La crisi del Rinascimento:
dal Manierismo al Barocco
Nella seconda
metà del ‘500 si avverte un senso di fallimento, di stanchezza e di grigio
conformismo, si cercano ragioni che giustifichino la propria attività di
scrittori. Il ricorso agli antichi che aveva funzionato da spinta competitiva,
ora invece ha azione cristallizzante ed esclude la possibilità di compiere
grandi opere. Gli intellettuali vivono le nuove preoccupazioni religiose,
alcuni accettano le tesi protestanti, altri vivono una rinnovata fede
cattolica, ma comunque con col turbamento che la letteratura umanistica con il
suo rifarsi alla civiltà antica non poteva accordarsi con la fede cristiana. A
indicare questa fase di crisi del rinascimento si usa il termine “Manierismo”
il cui significato, tutt’altro che univoco è usato variamente sia per il
periodo cronologico sia per i fenomeni che lo riguardano. Per alcuni è un
cuscinetto tra il rinascimento e il barocco, per altri è parte del rinascimento
del quale è espressione della crisi, per tal’altri ha caratteristiche sue definite.
In questo modo,
nella seconda metà del ‘500, coesistettero talvolta legate tra loro, due
concezioni diverse della poesia. Da un lato un classicismo fondato sulla
ragionevolezza e la misura, dall’altro un barocco fondato sulla ricerca della
meraviglia e della sensualità. E’ importante notare che queste due strade non
erano tanto contrastanti e inconciliabili. Spesso gli uomini che seguirono una,
batterono pure l’altra facendo sì che nella seconda metà del ‘500 e nel ‘600 si
ebbe un’arte tutt’assieme decorosa e sensuale, regolata da principi classici e
contemporaneamente anticlassica, piena di preoccupazioni moralistiche e
religiose e aspirante continuamente a superarle in un gioco di immaginazioni e
fantasie.
Tasso si colloca
nel momento di passaggio dal Rinascimento al Barocco e nella sua opera si
possono individuare elementi che la riconducono all'uno o all'altro di questi
due differenti movimenti culturali. Per l'opera di Tasso si usa spesso la definizione
di manierismo, indicando con questo termine mutuato dalla storia dell'arte le
caratteristiche spesso ambivalenti delle sue creazioni letterarie, sempre in
bilico tra il classicismo umanistico-rinascimentale e la tentazione della
trasgressione che sarà tipica della sensibilità barocca.
Tasso è un
autore eclettico, che si è cimentato nei diversi generi letterari, anche se la
sua fama è legata soprattutto al poema epico, a cui del resto egli stesso ha
dedicato la maggior parte delle proprie energie creative.
Il Combattimento
di Tancredi e Clorinda
Da La
Gerusalemme liberata[1]
di Torquato Tasso
Canto XII, 52 - 68
I
protagonisti dell’episodio, uno dei più famosi del poema, sono Clorinda, valorosa
guerriera pagana, e Tancredi, cavaliere cristiano dalle straordinarie qualità,
segretamente innamorato della fanciulla. Mentre l’esercito dei crociati assedia
Gerusalemme, un’audace spedizione compiuta da Clorinda e dai suoi incendia le
macchine belliche dei cristiani, rendendo per il momento vani i loro sforzi.
Cala però la notte e Clorinda rimane chiusa fuori da Gerusalemme.
Nelle
tenebre, il caso vuole che proprio Tancredi riconosca in lei un guerriero
nemico.
Lo
scontro tra i due si trasforma in un tragico duello, in cui Tancredi uccide inconsapevolmente
la donna amata ma, paradossalmente, salva la sua anima attraverso il battesimo.
Il
combattimento di Tancredi e Clorinda
Da La
Gerusalemme liberata di Torquato
Tasso Canto XII, 52 – 68
Sola
esclusa ne fu[2],
perchè in quell’ora
Ch’altri serrò le porte, ella si mosse[3]:
E corse, ardente e incrudelita, fuora[4]
A punir Arimon che la percosse.
