VII MODULO
L’età romana (146 – 31) – Il periodo dagli anni delle riforme dei
Gracchi fino ai primi imperi personalistici di Mario e di Silla, arrivando a
toccare l’inizio del consolato di Pompeo, ruota essenzialmente attorno agli
eventi interni, poiché le guerre contro i nemici esterni hanno un’importanza
marginale.
Roma fu impegnata in un
gigantesco sforzo di riassestamento organizzativo, conseguenza dei profondi
mutamenti sociali e strutturali introdotti dall’ampliamento territoriale dei
decenni precedenti.
Nel II secolo Roma da semplice
città-stato si trasforma in Impero a livello territoriale, economico, giuridico
e politico. Furono anni segnati dalla lotta per il potere tra due opposte
fazioni politiche: quella oligarchica senatoria e quella popolare.
In questo periodo, si assiste al
declino dell’oligarchia senatoria e all’affermazione progressiva di poteri
personalistici ad essa antagonistici.
Le trasformazioni interne e
esterne hanno determinato esigenze profondamente nuove nella gestione dello
Stato.
Il Senato tenta in qualche modo
di ‘aggiornarsi’ rispetto alla nuova situazione, per arginare il dilagare delle
forze antagonistiche e rimanere quindi l’istituzione centrale, ma appare
evidente l’impossibilità di tale cambiamento. Esso, infatti, finirebbe per
snaturare la sostanza stessa di un’istituzione che si basa sul principio di
eguaglianza tra pari e sul dominio, esercitato da questi nei confronti della società.
Roma che per sei secoli era stata
governata dal Senato, dal 110 a.C. passa nelle mani di uomini ambiziosi. Inizia
Caio Mario che per quasi dieci anni esercita un potere assoluto.
Dopo di lui è la volta di Silla,
che governa lo Stato fino al 78 a.C. Le sue riforme, miranti a rafforzare il
potere del Senato contro il partito popolare, furono poi annullate nel 70 dai
consoli Pompeo e Crasso. Entrambi avevano interesse a ottenere i voti dei
plebei, perciò ripristinarono molte leggi in loro favore.
Approfittando delle guerre
interne ed esterne di Roma, bande di pirati si erano stabilite sulle coste di
Creta e dell’Asia Minore. Infestavano il Mediterraneo con vere e proprie flotte
da guerra e procuravano danni gravissimi ai commerci di Roma. Nel 67 il Senato
affida a Pompeo il compito di reprimere la pirateria. Dotato di mezzi enormi e
di poteri straordinari, in soli tre mesi il generale romano spazza via i pirati
e distrugge le loro basi. Diventa così l’uomo più potente di Roma.
La crisi della Repubblica - Dopo le guerre puniche e la conquista
della Grecia e dell’Oriente, a Roma avvennero profondi cambiamenti.
La diffusione della cultura
ellenistica (molti artisti greci si stabilirono a Roma, mentre i ricchi romani
trascorrevano sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori
dei princìpi romani.
Dalla crisi economica e sociale alla riforma dei Gracchi - L'incontro con la cultura ellenistica, determinato
dall'estensione dei domini romani sulla Grecia, la Macedonia e parte dell'Asia
Minore, fece sì che in Roma si formassero due correnti: quella conservatrice di Marco Porcio Catone, che predicava
il ritorno agli antichi costumi e valori romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando la tradizione
latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò di adattare il
proprio patrimonio di conoscenze.
La
classe dirigente dei senatori aveva consolidato il suo potere durante le
guerre, mentre le classi medie si erano impoverite. Era poi emersa, in campo
finanziario, la classe dei cavalieri (ordine equestre) che reclamava i propri
diritti di fronte al senato. La grande ricchezza che affluiva dalle regioni
conquistate permise ai ricchi di comprare territori dell'agerpublicus
cioè confiscati ai vinti e appartenenti allo Stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù (anch'essa conseguente alle guerre); molti piccoli
proprietari, impoveriti, si trasferirono a Roma in cerca di miglior fortuna.
Un
primo tentativo di riforma fu attuato da Tiberio
Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133. La sua
proposta di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125
ettari di terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu
avversata dall'aristocrazia senatoria. Tiberio, ripropostosi alla carica di
tribuno, fu ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte. Di ciò
risentirono anche gli Italici, che si vedevano tolti i loro territori e che,
non essendo cittadini romani, non avevano diritto alle nuove distribuzioni.
