Cantami, o diva, del Pelide Achille…
L’Iliade si presenta come specchio
della società micenea, immersa nel medioevo ellenico e di cui si conosce ben
poco. In questo sfondo, si muovono i personaggi legati alla tradizione
eroico-guerriera tanto amata dalla Grecia e che l’accompagnerà dagli albori
fino al tardo ellenismo.
L’Iliade rappresenta una sorta di
libro aperto su un mondo, e per questo va letta immedesimandosi profondamente
nell’animo dei personaggi, sentendo sulla propria pelle l’ira di Achille che infiniti
dolori inflisse agli Achei, piangendo insieme a Priamo il destino del suo
figlio Ettore.
Il termine Iliade
letteralmente significa “le vicende intorno Ilio”, ma il poema non narra tutta
l’aspra guerra tra Achei e Troiani ma solo gli ultimi 51 giorni, quelli che passano
tra la pestilenza nel campo Acheo e i funerali di Ettore.
Il filo conduttore di
tutta l’opera è l’ira di Achille su cui si intrecciano le teomachie e le aristie che si fondono nella
atmosfera eroica dei valori aristocratici.
Il mito racconta che la
causa occasionale della guerra di Troia sia stata una donna: Paride chiamato da
Zeus a decidere chi fosse più bella tra Atena, Era e Afrodite assegna la
vittoria a quest’ultima che gli promette in cambio l’amore della donna più
bella del mondo. Era, indignata, diventa acerrima nemica di Ilio e dei suoi
abitanti; presto si allea con lei anche Atena. Dietro una trama semplice,
quindi, si nasconde uno dei poemi più importanti della storia occidentale.
Nell’Iliade si vive l’ideale dell’areté che si potrebbe tradurre
con il termine virtù, che
non va considerato come la virtù cristiana, concetto del tutto sconosciuto ai
greci. La definizione che meglio si adatta all’areté greca è quella dataci da Machiavelli: ideale virile
cavalleresco, intessuto di gagliardia corporale e intellettuale, di spirito
agonistico-bellicoso, di alto è orgoglioso sentire di sé e soprattutto di
esasperata voglia di onore.
Areté ha la stessa
radice di àristos, superlativo
di agathòs che
generalmente significa buono e vale in Omero come aggettivo sinonimo di nobile,
prode e valente. Ed è proprio questa vena di forza, coraggio che fa da trama
sottile, da filo conduttore in tutta l’Iliade.
Il dramma dell’eroe
greco omerico nasce quando egli non vede riconosciuto il proprio onore: l’ira
di Achille. Dunque l’unico modo per far conoscere a tutti il proprio onore è la
morte eroica a cui segue un grande onore ed è l’unica forma di immortalità.
I Greci non credono
nell’immortalità dell’anima: l’Ade è la disperazione senza fine, dove resta
solo una pallida copia del corpo e dello spirito. Achille preferirebbe vivere
da mendicante che regnare sopra il regno dei morti. La vita sebbene così breve
e così travagliata rappresenta per l’uomo il massimo dell’onore. La
persona grande è colui che si farà ricordare per le gesta eroiche della sua
vita.
Quando, evocando
le anime dei morti, Odisseo vede l’ombra di Achille, subito gli dice: «o
Achille, nessun uomo vi è stato in passato più beato di te né vi sarà in
futuro: prima infatti da vivo ti onoravamo al pari degli Dei noi
Argivi, e anche ora hai un grande potere sui morti stando qui: non
affliggerti della morte, o Achille» (Od. XI, 482-86).
Ma il Pelide gli
risponde amaro: «non consolarmi della morte, nobile Odisseo» (Od. XI,
488), confessando che preferirebbe servire da bracciante un uomo povero,
piuttosto che regnare su tutti i morti.
Questo episodio
ha dato luogo ad un equivoco poiché a molti è sembrato che con queste parole
Achille criticasse in qualche modo «l’ideale della morte eroica» cui si
era ispirato da vivo: ma, a parte il fatto che non esiste in Omero un’ideale di
morte eroica dal momento che l’ideale cui si ispirano gli eroi di Omero non è
un certo tipo di morte, ma un certo tipo di vita, Achille vi si attiene ancora
fermamente visto che subito dopo chiede ad Odisseo notizie di suo figlio, se è
andato in guerra a combattere in prima fila.
Con queste
parole Achille non rinnega nulla della sua vita, semplicemente la rimpiange: i
vivi possono avere molti desideri e aspirazioni, ma per i morti non c’è che
nostalgia. Pensando al padre Peleo, che gli è sopravvissuto, l’eroe si
preoccupa che il vecchio non riceva il giusto rispetto, privato della
protezione del figlio: certo nessuno oserebbe offenderlo se Achille gli fosse
accanto, «difensore sotto i raggi del sole, essendo tale quale ero allora
nella vasta piana di Troia e facevo strage di prodi, soccorrendo gli
Argivi. Ah, se mi fosse concesso andare così anche per un solo momento dal
padre…» (Od. XI, 498-501), così come lo descrive Omero nell’Iliade: «si
lanciava ad acquistare gloria il Pelide, le mani tremende macchiate di
sangue» (Il. XX, 502-503).
Le parole di
Achille nell’Odissea non sono in contrasto con quelle che egli pronuncia
nell’Iliade. Non è un caso che sia proprio il più valoroso tra gli eroi a dire
«nulla per me vale quanto la vita…» (Il. IX, 401) tra tutte le ricchezze
che si possono trovare sulla terra, poiché «la vita dell’uomo non si può
saccheggiare né predare perché ritorni di nuovo, dopo che abbia varcato il
recinto dei denti» (Il. IX, 408-409).
Achille, come
era sua abitudine nell’Iliade, non nasconde i suoi sentimenti: anche solo per
un attimo, vorrebbe tornare ad essere quello che era. E questo è assolutamente
comprensibile: ma non è il caso di spingersi troppo oltre.
E’ evidente che
nel discorso di Achille sono messi a confronto il bracciante vivo e il re
morto, non l’eroe: infatti egli esordisce dicendo ad Odisseo di non consolarlo
della morte, ed è questa affermazione che da il senso alle parole che seguono.
La morte non può essere bella, nemmeno per chi si trovasse a regnare sulle
ombre dei defunti: il povero bracciante vivo, «sotto i raggi del sole», sta
meglio del re dei morti. Il morto manca di qualcosa rispetto al vivo e anche
per il grande Achille non c’è differenza: i morti non sono più ciò che erano da
vivi. Ma quando si è vivi, nel pieno delle forze e delle facoltà mentali, si
pongono altre priorità, come ricorda Epitteto: «a che scopo… mi domandi: “E’
preferibile la morte o la vita?”. Io rispondo: “La vita”. “La fatica o il
piacere?” Io rispondo: “Il piacere”». Tuttavia, «colui… che si sia messo
anche una sola volta a riflettere su siffatte questioni, confrontando tra loro
il valore degli oggetti esterni e calcolandolo, è molto simile a quelli che
hanno ormai dimenticato il valore della propria persona»: e se c’è
qualcosa che Achille non dimentica certamente mai è il valore della propria
persona.
Anche
Aristotele, parlando del coraggio, farà alcune considerazioni che sembrano
particolarmente valide nel caso di Achille: «il coraggio comporta anche dolore
ed è giusto che venga lodato: infatti è più difficile affrontare le situazioni
dolorose che astenersi dai piaceri. Tuttavia si riconoscerà che il fine che il
coraggio permette di raggiungere è piacevole, ma che è oscurato dalle
circostanze… E poiché le cose dolorose sono molte, mentre il fine è piccola
cosa, esso sembra non avere niente di piacevole. Se, dunque, la situazione è
tale anche nel caso del coraggio, la morte e le ferite saranno dolorose per
l’uomo coraggioso, che le subirà contro voglia, ma le affronterà perché è bello
affrontarle, ovvero perché è brutto non farlo. E quanto più completa sarà
la virtù che possiede e quanto più sarà felice, tanto più soffrirà di fronte
alla morte: è per un uomo simile, soprattutto, che la vita è degna di essere
vissuta, ed è lui che sarà privato dalla morte dei beni più grandi, e lo sa; e
ciò è doloroso. Ma non è affatto meno coraggioso, anzi, forse lo è anche di
più, perché sceglie, in cambio di quei beni, ciò che in guerra è bello…».
E ciò che in
guerra è bello, come risulta chiaro anche qui, non è il morire, ma realizzare
un ideale di comportamento etico nell’agire coraggiosamente, cioè
virtuosamente. Omero mette spesso in evidenza ciò cui i combattenti
consapevolmente rinunciano perdendo la vita in battaglia, e questo fa appunto
risaltare la loro virtù.
Invocazione e protasi
l'ira
funesta che infiniti addusse
generose
travolse alme d'eroi,
e
di cani e d'augelli orrido pasto
lor
salme abbandonò (così di Zeus
l'alto
consiglio s'adempìa),
da
quando primamente disgiunse
aspra
contesa il re de' prodi Atride[5]
e
il divo Achille.
Con questi versi
inizia l’Iliade, e con essi inizia la letteratura del mondo occidentale.
Il titolo vorrebbe dire
«vicenda d’Ilio» e farebbe pensare a un racconto completo della guerra di
Troia, dal suo inizio fino alla caduta della città, invece, l’Iliade comincia col decimo anno della
guerra e racconta un solo episodio della guerra, il più importante: l’ira di
Achille.
Nella protasi del poema,
Omero invoca la Musa perché canti l’ira funesta di Achille, che causò dolori
infiniti agli Achei e gettò tanti eroi nell’Ade, da quando vennero a contesa
l’Atride Agamennone, capo della spedizione, e Achille, l’eroe più valoroso. Il
poema non finisce con la presa di Troia, nemmeno con la morte di Achille, ma
con la fine dell’ira e con le conseguenze del ritorno dell’eroe alla battaglia:
cioè con la morte di Ettore, il più forte eroe troiano, i giochi funebri in
onore di Patroclo, l’amico prediletto di Achille, la restituzione del cadavere
di Ettore al padre e i funerali dell’eroe troiano, poiché con la morte di
Ettore il destino di Troia è segnato.
L'Iliade è, dunque, veramente un'Iliade e, insieme, un’Achilleide (un racconto e una
celebrazione delle gesta dell’eroe Achille): cioè, un'Achilleide indissolubilmente legata a un'Iliade, un episodio che non fa mai perder di vista l’insieme.
Nell’aver saputo legare le parti in un
tutto, contemperando opportunamente unità e varietà, è un'architettura
sapiente, che rivela l’arte raffinata del poeta.
Comunque, l'Iliade ha una sua unità intima e
profonda. E Achille è il vero protagonista. Assente durante la maggior parte
del poema, egli è sempre presente allo spirito del poeta e finisce per
impressionare, con la sua lontananza, l’animo del lettore assai più che se fosse sempre nella
mischia.
Il
mondo degli eroi e quello degli dèi è rappresentato con forza e finezza irraggiungibili.
Gli eroi sono caratterizzati, con acume psicologico profondo, dai loro
discorsi: Agamennone orgoglioso, Nestore saggio, Achille impetuoso e
appassionato. La contesa sorge a poco a poco, poi scoppia in toni sempre più
violenti: gli eroi rivelano la loro indole primitiva, abbandonandosi alle
passioni con impeto selvaggio. E tuttavia sono profondamente umani. Gli dèi
sono rappresentati con grande vigore di fantasia e infinita libertà spirituale:
Apollo, fosco e implacabile saettatore; Teti amorosa verso il figlio, e, per
amor suo, lusingatrice; Zeus benigno nell’immensità del suo potere; Era gelosa
e litigiosa; Efesto pieno d’accortezza e di spirito.
L’eroe
principale dell’Iliade è sempre Achille, che raramente è dimenticato, anche quando è
assente e inoperoso. Il poeta ha creato in Ettore una figura nobilissima di
eroe quasi sempre saggio e temperato, affettuoso negli affetti familiari,
eroicamente devoto alla sua patria. Ma il poeta umanissimo è pur sempre un
Greco e il suo eroe preferito è un Greco, Achille, l'eroe molto più forte di
Ettore, che ha preferito una vita breve e gloriosa a una vita lunga e senza
gloria. L'Iliade è
pur sempre il poema dei vincitori, non il poema dei vinti, se anche il poeta ha
per i vinti talvolta ammirazione, quasi sempre umana compassione. Non senza
ragione Alessandro, l’eroe più grande della storia greca, ammirò non Ettore, ma
Achille; e di Achille si considerò l’incarnazione vivente, quando corse per il
mondo incontro alla gloria e alla morte.