Punillo; e ’l fero Argante avvisto ancora
Non s’era ch’ella sì trascorsa fosse[5]:
Chè la pugna e la calca e l’aer denso[6]
Ai cor togliea la cura[7], agli occhj il senso[8].
Ch’altri serrò le porte, ella si mosse[3]:
E corse, ardente e incrudelita, fuora[4]
A punir Arimon che la percosse.
Punillo; e ’l fero Argante avvisto ancora
Non s’era ch’ella sì trascorsa fosse[5]:
Chè la pugna e la calca e l’aer denso[6]
Ai cor togliea la cura[7], agli occhj il senso[8].
Ma poi che intepidì la mente irata
Nel sangue del nemico, e in se rivenne[9],
Vide chiuse le porte, e intorniata
Sè da’ nemici: e morta allor si tenne[10].
Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata[11],
Nov’arte[12] di salvarsi le sovvenne.
Di lor gente s’infinge[13], e fra gl’ignoti
Cheta s’avvolge[14]; e non è chi la noti.
Nel sangue del nemico, e in se rivenne[9],
Vide chiuse le porte, e intorniata
Sè da’ nemici: e morta allor si tenne[10].
Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata[11],
Nov’arte[12] di salvarsi le sovvenne.
Di lor gente s’infinge[13], e fra gl’ignoti
Cheta s’avvolge[14]; e non è chi la noti.
Poi, come lupo tacito s’imbosca
Dopo occulto misfatto, e si desvia[15]:
Dalla confusion, dall’aura fosca
Favorita e nascosa ella sen gía.
Solo Tancredi avvien che lei conosca[16].
Egli quivi è sorgiunto[17] alquanto pria;
Vi giunse allor ch’essa Arimone uccise:
Vide, e segnolla[18], e dietro a lei si mise.
Dopo occulto misfatto, e si desvia[15]:
Dalla confusion, dall’aura fosca
Favorita e nascosa ella sen gía.
Solo Tancredi avvien che lei conosca[16].
Egli quivi è sorgiunto[17] alquanto pria;
Vi giunse allor ch’essa Arimone uccise:
Vide, e segnolla[18], e dietro a lei si mise.
Tancredi che Clorinda un uomo stima
vuol ne l'armi provarla[19] al paragone[20].
Va girando colei l'alpestre cima[21]
ver altra porta, ove d'entrar dispone[22].
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone[23]
ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte[24],
correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.
vuol ne l'armi provarla[19] al paragone[20].
Va girando colei l'alpestre cima[21]
ver altra porta, ove d'entrar dispone[22].
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone[23]
ch'ella si volge e grida: - O tu, che porte[24],
correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.
- Guerra e morte avrai: - disse - io non
rifiuto
darlati, se la cerchi e fermo attende. -
Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè[25] veduto
il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un e l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende;
e vansi incontro[26] a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d'ira ardenti.
darlati, se la cerchi e fermo attende. -
Ne vuol Tancredi, ch'ebbe a piè[25] veduto
il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'un e l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ira accende;
e vansi incontro[26] a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d'ira ardenti.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e nell'oblio fatto sì grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
teatro, opre sarian sì memorande
Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande[27].
Viva la fama lor, e tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l'alta memoria[28].
chiudesti e nell'oblio fatto sì grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
teatro, opre sarian sì memorande
Piacciati ch'indi il tragga e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande[27].
Viva la fama lor, e tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l'alta memoria[28].
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte[29].
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte[30].
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e 'l piè d'orma non parte[31]:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.
voglion costor, ne qui destrezza ha parte[29].
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e'l furor l'uso de l'arte[30].
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e 'l piè d'orma non parte[31]:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.
L'onta irritalo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova[32]:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e piaga nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta[33]
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi[34], e infelloniti e crudi[35]
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
e la vendetta poi l'onta rinova[32]:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e piaga nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta[33]
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi[34], e infelloniti e crudi[35]
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia[36], e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro[37], e l'un e l'altro il tinge[38]
di molto sangue[39]: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur[40] si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
con le robuste braccia[36], e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro[37], e l'un e l'altro il tinge[38]
di molto sangue[39]: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur[40] si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo
essangue
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e se non tanto offeso[41],
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente[42] ch'ogn'aura di fortuna estolle[43]!
su'l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e se non tanto offeso[41],
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente[42] ch'ogn'aura di fortuna estolle[43]!
