.
I
Propilei hanno
il compito di separare in maniera maestosa il territorio dell’Acròpoli dal
resto della città e si articolano in un corpo
centrale con cinque ingressi e due atri e in due avancorpi; quello maggiore a
Nord ospitava la pinacoteca con quadri di Polignoto. L'abile
sfruttamento del livello del terreno, la giustapposizione delle masse e la
commistione degli ordini dorico e ionico ne
fanno una splendida creazione architettonica.
Il Tempietto di Atena Nike, ad opera di Callìcrate,
posto accanto ai Propilèi è un edificio semplice, molto piccolo e grazioso.
L’Eretteo di Fìlocle della fine V secolo,
invece, pur essendo molto piccolo ha una struttura molto complessa perché in
esso erano riuniti più ambienti dedicati a culti diversi (famosa è la loggetta delle Cariatidi, posta
all’esterno).
L’architettura
teatrale dà esempi nel IV secolo nel teatro
di Dioniso ad Atene, in quelli di Delfi e Megalopoli e nel teatro di
Epidauro, dall’acustica ancor oggi perfetta, creato da Policleto il Giovane (attivo dal 390 al 340 a.C.) insieme alla thólos,
edificio circolare di ordine corinzio riccamente ornato che completa la
sistemazione di quel santuario, il cui tempio di Asclepio, anch’esso del sec.
IV a.C., fu opera di Teodoto.
Notevole anche
l’architettura funeraria, illustrata soprattutto dalle tombe reali di Macedonia, con sale a volta e ricca decorazione, da
quelle principesche dell’Asia Minore – il mausoleo
di Alicarnasso, il monumento delle
Nereidi di Xanto), e dai vari tipi di monumenti della necropoli di Cirene.
La scultura classica – In tutto il mondo
greco la scultura del periodo classico presenta differenze più di qualità che
di stile.
Nel V secolo a.C. Policleto di Argo, attivo dal 460 al 420
a.C., fissò un modulo per la costruzione
armonica del corpo umano e lo liberò, grazie a una precisa rispondenza di
ritmi, dalla rigidità della figurazione arcaica. Egli espresse il suo canone artistico, esposto anche in un
trattato oggi perduto, nel Doriforo (440 a. C.), in cui le proporzioni,
costruite sul modulo di base, si articolano nella disposizione a chiasmo degli
arti: alla gamba portante si oppone il braccio flesso, alla gamba piegata e
arretrata si oppone il braccio abbassato, con corrispondenza di ritmi ai
fianchi, nelle spalle, nell'inclinazione del capo. Amplificata e temperata
nella resa anatomica dall'influsso attico è la soluzione ritmica al problema
della figura virile nuda stante, realizzata nel Diadumeno (430 a. C.).
L'ateniese Fidia, attivo nella prima metà del V
secolo in varie città greche, ma soprattutto ad
Atene, dove diede espressione artistica ai grandi progetti dell'età di Pericle, impostò
nuove concezioni artistiche nella grandiosità di composizione delle scene,
nella serena idealizzazione delle sue maestose figure, nell'abilità di
trattazione del panneggio, come si riscontra nelle sculture del Partenone, oggi
in parte al British Museum di Londra, e nelle opere, note solo da copie, come
lo Zeus di
Olimpia e l'Athena Parthénos. Le notizie sulla sua vita sono scarse: certamente fu
allievo di Egìas. Le notizie relative alla sua morte sono discordanti:
secondo alcuni in carcere ad Atene, accusato dapprima del furto di parte
dell'oro destinato alla costruzione dell'Atena
Parthènos, e poi di empietà per aver eseguito il suo ritratto e
quello di Pericle sullo scudo della dea; secondo altri a Olimpia, dove si
sarebbe rifugiato dopo esser fuggito da Atene. Eseguì numerose e celebrate
opere, in vari materiali e con le più svariate tecniche, eccellendo sia nella
rappresentazione del nudo sia nella resa del panneggio leggero e trasparente
sui corpi, il cosiddetto panneggio bagnato. Si conoscono da copie l'Apollo Parnópios,
statua bronzea eretta sull'Acropoli di Atene; l'Atena Lemnia, pure
sull'Acropoli; l'Anadùmeno di Olimpia,
bronzeo, riconosciuto nel tipo Farnese in marmo del British Museum di Londra;
l'Amazzone di Efeso;
l'Anacreonte. Ma la
realizzazione più grandiosa di Fìdia fu la sistemazione urbanistica
dell'Acropoli di Atene e in particolare del Partenone, di cui eseguì con aiuti la decorazione scultorea
(frontoni, metope e
grande fregio) conservata per
la maggior parte al British Museum.