L’oltraggio a Crise
·
La hybris preso gli antichi greci indica l’orgogliosa
tracotanza che si manifesta negli atti e nelle parole e che immancabilmente
viene seguita dalla vendetta o punzione divina: nei primi due libri dell’Iliade
Nei primi due libri dell’Iliade il motivo dominante è proprio
quello della prepotenza che si manifesta a parole, nel
lungo e violento dialogo tra i due eroi greci Achille e Agamennone.
·
Già dall’esordio, l’opera rispecchia il mondo greco delle origini,
in cui l’aristocrazia guerriera era formata da capi con pari potere e pari autorevolezza.
Il poema, infatti, si riferisce a quel periodo storico in cui i popoli della
Grecia erano organizzati in tribù, disseminate nelle varie regioni. Ciascuna
tribù aveva un proprio capo, che risiedeva, per questioni di comune interesse,
nella città più importante della regione. In ogni città, dunque, un palazzo
accoglieva più capitribù, tutti pari fra loro per potere e dignità. Per i
contatti con gli altri popoli o in caso di guerra, questi capi eleggevano uno
di loro perché li rappresentasse o li guidasse in battaglia.
·
L’ira è la naturale reazione psicologica e morale all’oltraggio
dell’onore, il valore supremo della società omerica. L’episodio dell’ira di
Achille ha infatti, per così dire, due precedenti nell’ira di Agamennone che
al sacerdote Apollo si rivolge con parole violente, irato anche e soprattutto
dall’acclamazione che l’assemblea militare rivolge al vecchio Crise (tutti lo
acclamarono); nell’ira di Apollo, provocata dalla tracotanza del re nei
confronti del suo sacerdote Crise, e quindi, indirettamente, nei suoi
confronti.
Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?
Il figlio[6] di
Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l’Atride trattò malamente,
il sacerdote; costui venne alle navi rapide degli
Achei
per liberare la figlia, con riscatto infinito,
avendo tra mano le bende[7] d’Apollo
che lungi saetta,
intorno allo scettro d’oro, e pregava tutti gli Achei
ma soprattutto i due Atridi[8],
ordinatori d’eserciti:
«Atridi, e voi tutti, Achei schinieri robusti,
a voi diano gli dèi, che hanno le case d’Olimpo,
d’abbattere la città di Priamo[9], di ben
tornare in patria;
e voi liberate la mia creatura, accettate il riscatto,
venerando il figlio di Zeus, Apollo che lungi saetta».
Allora gli altri Achei tutti acclamarono,
fosse onorato quel sacerdote, accolto quel ricco
riscatto.
Ma non piaceva in cuore al figlio d’Atreo, Agamennone,
e lo cacciò malamente, aggiunse comando brutale:
«Mai te colga, vecchio, presso le navi concave,
non adesso a indugiare, non in futuro a tornare,
che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la
benda del dio!
Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia
nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria,
mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto.
Ma vattene, non m’irritare, perché sano e salvo tu
parta».
Disse così, tremò il vecchio, obbedì al comando,
e si avviò in silenzio lungo la riva del mare urlante;
ma poi, venuto in disparte, molto il vegliardo pregò
il sire Apollo, che partorì Latona bella chioma:
«Ascoltami, Arco d’argento, che Crisa[10] proteggi,
Sminteo[13], se mai
qualche volta un tempio gradito t’ho eretto,
e se mai t’ho bruciato cosce pingui
di tori o capre, compimi questo voto:
Disse così pregando: e Febo[16] Apollo
l’udì,
e scese giù dalle cime d’Olimpo, irato in cuore,
l’arco avendo a spalla, e la faretra chiusa sopra e
sotto:
le frecce sonavano sulle spalle dell’irato
al suo muoversi; egli scendeva come la notte.
Si postò dunque lontano dalle navi, lanciò una
freccia,
e fu pauroso il ronzio dell’arco d’argento.
I muli colpiva in principio e i cani veloci,
ma poi mirando sugli uomini la freccia acuta
lanciava; e di continuo le pire dei morti ardevano,
fitte.
Il diverbio di Achille e
Agamennone
·
Agamennone
è stato scelto da tutti i rappresentanti degli altri popoli come capo supremo
della spedizione greca contro Troia, divenendo così il “primo fra i pari”. La
sua superiorità è quindi legata a questa situazione - come suprema guida
militare egli deve essere rispettato e obbedito da tutti, anche dal valente
Achille.
·
Come
all'interno del proprio regno, il sovrano era assistito dall'assemblea degli
anziani (gherusia), che ne sorvegliava e fiancheggiava l'opera, così anche in
guerra è presente l’assemblea costituita dai vari monarchi che hanno preso
parte alla spedizione e dai loro soldati. Ma quando i capi parlano (è il caso
di Achille), i soldati assistono in silenzio. Siamo ancora in una società
aristocratica, in cui il peso di un’assemblea è praticamente inesistente.
·
La contesa tra
Achille e Agamennone dà inizio al poema, creando una situazione di frattura tra
il comandante della spedizione e il suo eroe più valoroso. Diversamente da quanto
si potrebbe pensare, l’ira di Achille non è legata a fattori sentimentali. Egli
si sente offeso perché Agamennone vuole privarlo del suo bottino di guerra,
segno del suo valore, e per lui questo gesto è un abuso di potere e un mancato
riconoscimento del suo onore.
[...] S’alzò
fra loro
l’eroe figlio d’Atreo, il molto potente Agamennone,
infuriato; d’ira tremendamente i neri precordi[17]
erano gonfi, gli occhi parevano fuoco lampeggiante;
subito guardando male Calcante gridò:
«Indovino di mali, mai per me il buon augurio tu dici,
sempre malanni t’è caro al cuore predire,
buona parola mai dici, mai la compisci!
E adesso in mezzo ai Danai[18] annunci
profetando
che proprio per questo dà loro malanni il dio che
saetta,
perch’io della giovane Criseide il ricco riscatto
non ho voluto accettare; molto io desidero
averla in casa, la preferisco a Clitennestra[19] davvero,
benché sposa legittima, ché in nulla è vinta da lei,
non di corpo, non di figura, non di mente, non
d’opere.
Ma anche così consento a renderla, se questo è meglio;
io voglio sano l’esercito, e non che perisca.
Però un dono, subito, preparate per me; io non solo
degli Argivi[20] resti
indonato, non è conveniente.
Dunque guardate tutti quale altro dono mi tocchi».
Lo ricambiò allora Achille divino piede rapido:
«Gloriosissimo Atride, avidissimo sopra tutti,
come ti daranno un dono i magnanimi Achei?
In nessun luogo vediamo ricchi tesori comuni;
quelli delle città che bruciammo, quelli son stati
divisi.
Non va[21] che i
guerrieri li mettano di nuovo in comune.
Ma ora tu cedi al dio questa; poi noi Achei
tre volte, quattro volte la riscatteremo, se Zeus
ci dia d’abbatter la rocca di Troia mura robuste».
Ma ricambiandolo disse il potente Agamennone:
«Ah no, per quanto tu valga, o Achille pari agli dèi,
non coprire il pensiero, perché non mi sfuggi né puoi
persuadermi.
Dunque pretendi – e intanto il tuo dono tu l’hai – che
così
io me ne lasci privare, e vuoi farmi rendere questa?
Ma se mi daranno un dono i magnanimi Achei,
adattandolo al mio desiderio, che faccia compenso, sta
bene;
se non lo daranno, io stesso verrò
prenderò, me lo porterò via: ah! s’infurierà chi
raggiungo.
Ma via, queste cose potremo trattare anche dopo:
ora, presto, una nave nera spingiamo nel mare divino,
raccogliamovi rematori in numero giusto, qui
l’ecatombe[24]
imbarchiamo, la figlia di Crise guancia graziosa
facciamo salire; uno dei capi consiglieri la guidi,
o Aiace, o Idomeneo[25], oppure
Odisseo luminoso,
o anche tu, Pelide, il più tremendo di tutti gli eroi,
che tu ci renda benigno, compiendo il rito, il
Liberatore[26]».
come può volentieri obbedirti un acheo,
o marciando o battendosi contro guerrieri con forza?
Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venuto
mai le mie vacche han rapito o i cavalli,
mai a Ftia dai bei campi, nutrice d’eroi,
han distrutto il raccolto, poiché molti e molti nel
mezzo
ci sono monti ombrosi e il mare sonante.
Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu
gioissi,
da parte dei Teucri[32]; e tu
questo non pensi, non ti preoccupi,
anzi, minacci che verrai a togliermi il dono
Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Achei
gettano a terra un borgo ben popolato dei Teucri;
ma il più della guerra tumultuosa
le mani mie lo governano; se poi si venga alle parti
a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e
caro
mi porto indietro alle navi, dopo che peno a
combattere.
restando qui umiliato, raccoglier beni e ricchezze».
Lo ricambiò allora il sire[36] d’eroi
Agamennone:
«Vattene, se il cuore ti spinge; io davvero
non ti pregherò di restare con me, con me ci son altri
che mi faranno onore, soprattutto c’è il saggio Zeus.
Ma tu sei il più odioso per me tra i re alunni di Zeus[37]:
contesa sempre t’è cara, e guerre e battaglie:
Vattene a casa, con le tue navi, coi tuoi compagni,
regna sopra i Mirmίdoni[39]: di te
non mi preoccupo,
non ti temo adirato; anzi, questo dichiaro:
io lei con la mia nave e con i miei compagni
andando io stesso alla tenda, il tuo dono, sì, che tu
sappia
quanto son più forte di te, e tremi anche un altro
Achille, ferito
nell’onore, si sentì ribollire il sangue nelle vene e poco mancò che sguainasse
la spada per uccidere all’istante Agamennone. Ma dall’Olimpo discese rapida
Atena, la dea dagli occhi lucenti, protettrice dei Greci. Si avvicinò ad
Achille e, invisibile a tutti tranne che a lui, gli sussurrò all’orecchio:
«Calmati, controlla la tua ira! Se uccidi Agamennone, a gioirne saranno i
nemici troiani. Se invece saprai dominarti, ti assicuro che sarai ripagato».
Achille piegò la testa in segno di assenso e trattenne la mano, limitandosi a
sfogare la sua rabbia a parole.
si
rivolgeva all’Atride[45],
non desisteva ancora dall’ira:
«Avvinazzato[46],
tu che hai lo sguardo del cane,
ma
il cuore di un cervo[47],
mai di armarti alla guerra
insieme
all’esercito, né di appostarti in agguato
con
i più forti degli Achei ti senti il coraggio nell’animo:
questo
ti sembra la morte. Certo che è molto più comodo,
nello
spazioso accampamento acheo,
rapinare
premi a chiunque parli diverso da te[48].
Sei
un re che divora il suo popolo,
poiché
comandi su gente da nulla:
se
no adesso, figlio di Atreo, era l’ultima volta che insolentivi[49]!
Ma
ti dirò una cosa, e farò un gran giuramento:
[…]
certo un giorno verrà rimpianto di Achille
ai
figli degli Achei, a tutti quanti, e allora non sarai capace,
per
quanto ti affligga[50],
di dare un aiuto,
quando
molti per mano di Ettore massacratore
cadranno
morendo; e tu dentro ti mangerai l’anima,
crucciandoti[51]
che al migliore degli Achei negasti un compenso».
Quando ebbe
finito di parlare, con un gesto di stizza gettò a terra lo scettro e sedette. Agamennone
e Achille stavano l’uno di fronte all’altro, lanciandosi occhiate di fuoco.
Intervenne
allora il vecchio Nestore, che sapeva come placare gli animi con i suoi saggi
discorsi. Con pacate parole riuscì infine a riportare la calma e l’assemblea si
sciolse.
Criseide fu
affidata a Odisseo, che la riportò per mare a suo padre. Poi vennero indetti
solenni sacrifici in onore di Apollo, e la peste smise finalmente di mietere
vittime tra i Greci. Ma Agamennone non aveva rinunciato al suo piano: voleva Briseide,
la schiava di Achille.