Misero, di che godi? Oh quanto mesti
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse[44]:
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse[44]:
-
Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra[45].
tanto valor, dove silenzio il copra[45].
Ma poi che sorte rea vien[46] che
ci nieghi
e lode e testimon degni de l'opra[47],
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che 'l tuo nome e 'l tuo stato[48] a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore.[49] –
e lode e testimon degni de l'opra[47],
pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
che 'l tuo nome e 'l tuo stato[48] a me tu scopra,
acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore.[49] –
Rispose la feroce: - Indarno chiedi
quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese[50]. -
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e 'l tuo dir e 'l tacer[51] di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.
quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese[50]. -
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: - In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e 'l tuo dir e 'l tacer[51] di par m'alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.
Torna l'ira ne' cori e li trasporta,
benchè deboli[52], in guerra a fiera pugna!
Ù' l'arte in bando[53], ù' già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta[54]
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna
ne l'armi e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
benchè deboli[52], in guerra a fiera pugna!
Ù' l'arte in bando[53], ù' già la forza è morta,
ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta[54]
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna
ne l'armi e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
Qual l’alto
Egeo, perchè Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta però; ma ’l suono e ’l moto
ritien dell’onde anco agitate e grosse;
tal, sebben manca in lor col sangue voto
quel vigor che le braccia ai colpi mosse;
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno[55].
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta però; ma ’l suono e ’l moto
ritien dell’onde anco agitate e grosse;
tal, sebben manca in lor col sangue voto
quel vigor che le braccia ai colpi mosse;
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno[55].
Ma ecco omai l'ora fatal è giunta
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve[56].
Spinge egli il ferro nel bel sen[57] di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste che d'or vago trapunta[58]
le mammelle stringea tenere e lieve,
l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente[59].
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve[56].
Spinge egli il ferro nel bel sen[57] di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste che d'or vago trapunta[58]
le mammelle stringea tenere e lieve,
l'empiè d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente[59].
Segue[60] egli
la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole ch'a lei novo spirto addita,
spirto di fè, di carità, di speme[61],
virtù che Dio le infonde[62], e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella[63].
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole ch'a lei novo spirto addita,
spirto di fè, di carità, di speme[61],
virtù che Dio le infonde[62], e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella[63].
- Amico[64], hai
vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave[65],
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave[66]. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
tu ancora, al corpo no, che nulla pave[65],
a l'alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave[66]. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen d'un monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man[67], mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio[68].
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man[67], mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio[68].
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise[69],
e premendo[70] il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua[71] a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse[72],
colei di gioia trasmutossi[73], e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: "S'apre il ciel: io vado in pace".
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise[69],
e premendo[70] il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua[71] a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse[72],
colei di gioia trasmutossi[73], e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: "S'apre il ciel: io vado in pace".
D’un bel pallore ha il bianco volto asperso[74],
Come a’ giglj sarian miste viole:
Come a’ giglj sarian miste viole:
E gli occhj
al Cielo affisa, e in lei converso[75]
Sembra, per la pietate, il Cielo e ’l Sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà pegno di pace: in questa forma
Passa[76] la bella donna, e par che dorma.
Sembra, per la pietate, il Cielo e ’l Sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà pegno di pace: in questa forma
Passa[76] la bella donna, e par che dorma.
Il giardino di Armida
Poi che lasciàr gli aviluppati
calli,
in lieto aspetto il bel giardin
s’aperse:
acque stagnanti, mobili cristalli,
fior vari e varie piante, erbe
diverse,
apriche collinette, ombrose valli,
selve e spelonche in una vista
offerse;
e quel che ’l bello e ’l caro
accresce a l’opre,
l’arte,
che tutto fa, nulla si scopre.
