1)
Principali
discipline filosofiche
Sempre
rinnovata,[28] oggi
la filosofia si è specializzata in numerose discipline, che si occupano di
determinati settori della riflessione filosofica, in alcuni casi confinanti con
altre scienze umane.
(tratto
da wikipedia)
2)
Filosofia
teoretica[modifica | modifica wikitesto]
Oggetto
della filosofia teoretica è la conoscenza nel senso più astratto e generale; la
possibilità e il fondamento del conoscere umano, e i suoi oggetti più
universali e astratti, quali l'essere, il mondo, ecc.
·
Logica: la logica,
originariamente, costituisce lo studio delle corrette modalità di funzionamento
ed espressione della ragione umana (logos). Essa ha poi
assunto il carattere particolare di disciplina che si occupa del corretto
argomentare, da un punto di vista meramente formale e simbolico; in questo
senso è una disciplina affine alla matematica.
·
Metafisica:
la filosofia teoretica ha assunto per un lungo periodo storico il carattere di
filosofia prima ovvero metafisica. Essa, letteralmente, è la conoscenza che si
rivolge a quegli enti generalissimi che stanno "al di là" degli enti
sensibili.
·
Ontologia:
l'ontologia si occupa dello studio dell'essere in quanto essere, della sua differenza
con l'ente (differenza ontologica), del suo rapporto col
nulla, ovvero ciò che non è essere.
·
Epistemologia e gnoseologia:
con differenti sfumature, entrambe si occupano dell'analisi dei limiti e delle
modalità della conoscenza umana. Soprattutto nella filosofia contemporanea, il
concetto di epistemologia riguarda più specificamente la conoscenza
scientifica: in questo senso l'epistemologia ha ampie sovrapposizioni con la filosofia della scienza.
·
Filosofia della scienza: specificamente è
la riflessione interna alla scienza sul metodo e sulla conoscenza scientifica.
·
Filosofia del linguaggio: è quell'aspetto
della filosofia che si occupa di studiare il linguaggio nella sua relazione con
la realtà. Correlandosi strettamente alla linguistica e
alla logica,
essa si occupa della genesi del linguaggio, del rapporto fra senso e significato
e della modalità attraverso cui, in generale, il pensiero si esprime.
·
Teologia: è
quella specifica disciplina che indaga sull'esistenza di entità superiori
(Dio), cercando di stabilire il rapporto di conoscenza che si può avere tra
l'ente supremo e l'essere umano.
·
Fisica: diversa
dalla fisica scientifica, da cui è stata ormai soppiantata da almeno 4 secoli,
in antichità studiava i fenomeni naturali senza servirsi del metodo scientifico.
(tratto
da wikipedia)
3)
Filosofia
pratica
·
Etica o morale: è il campo
d'applicazione pratico della filosofia per eccellenza. Il suo oggetto è l'uomo
in quanto essere sociale: essa in particolare si occupa di determinare ciò che
è giusto o sbagliato, distinguendo il bene dal male in base a una determinata teoria
dei valori o assiologia. L'etica è intesa anche come la ricerca di uno
o più criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà e
di determinarne i limiti opportuni.
·
Estetica: è un
settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale o di
quello artistico, ovvero del giudizio di gusto. In origine, tuttavia, il
termine estetica indicava l'analisi dei contenuti e delle modalità della
conoscenza sensibile.
·
Filosofia del diritto: si tratta di una
disciplina intermedia fra filosofia e diritto, che si occupa di definire i
criteri attraverso cui si forma il sistema delle norme che regolano la
convivenza umana, e i principi in base ai quali un sistema giuridico può essere
riconosciuto come valido e vigente.
·
Filosofia della politica: oggetto di
questa disciplina sono le istituzioni nella loro formazione, soprattutto per
ciò che riguarda i fattori che regolano l'instaurazione e il mantenimento del
potere nei confronti di coloro che vi sono sottoposti.
·
Filosofia della religione: è la
disciplina che si occupa di studiare le caratteristiche delle principali
religioni da un punto di vista filosofico, individuandone le caratteristiche
costanti e universali e studiando il rapporto dell'uomo con la religione come
formazione culturale e storica.
·
Filosofia della storia: la filosofia della
storia si occupa della problematica classica del significato della storia e di
un suo possibile fine teleologico. Essa si chiede se esista un disegno, uno
scopo, un obiettivo o un principio guida nel processo della storia umana. Altre
questioni su cui si interroga questa disciplina sono se l'oggetto della storia
è la verità o il dover essere, se la storia è ciclica o lineare, o se esiste in
essa il concetto di progresso.
(tratto
da wikipedia)
4)
Nuove
discipline
·
Bioetica:
incrociando conoscenze filosofiche con analisi di tipo scientifico,
antropologico e medico, si occupa in particolare degli aspetti etici connessi
alla vita, umana e non. Problematiche bioetiche essenziali concernono dunque la
riproduzione, la nascita, la morte, l'identità genetica, l'ingegneria genetica
ecc.
·
Filosofia della mente: sulla scorta delle
moderne scoperte scientifiche riguardanti il funzionamento del sistema nervoso
umano, si è sviluppata questa disciplina filosofica, che si occupa di indagare
il rapporto fra la mente, come forma organizzativa della coscienza, e il
cervello come struttura meramente fisica; nonché il rapporto della mente con il
corpo e con il mondo.
·
Consulenza filosofica: nasce in Germania, con
il nome di Philosophische Praxis, ad opera di Gerd
Achenbach eBergisch Gladbach nel maggio del 1981[30] diventando
oggetto anche di polemiche da parte sia del mondo della filosofia accademica
sia da quello delle pratiche psicoterapeutiche.