Quando Achille
vide arrivare alla sua tenda gli scudieri mandati da Agamennone non si stupì:
«Fate pure quello che vi è stato ordinato, voi non avete colpa» e, a
malincuore, consegnò loro Briseide, «ma riferite questo ad Agamennone: se un
giorno gli Achei avranno bisogno del mio coraggio per combattere contro Troia,
che nessuno venga a cercarmi. Io non ci sarò».
Poi voltò loro
le spalle e piangendo di rabbia e di dolore, Achille se ne andò sulla spiaggia
e lì, solo, in riva al mare, invocò sua madre Teti.
Achille e Teti
·
Amarezza,
sconforto e delusione generano il pianto di Achille: la sua personalità è
diversa nella sua relazione con gli altri e nella sua anima giovane. Egli ha
creduto nella glori promessa da Zeus ed ha trovato il disonore per questo il
suo pianto è sconsolato e solo la madre che invoca potrà dargli conforto.
·
Dal profondo
degli abissi Teti sentì i suoi lamenti e subito emerse dalle onde.
[...] e Achille
scoppiando in pianto sedette lontano dai compagni, in
disparte,
in riva al mare canuto, guardando l’interminata
distesa,
e molto implorava la madre[52],
stendendo le mani:
«Madre, poiché mi generasti a vivere breve vita,
gloria almeno dovrebbe darmi l’Olimpio[53]
Zeus, che tuona sui monti; e invece per nulla m’onora.
Ecco, il figlio d’Atreo strapotente, Agamennone,
m’offende; m’ha preso e si tiene il mio dono: me l’ha
strappato!»
Diceva così versando lacrime: l’udì la dea madre[54],
seduta negli abissi del mare, vicino al padre
vegliardo:
subito emerse dal mare canuto, come nebbia,
e si mise a sedere vicino a lui che piangeva,
lo carezzò con la mano e disse parole, diceva:
[...]
«Ah! creatura mia, perché t’ho allevato, misera madre?
Almeno presso le navi senza lacrime, senza dolore
fossi, dopo che hai sorte breve, non lunga!
Ora votato a rapida morte e ricco di pene fra tutti
tu sei, ché a mala sorte ti generai nel palazzo.
Per dire questa parola a Zeus signore del tuono,
andrò io stessa all’Olimpo nevoso, se voglia
ascoltare.
Ma tu, restando presso le navi, che vanno veloci,
contro gli Achei conserva l’ira, rinuncia a
combattere.
Però Zeus verso l’Oceano, verso gli Etίopi[55] senza
macchia
ieri partì, per un pranzo; e tutti gli dèi lo
seguivano;
al dodicesimo giorno ritornerà sull’Olimpo,
e allora t’andrò alla casa di Zeus, dalla soglia di
bronzo,
lo supplicherò e penso che potrò persuaderlo».
[...]
Teti scomparve
tra la schiuma dei flutti. Tra gli dei dell’Olimpo passavano i giorni, ma l’ira
di Achille non si placava. L’eroe non partecipava alle assemblee né alle parate
e, chiuso nella sua tenda, ripensava alle dure parole di Agamennone.
Infine Teti volò
sull’Olimpo e si inginocchiò ai piedi di Zeus e così lo pregò: «O padre di
tutti gli dei, mio figlio Achille è stato offeso da Agamennone, che gli ha
sottratto il premio e l’onore. Aiutalo tu e sostieni i Troiani, perché i Greci
si pentano della loro superbia». Ma Zeus non rispondeva. Infine disse: «La
questione non è semplice. Sai bene che Era, mia sposa, con Atena sostiene la
causa degli Achei. Se intervengo in aiuto dei Troiani, certo io e lei
litigheremo. Ma lascia fare a me: la tua richiesta verrà esaudita».
Quando Zeus
tornò alla sua casa, subito Era intuì che le stava nascondendo qualcosa. «Che
cosa trami questa volta, marito mio? Zeus, adirato, rispose brusco: «Come osi
rivolgerti a me con questo tono? Io sono il signore degli dei, che dirige le
vie del destino. Non pretendere di conoscere il mio pensiero, che è oscuro
anche agli dei».
Ma Era, piena di
sospetto, insisteva e lo accusava di tenerla all’oscuro dei suoi piani, mentre
Zeus si adirava sempre di più.
Nel frattempo Agamennone
aveva pensato che lui e il suo esercito avrebbero potuto continuare a
combattere normalmente anche senza l'aiuto del più valoroso degli achei contro Troia, ma si sbagliava, perché da quel momento Ettore,
colse l'occasione per far avanzare la sua armata e sbaragliare quella nemica. L'esercito
greco incomincia a perdere terreno e battaglie, venendo ricacciato sempre più
indietro nella spiaggia fino alle navi.
Achille, sebbene
sollecitato da frequenti ambasciate inviate da Agamennone e dai suoi amici, tra i quali Patroclo, il suo migliore amico, rifiutava di accettare la pace e
così continuò fino ad un evento tragico. Infatti, essendo l'esercito dei Greci in seria difficoltà, con il grave pericolo di essere
ricacciato in mare, Patroclo, migliore amico di Achille, decide di imbracciare
le armi dell’amico pensando di far credere ai Troiani di essere Achille e farli
in questo modo scappare terrorizzati, così si presenta in campo.
Ma Ettore non ci
casca e non perde l'occasione per affrontarlo; credendolo Achille, lo uccide
quasi subito. Solo quando muore Patroclo Ettore riconosce il grave errore e già
prevede la sua morte per mano di Achille.
Morte di Patroclo
·
Patroclo chiese
ad Achille che non voleva ritornare a combattere, di mandarlo in campo rivestito
delle sue armi per incutere terrore ai nemici. Achille acconsentì, ma gli
raccomandò di limitarsi a respingere i Troiani, senza tentare la conquista
della città e supplicò Zeus di concedergli la vittoria e di farlo tornare
illeso. Zeus esaudisce la prima preghiera, ma non la seconda.
·
L’apparizione di
Patroclo con le armi di Achille, provoca scompiglio fra i Troiani; il giovane
avanza e si lancia all’attacco delle mura di Troia. Apollo lo colpisce alla
schiena, gli scioglie l’armatura e lascia che sia ucciso da Ettore, che si
impadronisce delle armi e le indossa giubilante. Patroclo gli predice che
presto anch’egli morirà per mano di Achille, mentre Zeus osserva la scena
dall’Olimpo.
·
intorno alla salma
di Patroclo, si accende la battaglia fra Greci e Troiani, mentre un messaggero
si reca da Achille per portargli la notizia della morte dell’amico.
·
La morte di
Patroclo è descritta con intensa partecipazione emotiva. Ettore apparirà qui
come un eroe spietato, mentre Patroclo, con la sua dolcezza e nobiltà d’animo,
è pronto a sacrificare la vita in nome dell’amicizia e della solidarietà verso
i compagni. Egli è però destinato a essere vinto, ucciso dagli dèi e dal fato,
di cui è impossibile modificare il corso
E
fino che il sole saliva nel mezzo del cielo,
d’ambe
le parti volavano i dardi, cadeva la gente,
ma
quando il sole inchinò all’ora che i bovi si sciolgono,
gli
Achei furono allora oltre modo più forti,
trassero
fuori dal tiro l’eroe Cebrione,
fuor
dalle grida dei Teucri, e lo spogliarono dell’armi.
E
Patroclo[57]
si slanciò sui Troiani meditando rovina,
si
slanciò per tre volte, simile ad Ares[58]
ardente,
paurosamente
gridando: tre volte ammazzò nove uomini[59].
Ma
quando alla quarta balzò, che un nume[60] pareva,
allora,
Patroclo, apparve la fine della tua vita[61]:
Febo[62]
gli mosse incontro nella mischia selvaggia,
tremendo,
ed egli non lo vide venire in mezzo al tumulto;
gli
venne incontro nascosto di molta nebbia.
E
dietro gli si fermò, colpì la schiena e le larghe spalle
con
la mano distesa: a Patroclo girarono gli occhi[63].
E
Febo Apollo gli fece cadere l’elmo giù dalla testa:
sonò[64]
rotolando sotto gli zoccoli dei cavalli
l’elmo
a visiera abbassata, si sporcarono i pennacchi
di
sangue e polvere: mai prima era stato possibile
che
il casco chiomato si sporcasse di polvere,
che
d’un uomo divino[65]
la bella fronte e la testa
proteggeva,
d’Achille: ma allora Zeus lo donò a Ettore,
da
portare sul capo: e gli era vicina la morte[66].
Tutta
in mano di Patroclo si spezzò l’asta ombra lunga,
greve[67],
solida, grossa, armata di punta: e dalle spalle
con
la sua cinghia di cuoio cadde per terra lo scudo,
gli
slacciò la corazza il sire Apollo, figlio di Zeus.
Una
vertigine gli tolse la mente, le membra belle si sciolsero[68],
si
fermò esterrefatto[69]:
e dietro la schiena con l’asta aguzza.
in
mezzo alle spalle, dappresso[70],
un eroe dardano lo colpì,
Èuforbo
di Pàntoo[71]
che sui coetanei brillava
per
l’asta, per i cavalli e per i piedi veloci[72];
venti
guerrieri gettò giù dai cavalli
appena
giunse col cocchio a imparare la guerra.
Questi
per primo a te lanciò l’asta, Patroclo cavaliere,
ma
non t’uccise, e corse indietro e si mischiò tra la folla,
strappata
l’asta di faggio: non seppe affrontare
Patroclo,
benché nudo[73],
nella carneficina.
Ma
Patroclo, vinto dal colpo del dio e dall’asta,
fra
i compagni si trasse evitando la Chera[74].
Ettore,
come vide il magnanimo Patroclo
tirarsi
indietro, ferito dal bronzo puntuto[75],
gli
balzò addosso in mezzo alle file, lo colpì d’asta
al
basso ventre: lo trapassò col bronzo.
Rimbombò
stramazzando[76],
e straziò il cuore all’esercito acheo.
Come
quando un leone vince in battaglia un cinghiale indomabile,
-
essi superbamente han combattuto sui monti
per
una piccola polla[77]:
volevano bere entrambi –
e
infine con la sua forza il leone vince l’altro che rantola[78];
così
il Meneziade[79],
che già molti ammazzò,
Ettore
figlio di Priamo privò della vita con l’asta,
e
gli disse vantandosi parole fuggenti[80]:
«Patroclo,
tu speravi d’abbattere la nostra città,
e
alle donne troiane togliendo libero giorno[81],
condurle
sopra le navi alla tua terra patria,
stolto[82]!
Per esse i veloci cavalli d’Ettore
si
tendono sopra i garretti[83] a
combattere: io con l’asta
eccello
fra i Teucri amanti di guerra: e così li difendo
Pazzo!
Achille, per forte che sia, non ti potrà proteggere,
egli
che, forse, restando, a te che partivi raccomandò molte cose:
«O
Patroclo cavaliere, non mi tornare davanti
alle
concave navi, prima che d’Ettore massacratore
l’insanguinata
tunica intorno al petto tu stracci».
Così,
certo, ti disse, stolto, e persuase il tuo cuore».
E
tu rispondesti, sfinito, Patroclo cavaliere:
«Sì,
Ettore, adesso vantati: a te hanno dato
vittoria
Zeus Cronide[86]
e Apollo, che m’abbatterono
facilmente:
essi l’armi dalle spalle mi tolsero.
Se
anche venti guerrieri come te m’assalivano,
tutti
perivano qui, vinti dalla mia lancia;
me
uccise destino fatale e il figliuol di Latona[87],
e
tra gli uomini Èuforbo: tu m’uccidi per terzo.
Altro
ti voglio dire e tientelo in mente:
davvero
tu non andrai molto lontano, ma ecco
ti
s’appressa la morte e il destino invincibile:
Mentre
parlava così la morte l’avvolse,
la
vita volò via dalle membra e scese nell’Ade[90],
piangendo
il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore[91].
Al
morto Ettore luminoso rispose:
«Patroclo,
perché mi predici abisso di morte?
Chi
sa se Achille figlio di Teti chioma bella
non
mi preceda nel perder la vita, colto dalla mia lancia?».
Dicendo
così, l’asta di bronzo dalla ferita strappò,
premendo
col piede, lo rovesciò supino.
Il libro
diciottesimo dell’Iliade segna una fine ed un inizio.
L’ira di
Achille, suscitata dalla contesa con Agamennone, si spegne in seguito al dolore
per la morte di Patroclo, ma lascia il posto a una nuova ira rivolta contro
Ettore.