Stimi (sí misto il culto è co ’l
negletto)
sol naturali e gli ornamenti e i
siti.
Di natura arte par, che per diletto
l’imitatrice sua scherzando imiti.
L’aura, non ch’altro, è de la maga
effetto,
l’aura che rende gli alberi fioriti:
co’ fiori eterni eterno il frutto
dura,
e
mentre spunta l’un, l’altro matura.
Nel tronco istesso e tra l’istessa
foglia
sovra il nascente fico invecchia il
fico;
pendono a un ramo, un con dorata
spoglia,
l’altro con verde, il novo e ’l pomo
antico;
lussureggiante serpe alto e
germoglia
la torta vite ov’è piú l’orto
aprico:
qui l’uva ha in fiori acerba, e qui
d’or l’have
e
di piropo e già di nèttar grave.
Vezzosi augelli infra le verdi
fronde
temprano a prova lascivette note;
mormora l’aura, e fa le foglie e
l’onde
garrir che variamente ella percote.
Quando taccion gli augelli alto
risponde,
quando cantan gli augei piú lieve
scote;
sia caso od arte, or accompagna, ed
ora
alterna i versi lor la musica òra.
Vola fra gli altri un che le piume
ha sparte
di color vari ed ha purpureo il
rostro,
e lingua snoda in guisa larga, e
parte
la voce sí ch’assembra il sermon
nostro.
Questi ivi allor continovò con arte
tanta il parlar che fu mirabil
mostro.
Tacquero gli altri ad ascoltarlo
intenti,
e fermaro i susurri in aria i venti.
"Deh mira" egli cantò
"spuntar la rosa
dal verde suo modesta e verginella,
che mezzo aperta ancora e mezzo
ascosa,
quanto si mostra men, tanto è piú
bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
dispiega; ecco poi langue e non par
quella,
quella non par che desiata inanti
fu da mille donzelle e mille amanti.
Cosí trapassa al trapassar d’un
giorno
de la vita mortale il fiore e ’l
verde;
né perché faccia indietro april
ritorno,
Cogliam la rosa in su ’l mattino adorno
di questo dí, che tosto il seren
perde;
cogliam d’amor la rosa: amiamo or
quando
esser si puote riamato amando."
La
favola di Narciso
Da
Adone,
di Giambattista Marino canto V, 169-216
Il mito di Narciso offre a Marino materia per una
narrazione in cui il tormento di strano amor novo del giovane è
vissuto tra luci, colori e sensazioni tattili offerte da una natura
esuberante. La passione amorosa è espressa in sospiri e desideri ardenti
tipici dello stile barocco, fino al compimento del destin del vaneggiante e vago/vagheggiator dela sua vana imago con la metamorfosi finale.
Tra
verdi colli in guisa di teatro
siede rustica valle e boschereccia;
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia;
fonticel di bell'ombre algente ed atro
inghirlandato di fiorita treccia
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.
Su la sponda letal di questo fonte
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge,
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
E quivi Amor, mentr'egli a ber s'inchina,
vuol ch'impari a schernir virtù divina.
Ferma ne le bell'onde il guardo intento
e la propria sembianza entro vi vede;
sente di strano amor novo tormento
per lei che finta imagine non crede;
abbraccia l'ombra nel fugace argento
e sospira e desia ciò che possiede;
quel che cercando va porta in se stesso,
miser, né può trovar quel ch'ha da presso.
Corre per refrigerio al'onda fresca,
ma maggior quindi al cor sete gli sorge;
ivi sveglia la fiamma, accende l'esca,
dove a temprar l'arsura il piè lo scorge;
arde e perché l'ardor vie più s'accresca
la sua stessa beltà forza gli porge
e, nel'incendio d'una fredda stampa,
mentre il viso si bagna il petto avampa.
La contempla e saluta e tragge, ahi folle!
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero.
Invidia a quell'umor liquido e molle
la forma vaga e'l simulacro altero
e, geloso del bene ond'egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.