Molti di loro si ribellarono ma furono puniti duramente.
Nel
123 fu eletto tribuno Caio
Gracco, fratello minore di Tiberio, promotore di riforme ancor più
radicali. Innanzitutto cercò l'appoggio della classe equestre, facendo in modo
che i cavalieri fossero in numero maggiore dei senatori nei tribunali che
giudicavano i reati di concussione. Per ottenere il favore della plebe,
promosse la fondazione di nuove colonie e propose una Lex frumentaria
che dava diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto.
Eletto tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli
Italici. I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
Druso
propose riforme demagogiche (abolizione del canone d'affitto delle terre per i
piccoli proprietari, fondazione di nuove colonie) che offuscarono la popolarità
di Caio. In un clima di tensione e di conflitti interni, nel 121, il senato
approvò il Senatusconsultumultimum,
un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui LucioOpimio avversario di Caio, i pieni poteri
perché provvedessero alla salvezza dello Stato con qualsiasi mezzo. Caio,
sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno schiavo, mentre i suoi
seguaci (circa 3000) furono massacrati.
Dalla Guerra giugurtina all’ascesa di Mario - Sconfitti i Gracchi,
l’oligarchia senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo
attraverso piccole concessioni, guadagnò prestigio.
Fra
il 125 e il 118 Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale. Poco dopo
dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva massacrato Romani e Italici
residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale, il quale aveva chiesto
l'aiuto romano.
Nel
111 iniziò la guerra che si protrasse fino al 107, quando il comando fu
affidato a CaioMario,
affiancato dal questore CornelioSilla.
Quest'ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta, che fu giustiziato. Al termine
del conflitto tutti gli onori furono tributati a Mario che fu rieletto console,
mentre Silla mal tollerò di non essere stato considerato.
Il
potere di Mario fu consolidato in seguito alla riforma dell'esercito in cui
ammise anche volontari nullatenenti ai quali assegnò una paga. Con questo
esercito ben addestrato e con nuove tattiche di guerra, Mario, eletto console
dal 103 al 100, sconfisse i Cimbri e i
Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali.
Nell'anno 100 il tribuno della plebe LucioApuleioSaturnino,
affiancato dal pretore GaioServilioGlaucia,
fece approvare una legge che assegnava ai veterani dell'esercito di Mario
alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni
poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere e ciò
irritò il partito dei popolari.
Mario
lasciò la vita politica e si recò in Asia.
La questione italica e le guerre sociali – Il partito degli ottimati governò da allora incontrastato per una decina
d'anni.
Nel
91 ottenne il tribunato Livio Druso, figlio del precedente. Le sue proposte
(promozione di alcuni cavalieri a senatori e concessione della cittadinanza
agli Italici) provocarono l'ostilità del senato che lo fece uccidere.
Dopo
questo fatto i soci (da cui il nome Guerra sociale) Italici si ribellarono per
ottenere l'indipendenza da Roma. Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai
Sanniti, crearono uno stato federale italico con capitale Corfinio che fu detta Italica. I Romani richiamarono
Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni furono condotte
da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console nell'88 a.C. Quando Roma
decise di concedere la cittadinanza a coloro che non si erano ribellati o
avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l'esercito romano piegò
definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell'80.
Nel
frattempo, il re del Ponto Mitridate si preparava a guidare alla ribellione
tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma. Il senato decise di inviare
in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno SulpicioRufo,
che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già esistenti e non di
crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme a quella di mandare
Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali, non gradendo Silla, le
approvarono entrambe. Silla, contrariato, dopo aver sconfitto i seguaci di
Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
Nell'87
ottenne di nuovo il comando delle truppe dirette in Oriente. In Grecia
saccheggiò ed espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario, aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un
esercito entrò in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo,
nell'86 a.C. morì.
Silla,
in Asia, vinse Mitridate e, nell'83, tornò in Italia. Con l'aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di
Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare dittatore
e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari.
Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei
perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello
dei tribuni e dei cavalieri. Infine, nella sorpresa generale, abdicò alla dittatura
e si ritirò a Pozzuoli dove morì nel 78.
Alla sua morte le forze più
tradizionali ripresero il potere detennero il predominio politico in Roma,
mantenendo intatti i cambiamenti portati da Silla all’assetto istituzionale e
cercando di estirpare i germi rivoluzionari antioligarchici.
