Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

domenica 19 maggio 2013

L'arte ellenistica di Massimo Capuozzo


L’Ellenismo – Il periodo ellenistico va dalla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. alla battaglia di Azio nel 31 a.C., che segnò il definitivo sopravvento di Roma sull'Egitto, l'ultimo stato ellenistico ancora indipendente.
L'arte greca assunse allora un carattere cosmopolita: nuove tendenze si svilupparono nell'incontro tra la grecità e le varie tradizioni locali. Atene e le città continentali della Grecia decaddero, mentre i centri più attivi divennero Alessandria, Antiochia e Pergamo.
L'arte fiorita presso la corte dei Tolomei ad Alessandria d'Egitto, influì profondamente anche sull'arte imperiale romana e su quella cristiana. Caratteristico dell'architettura è l'illusionismo prospettico, mentre nella scultura coesistono lo sfumato pittorico e il gusto per la deformazione caricaturale.
La pittura di genere e lo stile compendiario alessandrino ebbero larga diffusione in età romana.
Dalla metà del II secolo a.C. inizia una tendenza che vede una sorta di revival dell’arte classica, che si prefiggeva di veder tornare l’arte greca agli antichi fasti, ma soprattutto di adempiere alle richieste dei collezionisti romani, che apprezzavano molto lo stile classico. Tra gli esponenti di spicco troviamo Pasitele e Stefano, rispettivamente della prima e della seconda metà del I secolo a.C.

L'architettura – Notevoli innovazioni compaiono nell'architettura dei templi: la planimetria è diversamente organizzata, si afferma deciso l'ordine corinzio accanto allo ionico e ad un tipo stilizzato e allungato di dorico, si diffonde l'edificio a pianta circolare, a thólos.
La novità maggiore dell'architettura ellenistica consiste nella grande pianificazione di aree costruite, siano esse intere città – come Priene e Pergamo – o singole zone all'interno di città preesistenti, in cui la sistemazione è organizzata secondo un piano generale come ad Eleusi, Atene, Delo, Efeso, Mileto.
Nasce un nuovo tipo architettonico, l'ara monumentale – luogo in cui si svolgevano sacrifici agli dei, formato da piattaforme colonnati e gradinate – i cui più significativi esempi sono a Pergamo, Siracusa, Licosura, Samotracia.
A Pergamo fu realizzato la grande ara dedicata a Zeus e ad Atena. Il re Eumene II, in seguito alla sua vittoria sui Galati nel 166 a. C., decise di far costruire e poi dedicare l’altare al dio.
I lavori di costruzione iniziarono intorno al 200 a. C., e furono completati durante il regno di Attalo II, fratello e successore di Eumene. Durante le invasioni barbariche, l’altare fu distrutto, ma degli archeologi tedeschi tentarono di ricostruirlo ed attualmente è possibile ammirarlo al Museo di Pergamo, a Berlino.

L’altare era composto da un recinto di forma quadrangolare, esternamente abbellito da un colonnato disposto a forma di U, al quale si accedeva tramite una grande scalinata, al centro di esso. Nella parte più alta si sviluppava un doppio porticato, caratterizzato da colonne ioniche.
La prima fila di colonne presentava nella sua parte posteriore un fregio continuo con la riproduzione delle avventure di Telefo, il celebre figlio di eroe Eracle.
Splendide e raffinate sculture ornavano e abbellivano i margini della scalinata posta al centro del colonnato e la parte laterale dello zoccolo. Il complesso di queste sculture raffiguravano delle scene di gigantomachia.

Il vero e proprio fregio dell’altare raggiungeva una lunghezza di circa centodieci metri e traduceva in forma scultorea diversi episodi: vi era il mito della lotta tra dei e giganti, la Gigantomachia. Questa raffigurazione voleva ricordare la recente lotta tra il popolo pergameno e quello dei Galati. Erano inoltre raffigurate le scene che ricordavano la figura di Telefo, in bassorilievo, che, arrivato in Misia, fu nominato re e fondò una nuova dinastia.
Anche l'edificio teatrale trovò nuovo sviluppo a Priene, Segesta, Delfi, Pergamo.

La scultura – Delle scuole di scultura, tre furono i centri principali, oltre ad Atene: Alessandria, Rodi e Pergamo. Le forme del primo ellenismo furono influenzate dai grandi maestri del sec. IV: Prassitele, Scopas e Lisippo. Tra gli artisti si ricordano Cefisodoto e Timarco, Boedas, Carete di Lindo; ma molte sono le opere significative non collegabili sicuramente a nomi di artisti come vari esemplari di Afrodite e di Muse, i Niobidi, la Testa bella di Pergamo, alcuni ritratti.
Accanto alle eredità dei grandi maestri, si sviluppò nel primo ellenismo lo stile detto sobrio o semplice o della forma chiusa. L’opera più caratteristica di questa tendenza è la statua di Demostene dell'attico Polieuktos (ca 280 a.C.). Parallelamente si andò affermando un nuovo ideale di plasticismo più ricco e dinamico che si avvaleva di violenti effetti pittorici chiaroscurali come nella Fanciulla di Anzio, ritenuta una delle più singolari statue dell'antichità.