Le novantadue metope doriche furono scolpite come
altorilievi datate 446-440 a.C. Le metope del lato est del
Partenone, sopra l'entrata principale, raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano l'Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi
contro le Amazzoni). Le metope
del lato sud — con l'eccezione di 13-20 metope piuttosto problematiche, ormai
perdute — mostrano la Centauromachia Tessala.
Sul lato nord del Partenone, le metope sono poco
conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.
Parecchie metope
rimangono ancora sull'edificio ma con l'eccezione di quelle del lato nord, che
sono severamente danneggiate. Alcune di esse sono situate al museo dell'Acropoli,
altre, più numerose, sono al British
Museum ed una può essere ammirata
al museo del Louvre.
Il tratto più
caratteristico nella decorazione del Partenone è sicuramente il lungo fregio ionico posto lungo le pareti esterne
della cella. Si tratta di una caratteristica innovativa, dal momento che il
resto del tempio è costruito in stile dorico.
L'intero fregio
marmoreo è stato scolpito in altorilievo. Il fregio continuo era lungo 160
metri di cui ne sopravvivono 130, oggi in vari musei europei. La parte mancante
ci è nota dai disegni effettuati da Jacques
Carrey nel 1674. In una prima
semplice lettura, il fregio rappresenta la solenne processione che si teneva
ogni quattro anni in occasione delle feste
panatenaiche. Sono invece possibili diverse interpretazioni sul significato
della rappresentazione o sulla sua possibile attribuzione ad un evento storico
preciso: c'è chi ipotizza che l'ampio spazio riservato alla rappresentazione
della cavalleria sia un esplicito riferimento all'eroismo bellico delle Guerre Persiane; altri hanno ritenuto
di riconoscere nei vari personaggi della processione figure rappresentanti la
polis aristocratica e arcaica in contrapposizione ad altre che incarnerebbero
invece la democrazia dell'Atene classica,
in un tentativo di unire passato e presente. L'intero fregio è stato concepito
per essere letto a partire dall'angolo sud-ovest: lo spettatore a partire da
questo angolo poteva scegliere se dirigersi verso nord, oppure dirigersi
direttamente verso est. Dall'angolo sud-ovest del fregio prendono il via dunque
due processioni che girano attorno alla cella per confluire poi sul lato est
(quello dell'ingresso al tempio), al cui centro è rappresentato il gesto della
consegna del Peplo alla dea Atena. Al gesto della consegna assiste
la schiera degli dei e degli eroi. Tutte le figure del fregio sono state
rappresentate da Fidia in modo idealizzato, come se tutti i
personaggi fossero abitanti di una dimensione trascendente di eterna festa e
allegria. Questo effetto complessivo di aura divina è dato dalla scelta di
soggetti giovani, dalle espressioni dei quali non traspare fatica, nonostante
molti siano impegnati in qualche azione (come trasportare anfore o cavalcare),
bensì solenne allegria.
Di
Fidia era anche il colossale simulacro crisoelefantino della dea, la famosa Atena
Parthènos (438 a.
C.), di cui si ha eco sbiadita in statuette e copie parziali. Crisoelefantina
era anche la statua di Zeus per il tempio di Olimpia, nota da
monete adrianee, da gemme e da una testa di Cirene. L'originalità del linguaggio plastico fidiaco
innovò completamente la scultura greca dandole l'impronta della classicità, ed ebbe un'influenza enorme
anche sull'arte di epoche molto più tarde.
La conoscenza della
scultura è completata da numerose altre opere, tra cui si ricordano il gruppo
bronzeo dell'Auriga di Delfi.
L’Auriga di Delfi,
opera di Sòtade di Tèspie appare ancora immobile. Il bronzo fu realizzato
attorno al 475 a.C. per celebrare la vittoria di Hièron nella corsa dei carri,
durante i Giochi Pitici, e donato al santuario di Apollo Delfico da Polizèlo,
tiranno di Gèla.