Questo Fino al 70, anno del
consolato di Crasso e di Pompeo.
L’ascesa di Pompeo – Il giovane GneoPompeo, già ufficiale di
Silla, si mise in evidenza attraverso tre imprese. Nel 77 ebbe ragione di Marco Emilio Lepido che, nell'Etruria e nella Cisalpina,
aveva tentato di abolire la costituzione sillana. In Spagna, nel 72, domò
l'insurrezione dei Lusitani guidata da Quinto Sertorio. In Italia, pose
fine a una rivolta di schiavi guidata dal trace Spartaco nel 73, e già affrontata dal generale Marco Licinio Crasso. Insieme a
questo fu eletto console nel 70; allo scopo di diminuire l'attività del senato,
i due restituirono l'autorità ai tribuni e il controllo dei processi ai
cavalieri. Un altro uomo stava emergendo, Marco
Tullio Cicerone, l'oratore che era riuscito a far condannare, per le
molte ruberie, Verre, ex governatore della Sicilia. Nel 67 Pompeo, al comando
di una potente flotta, vinse i pirati che spadroneggiavano nel Mediterraneo.
Nel 66 Mitridate, il re del Ponto, tentò una nuova offensiva contro Roma.
Pompeo fu mandato in Oriente e, dopo il suicidio del re, conquistò la regione,
fece della Siria e della Giudea due provincie romane e sottomise l'Armenia e la
Bitinia.
Il primo Triumvirato – Nel frattempo
a Roma il partito dei popolari appoggiava Gaio
Giulio Cesare, un aristocratico simpatizzante di Mario.
Un
altro personaggio raccoglieva seguaci, promettendo l'allargamento della
cittadinanza, la cancellazione dei debiti e la distribuzione di nuove terre, il
sillano Lucio Sergio Catilina.
Sconfitto da Cicerone nell'ascesa al consolato nel 63 a.C., ordì una congiura.
Cicerone lo smascherò in una seduta senatoria (le famose 4 orazioni Catilinarie), costringendolo a
fuggire in Etruria dove poco dopo fu sconfitto e ucciso in battaglia. Rientrato
dall'Oriente, Pompeo sciolse l'esercito e rinunciò a instaurare una dittatura;
contestato dal senato per l'ordinamento dato all'Asia, si alleò con Cesare e
Crasso formando il primo
Triumvirato.
La conquista della Gallia - Il carattere di questo accordo fu
soltanto privato, non istituzionale. Cesare ottenne il consolato nel 59 e fece
approvare la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo.
Nel 58 Cesare ottenne il governo
della Gallia Cisalpina e Narbonese. Arrivato in Gallia, costrinse gli Elvezi
a rinunciare alla Gallia Narbonese e poi affrontò e ricacciò indietro il
principe germanico Ariovisto al protettorato sugli Edui.
Da allora in poi Cesare non
arresta più la sua marcia, dirigendosi dapprima verso il Nord della Gallia, poi
verso la sua parte occidentale.
Nel 57, sconfitti anche Belgi
e Aquitani, riorganizzò l’intera Gallia in una nuova provincia.
Nel giro di appena due anni
riesce a occuparla completamente fino al Reno.
Nel frattempo a Roma la vita
politica si faceva sempre più confusa e violenta: i capi delle fazioni dei
popolari e degli aristocratici organizzano bande armate, e con esse si
scontrano per le strade con gli avversari politici, provocando sanguinosi
disordini.
Nel convegno di Lucca del
56, Cesare, Pompeo e Grasso si incontrarono una seconda volta, per rinnovare i
loro accordi e dividersi le province: Cesare si assicurò il comando in Gallia
per un altro quinquennio, Pompeo si riservò la Spagna e Crasso, anch’egli
desideroso di procurarsi la gloria militare come i suoi colleghi, scelse la
Siria, e diede inizio alla conquista del regno dei Parti, che sbaragliarono
l’esercito romano a Cana, in Siria nel 53 e Crasso fu ucciso.
Rientrato in Gallia, Cesare
ricacciò al di là del Reno alcune tribù germaniche che avevano tentato di
valicarlo, e per due volte sbarcò in Britannia, senza però soffermarsi
sull’isola, costretto a rientrare in Gallia per sedare la rivolta di
Vercingetorige, re degli Arverni. Nel 52 Vercingetorige si era messo a capo
di una grande rivolta contro Roma. In breve tempo molte tribù celtiche si
unirono a lui. Cesare deve ricorrere a tutta la sua abilità per domare
l’insurrezione. Vercingetorige fu infine sconfitto nel 51 ad Alesia, e Cesare riuscì a pacificare
l’intera Gallia nel 50, trasformandola in provincia, che assorbì rapidamente la
civiltà romana. Cesare potette così celebrare un grandioso trionfo.