Mancando alfin lo spirto a l'infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del'onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L'onda che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogni suo vigor prende da l'acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia;
fonticel di bell'ombre algente ed atro
inghirlandato di fiorita treccia
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.
Su la sponda letal di questo fonte
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge,
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
E quivi Amor, mentr'egli a ber s'inchina,
vuol ch'impari a schernir virtù divina.
Ferma ne le bell'onde il guardo intento
e la propria sembianza entro vi vede;
sente di strano amor novo tormento
per lei che finta imagine non crede;
abbraccia l'ombra nel fugace argento
e sospira e desia ciò che possiede;
quel che cercando va porta in se stesso,
miser, né può trovar quel ch'ha da presso.
Corre per refrigerio al'onda fresca,
ma maggior quindi al cor sete gli sorge;
ivi sveglia la fiamma, accende l'esca,
dove a temprar l'arsura il piè lo scorge;
arde e perché l'ardor vie più s'accresca
la sua stessa beltà forza gli porge
e, nel'incendio d'una fredda stampa,
mentre il viso si bagna il petto avampa.
La contempla e saluta e tragge, ahi folle!
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero.
Invidia a quell'umor liquido e molle
la forma vaga e'l simulacro altero
e, geloso del bene ond'egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.
Mancando alfin lo spirto a l'infelice,
troppo a se stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del'onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L'onda che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogni suo vigor prende da l'acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.
[1]
I canti
del poema sono venti e in ottave, com’era consuetudine per i poemi
cavallereschi, si snodano intorno alle seguenti vicende.
Dal
cielo, Dio volge lo sguardo sul campo dei cristiani e decide che il comando
delle operazioni per la conquista della città sia affidato a Goffredo di Buglione,
che è il più degno e il più ricco di fede.
Sono
passati in rassegna i principi cristiani, tra i quali spiccano Rinaldo e Tancredi,
che è tormentato da un infelice amore per una musulmana, Clorinda. Goffredo,
divenuto capo dell’esercito, si prepara ad assalire la città, difesa dal
sultano Aladino.
A
Gerusalemme scompare un’immagine sacra della Madonna dalla chiesa dei
cristiani; Aladino ne incolpa i cristiani medesimi e decide di perseguitarli.
Una fanciulla cristiana, Sofronia, si accusa del furto; altrettanto fa un
giovane, Olindo, che è innamorato di lei e vuole salvarla. I due giovani sono
condannati a perire insieme sul rogo. Clorinda, la guerriera, si commuove della
loro vicenda e per i suoi meriti ottiene dal re la loro liberazione. Anche
l’Egitto, per voce del guerriero Argante, dichiara guerra ai cristiani.
I
cristiani sono in vista di Gerusalemme e salutano commossi la città dov’è
sepolto Cristo. Clorinda esce loro incontro e combatte con Tancredi che,
avendola riconosciuta, si limita a difendersi e dichiara il suo amore. In una
imboscata guidata da Argante, muore il principe cristiano Dudone, cui sono
celebrati solenni funerali.
Su
istigazione del dio dell’inferno, il mago Idraote manda la sua bella nipote
Armida al campo cristiano per chiedere a Goffredo l’aiuto di dieci guerrieri
che vendichino un torto da lei sofferto nella sua patria, Damasco. Scopo
dell’inganno è quello di trascinare in avventure lontane i migliori guerrieri
cristiani. L’inganno riesce.
La
scelta dei guerrieri genera discordie nel campo, dal quale si allontanano
Rinaldo e parecchi altri, sedotti dalla bellezza di Armida. Intanto è
annunciato l’arrivo della flotta egiziana.
Argante
sfida a singolar tenzone un cristiano. Accetta Tancredi, ma il duello viene
interrotto per il calare della notte. Erminia, figlia del re di Antiochia,
innamorata di Tancredi, veste le armi di Clorinda e cerca di raggiungere la
tenda dei principe normanno. Scoperta, è costretta a fuggire.