I sostenitori della consulenza filosofica dichiarano che essa costituisce una
peculiare applicazione della filosofia, assimilabile ma non coincidente, con le
terapie psicologiche.[31][32]. Michael
Zdrenka già nel 1998[33] censiva
circa 130 praticanti di questa disciplina, ma da allora il loro numero è
probabilmente cresciuto, per lo sviluppo di tale attività in alcuni paesi. Gerd
Achenbach, intervistato al riguardo, afferma di conoscerne parecchi soprattutto
in Olanda, Israele e America[34]
·
Neurofilosofia:
una disciplina che tenta di stabilire un rapporto tra le neuroscienze e
la filosofia al duplice scopo di render più chiare le risposte alle domande
fondamentali della speculazione filosofica avvalendosi delle scoperte
neuroscientifiche e nello stesso tempo fornire alle indagini scientifiche sulla
mente strumenti speculativi più precisi che evitino confusioni linguistiche o concettuali.[35][36]
(tratto
da wikipedia)
5)
Che
cos’è la filosofia
La
filosofia è una particolare forma di conoscenza, una particolare espressione
della cultura, cioè della coscienza che l’uomo ha di se stesso e della realtà
che lo circonda. Gli storici della filosofia ritengono (per le ragioni che
vedremo oltre) che essa sia stata creata nell’antica Grecia, a partire dal VI
secolo a.C. Quindi per definire la filosofia dobbiamo far riferimento anzi
tutto a ciò che i Greci stessi intendevano con questo termine, al significato e
alle caratteristiche che essi attribuivano a questa particolare attività del
pensiero umano. Successivamente, nel corso della storia, la filosofia ha
assunto anche altri significati e altre funzioni, ma la definizione data dagli
antichi Greci conserva la sua validità perché identifica i tratti essenziali
della filosofia. Quindi, per comprendere che cos’è la filosofia, partiamo dalla
definizione fornita dai primi filosofi antichi.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
6) I caratteri essenziali
della filosofia antica
La tradizione vuole che il creatore del
termine "filo-sofia" sia stato Pitagora: cosa, questa, che, se non è
storicamente sicura, è tuttavia verosimile. Il termine è stato certamente coniato
da uno spirito religioso, che presupponeva come possibile solo agli dèi una
sophia (σοϕία = sapienza), ossia un possesso certo e totale del vero, mentre
riservava all’uomo solamente una tendenza alla sophia, un continuo avvicinarsi
al vero, un amore di sapere mai appagato del tutto, da cui, appunto, il nome
"filo-sofia", ossia "amore di sapienza". Che cosa intesero
i Greci con questa amata e ricercata "sapienza"? Fin dal suo primo
nascere, la filosofia presentò i seguenti tre connotati, riguardanti:
a)
il suo contenuto;
b)
il suo metodo;
c)
il suo scopo.
Per
quanto concerne il contenuto, la filosofia vuole spiegare la totalità delle
cose, ossia tutta quanta la realtà, senza esclusione di parti o di momenti. La
filosofia si distingue pertanto dalle scienze particolari, che si chiamano così
appunto perché si limitano a spiegare parti o settori della realtà, gruppi di
cose o di fenomeni” (p.e. la matematica studia soltanto i numeri; la fisica
studia i corpi materiali, la biologia studia gli organismi viventi, la zoologia
studia gli animali, la botanica i vegetali, l’astronomia le stelle e i pianeti
ecc.). Tuttavia la realtà totale non può essere conosciuta e spiegata
semplicemente elencando tutti gli elementi che sono contenuti in essa, infatti
sarebbe impossibile redigere un elenco completo, ed inoltre un elenco di tal
genere, anche se potesse essere realizzato, non spiegherebbe la struttura della
realtà, l’organizzazione della realtà totale. Quindi la filosofia, per conoscere
e spiegare l’intera realtà, ne cerca le cause prime, o il primo principio, o
gli aspetti universali. Infatti già i primi filosofi ricercavano «il principio
(arché - ἀρχή ) di tutte le cose», e anche Aristotele, concepisce la filosofia
come la scienza dei primi principi e delle prime cause, ossia delle cause di
tutto l’essere, come la scienza più universale. “Si trova però nella storia
della filosofia un altro concetto della filosofia stessa: è quello della
filosofia come impostazione e soluzione del problema della vita: che
significato, che valore ha la vita umana? e in che modo l’uomo può condurre una
vita buona e può realizzarsi, raggiungendo la felicità? Ma i due problemi -
quello dell’essere nella sua totalità, e quello della vita umana – sono strettamente
connessi, perché l’uomo fa parte del tutto, e risolvere il problema del tutto
significa anche risolvere il problema dell’uomo, del valore della vita umana;
infatti, per sapere quale significato ha la vita umana bisogna vedere da dove
essa proviene e dove termina (sono io il prodotto di forze cieche o di una
provvidenza ordinatrice? Il termine della mia vita è il nulla o è il
conseguimento di un’altra vita, più intensa e più alta?) Per rispondere a
questa domanda dobbiamo svolgere tutta la filosofia, dobbiamo studiare tutta la
realtà. Per questo la filosofia, pur nella sua apparente astrazione, incide
così profondamente sulla vita. Non è indifferente per la vita morale di un uomo
la filosofia che egli professa, mentre è indifferente il suo grado di conoscenza
in fatto di matematica o di chimica.”