La guerra civile e la morte di Cesare – Cesare rimase in Gallia fino al 49, quando il senato inviò un ultimatum
con l'imposizione di abbandonare la provincia. Varcato il Rubicone (il fiume
che divideva la Cisalpina dall'Italia), Cesare marciò verso Roma.
Era
l'inizio della guerra civile. Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando
di organizzare l'esercito. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo, in Tessaglia nel 48. Cesare ebbe la meglio: Pompeo si
rifugiò in Egitto presso Tolomeo XIV, il quale, per ottenere il favore di
Cesare, lo fece uccidere a tradimento.
Giunto
in Egitto, Cesare affidò il trono a Cleopatra,
sorella di Tolomeo, della quale era divenuto l'amante. Nel 47 sconfisse Farnace, figlio di Mitridate; in Africa
e in Spagna vinse definitivamente la resistenza dei pompeiani fra il 46 e il
45.
Tornato
a Roma, ormai senza rivali, si dedicò a una serie di riforme economiche e
sociali. Console dal 48 in poi, nel 46 fu nominato dittatore per dieci anni e,
all'inizio del 44, dittatore a vita. Tale somma di poteri provocò il
risentimento di uomini del suo partito.
Alle Idi di marzo del 44, durante una riunione del
senato, fu ucciso in una congiura dai repubblicani Bruto e Cassio.
Esordio e ascesa di Ottaviano – La successione a Cesare fu contesa
da Antonio, generale di Cesare, e Ottaviano, un giovane adottato da Cesare col
nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Dapprima Ottaviano cercò di
affrontare il rivale ma, accortosi dell’opposizione del senato, fattosi
nominare console, si alleò con lui.
Per liberarsi del controllo del
Senato, Marco Antonio, capo dei sostenitori di Cesare, propose un’alleanza a
Lepido, comandante delle legioni della Gallia, e ad Ottaviano, pronipote di
Cesare che, nel suo testamento, Cesare aveva nominato erede.
Nel 43 nacque così il secondo
Triumvirato, composto da Ottaviano, Antonio e Lepido, che ebbe il compito di
elaborare una nuova costituzione.
Tutti i rivali di Cesare
entrarono nelle liste di proscrizione. Nel 42 le truppe dei tre sconfissero a
Filippi, in Macedonia, l’esercito di Bruto e degli altri uccisori di Cesare.
I tre triumviri si spartirono
l’Impero: Antonio ebbe la Gallia e l’Oriente, Lepido l’Africa Ottaviano, pur
restando in Italia, la Spagna.
In seguito allo scontro tra
Ottaviano e i seguaci di Antonio rimasti in Italia, fu stretto un nuovo accordo
a Brindisi nel 40 a.C., secondo il quale Antonio rinunciava alla Gallia.
Lepido, che aveva aiutato Ottaviano a togliere a Sesto Pompeo (figlio di Gneo)
la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, pretese per sé la Sicilia.
Ottaviano, contrariato, gli tolse
l’Africa e lo espulse dal Triumvirato lasciandogli soltanto la carica di Pontefice
Massimo.
Ottaviano e Antonio - Ottaviano diventò il padrone dell’Occidente
ed Antonio dell’Oriente. Antonio, si stabilì nelle province orientali, dove si
innamorò della regina Cleopatra, che gli mise a disposizione le immense
ricchezze del suo regno, dividendo con lui il potere. Nel 37 Antonio la sposò,
dimenticando il legame con Ottavia, sorella di Ottaviano, e cominciò a farsi
adorare come un dio, secondo il modello orientale.
Ciò indignò Ottaviano, difensore
degli austeri valori romani, e, rinfacciando al rivale gli insuccessi contro i
Parti, indusse il senato a privare Antonio della sua carica e a dichiarare
guerra all’Egitto.
Ottaviano approfittò astutamente
dei sospetti che i Romani nutrivano contro Cleopatra, regina straniera, e riuscì a far credere che Antonio fosse
diventato un nemico di Roma.