Achille,
saputa la notizia terribile, scoppia in singhiozzi che si trasformano in furia
cieca. Avendo sentito dalle profondità
del mare il pianto del figlio, Teti si reca da lui a confortarlo, poi chiede ad
Efesto di forgiare nuove armi per Achille, che ha deciso di ritornare in
battaglia per vendicare Patroclo. Il libro finisce con la descrizione dello
scudo di Achille, in cui il dio ha raffigurato il mondo intero: il cielo, la
terra, il mare, il sole, il fiume Oceano che cinge il mondo, la vita della
città e della campagna, scene di pace e di guerra.
Successivamente
si celebrano i funerali in onore di Patroclo e Achille si farà ricostruire le
armi e partirà verso Troia per compiere il proprio destino.
La
disperazione di Achille
Così
combattevano quelli, come divampa un incendio,
mentre
corse da Achille Antiloco, messaggero veloce.
Lo
trovò davanti alle navi, che hanno alta la poppa e la prua,
presago
in cuor suo di quanto era avvenuto;
disse
allora turbato al suo stesso cuore animoso:
«Ahimè,
perché di nuovo gli Achei dalle chiome fluenti
sono
respinti alle navi spaventati per la pianura?
Che
gli dèi non procurino dolori amari al mio cuore,
come
prevedeva mia madre, e mi diceva
che
il più forte dei Mirmidoni, me ancora in vita,
avrebbe
lasciato la luce del sole per mano dei Troiani.
Certamente
è morto il prode figlio di Menezio,
testardo!
E sì che gli avevo ordinato di tornare alle navi,
dopo
avere sventato il fuoco nemico, e di non battersi con Ettore!».
Mentre
questo agitava nel petto e nell’animo,
gli
venne vicino il figlio del nobile Nestore,
versando
lacrime calde, e gli dava la triste notizia:
«Ahimè,
figlio del valoroso Peleo, tu sentirai
una
notizia davvero luttuosa, che non doveva succedere!
Patroclo
è caduto, e combattono sul suo cadavere ormai nudo:
le
armi le ha prese Ettore dall’elmo ondeggiante».
Così
diceva; su Achille calò una densa nube di dolore:
con
entrambe le mani prendendo polvere e cenere,
se
le spargeva in testa, imbrattava il suo bel volto;
altra
cenere nera sporcava il suo chitone profumato.
Giaceva
smisurato, steso in mezzo alla polvere,
e
con le sue stesse mani straziava i capelli strappandoli.
Le
ancelle prese in guerra da Achille e da Patroclo,
disperate
in cuor loro, gridavano forte, e dal di dentro
corsero
intorno ad Achille animoso, si battevano tutte
il
petto con le mani, le gambe venivano meno.
Dall’altra
parte, Antiloco si lamentava piangendo,
e
tratteneva le mani di Achille: era angosciato in cuor suo:
temeva
che Achille si tagliasse la gola col ferro.
Lanciò
un grido terribile: lo udì la madre divina
mentre
sedeva nelle profondità del mare, accanto al suo vecchio padre
e
ruppe in lamenti; le vennero incontro tutte le dee,
quante
erano le Nereidi giù nel fondo del mare.
A
lui che gemeva accorato s’accostò la madre divina,
con
un lamento acuto prese la testa del figlio,
e
piangendo diceva parole che volano:
«Figlio,
perché piangi? Quale dolore t’è entrato nel cuore?
Parla,
non tenerlo nascosto! Tutto quanto è stato compiuto
da
Zeus per te, come tu pregavi, le braccia protese al cielo,
che
fossero tutti respinti alle navi i figli degli Achei,
bisognosi
di te, e subissero colpi terribili».
A
lei, con un gemito profondo, diceva Achille dal piede veloce:
«Madre
mia, questo certo l’Olimpio l’ha fatto per me;
ma
che gioia me ne viene, se è morto il mio compagno,
Patroclo,
che fra tutti i compagni più mi era caro,
come
la mia stessa vita! Ed io l’ho perduto! Ettore ha preso,
dopo
averlo ucciso, la grande armatura, splendore a vedersi,
bellissima:
gli dèi la dettero a Peleo, dono stupendo,
il
giorno in cui ti spinsero nel letto di un mortale.
Magari
fossi restata laggiù con le dee del mare,
e
Peleo avesse sposato una donna mortale!
E
invece è il contrario, perché avessi dolore infinito nel cuore
per
la morte del figlio tuo, che tu non rivedrai
al
suo ritorno a casa, perché non mi spinge il cuore
a
vivere, a stare in mezzo alla gente, se Ettore prima,
colpito
dalla mia lancia, non perde la vita,
non
paga la rapina che ha fatto a Patroclo, figlio di Menezio!».
A
lui rispondeva allora Teti fra le lacrime:
«A
vita breve mi sei destinato, figlio mio, per come parli:
la
morte per te è subito pronta, dopo quella di Ettore».
Esacerbato
le disse Achille dal piede veloce:
«Potessi
morire subito, se non dovevo dar soccorso
al
mio compagno ucciso; è morto lontano dalla sua patria,
e
non ebbe me a proteggerlo dalla sventura!
Ora
non posso tornare nella mia terra patria,
e
non sono stato d’aiuto a Patroclo né agli altri compagni,
che
in gran numero furono uccisi da Ettore divino,
ma
me ne sto accanto alle navi, inutile peso alla terra,
benché
in guerra sia tale, quale nessuno degli Achei bellicosi
(in
assemblea ci sono anche altri migliori di me).
Perisca
la discordia fra gli uomini e fra gli dèi,
perisca,
l’ira, che spinge alla furia anche il più saggio,
che
è molto più dolce del miele stillante
e
come fumo si gonfia nel petto degli uomini!
Come
ora m’ha fatto adirare Agamennone sovrano.
Ma
lasciamo correre ormai, nonostante il dolore,
dominando
il cuore nel petto, come è necessario;
adesso
andrò a prendere chi m’ha ucciso l’amico più caro,
Ettore;
anch’io accetterò la mia sorte quando
voglia
compierla Zeus e gli altri dèi immortali».
Nel blocco di
quattro libri (XIX-XXII) è
raccontata la giornata più importante di tutta l’Iliade che inizia con la
vestizione delle armi da parte di Achille e si conclude con la morte di Ettore.
Ritornato a
combattere, Achille si scontra una prima volta con Ettore, senza riuscire a
colpirlo, e fa una prima strage di Troiani. Poi si dirige verso il fiume
Scamandro e continua la strage, inseguendo i nemici fin dentro le acque ed
uccidendoli con tale furia da suscitare l’ira del dio-fiume il quale tenta di
travolgerlo nei suoi gorghi, poi lo insegue uscendo dagli argini.
Infine affronta
Ettore, che è rimasto fuori dalle mura dove tutti gli altri Troiani si sono
rifugiati. Quando vede Achille avvicinarsi a lui, terribile nello splendore
delle armi, l’eroe troiano è colto da paura e fugge. Gira per tre volte intorno
alle mura, mentre gli dèi osservano la scena dall’alto.
Quando Zeus si
accorge che la bilancia del fato su cui ha posto il destino di Ettore si
abbassa rapidamente, lo abbandona alla sua sorte.
Atena consiglia
gli eroi di fermarsi ed incoraggia Ettore, assumendo le sembianze del fratello
Deifobo. I due si scontrano ed Ettore è trafitto dalla lancia di Achille, il
quale poi fa scempio del cadavere, trascinandolo legato al suo carro fino alle
navi degli Achei e trascina nella sua tenda il
corpo insanguinato.
La
morte di Ettore
·
La sfida tra Ettore e Patroclo ha provocato la morte di
quest'ultimo. Achille, infatti, appena apprende della morte di Patroclo, decide
di tornare a combattere per vendetta. Il suo ritorno preannunciato da un urlo
terrificante, atterrisce i nemici, i quali decidono di tornare a Troia. Qui si
svolge un'assemblea e alla fine si stabilisce di ingaggiare una nuova battaglia
contro i Greci. Ettore dichiara di essere pronto a sfidare in duello Achille.
·
Lo scontro tra Ettore ed Achille avviene sotto lo sguardo dei
genitori di Ettore e degli Dei che guardano dall'alto. Zeus soffre per la morte
di Ettore e propone agli altri Dei di salvarlo, ma Atena gli ricorda che non è
possibile sottrarre un uomo dal suo destino. Zeus consulta il volere del Fato
sollevando una bilancia che indica gli esiti dei combattimenti. La sorte di
Ettore scende in basso, verso il regno dei morti. Di fronte a questo, Apollo,
che continuava a sostenere l'eroe, lo abbandona al suo destino. Ma, quando
Ettore vede Achille, fugge atterrito per sottrarsi alla morte, inseguito
dall'avversario. La lunga corsa si finisce quando di fronte all'eroe troiano
appare la dea Atena, che ha assunto le sembianze di Deifobo, fratello di
Ettore. Confortato dal sostegno di chi crede essere suo fratello, ignaro
dell'inganno, l'eroe troiano decide allora di affrontare Achille.
·
Achille lo uccide colpendolo nel punto tra la scapola e il
collo, dove le sue armi (bronzee e bellissime) erano più vulnerabili. Apollo
colpisce a tradimento Ettore, che è ferito a morte da Achille. Prima di morire
gli predice il suo destino, mentre tutta Ilio guarda la scena.
·
I personaggi più noti dell'Iliade sono sicuramente Ettore e
Achille. Questi due guerrieri sono molti diversi anche se appartengono agli
stessi tempi, questo perché rispecchiano due società molto diverse. Il famoso
Achille nasce dall'amore della ninfa Teti e dal mortale Peleo. È il personaggio
principale dell'Iliade, forse per la sua immortalità avuta grazie alla madre.
La leggenda narra che Teti nel tentativo di renderlo immortale, quando era
molto piccolo, lo immerse nel fiume Stige tralasciando però il tallone da cui
lo manteneva, che rimase così l'unica parte vulnerabile del suo corpo, è
proprio da qui nasce la tipica espressione ''il Tallone di Achille'' che la si
usa quando si vuole evidenziare una parte fisica o psichica molto debole di
qualcuno.
·
Achille rappresentava la società greca, era un guerriero
molto volenteroso e dal carattere molto forte, combatteva solo per la propria
gloria. Venne ucciso da Paride, fratello di Ettore, nell'intento di vendicare
il fratello ucciso appunto da Achille. Paride con una freccia avvelenata riesce
a colpire esattamente l'unico punto vulnerabile del volenteroso guerriero,
portandolo così alla morte. Una morte prevista dato che Achille aveva scelto la
sua sorte ossia di non affidarsi ad una morte di vecchiaia, senza onore ma di
avere una vita breve che, però, lo portasse nella memoria di tutti.
·
Ettore è un personaggio anch'egli molto importante, ma molto
diverso da Achille. Ettore rappresenta i Troiani, ed è figlio di Priamo e di
Ecuba, un guerriero dal carattere molto debole. Ettore a differenza di Achille
ama la propria patria e combatte solo per essa e per amore della sue famiglia.
A differenza di Achille, Ettore si evidenzia perché sfida la sua sorte, sfida
Achille in modo coraggioso ma quasi inutilmente convinto che l'unico modo per
difendere ciò che ama sia morire. Achille rappresenta il semidio, temuto da
tutti e molto forte e Ettore la specie umana, destinata a morire.
Achille
veloce seguiva Ettore, senza riposo incalzandolo;
come
un cane sui monti insegue un nato di cerva[92]
per
valli e per gole dopo averlo snidato:
e
se quello s’appiatta smarrito sotto un cespuglio,
corre
pur sempre cercando le tracce finché lo trova;
così
non sfuggiva Ettore al piede rapido Achille.
Quante
volte[93]
pensava di balzare in avanti
verso
le porte dei Dardani[94],
verso le solide torri,
se
mai con l’aste dall’alto potessero dargli soccorso;
tante[95]
Achille gli si parava incontro e lo faceva voltare
verso
la piana; volava lui sempre dritto alla rocca.
Come
uno nel sogno non può arrivare un fuggiasco,
questi
non può sfuggire, l’altro non può arrivarlo[96];
così
non poteva correndo Achille afferrarlo, né l’altro salvarsi.