Per
quanto concerne il metodo, la filosofia mira ad essere spiegazione puramente
razionale di quella totalità che ha come oggetto. Ciò che vale in filosofia è
l’argomento di ragione, la motivazione logica, il logos (λόγος). Non basta alla
filosofia constatare, accertare dati di fatto, adunare esperienze: la filosofia
deve andare oltre il fatto, oltre le esperienze, per trovare la causa o le
cause solo con la ragione. È proprio questo il carattere che conferisce
"scientificità" alla filosofia. Si dirà che tale carattere è comune
anche alle altre scienze, le quali non sono mai mero accertamento empirico, ma
sono sempre ricerca di cause e di ragioni; ma la differenza sta nel fatto che
le scienze particolari, come abbiamo già detto, sono ricerche razionali di
realtà particolari e di settori particolari, la filosofia, invece, è ricerca
razionale di tutta la realtà (del principio o dei princìpi di tutta quanta la
realtà). E, con questo, viene chiarita anche la differenza fra filosofia, arte
e religione. Anche la grande arte e le grandi religioni mirano a cogliere il
senso della totalità del reale, ma lo fanno, l’una, con il mito e la fantasia,
l’altra, invece, con la credenza e con la fede, mentre la filosofia cerca la
spiegazione della totalità del reale appunto a livello di logos.” Riguardo a
questo va notato che, prima della nascita della filosofia, la sapienza degli
antichi Greci, (e anche la sapienza degli altri popoli antichi), era espressa e
tramandata soprattutto attraverso i miti narrati nelle opere letterarie: i miti
erano racconti (e non argomentazioni) nei quali i popoli trovavano risposta ai
grandi interrogativi sull’origine dell’universo, dell’uomo, della società e
delle leggi, sulla divinità e sui rapporti tra gli uomini e gli dei, sul
destino dell’uomo, sul bene e sul male. Tutte le credenze religiose erano
fondate sui miti. L’origine dei miti era remota e avvolta dal mistero, e si
tendeva ad attribuire ai miti un’origine divina e a credere nei miti. Il mito
non era un discorso argomentativo che poteva essere compreso razionalmente ed
eventualmente discusso e criticato, era invece un racconto che doveva essere
accettato e creduto. La filosofia greca nasce proprio differenziandosi dalla
mitologia, criticandola, respingendo il credere senza ragioni, e propone invece
spiegazioni che si reggono su argomentazioni razionali, e che pertanto possono
essere valutate, discusse e criticate da tutti gli esseri umani.
Lo
scopo o il fine della filosofia sta nel puro desiderio di conoscere e di
contemplare la verità. La filosofia greca è, insomma, disinteressato amore di
verità. Gli uomini - scrive Aristotele - nel filosofare «ricercarono il
conoscere al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica». E
infatti la filosofia nasce solo dopo che gli uomini hanno risolto i problemi
fondamentali della sussistenza e si sono liberati delle più urgenti necessità
materiali. «È evidente dunque - conclude Aristotele - che noi non ricerchiamo la
filosofia per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa, e, anzi, è evidente
che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non asservito ad
altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, diciamo libera: essa sola
è fine a se stessa». È fine a se stessa perché ha di mira la verità, la quale è
cercata, contemplata e fruita come tale.” L’aggettivo Teoretica con cui si
qualifica la filosofia designa esattamente la sua finalità puramente
conoscitiva e il suo carattere disinteressato. Tuttavia il fatto che la
filosofia sia “teoretica”, cioè disinteressata e priva di utilità pratica, non
comporta che essa sia del tutto inutile e superflua. Essa non è asservita a
scopi utilitaristici, ma possiede una grande rilevanza morale e politica. Infatti
la concezione della realtà intera e dell’esistenza umana incide profondamente
sulla vita morale degli uomini, sui loro comportamenti individuali e
collettivi. Inoltre occorre precisare che nell’antichità molti filosofi hanno attribuito
alla filosofia lo scopo di guidare gli uomini alla “vita buona” e alla
felicità, le hanno quindi assegnato una funzione etica: la filosofia dunque non
cerca solo la sapienza (la conoscenza della verità), ma cerca anche la
saggezza, cioè l’arte di vivere bene. Soprattutto nella tarda antichità (nel
periodo ellenistico e nel periodo dell’impero romano) il filosofo è stato
identificato con il saggio, colui che sa fronteggiare i mali della vita e sa
conservarsi libero e sereno anche nelle circostanze più ostili ; in tal senso
la filosofia è stata anche considerata una via di “salvezza” ed è stata
avvicinata alla religione. “Questi tre connotati della filosofia (contenuto,
metodo e scopo) rendono evidente l’assoluta originalità di questa creazione greca.
Anche i popoli orientali ebbero una "sapienza" che tentava di
interpretare il senso di tutte le cose (il senso dell'intero), e che non era
asservita a scopi pratici. Ma tale sapienza era intrisa di rappresentazioni
fantastiche e mitiche e questo la riportava nella sfera dell’arte, della poesia
o della religione. Nell'aver tentato questo approccio con il tutto facendo uso
della sola ragione (del logos) e del metodo razionale, sta, in conclusione, la
grande scoperta della greca "filo-sofia". Una scoperta che ha
condizionato strutturalmente e in maniera irreversibile tutto l’Occidente.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
7) La filosofia come
bisogno primario dello spirito umano
Ma
perché l’uomo ha sentito il bisogno di filosofare? Gli antichi rispondevano che
tale bisogno si radica in maniera strutturale nella stessa natura dell’uomo:
«Tutti gli uomini - scrive Aristotele - per natura aspirano al sapere». E
ancora: «L’esercitare la sapienza e il conoscere sono desiderabili per se
stessi dagli uomini: non è possibile, infatti, vivere da uomini senza queste
cose». E gli uomini tendono al sapere perché si sentono pieni di
"stupore" o di "meraviglia". Dicono Platone e Aristotele:
«Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della
meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle
difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a
porre problemi sempre maggiori, come i problemi riguardanti i fenomeni della
luna e quelli del sole e degli astri e poi i problemi riguardanti l'origine
dell’intero universo». Dunque, proprio questa "meraviglia", la quale
sorge nell’uomo che si pone nei confronti del Tutto (dell’intero) e si chiede quale
sia l’origine e il fondamento di esso e quale posto occupi egli stesso in
questo universo, è la radice della filosofia. E se così è, la filosofia è
ineliminabile e irrinunciabile, appunto perché è ineliminabile la meraviglia di
fronte all’essere, così come irrinunciabile è il bisogno di soddisfare ad essa.
Perché c'è questo tutto? Da che cosa è sorto? Qual è la sua ragion d’essere?