Si giunse così allo scontro
decisivo avvenuto ad Azio, davanti alle coste dell’Epiro, nel 31: la
flotta egiziana fu sconfitta dal generale Agrippa, al comando della flotta di
Roma, e ciò costrinse Antonio e Cleopatra alla fuga ad Alessandria. I due, per
non cadere nelle mani del nemico, preferirono uccidersi alcuni mesi dopo,
quando seppero dell’arrivo delle truppe di Ottaviano.
Con il suicidio di Cleopatra,
l’unica dei Tolomei che parlasse la lingua egiziana, si concluse la monarchia
dei Tolomei e l’ultima fase storica di un Egitto indipendente. Le legioni di
Ottaviano invasero l’Egitto così l’ultimo regno ellenistico rimasto
indipendente divenne una provincia romana, posta direttamente sotto l’autorità
dell’imperatore rappresentato da un prefetto.
Scomparsi gli ultimi avversari in
grado di contrastarlo, Ottaviano rimase l’unico padrone di Roma, e si preparò a
trasformare la repubblica in un suo dominio personale, in un impero.
Ottaviano, rientrato a Roma nel
29, fu accolto da trionfatore.
Con la vittoria di Ottaviano su
Antonio ad Azio, si tirarono le fila della confusa storia tardorepubblicana.
All’inevitabile sbocco autoritario sul piano del governo corrispose un
tentativo di restaurazione morale e religiosa che mirava a presentare
all’opinione pubblica più conservatrice il nuovo ordine in termini di
continuità con il vecchio.
Tra Repubblica e Impero: il Principato di Augusto - L’ultimo secolo
della Repubblica, percorso da conflitti civili e instabilità politica,
aveva messo in evidenza l’inadeguatezza del sistema di governo romano.
Tutti sentivano il bisogno di una
pacificazione. La classe dirigente non ammetteva la cancellazione delle
istituzioni e considerava la monarchia assoluta come una negazione della
libertà.
Ottaviano comprese questa
situazione: la solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu
determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso
di riconoscenza per l’instaurazione della pace.
Augusto princeps- Dopo la vittoria di Azio contro Antonio,
Ottaviano cercò di consolidare il suo potere, evitando atti che potessero farlo
sospettare di aspirare al dominio assoluto. Nel gennaio del 27 a.C. il senato
gli confermò le funzioni precedenti e gli conferì un potere militare, l’imperium
decennale e il governo di un certo numero di province; ricevette inoltre il
titolo di Augusto,
termine che indicava l’autorità quasi sacra, sottolineandone la dignità) e
onorificenze simboliche.
Dal 31 al 23 a.C. fu
ininterrottamente console, non potendo avere il consolato a vita, si fece
assegnare, nel 23 a.C., un nuovo tipo di imperium, detto imperiumproconsularemaius
et infinitum. In particolare questo potere fu conferito dal Senato ad
Augusto insieme alla tribuniciapotestas a vita.
Si trattava di un imperiummaius
perché era superiore a quello di tutti gli altri proconsoli, e infinitum
in senso spaziale e temporale, perché non limitato a una sola provincia e non
predeterminato nel tempo e sull’esercito, superiore a quello dei proconsoli; la
tribuniciapotestas, cioè la totalità dei poteri dei tribuni, con diritto
di veto e facoltà di proporre e far approvare le leggi che egli stesso, come princepssenatus,
capo del senato, aveva il diritto di votare per primo.
Nel 23 a.C. erano dunque poste le
basi costituzionali del Principato; altre connotazioni essenziali del nuovo
regime prenderanno corpo in seguito, per esempio il pontificato massimo
nel 12 a.C. alla morte di Lepido e il titolo di padre della patria, nel
2 a.C.
In campo militare
Ottaviano ridusse il numero delle legioni a 28, dalle 60 delle guerre civili, e
costituì una guardia personale del principe, la guardia pretoriana,
comandata da due prefetti equestri. Il collocamento in congedo dei veterani
richiese la fondazione di colonie e l’istituzione di una cassa apposita,
l’erario militare (6 d.C.).
