La Natura è concepita da Pascoli come una presenza misteriosa e complessa che il poeta deve interpretare attivando l'immaginazione e aguzzando i sensi. Inoltre, condividendo le posizioni antipositivistiche e negando l'idea che la scienza abbia portato la felicità, Pascoli crede che la società industriale soffochi l'uomo condizionandolo pesantemente. Per questo contrappone la società alla Natura, agli aspetti semplici e dimessi della campagna. Perciò egli assume uno stato d'animo tipicamente decadente in quanto evade dalla realtà misteriosa e ostile rifugiandosi in luoghi chiusi, circondandosi di piccole e semplici cose rassicuranti e protettive.
Varie poesie del Pascoli hanno come sfondo elementi atmosferici, come la nebbia, i tuoni, i fulmini… Possiamo trovare fenomeni di questo tipo nelle poesie come "Temporale", "Il lampo" ed "Il tuono”. In queste poesie, il poeta presenta tali fenomeni come un qualcosa di pauroso anche per la terra stessa. Infatti per il poeta, il mondo all'esterno del nido familiare è indefinito e pericoloso, e viene pertanto temuto dal poeta.
La Natura è concepita da D'Annunzio una forma eccezionale: la natura si antropomorfizza, assume vesti mitiche, e l'uomo si naturalizza, divenendo una creatura "silvana".
L'IO trova a contatto con la natura una certa familiarità, si fonde con essa, si identifica con le varie presenze naturali, animali, vegetali, minerali, trasfigurandosi e potenziandosi.
La natura si identifica, soprattutto nell'Alcyone (il terzo libro de "Le laudi"), con il principio femminile ed è pervasa da una forza erotica: il poeta ne percepisce le sensazioni come provocazioni sessuali. La natura è ampio oggetto di conquista piena ed esaltante.
D’Annunzio ricerca una sottile musicalità e l'impiego di un linguaggio analogico. Una poesia pura, che risponde al nucleo più genuino del poeta.
L'esperienza pànica non è che una manifestazione del superomismo: solo al superuomo, creatura d'eccezione, è concesso di trasformarsi al contatto con la natura, attingendo ad una vita superiore al di là del limite umano. Solo il superuomo può cogliere ed esprimere l'armonia segreta della natura.
PASCOLI
Il lampo
· Un lampo rompe il silenzio e la notte con una luce violenta che mette a nudo la vera realtà del mondo: la sua tragicità e il caos che la contraddistingue. In questa situazione d’angoscia e paura Pascoli sente la sua vita in bilico tra il voler restare in un “nido” ormai distrutto e l’affrontare una vita piena d’inganni.
· Pascoli sente il bisogno di immergersi nel proprio io, per osservarlo, comprenderlo e cercare una vita interiore reale, avvolta nel mistero e nella sofferenza.
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tragico tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo esterefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.
Il tuono
· Pascoli vuole descrivere il tuono che, con alto fragore, rintrona nella notte scatenandosi in tutta la sua violenza terribile. L’essere umano all’udire questa voce possente della natura, s’impaurisce come il bimbo che piange spaventato nella notte buia. Ad intervenire per tranquillizzare il suo bimbo fu, infatti, la madre, la quale si assume un simbolo di protezione, di sicurezza e di pace serena.
· Il poeta inizialmente esprime la sua angoscia per lo scatenarsi improvviso di elementi negativi inserendo segnali di morte ed immagini dell’oscurità del nulla, ma riesce alla fine a tranquillizzarsi e riprendersi concludendo con l’annuncio del rifiorire della vita. Questo carattere è reso noto anche dalle parole chiave: “canto di madre” e “culla” che rappresentano “il nido” e la vita che rinasce.
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.
Temporale
· Il poeta non si limita a descrivere uno spettacolo naturale. Egli piuttosto comunica uno stato d'animo tormentato, di cui la tempesta e i colori sono “il simbolo”: le parole che ha scelto (rosso "affocato", dal nero "di pece", dagli "stracci" di nubi); l’utilizzazione di brevi frasi senza verbo, poste una dopo l'altra, che non lasciano spazio ai dettagli nella descrizione della natura e sembrano esprimere direttamente uno stato d'animo sbigottito; inoltre il ritmo dei versi, in particolare i versi finali che hanno una più forte foga, questo effetto da un senso di stupore di fronte ad un qualcosa di inusuale all’interno di un contesto completamente diverso (la piccola casa che si distingue contro il nero minaccioso della tempesta).
· Pascoli richiama il tema del nido familiare, attraverso metafore che hanno un significato simbolico.
· Lo stato d’animo di disagio e di rifiuto rappresentato dall’imminente presenza di un temporale, ma nel verso conclusivo con l’espressione “ l’ala di gabbiano” rappresenta uno stato di serenità e di protezione favorito dalla presenza del casolare che richiama il concetto del nido famigliare. Come sappiamo, le sue opere richiamano problematiche dell’autore presenti nella sua vita.
Un bubbolio lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare,
tra il nero un casolare,
un'ala di gabbiano.
La pioggia nel pineto
· Il tema è la pioggia estiva, mentre il poeta e la donna amata varcano le soglie della pineta e vi si inoltrano.
· In questa poesia si osserva una straordinaria abilità letteraria del poeta, capace di percepire con l’acutezza dei sensi, e di riprodurre con l’armonia delle parole, i suoni diversi che la pioggia suscita cadendo sulla fitta vegetazione.
· “Il poeta descrive la pioggia estiva nella pineta, cogliendola nei vari momenti e nella diversa orchestrazione dei suoni: quando inizialmente è rada, quando poi s’infittisce, quando infine diventa scrosciante. Il poeta e la donna amata si abbandonano con gioiosa voluttà alla freschezza della pioggia, imbevendosi dello spirito stesso del bosco, fino a sentirsi come trasformati in piante e frutti, in elementi della natura vegetale”.
· Il motivo vero in questa poesia non è quello della descrizione della pioggia, ma il panismo del poeta, la percezione di sentirsi intimamente fuso con la natura e di ritornare alle sorgenti primordiali della vita.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
Crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
Piove su le tue ciglia nere
Sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
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