Rinvenuta nel 1878 in una nicchia della Villa Imperiale di Anzio, la statua, alta m.1,70, raffigura una giovinetta rivolta a sinistra mentre avanza vestita di chitone e di un ampio himation. L'acconciatura frettolosa dei capelli, che lascia però intravedere i riccioli, la bella linea sinuosa che dalla nuca scende lungo la spalla nuda e più in basso lungo la gamba flessa con il piede leggermente sollevato, mostra, come una particolare libertà di movimento ed un ritmo oscillante ponendola nello stadio intermedio fra l'incedere ed il sostare. Questo atteggiamento e gli oggetti votivi – una benda di lana, un ramoscello d'alloro ed una zampa di leone – posti sul vassoio verso il quale rivolge lo sguardo, lasciano pensare che si trattasse di una sacerdotessa o comunque di un personaggio connesso al culto di qualche divinità.
La raffinatezza dell'esecuzione, la libertà di movimento hanno fatto ritenere ad alcuni che si tratti di un originale greco datato alla seconda metà del III sec. a.C., ritenendolo opera dei figli di Prassitele che recepirono nella scuola paterna anche le nuove conquiste di Lisippo.
La fase finale dell'arte ellenistica a partire dalla seconda metà del II secolo a.C., vide svilupparsi soprattutto nell'Attica le tendenze accademiche indicate con il nome di classicismo e di eclettismo: gli scultori si rifecero ai modelli classici secondo una rielaborazione arcaizzante, producendo anche copie da originali famosi.
Tra le opere più significative del periodo si ricordano la Venere di Milo, il Laocoonte, l'Omero cieco, l'Ulisse e altre sculture di Sperlonga, che rappresentano nello stile tardo ellenistico l'accecamento di Polifemo e l'assalto di Scilla alla nave di Ulisse, di proporzioni colossali, il ratto del Palladio ed Ulisse con il cadavere di Achille.
La Venere di Milo, riferibile alla fine del secondo secolo a. C., fu scoperta nel 1820, nei pressi di un antico teatro, sull'isola di Milo, nell'arcipelago delle Cicladi. In essa si sono volute scorgere molte figure mitologiche, ma questa donna dal busto denudato, che afferma con sicurezza la propria femminilità e sensualità, si presta in particolare all'identificazione con la dea dell'amore. È un'opera nello stile caratteristico della fine dell'epoca ellenistica, che riprende, rinnovandoli, modelli classici.

La contrapposizione tra la morbida pienezza del nudo e la brusca tensione del panneggio, un'attitudine più cordiale e umana di fronte alla grazia femminile e una più agiata e disinvolta presa di possesso dello spazio tridimensionale, attestano quanto vitale potesse ancora risultare il ripensamento dei capolavori del passato.
Il drappo che scivola dolcemente dalle anche, provoca la chiusura delle gambe e rende l'idea del movimento istantaneo e spontaneo della figura. Le corpose pieghe del drappeggio
hanno la funzione di nascondere la giuntura tra i due blocchi sovrapposti, scolpiti separatamente, con i quali è stata realizzata la statua.
Altrettanto separatamente erano stati scolpiti il braccio e il piede sinistro, secondo una tecnica scultorea del tutto nuova.
Il Gruppo del Laocoonte, scultura della scuola di Rodi, riferibile alla nine del II all’inizio del I secolo a. C., è un gruppo marmoreo monumentale custodito a Roma, presso i Musei Vaticani, nel Museo Pio-Clementino. Raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide che vede il troiano Laocoonte ed i suoi figli che lottano coi serpenti marini. Laocoonte era un veggente e sacerdote di Apollo. Si narra che, quando i troiani portarono nella città il cavallo di Troia, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, proferendo la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes. Laocoonte cercò invano di convincere i suoi concittadini a non far entrare nella città di Troia il cavallo lasciato dai greci che avevano sciolto l’assedio alla città. Atena, la divinità contraria ai troiani, per evitare che il suo consiglio trovasse ascolto, punì Laocoonte mandando due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, egli accorse in loro aiuto e fu stritolato assieme a loro. I Troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura.