In politica estera il
principato di Augusto fu il più travagliato da guerre di quanto non lo siano
stati quelli della maggior parte dei suoi successori: furono, infatti,
coinvolte quasi tutte le frontiere, dall’oceano settentrionale fino alle rive
del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell’Etiopia, in un
piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo
l’intero bacino del Mediterraneo ed in Europa, con lo spostamento dei confini
più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l’Elba. Le campagne di Augusto
furono effettuate per consolidare le conquiste disorganiche dell’età
repubblicana, che rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi
territori. Mentre l’Oriente poteva restare più o meno come Antonio e Pompeo lo
avevano lasciato, Augusto rafforzò i confini settentrionali dell’Impero con una
serie di campagne militari e con l’istituzione di nuove province l’Europa fra
il Reno ed il Mar Nero necessitava una nuova riorganizzazione territoriale in
modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più
difendibili: il Norico, parte dell’Austria, la Pannonia, attuale
Ungheria, la Mesia, (tra il Mar Nero e i Balcani, e la Rezia,
Trentino Alto Adige e parte della Svizzera.
Il tentativo di
penetrazione della Germania, fino all’Elba, fu interrotto dall’insurrezione di
tribù germaniche (9 d.C.) guidate da Arminio. Il confine fu così stabilito al
fiume Reno.
In campo amministrativo Augusto
riformò
·
il sistema dei servizi (corpi di polizia,
riscossione delle imposte, censimenti periodici di tutta la popolazione),
·
l’amministrazione della città di Roma con a capo
il prefetto urbano, dell’Italia (ripartita in undici regioni) e delle
province (divise in imperiali, ovvero quelle non pacificate e
direttamente dipendenti dal principe, e senatorie, sottoposte al governo
del senato).
Il senato, pur avendo
perso importanza dal punto di vista politico, fu coinvolto nell’amministrazione
dell’Impero. Dal senato provenivano
·
i proconsoli, amministratori delle province
pubbliche,
·
i comandanti degli eserciti,
·
i curatoresaddetti alle opere pubbliche
·
il praefectus urbi, il prefetto urbano,
che esercitava poteri di polizia.
Solo i senatori più ricchi o i
loro figli potevano percorrere la carriera politica, il cursus honorum
fino alle cariche più alte, dalla questura al consolato.
Generalmente i consoli, dopo sei
mesi o meno, abbandonavano la carica, cedendo il posto a sostituti, i suffecti,
garantendo un ricambio che accontentava un gran numero di aspiranti.
Coloro che possedevano almeno
400.000 sesterzi, per diritto di famiglia o per concessione dell’imperatore,
potevano aspirare alla carriera equestre. I cavalieri potevano diventare praefecti
governatori e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano
inoltre aspirare alla carica di prefetto del pretorio, capo della
guardia personale del princeps, o alla prefettura in Egitto, provincia
considerata dominio personale di Augusto.
I comizi persero tutto il
loro potere, limitandosi ad acclamare i candidati scelti dal senato a sua volta
influenzato dalle decisioni del princeps.
Augusto creò anche una fitta
rete di funzionari con i quali controllava l’attività degli organi
repubblicani e governava le province imperiali. Essi erano nominati e
dipendevano direttamente da Augusto che dava loro anche una retribuzione, a
differenza di quanto avveniva per i magistrati della Repubblica che svolgevano
i loro compiti gratuitamente. La carriera dei funzionari prevedeva promozioni
per i più meritevoli che potevano anche aspirare a diventare membri del senato.
L’organizzazione del consenso - Ottaviano riuscì a creare attorno a
sé un clima di consenso e di riconoscenza per la pace che era finalmente
tornata dopo anni di lotte intestine, di persecuzioni tra avversari politici e
di instabilità amministrativa.
Tale consenso fu anche frutto di
una incisiva attività propagandistica. Augusto si presentò come il restauratore
del vecchio ordine, degli antichi valori morali e religiosi.
Tali messaggi furono ampiamente
diffusi attraverso tutti i canali della comunicazione allora disponibili
(epigrafi, monete, oggetti d’arte e monumenti), oltre che dall’attività del circolo
di Mecenate.
Mecenate svolse un ruolo molto
importante nell’organizzazione della propaganda politica di Augusto. Egli aveva
compreso l’importanza dell’arte e della poesia presso l’opinione pubblica:
intorno a lui si raccolsero i principali intellettuali del tempo come Livio,
Virgilio, Properzio e Orazio. Mecenate li sosteneva con doni e aiuti finanziari
tratti dal suo ingente patrimonio, affinché potessero dedicarsi unicamente alla
loro arte. I poeti contraccambiavano celebrando nei loro versi lo stesso
Mecenate, Augusto e il suo programma politico. Eppure, il tratto più notevole
dei letterati riuniti attorno a Mecenate è che essi mantennero gran parte della
loro indipendenza e che nessuno di loro mise direttamente in versi l’epopea di
Augusto.