L’Auriga, l’unico
componente pervenutoci integro del gruppo creato da Sotade (comprendente anche
un principe, uno schiavo, il carro e i cavalli) ha il corpo racchiuso in un
architettonico chitone. Questo, fittamente pieghettato secondo linee diagonali
su spalle e avambracci, diviene appena più morbido in corrispondenza del busto,
stretto da una cintura, per poi piombare in lunghe pieghe verticali che
lasciano, però, scoperti i mallèoli e i piedi nudi. La testa del conducente,
dai capelli cesellati che si arricciolano e si gonfiano sulle tempie, è cinta
dalla benda, l’unico premio simbolico di ogni gara agonistica, ed è appena
volta a sinistra. Il leggero incurvamento all’indietro del busto, che
accompagna il gesto di trattenere i cavalli tenendo tese le redini, non basta a
superare la sensazione di staticità. Occorre, tuttavia, tener presente che solo
la metà superiore del corpo dell’auriga era visibile al di sopra dello schermo
protettivo anteriore del carro, pertanto, il piccolo movimento del busto
bastava a suscitare una sensazione di naturalezza negli osservatori, quando il
gruppo statuario era ancora integro.
Alla corrente
postfidiaca appartennero Callimaco,
al quale si devono forse i rilievi dal
panneggio bagnato della balaustra del tempietto di Atena Nike, e Peonio di Mende.
Nel IV secolo, i tre
scultori che, reagendo all'idealizzazione fidiaca, diedero maggiore importanza
all'uomo e ai suoi sentimenti furono Prassitele
– forse originale è il famoso Hérmes del Museo di Olimpia – Scopas, autore delle sculture del tempio
di Atena Alea a Tegea, e Lisippo, che
fa muovere le sue figure nello spazio in piena tridimensionalità, introducendo
l'arte ellenistica. La loro celebrità è attestata dalle fonti classiche e dalle
numerose copie delle loro opere, che consentono di ricostruirne la personalità.
Prassitele,
figlio di Cefisodoto e padre degli scultori Cefisodoto e Timarco, è considerato
con Fidia e Policleto il
più grande scultore dell'antichità. Visse e si formò ad Atene, ma lavorò anche
per altre città, da Olimpia a Tespie, da Cnido a Platea. Nonostante la perdita di molte sue creazioni,
Prassitele è tra gli scultori antichi meglio noti; le fonti riferiscono infatti
molti dati della sua vita e ricordano tra l'altro che la bellissima Frine gli servì da modello e le sue opere
furono tra le più copiate nell'antichità. Maestro del colorismo attico – faceva
aggiungere, pare, un'ultima velatura pittorica, che richiedeva al pittore Nicia, sulle carni nude
– innovò la soluzione data da Policleto al problema della figura stante e
gravitante, ma fu più ricco di lui nella tematica, se ne distinse anche dal
punto di vista tecnico, essendo più scultore in marmo che bronzista. Preferì
trattare figure nude giovanili dai volti sereni, piene di grazia nel morbido e
sfumato plasticismo, nella struttura slanciata dei corpi e nei ritmi flessuosi,
ma seppe trarre anche dal panneggio sottilissimi effetti chiaroscurali. Il suo
giovanile Satiro versante (che si trovava probabilmente sulla
via dei Tripodi ad Atene), il Satiro in riposo,
l'Apollo Sauroctono (noto da circa settanta copie, tra cui
una bronzea a Villa Albani), l'Eros
di Tespie (esposto a
Roma nel portico di Ottavia, del quale una buona copia è il torso del Palatino
al Louvre), per non citare il famoso Hermes e Dioniso del Museo di Olimpia, ritenuto da
alcuni un originale mostrano nudi maschili dalla tenera corposità e dai vivi
risalti coloristici, gravitanti al di fuori del proprio asse in molle abbandono
e sostenuti da un appoggio esterno. Scolpita nel marmo fra il 340 e il 330 avanti
Cristo, e trovata nel tempio di Hera ad Olimpia, è fondamentale in quanto summa
totale delle novità stilistiche e concettuali portate dal suo autore nella
scultura greca: l'opera totale raffigura un episodio del mito di Dioniso, il
dio del vino e dell'ebbrezza, che ancora fanciullo venne affidato ad Hermes,
messaggero degli dei e inventore della lira, dal padre Zeus affinché potesse
osservarlo. Hermes, raffigurato in posizione eretta, nell'originale
recentemente ricostruito regge sul braccio sinistro Dioniso fanciullo, che
sembra guardare con tono un po' minaccioso, quasi per rimproverarlo.