Sono problemi, questi, che equivalgono al seguente: perché c'è l'essere e non
il nulla? E un momento particolare di tale problema generale è anche il
seguente: perché c'è l’uomo? perché io esisto? Come è evidente, si tratta di
problemi che l’uomo non può non porsi, o, comunque, sono problemi che, nella
misura in cui vengono rifiutati, menomano colui che li rifiuta. E sono problemi
che mantengono il loro senso preciso anche dopo il trionfo delle scienze
particolari moderne, perché nessuna di queste è fatta per risolverli. Le
scienze rispondono solamente a domande sulla parte e non a domande sul senso
del "tutto". Per queste ragioni, dunque, potremmo ripetere, con
Aristotele, che, non solo in origine, ma anche ora, e sempre, la vecchia
domanda sull’intero ha senso, e avrà senso, fino a quando l’uomo proverà
"meraviglia" di fronte all’essere delle cose e di fronte al proprio
esserci.” “Prima di intraprendere lo studio della storia della filosofia è bene
aver presente il significato di alcuni termini che ricorrono continuamente in
questa disciplina, termini che saranno afferrati in tutta la loro portata solo
alla fine del Corso, ma di cui è possibile avere una comprensione preliminare.
¨
Storicamente parlando, la filosofia («amore del sapere», dal greco ϕιλέω,
«amare» e σοϕία, «sapienza») si è configurata come un’indagine critica e
razionale intorno agli interrogativi di fondo che l’uomo si pone circa se
stesso e le realtà che lo circondano. Gli ambiti problematici in cui si è
articolato il discorso dei filosofi dell’Occidente, a cominciare da quelli del
mondo antico, sono rappresentati soprattutto dalla metafisica, dalla
gnoseologia e dall’etica.
¨
Per metafisica (dal greco μετὰ τα ϕυσικὰ, «dopo la fisica») si intende quella
parte della filosofia che si interroga sulle strutture ultime e sulle cause
supreme delle cose. All’inizio, con i presocratici, la metafisica ha preso le
sembianze della cosmologia (dal greco κόσμος, «universo» e λόγος, «discorso,
ragione, pensiero»), ossia di un’indagine intorno all’universo naturale e ai
princìpi che lo costituiscono. In seguito, soprattutto con Aristotele, si è
presentata soprattutto nelle vesti dell’ontologia (dal greco ὢν-ὄντος
participio presente di εἶναι, «essere» e λόγος), ossia di una trattazione
intorno all’essere o alla realtà in generale. Strettamente connessa alla
metafisica è la teologia (dal greco θεός, «Dio» e λόγος), che si interroga
intorno all’esistenza di Dio. In altri termini, la metafisica è quella sezione
del pensiero filosofico che si è storicamente concretizzata in domande del
tipo: «quali sono i princìpi e gli elementi di base dell’universo?», «che cos’è
l’essere e quali sono le sue strutture di fondo?», «esiste o meno un Dio?»,
«l’ordine del cosmo obbedisce ad un piano intelligente o è frutto di una
necessità meccanica?» ecc.
¨
Per gnoseologia (dal greco γνῶσις, «conoscenza» e λόγος) si intende quella
parte della filosofia che si occupa dei problemi relativi alla genesi, alla
natura e alla validità della conoscenza. Infatti, i filosofi non si sono
interrogati solo intorno alla struttura della realtà, ma anche sui mezzi
tramite cui la conosciamo. La gnoseologia o teoria della conoscenza si
concretizza in domande del tipo: «da dove provengono le nostre cognizioni?», «quali relazioni sussistono fra i sensi e la
ragione?», «che valore hanno i nostri concetti?», «quali sono le garanzie di un
sapere vero?» ecc. Connessa in qualche modo alla gnoseologia è la logica (dal
greco λόγος) la quale, almeno nella accezione greca del termine si occupa di
ciò che concerne i nostri discorsi e le modalità attraverso cui formuliamo i
nostri ragionamenti.
¨
L’etica (dal greco ἔθος, «abitudine») o morale (dal latino mos «costume, modo
di vita») è quella parte della filosofia che studia il nostro comportamento e
le norme cui esso obbedisce, sia descrivendo come di fatto agiamo, sia
prescrivendo come dovremmo agire. In altri termini, l’etica è quella sezione
del pensiero filosofico che si è storicamente concretizzata in domande del
tipo: «quali sono i motivi che spingono gli individui ad agire?», «che cos’è il
bene?», «qual è il fine ultimo di tutte le nostre azioni?», «che cos’è la
felicità?», «da dove possiamo ricavare le norme ispiratrici della nostra
condotta?» ecc. Strettamente connessa all’etica è la filosofia politica che si
occupa (in modo descrittivo e prescrittivo) dei problemi relativi alla vita
associata, concretizzandosi in questioni del tipo: «qual è il fine dello
Stato?», «quali sono le forme ottimali di governo?», «chi deve comandare?»,
«che cos’è la giustizia, che cos’è la libertà?» ecc.
¨
Parallelamente a queste tematiche la filosofia ha storicamente affrontato altre
questioni: dal problema delle leggi (filosofia del diritto), a quello dell’arte
e della bellezza (estetica, dal greco αἴσθησις, «sensazione» ); dal problema
del linguaggio (filosofia del linguaggio) a quello della scienza
(epistemologia, dal greco ἐπιστήμη , «scienza»,); dal problema dell’uomo e del
suo posto nel mondo (antropologia, dal greco ἄνθρωπος, «uomo») a quello della
civiltà e della storia (filosofia della storia) ecc.