E
come Ettore avrebbe potuto sfuggire le Chere di morte
se
Apollo non gli veniva vicino per l’ultima volta
a
stimolargli le forze e le ginocchia veloci?
Intanto
ai soldati il rapido Achille accennava di no,
non
voleva che i dardi amari scagliassero ad Ettore,
non
gli rubasse qualcuno la gloria, colpendolo, e lui fosse secondo.
Ma
quando arrivarono la quarta volta alle fonti,
allora
Zeus agganciò la bilancia d’oro,
le
due Chere di morte lunghi strazi vi pose,
quella
d’Achille e quella d’Ettore domatore di cavalli,
la
sospese pel mezzo: d’Ettore precipitò il giorno fatale
e
finì giù nell’Ade; l’abbandonò allora Apollo.
E
quando furon vicini, marciando uno sull’altro,
il
grande Ettore elmo lucente parlò per primo ad Achille:
«Non
fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora
corsi
tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi
sostenere
il tuo assalto: adesso il cuore mi spinge
a
starti a fronte, debbo io vincere o essere vinto.
Su
invochiamo gli dèi: essi i migliori
testimoni
saranno e custodi dei patti;
io
non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus
mi
darà forza e riesco a strapparti la vita;
ma
quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite[97]
armi,
renderò
il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così».
E
guardandolo bieco, Achille piede rapido disse:
«Ettore,
non mi parlare, maledetto, di patti:
come
non v’è fida alleanza fra uomo e leone,
e
lupo e agnello non han mai cuori concordi,
ma
s’odiano senza riposo uno con l’altro,
così
mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra di noi
non
saran patti, se prima uno, caduto,
non
sazierà col sangue Ares, il guerriero indomabile.
Ogni
bravura ricorda; ora sì che tu devi
esser
perfetto con l’asta e audace a lottare!
Tu
non hai via di scampo, ma Pallade Atena
t’uccide
con la mia lancia: pagherai tutte insieme
le
sofferenze dei miei che uccidesti infuriato con l’asta».
Diceva,
e l’asta scagliò, bilanciandola;
ma
vistala prima, l’evitò Ettore illustre[98]:
la
vide, e si rannicchiò, sopra volò l’asta di bronzo
e
s’infisse per terra; la strappò Pallade Atena,
la
rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti.
Ettore,
allora, parlò al Pelide perfetto:
«Fallito!
Ma dunque tu non sapevi, Achille pari agli dèi,
no
affatto, da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta.
Facevi
il bel parlatore, l’astuto a parole,
perché
atterrito, io scordassi il coraggio e la furia.
No,
non nella schiena d’uno che fugge pianterai l’asta,
ma
dritta in petto, mentre infurio, hai da spingerla,
se
un dio ti dà modo[99].
Evita intanto questa mia lancia
di
bronzo: che tu possa portarla tutta intera nel corpo!
Ben
più leggera sarebbe la guerra pei Teucri,
te
morto: che tu sei per loro l’angoscia più grande».
Diceva,
e bilanciandola scagliò l’asta ombra lunga;
e
colse nel mezzo lo scudo d’Achille, non sbagliò il colpo;
ma
l’asta rimbalzò dallo scudo; s’irritò Ettore,
che
inutile il rapido dardo gli fosse ruggito di mano,
e
si fermò avvilito, perché non aveva un’altr’asta di faggio;
chiamò
gridando forte il bianco scudo Deìfobo,
chiedeva
un’asta lunga: ma quello non gli era vicino.
Comprese
allora Ettore in cuore e gridò:
«Ahi!
Davvero gli dèi mi chiamano a morte.
Credevo
d’aver accanto il forte Deìfobo:
ma
è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno.
M’è
accanto la mala morte, non è più lontana,
non
è inevitabile ormai, e questo da tempo era caro
a
Zeus e al figlio arderò di Zeus, che tante volte
m’han
salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira.
Ebbene,
non senza lotta, non senza gloria morrò,
ma
compiuto gran fatto, che anche i futuri lo sappiano!».
Parlando
così, sguainò la spada affilata,
che
dietro il fianco pendeva, grande e pesante;
e
si raccolse e scattò nell’assalto, com’aquila alto volo,
che
piomba sulla pianura traverso alle nuvole buie,
a
rapir tenero agnello o lepre appiattato:
così
all’assalto scattò Ettore, la spada acuta agitando.
Ma
Achille pure balzò, dì furia empì il cuore
selvaggio:
parò davanti al petto lo scudo
bello,
adorno, e squassava l’elmo lucente
a
quattro ripari; volava intorno la bella chioma
d’oro,
che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero.
Come
la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte,
Espero,
l’astro più bello ch’è in cielo,
così
lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva
nella
sua destra, meditando la morte d’Ettore luminoso,
cercando
con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia.
Tutta
coprivan la pelle l’armi bronzee, bellissime,
ch’Ettore
aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;
là
solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle
dalla
gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.
Qui
Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,
dritta
corse la punta traverso al morbido collo;
però
il faggio greve non gli tagliò la strozza,
così
che poteva parlare, scambiando parole.
Stramazzò
nella polvere: si vantò Achille glorioso:
«Ettore,
credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di
restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia!
ma difensore di lui, e molto più forte,
io
rimanevo sopra le concavi navi,
io
che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno
sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei».
Gli
rispose, senza più forza, Ettore elmo lucente:
«Ti
prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,
non
lasciare che presso le navi mi sbranino i cani
degli
Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,
i
doni che ti daranno il padre e la nobile madre:
rendi
il mio corpo alla patria, perché del fuoco
diano
parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri...».
Ma
bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:
«No,
cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;
ah!
che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a
tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto:
nessuno
potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,
nemmeno
se dieci volte, venti volte infinito riscatto
mi
pesassero qui, altro promettessero ancora;
nemmeno
se a peso d’oro vorrà riscattarti
Priamo
Dardanide, neanche così la nobile madre
piangerà
steso sul letto il figlio che ha partorito,
ma
cani e uccelli tutto ti sbraneranno».
Rispose
morendo Ettore elmo lucente:
«Va’,
ti conosco guardandoti! io non potevo
persuaderti,
no certo, che in petto hai un cuore di ferro.
Bada
però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,
quel
giorno che Paride e Febo Apollo con lui
t’uccideranno,
quantunque gagliardo, sopra le Scee».
Mentre
diceva così, l’avvolse la morte:
la
vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo
il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.
Rispose
al morto il luminoso Achille:
«Muori!
La Chera io pure l’avrò, quando Zeus
vorrà
compierla e gli altri numi immortali».
Con la morte di
Ettore l’ira di Achille ha raggiunto il suo scopo, ma non la sua fine. Essa ha
provocato uno sconvolgimento nel mondo che potrà trovare un nuovo equilibrio
solo attraverso la pacificazione. Ciò avviene in tre momenti, placando l’anima
di Patroclo con funerali, celebrando giochi funebri in suo onore e restituendo
a Priamo il cadavere di Ettore, momento culminante della vicenda.
Priamo
e Achille
·
Quella stessa notte Priamo, re di Troia, si reca nell'accampamento greco a chiedere la
restituzione del corpo di Ettore, per tributargli i dovuti onori. Achille
decide di non uccidere Priamo per rispetto, ma sulle prime è riluttante sul
fatto di restituirgli il cadavere. Priamo riesce a convincere l'animo di
Achille, ricordandogli suo padre Peleo. Achille così restituisce il cadavere di
Ettore a Priamo, che lo riporta nella città.
·
Protagonista dell’episodio
è la sofferenza di un padre che, per amore del figlio, si spoglia della sua regalità
e bacia le mani omicide del nemico. Priamo, re di Troia assediata, si fa
supplice davanti all’eroe greco per riavere il cadavere di suo figlio. Di
fronte alla ritrosia dell’avversario, il vecchio fa leva sul ricordo, ancora
fresco, dei lutti passati: i due si ritrovano così a piangere insieme, versando
lacrime amare, ma sincere e purificatrici.
·
In questo episodio ci
sono due mondi che si incontrano e insieme soffrono. Priamo ed Achille sono
soli nella tenda di Achille: gli dei sono assenti, tacciono. In scena c’è solo
umanità. Non c’è scontro tra greco e barbaro: i due nemici mettono da parte le
rivalità e si abbracciano, un abbraccio mediterraneo, universale. Solo i
ricordi dei cari popolano la tenda, e tra il vecchio re troiano e il giovane
principe greco si crea empatia: un’empatia che spinge il giovane uomo a cedere
alla richiesta di un vecchio padre straziato. Ma prima della consegna è
necessario un rito di passaggio: il banchetto e il sonno ristoratore. La
rappresentazione si chiude infatti con l’invito di Achille a mangiare insieme
e, successivamente, a riposare. Questo riferimento, apparentemente poco significativo,
assume invece grande importanza: Priamo, che dalla morte di Ettore non era più
riuscito a darsi pace, purificato ora dalle lacrime del ricordo può
ricominciare a mangiare, a dormire – a vivere.
·
In questo episodio si
palesa la grande protagonista di tutta l’epica: la memoria. «Tutto il passato
si fonda sulla memoria» Fino a quando non fu inventata la scrittura e per molto
tempo ancora avanti, infatti, fu solo grazie alla memoria dei rapsodi che le
tradizioni poterono sopravvivere, tramandate di bocca in bocca, di generazione
in generazione. Ma il rapsodo è solo un tramite, perché la memoria non si
esaurisce nell’attore: fluisce nel canto in chi lo ascolta e solo chi ricorda
partecipa. Ora ci vogliono far dimenticare guerre e orrori, ma è la Storia che
ci fa uomini»
·
L’incontro tra Priamo e
Achille è un incontro tra Oriente ed Occidente e fa riflettere su come ancor
oggi continua quell’incontro confronto e scontro. In Priamo c’è la dolorosa
constatazione della morte del suo figlio migliore, di quell’Ettore, che pur
conscio del possibile epilogo della lotta quasi stabilito dagli dei, combatte
la sua battaglia nella speranza che i suoi sforzi possano essere coronati dal
successo, difendere e salvare la patria. Di fronte c’è un Achille, di per sé
spietato nella sua consapevolezza di essere quasi immortale e conscio di voler
avere un giorno da leone, di vivere la sua vita come una fiamma capace di
brillare più intensamente di altre anche se per un tempo più breve. Achille ed
Ettore uomini si ritrovano di fronte: entrambi sconfitti dalla vita e dalla
stessa persona che è infine responsabile della morte loro e di tanti altri
eroi. Muoiono entrambi uccisi da Paride che provocò la guerra, dando ad
Agamennone l’occasione per avviare quel duello fra Occidente ed Oriente che si
sarebbe concluso solo con la sconfitta di Serse.
·
In questo confronto fra
occidente e oriente i due protagonisti quasi gareggiano per conquistare la
scena, ma è Priamo il più grande perché commuove l’animo di Achille e lo induce
a quella pietà sconosciuta agli Achei che saranno poi sconfitti dai Dori che
mieteranno allori proprio a casa di quei Greci Antichi che avevano navigato,
anch’essi pieni di sé, verso Ilio dalle alte mura! Priamo, che in gioventù era
stato grande guerriero, qui mostra tutta la debolezza del padre al quale un
Fato avverso ha sottratto il figlio adorato e la sua preghiera ad Achille ha
nell’umiltà il tratto saliente che non sfugge ad Achille. Proprio lui che è
maestro di orgoglio, di rigidezza e di inflessibilità, dinanzi al vecchio
padre, inerme dinanzi alla sua forza, scopre una pietà inesplicabile e
restituisce il corpo violato del suo nemico. Quello stesso nulla dinanzi agli
occhi di Achille deve aver spalancato in lui una finestra dalla quale deve aver
visto la sua stessa fine, nella caducità della vita umana degli eroi: fiaccole
che bruciano nella notte con inusitata potenza. Ma Achille, nel corpo di Ettore
avrà intuito la visione di sé verso il Tartaro inglorioso e avrà pensato che su
di lui neanche Peleo avrebbe potuto piangere e la pietà per quel padre che,
invece, ha la possibilità di piangere il figlio, eroicamente, lo spinge al
gesto magnanimo e riconsegna le spoglie su cui ha infierito per desiderio di
vendetta più che per puro odio.