Grazie alla personalità di
Mecenate, i suoi amici poeti subirono la sua influenza a loro insaputa: a
Mecenate non interessava se essi si rifiutavano di cantare Augusto nei loro
versi o se qualche altro grande poeta non faceva parte del suo circolo.
L’importante era che in quei versi aleggiasse la restaurazione augustea nella
serenità e nell’equilibrio delle passioni con cui i poeti cantavano l’amore, la
vita semplice della campagna, l’odio per la guerra, le antiche favole del mito.
Inoltre, Augusto persegue
un’azione religiosa che si ispirava agli imperativi nazionali. Ossessionato
dall’angoscia della decadenza religiosa dei suoi concittadini e dall’urgenza di
rimediarvi, egli dà vita ad una rigida restaurazione religiosa,
recuperando le forme più tradizionali del passato, riproponendo il mos maiorum, cioè gli esempi tramandati
dagli avi, le virtù di semplicità, di purezza familiare, di incrollabile
fermezza, di coraggio, su cui era fondata la grandezza di Roma. Oltre che dal ritorno ai culti arcaici, Augusto
fece restaurare vecchi templi in rovina e riorganizzò i collegi sacerdotali di
cui egli stesso fece parte, fu caratterizzata dalla nascita di forme di culto
alla persona del principe che, spontanee in Oriente, furono associate in Occidente
e in Italia alla dea Roma. Con questo proclamato nazionalismo, la restaurazione
religiosa di Augusto combatteva i culti orientali e i loro misteri
Il nuovo equilibrio garantì una
ripresa generale della vita civile e dell’economia; furono restaurati vecchi
edifici e ne furono costruiti di nuovi per abbellire la città di Roma. Sorsero
numerosi templi, basiliche, piazze e portici (il Pantheon, il teatro
di Marcello, l’Ara pacis[1]).
La questione della successione - Augusto si preoccupò di assicurare
una trasmissione pacifica del suo potere. Egli non avrebbe nemmeno
diritto legalmente a designare un successore: sarebbe spettato al senato
designare il successore, ma grande importanza avevano ormai acquisito anche i cavalieri
e i funzionari imperiali.
A Roma, la soluzione imperiale
era quella prevalente perciò non sarebbe dovuto essere difficile per
l’Imperatore predisporre la propria successione. Il vero ostacolo a tale
impresa fu costituito tuttavia dalle molte guerre, che causeranno la morte di
tutti gli eredi putativi di Ottaviano, in particolare i nipoti Marcello, Gaio e
Lucio. La loro morte e gli scandali che coinvolsero la figlia Giulia
allontanarono e resero sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica,
che egli aveva progettato.
Augusto pensò a una successione
ereditaria e, non avendo figli maschi, individuò possibili successori che
progressivamente adottò, ma ai quali egli sopravvisse. Fu pertanto indotto ad
adottare, nel 5 d.C. Tiberio appartenente alla potente famiglia dei
Claudii e figlio di primo letto della seconda moglie Livia e a conferirgli
riconoscimenti istituzionali quali la potestà tribunizia e l’imperium
proconsolare maius associandolo al governo imperiale e preparandolo
ad accogliere la sua eredità.
L’instaurazione nel 14 di un
nuovo sovrano, fu segnata subito dall’eliminazione dei molti rivali nella
successione al trono. L’Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite
perché vi si rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la
conquista delle cariche più prestigiose dell’Impero, lotta che è segno della
nuova temperie assolutistica, che cova sotto l’immagine illusoria dell’antica
Repubblica.
[1]L'Ara Pacis – È una delle più alte espressioni dell'arte augustea
e un'opera di profondo simbolismo, che acquista significato nel quadro del
passaggio storico dalla Repubblica all’Impero.
La
sua costruzione fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. per celebrare il
vittorioso ritorno di Augusto dalle province occidentali. Poiché la dedicatio del monumento fu celebrata il
30 gennaio del 9 a.C., il completamento dell'opera richiese tre anni e mezzo,
per realizzare la ricca e complessa decorazione, affidata a scultori attici
attivi a Roma nel I sec. a.C.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto con
due fronti e due lati. Al centro dei lati più corti due aperture danno accesso
all'altare, sul quale venivano compiuti i sacrifici.