¨
Oltre a questi termini che indicano settori e aspetti della ricerca filosofica,
va chiarita l’espressione filosofia teoretica (oppure speculativa), che sta a
indicare il carattere puro e disinteressato della ricerca filosofica,
finalizzata alla conoscenza della verità in se stessa, senza obiettivi pratici
o finalità utilitaristiche. Da ciò la vastità e ricchezza del discorso
filosofico, il quale appare come un aspetto costitutivo di ciò che denominiamo
con il termine “uomo”, al punto che Platone affermava che non si può essere
uomini senza essere, in qualche modo, filosofi. Ecco taluni passi di Abbagnano
che esemplificano la stretta connessione fra esistere e filosofare: «La
filosofia non si giustifica come lavoro d’indagine o ricerca dottrinale, se non
la si riconosce formata sulla natura stessa dell’uomo, in quanto esistenza»,
«Trattare oggi della natura della filosofia significa ritenere già fermamente
stabilito un punto essenziale: la necessità per l’uomo, per ciò che egli è, per
ciò che deve essere, del filosofare», «Filosofare significa per l’uomo, in
primo luogo, affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente
i problemi che risultano dal proprio rapporto con se stesso, con gli altri
uomini e con il mondo».”
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
8) La filosofia come
creazione del genio ellenico
La
filosofia, sia come termine sia come concetto, è considerata dalla quasi
totalità degli studiosi come una creazione peculiare dei Greci. In effetti,
tutte le altre componenti della civiltà greca hanno un corrispettivo presso
altri popoli dell’Oriente che raggiunsero anteriormente o parallelamente ai Greci
livelli di progresso assai elevati; infatti credenze e culti religiosi,
manifestazioni artistiche di varia natura, conoscenze e abilità tecniche,
istituzioni politiche, organizzazioni militari esistevano anche presso i popoli
orientali che si affacciarono alla civiltà prima dei Greci.
Per
quanto concerne la filosofia, invece, noi ci troviamo di fronte a un fenomeno
così nuovo che non soltanto non ha un corrispettivo identico presso questi
popoli, ma che non ha nemmeno qualcosa di analogo e di paragonabile con la
filosofia greca. Rilevare tutto ciò significa riconoscere che in questo campo i
Greci diedero alla civiltà qualcosa che essa non aveva , e che – come vedremo –
si sarebbe rivelata di tale portata rivoluzionaria da mutare il volto alla
civiltà medesima. Se non si tiene ben presente tale concetto, è impossibile
comprendere perché la civiltà occidentale, sotto la spinta dei Greci, abbia
preso una direzione completamente differente da quella dell’Oriente. In
particolare, non si può comprendere perché la scienza sia potuta nascere
solamente in Occidente e non in Oriente; infatti gli Orientali, quando hanno
voluto beneficiare della scienza occidentale e dei suoi risultati, hanno dovuto
far proprie anche alcune categorie della logica occidentale, ed è stata proprio
la filosofia greca che ha creato queste categorie e questa logica, ossia un
modo di pensare e una mentalità del tutto nuovi, ed è stata la filosofia, con
le sue categorie razionali, a render possibile la nascita della scienza e , in
certo senso, a generarla. E riconoscere questo significa riconoscere ai Greci
il merito dì aver apportato un contributo davvero eccezionale alla storia della
civiltà.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
9) L’impossibilità di
una derivazione della filosofia dall’Oriente
Naturalmente,
non sono mancati, sia da parte di alcuni antichi, sia da parte di storici della
filosofia moderni (specie nell’età romantica), tentativi di far derivare la
filosofia greca dall’Oriente, soprattutto sulla base di generiche analogie
constatabili tra le concezioni dei primi filosofi greci e certe idee proprie
della sapienza orientale. Tuttavia, nessuno è riuscito in questo intento, e la
critica rigorosa, già a partire dalla fine del XIX secolo, ha addotto una serie
di argomentazioni incontrovertibili contro la tesi della derivazione della
filosofia dei Greci dall’Oriente:
·
In epoca classica nessuno dei filosofi
né degli storici greci fa il minimo accenno ad una derivazione della filosofia
dall’Oriente.
·
Noi non siamo a conoscenza di qualche
utilizzazione da parte dei Greci di scritti orientali né di traduzioni dei
medesimi.
·
Se anche si potesse dimostrare che
qualche idea dei filosofi greci abbia antecedenti nella sapienza orientale, e
che da questa sia potuta derivare, non cambierebbe la sostanza del problema che
stiamo discutendo. Infatti, i popoli orientali con i quali i Greci vennero a
contatto possedevano, sì, una forma di "sapienza" fatta di
convinzioni religiose, miti teologici e "cosmogonici", ma non una
scienza filosofica basata sulla pura ragione; perciò, dal momento in cui la
filosofia nacque in Grecia, rappresentò una nuova forma di espressione
spirituale, tale che, nell’istante stesso in cui accoglieva i frutti di altre
forme di vita spirituale, li trasformava strutturalmente, dando loro una forma
rigorosamente logica.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
10) Le cognizioni
scientifiche egizie e caldaiche e la trasformazione operata dai Greci
Dagli
Orientali i Greci presero, invece, alcune conoscenze scientifiche. Infatti: dagli
Egizi derivarono alcune conoscenze matematico-geometriche; dai Babilonesi
alcune cognizioni astronomiche.
Ma
anche quelle nozioni sono state radicalmente trasformate dai Greci proprio a
livello conoscitivo.
·
Per quanto ci risulta, la matematica egizia
consisteva prevalentemente nella conoscenza di operazioni di calcolo aritmetico
aventi scopi pratici, come ad esempio il modo di misurare certe quantità di
derrate alimentari, oppure di dividere un determinato numero di cose fra un
dato numero di persone. E così, analogamente, la geometria doveva avere
carattere prevalentemente pratico e rispondere, ad esempio, alla necessità di
rimisurare i campi dopo le periodiche inondazioni del Nilo, o alla necessità
della progettazione e della costruzione delle piramidi. Tuttavia, è chiaro che
gli Egizi, nel raggiungere quelle conoscenze matematico-geometriche,
esplicarono una attività di ragione, e anche assai considerevole. Ma nella
rielaborazione dei Greci quelle conoscenze divennero qualcosa di assai più consistente,
compiendo un vero e proprio salto di qualità. Essi, infatti, soprattutto con
Pitagora e i Pitagorici, trasformarono quelle nozioni in una teoria generale e
sistematica dei numeri e delle figure geometriche, andando assai al di là degli
scopi prevalentemente pratici cui gli Egizi sembrano essersi limitati.