·
Ancora una volta Omero in
questo episodio lascia che le passioni violente cedano il passo ad un
sentimento più composto. Ora, ritorna la compostezza ed un velo di umanità
spegne la rabbia nel cuore di Achille. Non solidarietà che mancava in
quell’epoca di eroi contrapposti e neanche una pietas fatta di grandezza, ma
piuttosto commozione di fronte alla grandezza del vecchio che si umilia dinanzi
al più forte e che già, nei disegni del Fato, si avvia verso il buio della
morte in un’epoca nella quale non si risorge, non ancora, non si può perché si
è sotto lo sguardo dell’Olimpo fatto esso stesso di passioni…
·
Nell’atto di Achille
sta la sintesi della fine dell’Iliade che non potrà dire null’altro perché è
questo il suo episodio più grande… Del cavallo e degli incubi della fine se ne
incaricherà l’Odissea con uno stile più maturo ed anche sofferto!
Il
grande Priamo entrò non visto, ed avvicinatosi
abbracciò
le ginocchia di Achille, baciò le sue mani[100]
tremende,
omicide, che a lui tanti figli avevano ucciso.
Come
quando grave follia colpisce un uomo, che al suo paese
uccide
qualcuno ed emigra in terra straniera,
in
casa d’un ricco, e chi lo vede prova stupore,
così
Achille ebbe un sussulto, quando vide Priamo simile a un dio;
anche
gli altri stupirono, si guardarono tra loro.
Priamo,
in atto di supplice, gli rivolse questo discorso:
«Ricordati
del padre tuo, Achille pari agli dèi,
come
me avanti negli anni, sulla soglia triste della vecchiaia:
forse
anche a lui danno guai i popoli intorno
accerchiandolo,
e non c’è nessuno a stornare da lui la rovina.
Eppure
tuo padre, sapendo che tu sei vivo,
gioisce
nell’animo suo, e spera di giorno in giorno
di
vedere suo figlio tornare da Troia;
infelice
davvero sono io, che nella vasta Troia ho generato
figli
meravigliosi, e non me ne resta nessuno.
Ne
avevo cinquanta, quando arrivarono i figli degli Achei;
diciannove
m’erano nati tutti da uno stesso ventre[101],
gli
altri me li partorivano donne diverse nella mia casa.
Alla
maggior parte Ares violento ha fiaccato i ginocchi[102];
e
quello che per me era unico, che salvava la città e la gente,
tu
proprio adesso l’hai ucciso, mentre combatteva per la patria,
Ettore:
ora vengo per lui fino alle navi degli Achei
a
riscattarlo da te, e porto un compenso ricchissimo.
Su,
Achille, rispetta gli dèi ed abbi pietà di me,
nel
ricordo di tuo padre: ancora più degno di pietà sono io,
ho
sopportato quello che al mondo nessun altro mortale,
di
portare alla bocca la mano dell’uccisore di mio figlio».
Disse
così, ed in lui stimolò il desiderio di piangere il padre:
allora
afferrò la sua mano e scansò dolcemente il vecchio.
Immersi
entrambi nel ricordo, l’uno per Ettore massacratore
piangeva
a dirotto prostrato ai piedi di Achille,
mentre
Achille piangeva suo padre, ma a tratti
anche
Patroclo: il loro lamento echeggiava per la casa.
Ma
quando il divino Achille fu sazio di pianto,
gli
svanì quella voglia dal corpo e dal cuore,
s’alzò
di scatto dal seggio, sollevò per la mano il vecchio,
mosso
a pietà dalla sua testa bianca, dal suo mento bianco,
e,
articolando la voce, gli diceva parole che volano:
«Infelice,
molti affanni davvero hai patito in cuor tuo.
Come
hai osato recarti da solo alle navi degli Achei,
al
cospetto dell’uomo che numerosi e gagliardi
figli
t’ha ucciso? Hai un cuore forte come l’acciaio!
Ma
su, riposati su questo seggio, ed anche se afflitti,
lasciamo
comunque dormire nel cuore i dolori;
dal
lamento che ci raggela non viene un guadagno:
gli
dèi stabilirono questo per gl’infelici mortali,
vivere
in mezzo agli affanni; loro invece sono sereni.
Due
giare[103]
sono piantate sulla soglia di Zeus, piene di doni
che
egli largisce, l’una di mali, l’altra di beni:
l’uomo
cui dà[104]
mescolando Zeus, che gode del fulmine,
s’imbatte
ora in un male, altra volta in un bene;
ma
colui cui dà soltanto sciagure, lo fa miserabile,
una
fame tremenda lo spinge su tutta la terra divina,
se
ne va disprezzato sia dagli uomini che dagli dèi.
Così
gli dèi anche a Peleo[105]
dettero splendidi doni
fin
dalla nascita: primeggiava fra tutti gli uomini
per
felicità e ricchezza, regnava sopra i Mirmidoni,
e
a lui che era un mortale dettero in moglie una dea.
Ma
il dio anche a lui diede un male, perché mancò in casa sua
una
discendenza di figli eredi al potere,
ma
generò un solo figlio destinato a morte precoce;
né
l’accompagno nella vecchiaia, perché lontano dalla mia patria
me
ne sto qui a Troia, a te e ai tuoi figli portando sciagura.
Sentiamo
dire che anche tu, vecchio, eri felice in passato:
dicono,
vecchio, che tu primeggiassi per ricchezza e per figli.
Ma
da quando i Celesti t’hanno mandato questa rovina,
ci
sono intorno alla tua città soltanto battaglie e massacri.
Sii
forte, non abbandonarti troppo al dolore in cuor tuo:
non
ne trarrai un guadagno a disperarti per il tuo figliolo,
né
potrai farlo rivivere, piuttosto ne avrai altro male!».
Gli
rispondeva allora il vecchio Priamo simile a un dio:
«Non
invitarmi a sedere, alunno[110]
di Zeus,
fino
a quando Ettore sta nella tenda privo di esequie, restituiscilo invece
al
più presto, ch’io lo riveda con i miei occhi;
tu
accetta il grande riscatto che porto: possa goderne,
e
ritornare nella tua patria, dato che prima di tutto
m’hai
lasciato in vita, a vedere la luce del sole».
A
lui, guardandolo storto, disse Achille, veloce nei piedi:
«Non
continuare, vecchio, a irritarmi: io stesso penso
a
liberare Ettore, è venuta da me portavoce di Zeus
la
madre[111]
che m’ha partorito, la figlia del vecchio del mare.
Anche
su te vedo chiaro, Priamo, tu non m’inganni,
che
un dio[112]
t’ha scortato alle rapide navi degli Achei.
Nessuno,
nemmeno nel fiore della giovinezza, oserebbe venire
qui
al campo: non sfuggirebbe alle guardie, né facilmente
potrebbe
spostare la spranga della mia porta.
Smetti
dunque di tormentarmi l’anima con i dolori,
potrei,
vecchio, non tollerarti più nella tenda,
benché
supplice, e venir meno al comando di Zeus».
Disse
così, il vecchio ebbe paura e obbedì all’ordine suo.
Il
Pelide balzò come un leone fuori la porta della sua tenda,
non
da solo, anche i due scudieri uscirono con lui,
più
degli altri compagni, dopo la morte di Patroclo,
i
quali sciolsero allora muli e cavalli dal giogo,
fecero
entrare l’araldo, il banditore del vecchio,
lo
fecero sedere; poi dal carro ben lucidato
scaricarono
l’immenso riscatto del corpo di Ettore.
Ma
vi lasciarono dentro due mantelli e un chitone ben lavorato,
per
restituire il morto dopo averlo vestito.
Chiamate
poi le ancelle, ordinò di lavarlo e di ungerlo
portatolo
altrove, perché Priamo non vedesse il figlio,
se
mai non riuscisse a trattenere lo sdegno nel cuore adirato,
alla
vista del figlio, e ad Achille montasse la furia,
e
l’ammazzasse, venendo meno al comando di Zeus.
Quando
poi le donne lo ebbero lavato ed unto di olio,
e
gli misero indosso il chitone ed un bel mantello,
Achille
stesso l’alzò, l’adagiò sopra la bara,
i
compagni quindi lo posero sopra il carro ben lucidato.
Ruppe
allora in lamenti, e chiamava per nome il compagno:
«Non
adirarti con me, Patroclo, se vieni a sapere,
pur
essendo nell’Ade, che ho restituito a suo padre
Ettore
divino, perché non m’ha dato un riscatto da poco.
Anche
di questo, in giusta misura, a te farò parte».
Disse,
e tornò nella tenda Achille divino,
sedette
sul seggio ben lavorato, da cui s’era alzato,
alla
parete opposta, e fece a Priamo questo discorso:
«Vecchio,
ti è stato reso tuo figlio, come volevi,
giace
sopra la bara; allo spuntare del giorno
lo
vedrai tu stesso, portandolo via; ma ora pensiamo alla cena.
Si
ricordò di mangiare perfino Niobe dalla bella chioma,
alla
quale ben dodici figli morirono dentro la casa,
sei
figlie e sei figli nel fiore degli anni.
Questi
li uccise Apollo tirando con l’arco d’argento,
adirato
contro Niobe[115],
le figlie Artemide saettatrice,
perché
osava paragonarsi a Leto dalle belle guance:
“Leto
fece soltanto due figli” diceva, mentre lei ne mise al mondo tanti;
eppure
quelli, benché solo in due, li sterminarono tutti.
Per
nove giorni giacquero nel loro sangue, e non c’era nessuno
a
seppellirli, il Cronide[116]
rese la gente di pietra;
infine
al decimo giorno li seppellirono gli dèi del cielo.
E
lei si ricordò di mangiare, quando fu stanca di piangere.
Ora
in mezzo alle rupi, tra i monti solitari,
sul
Sipilo[117],
dove si dice sia il letto delle dee ninfe,
che
intrecciano danze sulle rive dell’Acheloo[118],
lì,
trasformata in roccia, smaltisce il lutto mandatole dagli dèi.
Ma
su, vecchio divino, pensiamo anche noi
a
mangiare; poi piangerai nuovamente tuo figlio,
portatolo
ad Ilio: e sarà pianto a lungo».
Con i funerali per Ettore si finisce l'Iliade.
Poi
la guerra riprende finché, Ulisse riesce a
trovare una soluzione affinché la grande guerra cessi definitivamente:
costruire un grande cavallo
di legno con i resti delle navi distrutte per ingannare in
troiani. Dentro il ventre della costruzione sarebbero entrati almeno trenta dei
più valorosi guerrieri, mentre il resto dell'esercito avrebbe finto di
andarsene verso la Grecia.
Il
trucco funziona e i troiani, credendo che il cavallo sia un'offerta agli Dei,
per non inimicarseli, se lo portano dentro Troia. Durante la notte
le sentinelle non sono messe di guardia, poiché tutti credono che i Greci siano
ormai partiti per sempre. E invece dal ventre del cavallo escono i guerrieri
che uccidono tutte le guardie e fanno entrare il resto delle guarnigioni,
riapprodate sulla spiaggia. Troia è ormai in fiamme e tutti i troiani vengono o
uccisi o fatti prigionieri. Achille, il più furente di tutti, viene però
colpito a tradimento al tallone, suo unico punto debole, da una freccia. La scocca Paride mentre Achille era girato: Achille muore come un comune
mortale e alla fine della distruzione di Troia, gli sono attribuiti i dovuti
onori come un immortale.
L’incontro con Achille e con Aiace
nell’oltretomba
Omero Odissea XI, vv. 471-564
·
L’episodio è
narrato durante i racconti delle avventure di Odisseo presso la corte dei Feaci. Tra gli episodi più
significativi c’è l’evocazione delle anime dei morti, allo scopo di ottenere
informazioni dall’indovino Tiresia circa il suo ritorno.
·
Nell’oltretomba,
dopo l’incontro con la madre morta Anticlea e con Agamennone, il capo della
spedizione achea, che gli ha raccontato la propria misera fine, gli si fa
incontro un gruppo di anime, formato da Achille, Patroclo, Antiloco (figlio di
Nestore) e Aiace Telamonio.
·
Dopo il colloquio
con l’anima di Agamennone, Odisseo incontra quella di Achille. La prima domanda
che Achille gli rivolge riguarda le ragioni per cui si trova nell’Ade; Odisseo
rivela così di aver chiesto consiglio a Tiresia e di non essere ancora giunto
in patria. Odisseo afferma poi che nessuno è più beato di Achille, perché come
era celebrato e onorato fra i vivi, così lo è fra i morti. Ma la risposta
di Achille è
sorprendente: lui che da vivo era stato l’emblema dell’etica eroica, improntata al valore e
alla ricerca della gloria in battaglia, ora la rifiuta e mette al primo posto la vita, dichiarando
che preferirebbe servire da bracciante che essere morto; il senso delle parole
di Achille è che tra i morti non vi sono “beati”.