Il corpo di Hermes è
in condizione di totale abbandono: la sua struttura è costruita
sull'inclinazione di tre assi, due rappresentati dalla testa e dalle gambe in
direzione parallela, il terzo rappresentato dal tronco in direzione obliqua
rispetto i precedenti. Questa struttura a causa dello spostamento dell'intero
gruppo scultoreo rispetto l'asse di gravità comunica un forte senso di
instabilità e nel contempo di dinamismo. A sostenere fisicamente l'intera opera
intervengono però elementi esterni come la presenza di un tronco d'albero o un
lembo di drappeggio, atti ad evitare il crollo della scultura.
Hermes, ritratto più
umano che divino, è caratterizzato da un volto languido, trasognato, e il suo
corpo ha una superficie morbida, luminosa, sembra ai limiti della trasparenza,
grazie al marmo, materiale preferito da Prassitele. Il modellato è soffice,
privo di asperità, la muscolatura è molle e poco pronunciata, quasi effeminata,
molto sensibile alla luce che crea uno sfumato tenue, ovattato. Grandissima fama ebbe l'Afrodite creata
per Cnido (di cui una buona copia è al Vaticano), tappa fondamentale nella
storia dell'antica rappresentazione della figura femminile, presentata qui in
piena nudità. Anche alcune lastre marmoree da Mantinea con la Gara tra Apollo e Marsia e sei Muse
(Museo Nazionale di Atene) ripetono tipi divini di Prassitele, mentre una
creazione matura, l'Apollo
Liceo, è nota da alcune copie tra cui una eburnea e su scala
ridotta del Museo ateniese dell'Agorà.
Scopas di Paro,
figlio forse di Aristandro, fu attivo tra il 380 a. C. e il 330 in Attica, Asia
Minore e nel Peloponneso, ponendosi, tra i grandi rinnovatori della scultura
greca. Lo stile scopadeo si distingue dal sereno ideale prassitelico per la
capacità di tradurre drammaticamente in forme plastiche l'intensità di
sentimenti e passioni. Questi caratteri sono presenti nei frammenti scultorei
dei frontoni del tempio di Atena Alea a Tegea, di
cui si sa che Scopa diresse la ricostruzione dopo l'incendio del 395 a. C.,
soprattutto nelle teste di guerrieri e in quella di Eracle. Analogo pathos presentano i rilievi di una colonna
dell'Artemision di Efeso con il mito
di Alcesti. Delle numerose sculture riferite dalle fonti a Scopa, soprattutto
statue marmoree di divinità, poche sono state identificate con relativa
certezza tra le copie di età romana; tra queste le più accettabili sono l'Eracle della collezione Lansdowne di Londra,
identificato da alcuni con l'Eracle
di Sicione; la Menade di Dresda (Staatliche
Kunstsammlungen), nella quale la tesa e passionale agitazione diviene furore
dionisiaco; il Pothos, simbolo del
nostalgico desiderio amoroso, noto in più copie tra cui quella dei Musei
Capitolini di Roma; e il Meleagro,
rappresentato da varie decine di copie.
La statua rappresenta
una delle menadi, le fanciulle
seguaci del dio Dioniso che ne celebravano il culto con
cerimonie orgiastiche e danze
forsennate al suono di flauti e tamburelli, al culmine delle quali
aveva luogo il sacrificio di un capretto o di un capriolo, dilaniato a colpi di
coltello e divorato crudo nel momento del parossismo
estatico.
La Menade di Dresda
sebbene molto danneggiata, non perde i suoi tratti fondamentali. L'agitazione
che pervade tutta la figura è resa dall'impetuosa torsione a vortice che, dalla
gamba sinistra, passa per il busto e il collo sino alla testa, gettata all'indietro
e girata, a seguire lo sguardo, verso sinistra; il volto è pieno, bocca naso e
occhi sono ravvicinati, questi ultimi schiacciati contro le forti arcate
orbitali per conferire maggiore intensità all'espressione. Il panneggio si apre
e si volge verso l'alto, assecondando il ritmo ascensionale della statua. Il
totale abbandonarsi del corpo alla passione è sottolineato anche dalla massa
scomposta dei capelli, dall'arioso movimento del chitone che, stretto da una
cintura appena sopra la vita, si spalanca nel vortice della danza, lasciando
scoperto il fianco sinistro, e dal forte contrasto chiaroscurale tra panneggi e
capigliatura da una parte e superfici nude dall'altra. Le braccia, perdute,
dovevano seguire la generale torsione del corpo: il braccio sinistro,
sollevato, stringeva contro la spalla un capretto; il destro era teso
all'indietro e la mano impugnava un coltello.