·
La stessa considerazione vale per le
nozioni astronomiche. I Babilonesi le elaborarono a scopi prevalentemente
pratici, ossia per fare gli oroscopi e le predizioni; i Greci le purificarono e
le coltivarono a fini prevalentemente conoscitivi, in virtù di quello spirito
"teoretico" mirante all'amore della pura conoscenza, da cui nacque e
trasse alimento la filosofia.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
11) I poemi di Omero,
di Esiodo e i poeti gnomici
Gli
studiosi sono concordi nel ritenere che, per poter capire la filosofia di un
popolo e di una civiltà, è indispensabile far riferimento:
·
all’arte, infatti la grande arte tende a
raggiungere in maniera mitica e fantastica, ossia mediante l’intuizione e
l’immaginazione, obiettivi che sono propri anche della filosofia.
·
alla religione che, analogamente all’arte,
tende a raggiungere per via di fede certi obiettivi che la filosofia cerca di
raggiungere con i concetti e con la ragione.
·
alle condizioni socio-politiche di questo
popolo infatti non meno importanti (e oggi si insiste molto su questo punto)
sono le condizioni socio-economiche e politiche che spesso condizionano il
nascere di determinate idee e che, in particolare, nel mondo greco, creando le
prime forme della libertà istituzionalizzata e della democrazia, hanno reso
possibile appunto il nascere della filosofia, che della libertà si alimenta in
maniera essenziale.
Incominciamo
dal primo punto. Anteriormente alla nascita della filosofia i poeti ebbero
grandissima importanza nell’educazione e nella formazione spirituale dell’uomo
greco, assai più di quanto essi l’avessero presso altri popoli. La prima
grecità cercò alimento spirituale prevalentemente nei poemi omerici, ossia
nell’Iliade e nell’ Odissea (che, come è noto, esercitarono un influsso analogo
a quello che la Bibbia esercitò presso gli Ebrei, non essendoci in Grecia testi
sacri). Ora, i poemi omerici contengono alcune peculiarità che li differenziano
dai poemi che stanno all’origine della civiltà di altri popoli e contengono già
alcuni di quei caratteri dello spirito greco che risulteranno essenziali per la
creazione della filosofia.
·
Infatti, Omero ha un forte senso dell’
armonia, della proporzione, del limite e della misura;
·
non si limita a narrare una serie di
fatti, ma ne ricerca anche le cause e le ragioni (sia pure a livello
mitico-fantastico);
·
cerca in vario modo di presentare la
realtà nella sua interezza, sia pure in forma mitica (dei e uomini, cielo e
terra, guerra e pace, bene e male, gioia e dolore, totalità dei valori che
reggono la vita dell’uomo).
Molto
importante fu poi, per i Greci, Esiodo con la sua Teogonia, che narra la nascita di tutti gli dei. E poiché molti dei
coincidono con parti dell’universo e con fenomeni del cosmo, la teogonia
diventa anche cosmogonia, ossia spiegazione mitico-poetica e fantastica della
genesi dell’universo e dei fenomeni cosmici, a partire dal Caos originario, che
fu il primo a generarsi. Questo poema spianò la strada alla successiva
cosmologia filosofica, che cercherà con la ragione, e non più con la fantasia,
il “principio primo” da cui tutto si è generato. E lo stesso Esiodo, con l’altro suo poema Le
opere e i giorni, ma soprattutto i poeti successivi impressero nella
mentalità greca alcuni principi che saranno di grande importanza per il
costituirsi dell’etica e in genere del pensiero filosofico antico. La giustizia
viene esaltata come valore supremo in molti poeti e diventerà addirittura
concetto ontologico (concernente l’essere, cioè fondamentale), oltre che morale
e politico, in molti filosofi e specialmente in Platone. Un altro concetto i
poeti lirici fissarono in maniera stabile: quello del limite, ossia del né
troppo né troppo poco, vale a dire il concetto della giusta misura, che
costituisce il connotato più peculiare dello spirito greco e il centro del
pensiero filosofico classico. Ricordiamo, da ultimo, una sentenza, attribuita a
uno degli antichi saggi e incisa sul tempio di Delfi sacro ad Apollo: “Conosci te stesso”. Questa sentenza, che
fu famosissima fra i Greci, diverrà non solo il motto del pensiero di Socrate,
ma addirittura il principio basilare del sapere filosofico greco fino agli
ultimi Neoplatonici.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
12) Le due forme della
religione greca
La
seconda componente cui bisogna fare riferimento per capire la genesi della
filosofia greca, come abbiamo detto sopra, è la religione. Ma quando si parla
di religione greca bisogna distinguere tra la religione pubblica, che ha il suo
modello nella rappresentazione degli dèi e del culto dataci da Omero, e la
religione dei misteri. Fra queste due forme di religiosità ci sono numerosi
elementi comuni (come, ad esempio, la concezione di base politeistica), ma
anche importanti differenze che diventano addirittura, in alcuni punti salienti
(come, ad esempio, nella concezione dell’uomo, del senso della sua vita e dei
suoi destini ultimi), vere e proprie antitesi. Per spiegare la nascita della filosofia
sono molto importanti ambedue le forme di religione, ma - almeno per certi
aspetti - ancor più la seconda.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
13 Alcuni tratti
essenziali della religione pubblica (olimpica).