·
Subito dopo,
Achille si informa sui suoi congiunti (anziché sull’esito della guerra di
Troia), preoccupato per il padre e ansioso di conoscere il valore del figlio.
Mentre Odisseo non sa nulla di Peleo, può rassicurare Achille su Neottolemo. Omero sfrutta così la
possibilità di inserire nel racconto episodi della guerra di Troia che non avevano
trovato posto nell’Iliade.
·
Neottolemo si è
distinto come uno dei più valorosi condottieri achei; Odisseo ricorda in
particolare l’uccisione di Euripilo e la sua condotta nel celebre episodio del
cavallo di legno. Achille si dimostra compiaciuto e orgoglioso per il valore
dimostrato dal figlio.
·
Successivamente,
Aiace mostra invece lo sdegno e il rancore che serba per Odisseo, che si era
guadagnato le armi di Achille senza meritarle; Aiace per la vergogna era morto
suicida. Nell’oltretomba, Odisseo
rende onore ad Aiace, affermando che avrebbe preferito non ottenere le armi,
pur di evitare la morte dell’eroe, che considera un segnale dell’ira di Zeus
nei confronti degli Achei, privati del loro più forte guerriero dopo Achille.
La morte non rappresenta però una possibilità di conciliazione: Aiace si
allontana senza rispondere, tuttora offeso.
Mi riconobbe l’anima del celere Eacide[119]
e piangendo mi rivolse alate parole[120]:
«Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie,
temerario, quale impresa più audace penserai nella mente?
475 Come ardisti venire
nell’Ade, dove i morti
privi di sensi dimorano, le ombre degli uomini estinti?».
Disse così ed io rispondendogli dissi:
«Achille, figlio di Peleo, tra gli Achei il più valoroso,
son venuto per sentire Tiresia, se un consiglio
480 mi dava, come giungere
nella ripida Itaca.
Non giunsi mai vicino all’Acaide[121], non toccai mai
la nostra terra, ma sempre ho sventure. Nessuno
di te più beato, o Achille, in passato e in futuro:
prima infatti, da vivo, ti rendevamo onori di dèi
485 noi Argivi[122], ed ora hai grande
potere tra i morti
qui dimorando: non t’angusti, Achille, la morte».
Dissi così e subito rispondendomi disse:
«Non abbellirmi, illustre Odisseo, la morte!
Vorrei da bracciante servire un altro uomo,
490 un uomo senza podere che
non ha molta roba;
piuttosto che dominare tra tutti i morti defunti.
Ma dammi qualche notizia del mio nobile figlio:
se è andato, o no, in guerra per essere un prode.
Dimmi del nobile Peleo, se hai saputo qualcosa:
495 se ha ancora la sua
dignità tra i molti Mirmidoni,
o se nell’Ellade e a Ftia[123] non lo
onorano più,
perché la vecchiaia lo opprime alle mani e ai piedi.
Magari io potessi in suo aiuto, sotto i raggi del sole,
essendo così come quando nella vasta terra di Troia
500 facevo strage di eroi
difendendo gli Argivi –
magari potessi andare così da mio padre, anche per poco:
odiose farei la mia forza e le irresistibili mani
per chi gli fa violenza e lo priva dell’onore dovuto».
Disse così ed io rispondendogli dissi:
505 «Veramente non so del
nobile Peleo,
ma sul tuo caro figlio Neottolemo
tutta la verità ti dirò, come vuoi.
Lo portai sulla concava nave librata
510 E quando facevamo dei piani
su Troia,
sempre parlava per primo e non sbagliava i discorsi:
soli lo superavamo Nestore pari a un nume ed io.
Ma quando nella piana di Troia noi Achei lottavamo,
non restava mai nella folla degli uomini e nella schiera,
515 ma molto avanzava, senza
cedere in furore a nessuno:
molti uomini uccise nella mischia terribile.
Di tutti io non posso narrare né posso elencare,
quanti armati egli uccise difendendo gli Argivi:
ma solo che uccise col bronzo il figlio di Telefo,
520 l’eroe Euripilo, e
intorno molti compagni
Cetei[126] furono
uccisi per doni di donne.
Era lui il più bello che vidi, dopo il chiarissimo Memnone[127].
E quando nel cavallo, che Epeo costruì, ci calammo
noi Argivi migliori, e tutto dipendeva da me,
525 se aprire l’agguato compatto
o se chiuderlo[128],
allora gli altri capi e consiglieri dei Danai[129]
si asciugavano il pianto, e gli arti di ognuno tremavano:
ma lui non lo vidi mai coi miei occhi
impallidire nel suo bell’aspetto o asciugarsi
530 dalle gote una lacrima;
mi chiese invece più volte
di uscire da quel cavallo: l’elsa della spada stringeva
e la pesante lancia di bronzo, bramava sventure ai Troiani.
Ma quando abbattemmo la città scoscesa di Priamo,
egli tornò sulla nave avendo la sua parte e il nobile dono,
535 illeso, senz’essere
stato raggiunto da aguzzo bronzo,
senz’essere stato ferito nel corpo a corpo, come spesso
in guerra succede: alla cieca Ares impazza».
Dicevo così e l’anima del celere Eacide
andava a gran passi sul prato asfodelio[130],
540 lieta, perché io gli
dissi che il figlio era insigne.
Le altre anime dei morti defunti
stavano tristi, dicevano ognuna i propri dolori.
L’anima sola di Aiace Telamonide
se ne stava in disparte, in collera per la vittoria
545 con cui io lo vinsi in
giudizio, ottenendo presso le navi
le armi di Achille: in palio le mise la madre augusta
e le aggiudicarono i figli dei Teucri e Pallade Atena[131].
Oh, non avessi mai vinto per tale premio!
Tale persona la terra coprì per causa loro,
550 Aiace, che superava per
aspetto, ed azioni
gli altri Danai dopo il nobile figlio di Peleo.
Io gli parlai con parole gentili:
«Aiace, figlio del gran Telamone, e così neanche da morto
avresti scordato il rancore contro di me per le armi
555 funeste? Una disgrazia
le resero i numi agli Argivi:
tale baluardo è crollato per loro con te! Per la tua morte
soffriamo sempre noi Achei, come
per la persona di Achille Pelide. Nessun altro
l’autore, ma Zeus: terribilmente ebbe in odio le schiere
560 dei Danai armati di lancia e
impose a te questa sorte.
Ma vieni, o signore: che il racconto e la nostra parola
tu senta! vinci il furore e il tuo animo duro!».
Dicevo così, ed egli non mi rispose, e andò
nell’Erebo[132] tra le altre
anime dei morti defunti.
(trad. di G.A. Privitera)
[1] Le nove Muse,
figlie di Zeus e di Mnemosine, erano protettrici delle arti e delle attività
intellettuali; qui il poeta si riferisce a Calliope, la musa ispiratrice della
poesia epica.
[2] É un patronimico,
ossia un termine che designa la discendenza dal padre: Achille è figlio di
Peleo, re di Ftia, in Tessaglia, e della dea Teti.
[3] Il termine designa
propriamente una popolazione del Peloponneso, ma nei poemi omerici viene spesso
impiegato per indicare i Greci nel loro complesso.
[5] É un altro patronimico: qui il poeta si
riferisce ad Agamennone, figlio di Atreo, re di Argo e di Micene. A lui è
affidato il comando della spedizione greca contro Troia.
[13] Epiteto del dio
Apollo, il cui significato non è ben chiaro. Secondo alcuni il termine
deriverebbe dal nome dell’antica città di Sminte, nella Troade.
[14] Come il termine
“Achei”, anche questo nome è spesso impiegato nei poemi omerici per indicare i
Greci nel loro complesso. La sua origine è connessa a Danao, mitico re di Argo.
[15] Apollo è spesso
rappresentato con arco e frecce: egli è, al tempo stesso, il dio che allontana
il male (padre di Asclepio, dio della medicina), e il dio che punisce con i
suoi infallibili dardi; tutte le morti improvvise erano ritenute effetto delle
sue frecce.
[17] Antica
denominazione del diaframma, considerato come una membrana avvolgente il cuore
e ritenuto sede degli affetti
[18] Danai è un termine usato come sinonimo di Greci.
Letteralmente significa "la stirpe di Danao".
[21] Non è giusto
[22] Figlio di
Telamone, re di Salamina; viene presentato da Omero come l’eroe greco secondo
soltanto ad Achille per forza e per coraggio sul campo di battaglia.
[23] Re di Itaca,
piccola isola nel mare Ionio; l’eroe greco sarà protagonista dell’Odissea, il
poema omerico che ne narra il lungo viaggio di ritorno in patria dopo la presa
di Troia.
[24] Questo termine
indicava propriamente in Grecia un sacrificio di cento buoi; tuttavia la parola
viene spesso impiegata anche per indicare in modo più generico un sacrificio
solenne.
[27] veloce nei piedi: “rapido nella
corsa”; è epiteto ricorrente di Achille.
[28] rivestito d’impudenza:
arrogante.
[29] di nulla... colpevoli: non hanno
commesso alcuna colpa nei miei confronti.
[30] La spedizione greca
contro Troia era stata organizzata da Agamennone per vendicare l’onore del
fratello Menelao, re di Sparta: la bellissima moglie Elena lo aveva infatti
abbandonato, fuggendo insieme al principe troiano Paride.
[31] faccia di cane: l’insulto di
Achille è molto forte.
[32] Il termine viene
spesso impiegato nei poemi omerici per indicare i Troiani. La sua origine è
connessa a Teucro, capostipite dei re di Troia.
[33] i figli degli Achei: i giovani
Greci, i guerrieri. Il premio è la
schiava Briseide.
Achille è risentito perché Agamennone minaccia di
sottrargli Briseide, sua schiava di guerra e segno del suo valore guerresco. La
lite è una questione d’onore.
[34] Ftia: città della Tessaglia, di
cui Achille era re.
[35] ricurve: epiteto formulare
ricorrente in riferimento alle imbarcazioni.
[36] signore
[37] L’espressione
sottolinea innanzitutto la discendenza divina di Achille, figlio della dea
Teti; in secondo luogo ricorda il legame tra la regalità e Zeus, re di tutti
gli dèi.
[38] se sei... d’un dio: Agamennone
pare sminuire il valore di Achille.
[40] Febo: significa “luminoso” ed è
epiteto ricorrente di Apollo, spesso considerato dio del Sole.
[41] dalle belle gote: epiteto
formulare, per sottolineare la bellezza femminile.
[42] rifugga... a fronte: non osi
ritenersi pari a me e confrontarsi con me Agamennone rende esplicita la sua
minaccia, sottolineando che il suo gesto è un modo per ribadire la propria
autorità, umiliando Achille.
[43] Pelide: il “figlio di Peleo” è
Achille.
[44] oltraggiose: offensive.
[45] Atride: Agamennone, figlio di
Atreo.
[46] Avvinazzato: ubriacone.
[47] tu che hai... cervo: tu che sei
minaccioso come un cane ma vile come un cervo.
[48] parli diverso da te: ti si
opponga.
[49] insolentivi: offendevi.
[50] ti affligga: ti tormenti
[51] crucciandoti: pentendoti
[53] Signore dell’Olimpo
[54]
Teti, particolarmente venerata in Tessaglia, è la
sposa di Peleo e madre di Achille. Era la più bella delle
cinquanta Nereidi, le naiadi figlie di Nereo e Doride. Poseidone
avrebbe voluto sposarla e anche Zeus l'avrebbe voluta per sé; ma siccome le
Moire avevano profetizzato che il figlio di Teti avrebbe acquistato maggiore
fama del proprio padre, Poseidone rivolse le sue attenzioni ad Anfitrite,
sorella di Teti.
Zeus scelse come compagna Era e impose a Teti di
sposare Peleo, il più nobile degli uomini, il quale però faticò non poco per
farsi accettare da Teti. Si appostò sulla spiaggia di un'isoletta della
Tessaglia dove la ninfa era solita recarsi a cavallo di
un delfino per riposarsi in una grotta, la assalì appena ella si fu
addormentata ed ebbe ragione di lei, nonostante che ella si trasformasse senza
posa in fuoco, acqua, leone e seppia, una seppia che inzuppò completamente il
povero Peleo con un fiotto d'inchiostro.