In quest’opera resta
poco della razionalità e del controllo delle opere, ad esempio, di Policleto,
raffigurando i nuovi orizzonti sociali, politici, culturali e religiosi che
attraversavano la Grecia in un momento di instabilità come il IV secolo a.C.
Di
grande importanza è la partecipazione di Scopas alla decorazione del mausoleo di Alicarnasso, iniziata nel 350 a. C. con la
collaborazione di Briasside, Timoteo e Leocare; benché
l'attribuzione delle diverse lastre scolpite (oggi al British Museum di Londra)
sia molto dibattuta, si riferiscono a Scopas alcune scene di Amazzonomachia
per l'intenso patetismo e le torsioni accentuate: questi caratteri,
tipici della visione artistica scopadea, furono fondamentali per gli sviluppi
della scultura ellenistica.
Lisippo di Sicione fu
lo scultore ufficiale di Alessandro Magno e
dei suoi successori.
Eseguì
statue di divinità, atleti, dinasti, ritratti, gruppi mitologici; le sue opere
erano collocate nei santuari e città della Grecia e dell'Italia. Secondo
Plinio, Lisippo creò un nuovo canone della figura umana, superando il
geometrismo, il ritmo chiastico e la frontalità di Policleto e realizzando figure più alte e
slanciate, con la testa piccola e la capigliatura mossa, libere nello spazio
secondo una nuova concezione ottica.
Punto
fermo per la conoscenza dell'arte di Lisippo è la statua dell'Apoxyómenos,
raffigurante un atleta che si deterge dopo una gara con
lo strigile sotto il
braccio destro, teso in avanti, per togliere l'olio di cui si era cosparso in precedenza. La statua, realizzata probabilmente poco prima
del 330 a.C., è nota dalla copia dei Musei Vaticani. Con lo slancio
delle braccia e la ponderazione instabile l'Apoxyómenos si inserisce in uno spazio reale, a
tre dimensioni. In questa opera Lisippo mise in atto la nuova ponderazione: la gamba sinistra diviene portante, quella destra
scarta lateralmente e l'azione principale è attribuita alla mano sinistra,
quindi nessuna parte del corpo è in riposo. Ne derivano un equilibrio instabile e un bilanciamento dinamico della figura. Nell'Apoxyomenos, Lisippo impiegò anche un nuovo canone, caratterizzato dalle minori proporzioni della testa rispetto al corpo, circa 1/8, e da
gambe sottili e occhi piccoli: in questo modo lo scultore si distaccò dall'uso delle proporzioni dei suoi
contemporanei.
Un'ulteriore novità
dell'opera di Lisippo è
costituita dalla posizione delle braccia protese verso l'osservatore: in questo
modo la scultura conquista
lo spazio davanti a sè e il torace resta in secondo piano. Inoltre le due parti
del corpo sono poste in contrasto tra loro: la solidità si concentra nella parte sinistra, con la gamba portante, e l'instabilità nella destra,con la gamba piegata e il braccio spinto in avanti. La statua risulta molto diversa a
seconda che la si guardi di fronte o di profilo: da questa seconda prospettiva infatti risulta più
evidente la conquista dello spazio attraverso
il movimento delle braccia.
A
esso può accostarsi la statua di Agias trovata a Delfi, statua di atleta
che faceva parte di un donario del dinasta Daochos di Tessaglia. Altre
attribuzioni convincenti sono: l'Eros
che incorda l'arco (forse
l'Eros di Tespie), noto da numerose copie romane; il ritratto di Alessandro
con la lancia, noto da bronzetti; il ritratto di Socrate,
noto da varie copie, che con il suo realismo psicologico supera l'idealismo del
ritratto di età classica; l'Eracle
in riposo, appoggiato alla clava, noto dalla gigantesca copia di
Napoli conosciuta come Ercole Farnese e da bronzetti.
La pittura e la ceramica
classiche - Conquistato
lo scorcio già alla fine del VI secolo a.C., si affrontarono nel V secolo i
problemi di ombreggiatura con Apollodoro skiagráphos,
cioè pittore delle ombre e di prospettiva con Agatarco scenografo. Nomi famosissimi sono quelli di Polignoto, che introdusse per primo un
tentativo di ricerca prospettica, Zeusi
e Parrasio, che operarono ad Atene
alla fine del V secolo.
Nel secolo seguente,
in cui sembrarono affermarsi la scuola realistica e la pittura su tavola, il
pittore più famoso fu Apelle, che
lavorò per Alessandro Magno.