La statua fu trovata il 14 gennaio del 1506 in prossimità della Domus Aurea di Nerone. Allo scavo assisterono di persona, tra gli altri, Michelangelo e l'architetto Giuliano da Sangallo. Fu proprio Giuliano da Sangallo ad identificare i frammenti con la scultura citata da Plinio che, nella Naturalis Historia, racconta di averla vista nella casa dell'imperatore Tito, attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atanodoro e Polidoro: fin dalla sua scoperta l’opera fu ritenuta un originale creato dagli scultori Haghesandros di Rodi ed i suoi due figli, Athenadoros e Polydoros. Solo recentemente, si sono scoperte notizie su questi tre artisti di Rodi e si è saputo che erano famosi e abili copisti che eseguivano ricercatissime copie per i committenti romani del tardo I secolo a.C.
Il gruppo raffigura il momento finale della tragica fine di Laocoonte e dei suoi due figli mentre sono strangolati da serpenti marini, come vendetta di Atena per il tentativo del sacerdote di Apollo di opporsi all'ingresso del cavallo di Troia nella città.
La sua posa è instabile perché, nel tentativo di liberarsi dalla stretta dei serpenti, Laocoonte richiama tutta la sua forza, manifestando con la più alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e spirituale. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica caricata, quasi teatrale. La resa del nudo mostra una consumata abilità, con l'enfatica torsione del busto che sottolinea lo sforzo e la tensione del protagonista. Il volto è tormentato da un'espressione pateticamente corrucciata. Il ritmo concitato si trasmette poi alle figure dei figli.

L'architettura romana in epoca repubblicana – L'architettura più antica, nota a Roma solo da pochi resti, rientra nell'ambito di quella etrusco-italica caratterizzata dal tempio tuscanico, che a differenza di quello greco era orientato e su alto podio, con alzato di legno rivestito di terrecotte policrome e ornato da statue fittili. I basamenti dei templi, le fortificazioni e altre costruzioni di carattere pratico (cisterne, acquedotti) erano costruiti in blocchi squadrati di tufo locale.
La maggior ricchezza, i contatti con il mondo greco e la venuta a Roma di architetti greci portarono, nel II secolo a.C., all'impiego del marmo in templi di tipo ellenistico.
Contemporaneamente si ebbero nuove creazioni architettoniche, come l'arco trionfale o la basilica (ambiente coperto, a pianta rettangolare, suddiviso in più navate da colonnati o da pilastri con funzione di centro degli affari) e la sistemazione monumentale del Foro Romano, il centro politico ed economico della città risalente al VII secolo a.C., situato nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio e costituì il centro commerciale, religioso e politico della città di Roma.

Le strette connessioni dell'architettura romana e dell'arte romana in genere con quella ellenistica, sono evidenti soprattutto a Pompei; il foro di Pompei (100 ca a.C.), riunisce in un insieme chiuso e coordinato i principali edifici pubblici cittadini, sia civili sia religiosi, è un esempio dell'interesse dell'architettura romana per le soluzioni urbanistiche razionali; Era chiuso al traffico e vi si poteva accedere soltanto a piedi. Qui erano concentrati tutti i monumenti necessari all'amministrazione politica, giudiziaria e alla vita religiosa ed economica della città, ma una vera e propria piazza monumentale costruita nel II secolo a. C. in un'area sostanzialmente priva di edifici più antichi. Si dovette comunque abbattere una parte del muro perimetrale del vicino santuario di Apollo, che avrebbe altrimenti invaso lo spazio riservato alla nuova area aperta. In questa fase, la piazza era pavimentata in lastre di tufo e aveva già una superficie totale di 5396 mq. Furono subito costruiti tutti gli edifici sui lati Nord Ovest e Sud della piazza, mentre sul lato Est si trovavano il primo macellum, taverne e forse abitazioni private, distrutte in seguito per fare spazio a nuovi monumenti. Per nascondere in parte il prospetto irregolare degli edifici della zona meridionale della piazza, il questore Vibio Popidio fece costruire un doppio porticato negli anni intorno alla fondazione della colonia sillana e poco dopo fu restaurato anche il tempio di Giove sul lato opposto della piazza. Un interesse maggiore per la sistemazione del Foro sorse in età augustea tra la fine del I secolo a. C. e l'inizio del I secolo d. C. La vecchia pavimentazione in tufo venne sostituita da una nuova in travertino su cui venne scritto in grandi lettere di bronzo il nome, purtroppo ormai illeggibile, del donatore. Sul lato Est vennero costruiti una serie di edifici dedicati al culto dell'imperatore, venne restaurato l'antico macellum, gli ingressi alla piazza vennero trasformati in archi monumentali. Infine una particolarità: il Foro di Pompei è uno dei pochi del mondo romano in cui le statue onorarie non sono concentrate al centro della piazza, ma disposte sui lati o addirittura sotto il porticato. A Pompei si ritrova anche il più antico anfiteatro (80 ca a.C.).
In questo periodo viene diffondendosi uno dei motivi portanti della scultura romana: il ritratto. Esso trae origine dall’usanza patrizia di ricavare calchi di cera dai propri defunti e talvolta di trarne dei busti e delle statue in marmo (Statua Barberini, I secolo a.C.) o terracotta da conservare come monito per le generazioni successive. Da ciò deriva anche l’estremo realismo della ritrattistica romana, che, a differenza di quella greca, preferisce riprodurre e ricordare le reali sembianze dei soggetti trattati, piuttosto che darne una rappresentazione idealizzata.

Massimo Capuozzo

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