Erminia
in fuga si rifugia presso alcuni pastori, che vivono una loro semplice vita in
mezzo alla selva, lontani dalle passioni del mondo e dalla guerra. Tancredi,
che ha inseguito Erminia credendola Clorinda, finisce momentaneamente nel castello
incantato di Armida ed è sottratto così ai suoi doveri; il suo duello con
Argante è continuato da Raimondo di Tolosa, e disturbato dall’intervento dei
diavoli.
Solimano
fa strage dei cristiani danesi. Giunge la notizia che Rinaldo è morto. Durante
la notte, la furia Aletto porta discordia nel campo dei cristiani, facendo
credere che responsabile della morte di Rinaldo sia Goffredo. La discordia è
sedata a stento.
Continuano
le imprese di Solimano. Intervengono nella battaglia anche Clorinda e Argante
e numerosi guerrieri cristiani. Solimano è condotto in Gerusalemme dalle arti
magiche di Ismeno. Al campo cristiano si apprende che Rinaldo non è morto, ma
anzi ha liberato i cavalieri sedotti dalle grazie di Armida e ora si sta dirigendo
ad Antiochia.
Dopo
una solenne processione al monte Olivéto, i cristiani attaccano la città
avvicinando alle mura una grande torre. Si accendono furiosi combattimenti,
Goffredo è ferito, ma grazie a Tancredi i cristiani hanno la meglio finché
cala la notte.
Nella notte, Clorinda e Argante escono dalla città e
incendiano la torre, Tancredi assale Clorinda, mentre Argante riesce a porsi
in salvo in città. Nel duello che segue. Clorinda è colpita a morte e chiede
al suo avversario il battesimo. Toltole l’elmo, Tancredi la riconosce e
s’accorge così di avere ucciso la donna che ama. La sua disperazione lo porta
sull’orlo del suicidio.
Canto
XIII. Per le arti magiche di Ismeno, la selva dalla quale i cristiani si
forniscono di. legname per lp torri d’assalto, diviene un luogo d’incanti dove
nessuno può entrare. Contemporaneamente Ismeno provoca una terribile siccità
che tormenta gli assedianti. Solo le ardenti preghiere di Goffredo ottengono
da Dio un temporale.
Canto
XIV. Goffredo manda due messi a cercare Rinaldo; si apprende che il giovane
guerriero, vittima degli incantesimi di Armi-da, è chiuso in un suo castello
fatato, nelle lontane Isole Fortunate.
Canto
XV. I due messi viaggiano verso le Isole Fortunate e riescono a entrare nel magico
castello.
Canto
XVI. Rinaldo, raggiunto dai due me si e liberato dall’incantesimo, abbandona
Armida che è innamorata di lui e ritorna sulla via del campo.
Canto
XVII. Armida si reca in Egitto a cercare un guerriero pagano che la vendica
dell’abbandono di Rinaldo; il quale, intanto giunto in Palestina, ottiene nuove
armi, tra cui uno scudo, che celebra le glorie delta casa d’Este.
Canto
XVIII. Rinaldo, purificatosi dalle s colpe sul monte Oliveto, rompe gli incanti
della selva e così i cristiani possono costruire tre torri, con l’ausilio delle
quali, dopo aspra battaglia, riescono a entrare in città. Il mago Ismeno, dopo
averli invano contrastati con le sue arti, muore. E intanto annunciato l’arrivo
dell’esercito egiziano.
Canto
XIX. Argante combatte in duello con Tancredi e resta ucciso. Tancredi, ferito
gravemente, è soccorso da Erminia. Saccheggio di Gerusalemme. Aladino si
rifugia nella torre di David.
Canto XX. All’arrivo dell’esercito egiziano la
battaglia si fa terribile. Tra i morti è il grande Solimano e molti dei campioni
di Armida, che si rappacifica con Rinaldo e promette di farsi cristiana.