Dalla metà del VI
secolo la ceramica attica dominò tutti i mercati del mondo greco, decadendo poi
fino a estinguersi alla fine del IV secolo. Dopo il 450 a.C. sorsero
nell'Italia meridionale fabbriche locali di vasi figurati molto simili a quelli
attici a figure rosse (vasi protoitalioti), che nel sec. IV (vasi italioti)
assunsero caratteristiche proprie. Anche la ceramica italiota cessò, come
quella attica, alla fine del IV secolo a.C.
La cultura italica in
fase classica
– Sotto il dominio dei Sanniti, iniziato nel 423 a.C., Capua iniziò a produrre
un caratteristico tipo di scultura su tufo, mentre Chiusi con gli etruschi
lavorava il calcare. Le sculture votive in terracotta, soprattutto quelle
raffiguranti i busti, testimoniano un sincero naturalismo: l'effetto luce è lo
studio del momento caratterizzante, stimolo vitale nella definizione del movimento
e di un linguaggio interiore.
Nel
400 a.C. i Lucani conquistano Paestum (Posidonia) e da questo periodo
incomincia a prendere forza la pittura a carattere funerario che si diffonderà
a partire dal 273 a.C.: la Macedonia si mette in vista con la famosa tomba da
Adenochori. Le opere pittoriche rimanevano in esposizione per tutto il tempo
del rito funerario, ed illustravano gli aspetti più importanti: oblazioni,
musiche e spettacoli. Con il fondo generalmente in bianco, e l'aggiunta del
rosso, giallo e nero, si sfiorano il limiti del tetracromismo, tanto ritenuto
importante da Apelle, al tempo in cui aumentavano considerevolmente le
decorazioni pittoriche delle tombe. Sporadicamente appare l'azzurro (colore che
insieme agli altri completa il vero tetracromismo) e il verde. Il colore viene
steso in modo naturale su uno strato di calce applicato in precedenza sul
travertino: uno strappo alla regola ellenica che caratterizza queste opere
rustiche, una scelta di autenticità rispetto alla convenzione di imitare con lo
stucco i vari tipi di marmo che fanno da supporto per la pittura.
Dall'Etruria
e dalle zone falische viene diffuso in tutta la Sabina uno stile animalistico
con particolari raffigurazioni di mostri creati dalla fantasia, che ha una
forte influenza anche al di là dell'Appennino. La zona umbra già dal V secolo
a.C. incrementa fortemente la produzione di minuscoli bronzi, raffiguranti
divinità in atto di guerra, snellite spesso esageratamente fino a raggiungere
la deformazione. Mentre in tutta la penisola italiana si accolgono, attraverso
le varietà regionali, schemi figurativi tra loro collegati, nell'isola
siciliana le opere dei Siculi e degli Elimi si devono confrontare in modo del
tutto autonomo con quelle dei Greci e Punici, prendendo precocemente forme
monumentali per gli edifici e luoghi di culto. Il periodo che segue è, in ogni
zona, influenzato dalle rivoluzioni ellenistiche.
Si
affaccia Roma – È necessario soffermarsi sul particolare rapporto che ebbero
inizialmente i romani con l’arte, dal momento che i primi reperti artistici di
questo popolo si collocano solo nell’ultimo periodo della repubblica. Si
suppone, infatti, che i romani avessero come primario interesse
l’organizzazione dello Stato e della macchina bellica, utile all’espansione territoriale
e che considerassero, perciò, l’opera d’arte un’inutile frivolezza. Solo
quando, dopo la grande espansione territoriale dell’impero, avviene la fusione
con altri popoli e con le loro culture e quando nel 146 a.C., dopo aver
conquistato la Grecia, entrano nell’orbita ellenistica si ha una produzione
artistica indubbiamente romana, ma fortemente determinata dagli influssi dei
popoli assoggettati.
Gli apporti più importanti vennero prima e soprattutto
dall’Etruria poi dalla Magna Grecia, quindi dalla Grecia e dal mondo
ellenistico e infine, in età imperiale, dalle altre aree dell’Impero romano e
anche dalle popolazioni esterne, soprattutto orientali, con cui Roma venne
progressivamente in contatto.
È nell'architettura
che l'arte di Roma diede gli apporti più originali. Accanto all'architettura
religiosa, particolare importanza assume l'architettura civile, dai fori e
dalle basiliche agli anfiteatri, agli acquedotti e alle terme.