Per le nozze, che ebbero luogo sul monte Pelio, di
fronte alla grotta del centauro Chirone, furono organizzati festeggiamenti
grandiosi: oltre ai dodici dei dell'Olimpo assisi sui loro troni, vi presero
parte le Moire e le Muse, le cinquanta Nereidi e i Centauri che
reggevano splendenti torce di legno d'abete.
[55] Popolazione
abitante gli estremi confini meridionali della Terra; era particolarmente cara
agli dèi per la sua mitezza e per il suo senso della giustizia.
[56] I temi dell’Iliade
sono tre: l’ira, la guerra e la riconciliazione. L’ira e la guerra, che si
manifestano in innumerevoli forme e sono strettamente connesse tra loro,
attraversano e dominano l’intero poema, definito «un monumento alla guerra»,
perché ne celebra la forza e la bellezza. Alla fine, però, esse si rivelano
solo causa di dolore e di morte e lasciano il posto alle ragioni dei vinti e
alla conciliazione che permette il recupero dell’equilibrio e costituisce la
vera compensazione dell’ira.
[57] Patroclo
– figura mitologica dell’Iliade. Era figlio di Menezio e di Stenele, ed amico
di Achille.
Costretto
ad abbandonare la sua città, si rifugiò presso Peleo e divenne amico e amante
inseparabile di Achille. I due giovani si recarono insieme alla guerra di
Troia, e quando Achille si ritirò dalla battaglia, Patroclo indossate le sue
armi, ne prese il posto, portando scompiglio nelle schiere avversarie. Ma non
tenne conto del consiglio dell’amico, ovvero limitarsi a respingere i troiani
presso l’accampamento, e per questo in un primo momento Apollo lo stordì, poi
Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di
grazia. Le ceneri del suo corpo furono messe accanto a quelle di Antiloco di
Achille, dopo che costui fu ucciso da Paride.
Spogliato
delle armi, il cadavere di Patroclo viene conteso dai due schieramenti nel
corso di una lotta furiosa che si conclude solo con l’arrivo di Achille: al suo
grido, i troiani fuggono verso le mura della città in preda al terrore.
Sconvolto dal dolore, dopo aver organizzato i giochi funebri in onore
dell’amico, Achille riprende il combattimento.
[58] Ares: è il violento dio della
guerra.
[59] tre volte... uomini: il
ricorrere del numero tre e del nove ha un valore rituale, e sottolinea il gran
numero di nemici uccisi da Patroclo.
[60] un nume: un dio.
[61] Il poeta si rivolge direttamente
a Patroclo, usando la seconda persona. L’appello diretto sottolinea la
partecipazione emotiva del poeta e coinvolge anche il lettore.
[62] Febo: Apollo, protettore dei
Troiani.
[63] girarono gli occhi: si offuscò
la vista, per lo stordimento.
[64] sonò: risuonò.
[65] d’un uomo divino: Achille è
figlio della dea Teti.
[66] gli era... morte: l’intervento
del poeta ha valore di prolessi. Ettore, ucciso Patroclo, si era impadronito
delle sue armi.
[67] greve: pesante.
[68] le membra... si sciolsero:
Patroclo perde al tempo stesso forza e lucidità.
A indebolire Patroclo, a disarmarlo e ucciderlo non
sono tanto i nemici umani, quanto soprattutto il dio Apollo, che nel fare ciò
porta a compimento il volere del destino.
[69] esterrefatto: sorpreso e
atterrito
[70] dappresso: da vicino.
[71] Èuforbo di Pàntoo: è un
guerriero troiano.
[72] per l’asta... veloci: Euforbo
era abile con la lancia, con i cavalli e nella corsa.
[73] nudo: disarmato.
[74] fra i compagni... Chera: si
ritirò tra i compagni, sfuggendo alla morte.
[75] dal bronzo puntuto: dall’asta
con la punta di bronzo.
[76] stramazzando: cadendo a terra.
[77] polla: sorgente d’acqua.
[78] rantola: respira a fatica,
nell’agonia.
[79] il Meneziade: Patroclo, figlio
di Menezio, re di Opunte.
[80] parole fuggenti: parole
destinate a perdersi nell’aria; è espressione formulare.
[81] il libero giorno: la libertà.
[82] Ettore si comporta secondo il
codice di comportamento eroico, e non esita a infierire sul nemico vinto. Egli
appare qui molto diverso da come si era comportato con Andromaca.
[83] si tendono... garretti: si
sforzano; i “garretti” sono le articolazioni delle zampe posteriori.
[84] giorno fatale: il giorno della
caduta di Troia.
[85] ma te... mangeranno: Ettore
minaccia crudelmente Patroclo di lasciarlo senza sepoltura, esposto agli
uccelli predatori.
[86] Cronide: patronimico: Zeus è
figlio di Crono.
[87] il figliuolo di Latona: Apollo.
[88] Eacide: Achille discende da
Eaco, figlio di Zeus e padre di Peleo.
[89] Patroclo profetizza a Ettore la
morte imminente. Le parole pronunciate in punto di morte erano considerate
dagli antichi particolarmente veritiere.
[90] Ade: è l’aldilà.
[91] lasciando... il vigore:
l’espressione è formulare.
[92] Un … cerva: cerbiatto
[93] Ogni volta che
[94] Troiani
[95] Ogni volta
[96] raggiungerlo
[97] gloriose
[98] famoso
[99] Se un … modo: se un dio te ne dà
l’opportunità
[100] gli prese le ginocchia e baciò
le mani: in segno di umiltà e di sottomissione.
[101] da uno stesso grembo: da Ecuba
[102] il terribile Ares, dio della
guerra, fece morire.
[103] La giara è
un recipiente, solitamente di terracotta simile all'anfora. Achille
cita il mito delle due giare secondo il quale ogni uomo può avere da Zeus un
po' di doni buoni e un po' di doni brutti o solamente doni brutti. Achille
mette in contrapposizione Peleo suo padre dicendo che egli ha avuto l’onore di
governare un popolo, di sposare una dea e di avere un figlio; ha avuto la
sfortuna però di non avere una discendenza, di avere un figlio lontano da casa
che morirà presto. Priamo invece è un grande re, ha doni e onori attribuitigli
nonostante abbia avuto anche da Zeus la sfortuna di perdere molti suoi figli.
Tutto questo
discorso si collega al fatto che Achille vuole consolare Priamo disperato e
fargli capire che piangere per una persona morta e non mangiare per essa è
inutile.
[104] dona
[105] padre di Achille, re dei
Mirmidoni, popolo della Tessaglia.
[106] isola
greca situata nell'Egeo nordorientale, di fronte alle coste della penisola
anatolica.
[107] mitico re dell’isola di Lesbo.
[108] La Frigia era
una regione storica dell'Anatolia centrale, abitata dai Frigi, una
popolazione indoeuropea che si era stabilita nella zona nel 1200 - 1100 a.C.
circa.
[109] Lo
stretto dei Dardanelli era anticamente chiamato Ellesponto.
[110] i re sono considerati “allievi”
di Zeus in quanto si riteneva che la loro autorità avesse origine divina
[111] Teti, madre di Achille, era
figlia del dio del mare Nereo
[112] Priamo, infatti, era giunto alla
tenda di Achille grazie all’aiuto del dio Ermes.
[113] Automedonte, figlio di Dioreo, era l'Auriga (cocchiere) di
Achille durante la guerra di Troia: dopo la morte dell'eroe passò al servizio
di suo figlio Neottolemo
[114] Alcimo
era un compagno di Achille che Omero ricorda in due passi dell'Iliade.
Insieme all'auriga Automedonte,
sistemò il carro da guerra dell'eroe che trasudava ira per l'uccisione
dell'amico Patroclo, sceso in
battaglia al suo posto per mettere in fuga Ettore e i suoi uomini. Alcimo aggiogò i
cavalli immortali di Achille alla vettura e li imbrigliò.
[115] Niobe, figlia di Tantalo aveva
sposato Anfione, re di Tebe, e aveva avuto sette forti e robusti figli e
sette bellissime figlie. Ne era così orgogliosa tanto da affermare di essere
più feconda di Leto, che aveva avuto solo due figli Artemide e
Apollo, e pretendeva che a lei e non a Leto spettassero gli onori divini.
La storia arrivò alle orecchie di Apollo e Artemide che vollero punire Niobe
per l'oltraggio fatto alla madre.
Un giorno che i figli di Niobe erano a caccia,
Apollo col suo arco d'argento li fece cadere tutti morti. Dopo questo dura
punizione Niobe non si arrese anzi nonostante la perdita, continuava a vantarsi
in quanto le rimanevano comunque ben sette figlie femmine; era ancora lei a
vincere sulla madre di Apollo e Artemide. Questa volta toccò ad Artemide
vendicarsi della madre, e con le sue frecce, uccise le sette figlie di Niobe. La
sventurata madre accorse sulle pendici del monte dove erano le quattordici
salme dei suoi figli, e davanti a quella scena si arrese e pianse, pianse tanto
da scongiurare Zeus di tramutarla in roccia. Dopo un lungo vagabondare, Niobe
capitò in Lidia dove, come suo volere, fu tramutata in roccia conservando la
sua forma; tuttora continua a piangere tanto che da quella pietra colano
incessantemente gocce d'acqua.
[116] Patronimico figlio di Crono
[117] Monte
dell'Asia Minore: alle falde di esso stava e sta la città di Magnesia al Sipilo, donde il nome moderno.
[118] Il
maggior fiume dell'antica Grecia (l'odierno Aspropotamo) e il più importante dio fluviale, oggetto di
vari culti e miti. Era raffigurato come toro dal volto umano (eccezionalmente
come drago marino) in numerose opere d'arte greca (metopa arcaica di Selinunte,
figurazioni vascolari, monete), generalmente in lotta con Eracle per la mano di Deianira. La testa di
Acheloo, barbuta e con corna taurine, è uno dei motivi prediletti dell'arte
etrusca (bronzi, oreficerie, ecc.). Gli si attribuiva la paternità delle Sirene e di
numerose ninfe
fluviali.
[121] Acaide: variante di Acaia,
regione della Grecia da cui prendono nome gli Achei; Odisseo intende dire che
non è ancora tornato in patria.
[123] Mirmidoni…
Ftia: i Mirmidoni sono il popolo di Achille, su cui regna Peleo; Ellade non
indica ancora tutta la Grecia, ma una città della Tessaglia, come Ftia, la
patria di Achille.
[124] Lo portai… da
Sciro: dopo la morte di Achille, Odisseo si era recato nell’isola di Sciro per
chiamare Neottolemo, il figlio che Achille aveva generato su quell’isola, prima
di arrivare a Troia.
[126] il
figlio…Cetei: si tratta di avvenimenti precedenti l’arrivo degli Achei a Troia; Achille
aveva ferito Telefo, re di Teutrania in Misia (Asia Minore); poi lo stesso
Achille era stato costretto a guarire la ferita di Telefo, il cui aiuto si era
rivelato essenziale per giungere a Troia; in seguito però il figlio di Telefo,
Euripilo, aveva scelto di parteggiare per i Troiani ed era infine caduto per
mano di Neottolemo; Cetei è il nome di un popolo della Misia, qui indica i
compagni di Euripilo.
[127] Memnone: figlio dell’Aurora
e di Titone, era giunto a Troia dopo la morte di Ettore e caduto per mano di
Achille.
[128] E quando…
chiuderlo: Epeo era il costruttore del cavallo di legno, mentre Odisseo era a capo del
contingente acheo nascosto nel cavallo.
[131] in collera…
Atena: si fa qui riferimento all’episodio del “giudizio delle armi”. Dopo la morte
di Achille, Teti, madre dell’eroe, aveva deciso di assegnare le armi del figlio
al più valoroso dei guerrieri achei; il giudizio era stato affidato ai
prigionieri troiani (Teucri). Questi, forse per l’intervento della dea
Atena, avevano proclamato vincitore Odisseo anziché Aiace, che le meritava
maggiormente; per il dispiacere dovuto all’ingiusto verdetto, Aiace era
impazzito e si era poi ucciso.
Nessun commento:
Posta un commento