Cadono pure, tra i tanti, due eroici sposi cristiani, Gildippe e Odoardo;
Aladino è ucciso da Raimondo di Tolosa; cade infine l’ultimo campione musulmano
Emireno per mano di Goffredo, può così entrare vittorioso nel Santo Sepolcro e
sciogliere il voto.
[2] Sola…ne fu: Dalle mura di Gerusalemme; all’impresa di distruggere
la torre cristiana Clorinda era mossa con un altro guerriero pagano, Argante, re
di Circassia; costui, dopo l’azione, era rientrato in Gerusalemme, mentre
Clorinda si era imprudentemente allontanata per inseguire e punire un guerriero
cristiano, Arimone, che l’aveva colpita.
[3] Si mosse: Si allontanò.
[4] Fora: Fuori dalle mura.
[5] Avisto..fosse: Non si era ancora accorto che ella si fosse
allontanata.
[7] La cura: La possibilità di curarsi degli altri.
[8] Il senso: La vista
[9]Ma
poi…rivenne: Ma
poi che ebbe placata l’ira dell’animo uccidendo l’avversario, e ritornò in sé,
riprese il domino di sé.
[10] Morta…si tenne: si considerò morta. La morte è ormai sentita dalla
donna come un destino inevitabile.
[11] Ch’alcuno..guata: che nessuno la guarda.
[12] Nov’arte: nuovo accorgimento.
[13] Di lor…s’infinge: si finge cristiana.
[14] S’avolge: si mescola.
[15] Si desvia: fa perdere le sue tracce.
[16] Che lei conosca: non come Clorinda, la donna amata, ma come il
guerriero pagano che ha incendiato la torre e ucciso Arimone.
[17] Sorgiunto:sopraggiunto.
[18] Segnolla: non la perse di vista.
[19] Vuol... provarla: vuole sfidarla a duello.
[20] Degno…paragone: degno che con lui si confronti il proprio valore.
[21] alpestre cima: il colle di Gerusalemme.
[22] verso... dispone: verso un’altra porta della città, dove si prepara
ad entrare.
[23] in guisa... suone: le sue armi,nell’impeto della corsa a
cavallo,risuonano talmente ecc.
[24] Che porte: che cosa porti.
[25] Piè: a piedi.
[26] vansi a ritrovar: si scagliano l'uno contro l'altro.
[27]
Degne... memorande: il poeta
lamenta che l’oscurità della notte nasconda imprese degne della piena luce
(d’un chiaro sol), di un vasto pubblico (d’un pieno teatro), e si ripropone di
sottrarle all’oscurità e all’oblio e di tramandarle ai posteri; ne ‘l tragga: tragga il combattimento
dall’oscurità, e all’oblio; in bel
sereno: in piena luce; spieghi e
mande: dispieghi e tramandi..
[28] Tra lor gloria... l'alta memoria: e tra le loro imprese gloriose
splenda anche l'alto ricordo delle tue tenebre.
[29] Schivar…parar…colpi or finti…pieni…scarsi: sono modi tecnici dello
scontro cavalleresco.
[30] toglie... arte: l'oscurità della notte e il furore impediscono ai
combattenti di usare l'abilità, la tecnica raffinata della scherma.
[31] Il piè…parte: il piede non si allontana dall’orma che ha segnata
sul terreno:stanno a piè fermo,come dirà subito dopo.
[32] L’onta…rinova: è il gioco delle psicologie esasperate: la vergongna
(l’onta) per i colpi ricevuti accende lo sdegno (irrita lo sdegno) e spinge a
vendicarsi (a la vendetta) con altri colpi; i quali a loro volta suscitano la
vergogna di chi li ha ricevuti.
[33] Più si mesce…ristretta: si fa più confusa e serrata.
[34] Dansi co’pomi: si colpiscono coi pomi delle spade.
[35] Infelloniti e crudi: trascurando le leggi cavalleresche e spietati.
[36] Tre volte…braccia: quello che doveva essere un abbraccio d’amore è
un abbraccio di odio, (nodi di fier nemico e non d’amante).
[37] Al ferro: all’uso della spada.
[38] il tinge: lo bagna di sangue.