Per
Omero e per Esiodo, che costituiscono il punto di riferimento per le credenze
proprie della religione pubblica, si può dire che tutto quanto è divino, perché
tutto ciò che accade viene spiegato in funzione di interventi degli dei. I
fenomeni naturali sono promossi da numi: tuoni e fulmini sono scagliati da Zeus
dall’alto dell’Olimpo, i flutti del mare sono sollevati dal tridente di
Posidone, il sole è portato dall’aureo carro di Apollo, e così di seguito. Ma
anche la vita associata degli uomini, le sorti delle città, le guerre e le paci
sono immaginate come collegate agli dèi in modo non accidentale e talora
addirittura essenziale. Ma chi sono questi dèi? Come da tempo gli studiosi
hanno riconosciuto e messo in evidenza, questi dèi sono forze naturali
personificate in forme umane idealizzate, oppure sono forze ed aspetti dell’uomo
sublimati e calati in splendide sembianze antropomorfe. (Oltre agli esempi
sopra addotti, ricordiamo che Zeus è la personificazione della giustizia, Atena
dell’intelligenza, Afrodite dell’amore, e così via.) Questi dei sono, dunque,
uomini amplificati e idealizzati, e, pertanto, differenti dall’uomo comune solo
per quantità e non per qualità (infatti gli Dei sono immortali e potenti, ma
possiedono gli stessi caratteri fisici, psichici e morali degli uomini,
possiedono perfino le passioni e i vizi degli uomini; non c’è nella religione
olimpica greca l’idea di una perfezione morale degli dei, di una bontà e di un
amore verso gli uomini connaturato alle divinità, gli dei anzi – come possono
essere nemici fra di loro – così possono essere ostili agli uomini, perfino
invidiosi della felicità umana! e il culto che gli uomini offrono agli dei ha
lo scopo di ottenere i loro favori, la loro protezione, ma anche di allontanare
la loro ira). Per questo gli studiosi classificano la religione pubblica dei
Greci come una forma di naturalismo,
in quanto essa richiede all’uomo non di mutare la propria natura, ossia di
elevarsi al di sopra di se medesimo, ma, al contrario, di seguire la propria
natura. Fare in onore degli dei ciò che è conforme alla propria natura è tutto
quanto si richiede all'uomo. E come naturalistica
fu la religione pubblica greca, così naturalistica
fu la prima filosofia greca, e il riferimento alla natura rimase una costante del pensiero greco nel corso di tutto il
suo sviluppo storico. Aggiungiamo che nella concezione religiosa omerica la vera vita dell’uomo è la vita terrena,
infatti non c’è una vita migliore
dopo la morte: al massimo c’è la sopravvivenza nell’Ade di un tenue residuo
personale che rimpiange dolorosamente la luce del Sole; perciò l’uomo non deve
vivere in funzione della vita ultraterrena, ma deve cercare di vivere
pienamente e di realizzarsi nella breve vita terrena, e la massima
realizzazione umana consiste nella conquista della gloria, grazie alla quale
colui che muore rimane vivo nella memoria dei posteri.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
14) L’Orfismo e le sue
credenze essenziali
Ma
la religione pubblica non fu sentita da tutti i Greci come soddisfacente
(infatti essa non garantiva una salvezza ultraterrena, e alla maggior parte
delle persone era preclusa quella forma di realizzazione terrena data dalla
gloria), e per questo si svilupparono, presso cerchie ristrette, i misteri, aventi proprie credenze
specifiche (sia pure inserite nel generale quadro del politeismo) e proprie
pratiche. Fra i misteri influirono sulla filosofia greca soprattutto quelli
orfici, e di questi dobbiamo brevemente parlare. L'Orfismo e gli Orfici
derivano il loro nome dal poeta tracio Orfeo, il presunto fondatore, i cui
tratti storici sono interamente ricoperti dalla nebbia del mito. L'Orfismo è
particolarmente importante perché, come gli studiosi moderni hanno
riconosciuto, introduce nella civiltà greca un nuovo schema di credenze e una
nuova interpretazione dell'esistenza umana. Infatti, mentre la tradizionale
concezione greca, a partire da Omero, riteneva l’uomo mortale e poneva la fine
totale della sua esistenza appunto con la morte, l’Orfismo proclama
l’immortalità dell’anima e concepisce l’uomo secondo lo schema dualistico che
contrappone il corpo all’anima. Il nucleo delle credenze orfiche può essere
riassunto come segue.
·
Nell’uomo alberga un principio divino,
un demone (anima), caduto in un corpo a motivo di una colpa originaria.
·
Questo demone non solo preesiste al
corpo, ma non muore col corpo, ed è destinato a reincarnarsi in corpi
successivi (non solo di esseri umani, ma anche di animali), per espiare quella
colpa originaria.
·
La "vita orfica" con i suoi
riti e le sue pratiche è la sola in grado di porre fine al ciclo delle
reincarnazioni e di liberare, così, l’anima dal corpo. N.B. La reincarnazione
(o metempsicosi) in questa concezione non è considerata un bene, infatti essa
prolunga “l’esilio” e la penitenza dell’anima, il vero bene consiste invece
nella liberazione del demone-anima dalla vita corporea.
·
Per chi si è purificato (per gli
iniziati ai misteri orfici), nell’al di là vi è un premio (così come per i non
iniziati vi sono punizioni). In alcune laminette orfiche trovate nei sepolcri
dei seguaci di questa setta si leggono - tra l’altro - queste parole che
riassumono il nucleo centrale della dottrina: «Rallegrati, tu che hai patito la
passione: questo prima non l’avevi ancora patito. Da uomo sei nato Dio»;
«Felice e beatissimo, sarai Dio anziché mortale»; «Da uomo nascerai Dio perché
dal divino derivi». Il che significa che il destino ultimo dell'uomo è quello
di «ritornare ad essere presso gli dèi».
Con
questo nuovo schema di credenza, l’uomo vedeva per la prima volta contrapporsi
in sé due principi fra loro in contrasto e in lotta: l’anima (demone) e il
corpo (come tomba o luogo di espiazione dell’anima). Si incrina, così, la
visione naturalistica; l'uomo comprende che alcune tendenze legate al corpo
sono da reprimere, e la purificazione (o liberazione) dell’elemento divino da
quello corporeo diviene lo scopo del vivere.