La
decorazione scultorea corre sui lati esterni e su quelli interni del recinto.
Quella
esterna si svolge su due fasce: la superiore reca un fregio figurato,
l'inferiore una decorazione vegetale a girali d'acanto. I girali si sviluppano
con simmetria rigorosa intorno all'asse disegnato dallo stelo verticale
dell'acanto e celano nel fogliame piccoli animali o si intrecciano con rami di
altre piante. L'intera composizione è sormontata dalla presenza di cigni ad ali
spiegate. La valenza simbolica dell'intero disegno e dei singoli elementi
allude allo stato aureo di natura e al ritorno di un'età di rinascita e
prosperità sotto la guida del princeps.
La
fascia superiore esterna del recinto rappresenta, sui lati nord e sud, una processione.
Sul fronte meridionale, compare Augusto a capo velato e coronato di alloro,
preceduto e seguito dai membri delle principali cariche sacerdotali dello
Stato: lo precedono i Pontifices e lo
circondano gli Augures mentre al suo
seguito si riconoscono i tre Flaminesmaiores.
Il
significato della processione è oggetto di diverse interpretazioni: è possibile
che sia rappresentato il reditus di
Augusto, il suo ritorno a Roma dalle vittoriose campagne in Gallia e Spagna ed
i consoli e i massimi sacerdoti romani sarebbero rappresentati nell'atto di
accogliere il principe vittorioso, portatore di pace, prosperità e abbondanza.
Sullo
stesso fronte meridionale è ritratto Agrippa, amico, principale collaboratore e
genero di Augusto, morto durante la realizzazione dell’Ara Pacis. Agrippa apre
la sequenza dei familiari, concepita come un vero e proprio programma
dinastico. La successione dei congiunti è così sapientemente calcolata che
tutti gli imperatori romani, fino a Nerone, discendono dai membri della famiglia
Giulia qui raffigurati.
Altri
membri della famiglia imperiale, di minore spicco, compaiono sul lato
settentrionale del recinto. Qui la processione ritrae gli ordines sacerdotali dei Septemviriepulones,
addetti ai sacrifici cruenti, degli Augures
e dei Quindecemvirisacrisfaciundis,
custodi dei libri sibillini, esaurendo in questo modo la rappresentazione delle
cariche religiose più importanti dell’ordinamento romano.
Le
due fronti dall'edificio, ai lati delle porte, sono decorate nella fascia
superiore da quattro pannelli, due per ciascun lato.
Sui
pannelli del fronte occidentale sono rappresentati Enea che sacrifica una
scrofa ai penati, e Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il primo motivo celebra
la discendenza della gens Julia, da
Enea e da suo figlio Julo, da cui prende il nome la famiglia di Augusto.
Il
pannello di sinistra è molto frammentario. In esso era rappresentata la lupa
che allatta Romolo e Remo alla presenza del dio Marte, padre dei gemelli, e del
pastore Faustolo. In questo modo l’Ara Pacis significava la doppia origine
divina dei romani e del principe: dal dio guerriero i primi, tramite i gemelli,
da Venere il secondo, tramite il pius
Enea.
Sul
fronte orientale il pannello di sinistra rappresenta la cosiddetta Tellus, secondo il motivo ellenistico
della terra fertile e dei suoi frutti, rappresentati dai due putti che le
siedono in grembo. La Tellus è
interpretabile come divinità polisemica, dalle molte valenze simboliche,
riassuntiva dei significati di pace e prosperità e assimilabile alle figure di
Gea, Venere e Rea Silvia. Ai lati due ninfe, una su un cigno, la seconda su un
drago marino. Del pannello di destra resta solo il frammento di una figura
femminile seduta sopra un trofeo d’armi: la dea Roma vincitrice, forse
affiancata dalle figurazioni di Honos
e Virtus.
l’Ara
Pacis accoglieva chi entrasse dalla via Flaminia con la rappresentazione della pax romana stabilita tramite l’imperio terra marique.
Anche
lungo le pareti interne del recinto si svolgono due fregi sovrapposti,
rappresentanti l'inferiore una palizzata in legno e il superiore una serie di
ghirlande di frutta e foglie.
L'altare
interno è la parte meno conservata dell'Ara.
ll'altezza della mensa rimane invece una figurazione di dimensioni ridotte,
dove si distinguono le vestali.
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