[39] Di molto sangue: col sangue dell’avversario.
[40] Pur: finalmente.
[41] offeso: ferito.
[42] Folle mente: mente che non si rende conto delle cose. La gioia di
Tancredi diventerà infatti disperazione quando conoscerà chi è il suo
avversario.
[43] estolle: fa insuperbire.
[44] Disse…scoprisse: chiese all’altro di rivelargli il suo nome.
[45] Nostra... copra: la nostra sorte sfortunata vuole che si manifesti
qui un valore che non sarà noto ad alcuno. I due si sono allontanati e nessuno
assiste al loro duello, ma il motivo del rammarico, che nasce dal non avere
testimoni del proprio valore, è consueto nella tradizione cavalleresca.
[46] Vien: accade
[47] De l’opra: delle nostre imprese.
[48] Stato: condizione.
[49] chi... onore: chi renderà gloriosa (onore: onori) la mia morte o
chi renderà gloriosa la mia vittoria.
[51] Il tuo dir e ‘l tacer: quello che tu dici (di aver arso la torre),e
il fatto che scortesemente taci il tuo nome.
[52] Deboli: indeboliti dagli sforzi del combattimento.
[53] L’arte in bando: l’abilità tecnica è bandita.
[54] porta: ferita ampia e sanguinosa.
[55] Qual l’alto Egeo…danno: come il profondo Egeo, sconvolto dai venti
contrari (Aquilone che spira da nord e Noto da sud), non si placa quando essi
cessano di spirare, ma le sue onde (‘l suono e ‘l moto de ‘l onde) mantengono
la loro tempestosa agitazione, cosi i due guerrieri, nonostante il sangue
versato abbia indebolito la loro forza fisica, combattono con l’impeto
iniziale, e da esso sospinti vanno ad aggiungere (giunger) ferita a ferita
(danno a danno).
[56] Ma ecco…deve: ma ormai è giunta l’ora fatale in cui la vita di
Clorinda deve volgere alla fine. Il tono del verso si fa abbandonato ed
elegiaco.
[57] Nel bel sen: nel momento della morte fiorisce la femminilità di
Clorinda.Vedi,subito dopo, la veste “d’or vago trapunta” che compare sotto
l’armatura della guerriera e avvolge morbidamente il seno di lei.
[58] D’or vago trapunta: ricamata di bei ricami d’oro.
[59] egro e languente: privo di forze e vacillante.
[60] Segue: persegue, ricerca,incalza per ottenere.
[61]
novo... speme:
parole che un sentimento nuovo ispira, un sentimento di fede, speranza e
carità; Tasso richiama solennemente le tre virtù teologali, per indicare lo
spirito che anima Clorinda nel momento della morte.
[62] Ch’or Dio le infonde: la pagana Clorinda, prima di muovere
all’incendio della torre, aveva avuto da un suo servo la rivelazione di essere
figlia del re cristiano Senapo. Il che giustifica psicologicamente la
conversione della donna.
[63] Se in vita fu ribelle alla fede
di Cristo, cioè se fu pagana,vuole che in morte sia ad essa ossequiente
(ancella).
[64] Amico: scrive il Momigliano:”basta una parola a dissipare il
ricordo di tanta furia, a indurre nella scena un’aura diversa”
[65] Pave: teme.Clorinda non chiede pietà per la sua vita terrena,ma
chiede la vita ultraterrena,dell’anima.
[66] lave: cancelli.
[67] Tremar…la man: come per un presentimento.
[68] sciolse e scoprio: liberò dell'elmo e scoprì.
[69] Sue virtuti..mise: raccolse in quel momento tutte le sue energie e
le mise di guardia al cuore perché questo non cedesse.
[70] Premendo: comprimendo.
[71] Vita con l’acqua: vita eterna con l’acqua battesimale.
[72] il suon... sciolse: pronunciò la formula rituale del battesimo.
[73] Trasmutassi: si trasfigurò.
[74] Asperso: cosparso.
[75] In lei converso: volto verso di lei.
[76] Passa: trapassa.
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