Da
ciò deriva l’ASCETISMO, cioè l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti
che servono per liberare l’anima dagli istinti e dai bisogni corporei (ASCESI
in greco significa lotta, e indica appunto la lotta dell’anima contro il corpo).
Ora, si tenga presente questo. Senza l'Orfismo non si spiega Pitagora, non
Eraclito, non Empedocle, e, non si spiega una parte essenziale del pensiero di
Platone e poi di tutta la tradizione che deriva da Platone, il che significa
che non si spiega una grossa parte della filosofia antica, come avremo modo di
vedere meglio più avanti.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
15) Mancanza di dogmi e
dei loro custodi nella religione greca
Un'ultima
notazione è necessaria. I Greci non ebbero libri sacri o ritenuti frutto di
divina rivelazione. Essi, di conseguenza, non ebbero una dogmatica (cioè un
nucleo dottrinale) fissa ed immodificabile. I poeti, come abbiamo visto,
costituirono il veicolo di diffusione delle loro credenze religiose. Inoltre (e
questa è una ulteriore conseguenza della mancanza di libri sacri e di una
dogmatica fissa), in Grecia non poté nemmeno sussistere una casta sacerdotale
custode del dogma (i sacerdoti in Grecia ebbero scarsa rilevanza e scarsissimo
potere, perché né ebbero la prerogativa di conservare i dogmi, né ebbero il
monopolio delle offerte religiose e dell’officiatura dei sacrifici).
Questa
mancanza di dogmi e di custodi dei medesimi lasciò ampia libertà al pensiero
filosofico, il quale non incontrò quegli ostacoli che avrebbe trovato in paesi
orientali, dove la libera speculazione avrebbe trovato resistenza e restrizioni
difficilmente superabili. Perciò gli studiosi giustamente sottolineano questa
circostanza favorevole alla nascita della filosofia che si verificò presso i
Greci, e che, nell’antichità, non ha uguali.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
16) Le condizioni
socio-politico-economiche che favorirono il sorgere della filosofia
Gli
studiosi, già nel secolo scorso e soprattutto nel nostro secolo, hanno
giustamente messo l’accento anche sulla libertà politica di cui beneficiarono i
Greci rispetto ai popoli orientali. L’uomo orientale era tenuto a una cieca
obbedienza non solo al potere religioso ma altresì a quello politico, mentre il
Greco anche a questo riguardo godette di una situazione privilegiata, perché,
per primo nella storia, riuscì a darsi libere istituzioni politiche.
Nei
secoli VII e VI a.C. la Grecia subì una trasformazione socio-economica
considerevole. Da paese prevalentemente agricolo quale era si trasformò,
sviluppando in misura sempre crescente l’artigianato ed il commercio. Fu così
necessario fondare centri di smistamento per il commercio, che sorsero dapprima
nelle colonie ioniche, in particolar modo a Mileto, e poi anche altrove. Le
città divennero fiorenti centri commerciali, e questo comportò un incremento
demografico cospicuo. Il nuovo ceto di commercianti e di artigiani raggiunse a
poco a poco una notevole forza economica e si oppose all’accentramento del
potere politico, che era nelle mani della nobiltà terriera. Con le lotte che i
Greci ingaggiarono per trasformare le vecchie forme aristocratiche di governo
nelle nuove forme repubblicane, nacquero le condizioni, il senso e l’amore
della libertà. Ma c'è un fatto molto importante da rilevare, che conferma
quanto ora si è detto, nel modo migliore: la filosofia nacque prima nelle
colonie che non nella madrepatria - e, precisamente, prima nelle colonie
d’Oriente dell’Asia Minore (a Mileto) e subito dopo nelle colonie d’Occidente
dell’Italia meridionale - appunto perché le colonie con la loro operosità e con
i loro commerci raggiunsero per prime il benessere, e, a causa della lontananza
dalla madrepatria, poterono darsi libere istituzioni prima di quest’ultima.
Furono, dunque, le più favorevoli condizioni socio-politico-economiche delle
colonie che, unitamente ai fattori illustrati nei precedenti paragrafi,
permisero il sorgere e il fiorire in esse della filosofia, la quale poi,
passata nella madrepatria, raggiunse le più alte vette ad Atene, cioè proprio
in quella città in cui fiorì la più grande libertà di cui i Greci abbiano goduto.
Dunque, la capitale della filosofia greca fu la capitale della libertà greca.
Un
ultimo rilievo resta da fare. Col costituirsi e consolidarsi della Polis, cioè
della Città-Stato, il Greco non sentì più alcuna antitesi e alcun vincolo alla
propria libertà; anzi, fu portato a cogliere se medesimo essenzialmente come
cittadino. L'uomo, per il Greco, venne a coincidere con il cittadino medesimo.
E così lo Stato divenne e rimase fino all'età ellenistica l'orizzonte etico
dell'uomo greco. I cittadini sentirono i fini dello Stato come propri fini, il
bene dello Stato come il proprio bene, la grandezza dello Stato come la propria
grandezza, la libertà dello Stato come la propria libertà. Se non si tiene
presente questo, non si può capire gran parte della filosofia greca, in
particolare l’etica e tutta la politica dell’età classica, e poi anche i
complessi rivolgimenti dell'età ellenistica.
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
17) Le fasi e i periodi
della storia della filosofia antica
La
filosofia antica greca e greco-romana ha una storia più che millenaria. Parte
dal secolo VI a.C. e giunge fino al 529 d.C., anno in cui l’imperatore
Giustiniano fece chiudere le scuole pagane e fece disperdere i loro seguaci. In
questo arco di tempo si possono distinguere i seguenti periodi.
·
Il periodo naturalistico, caratterizzato
dal problema della physis (cioè della natura) e del cosmo, e che tra il VI e il
V secolo a.C. vede succedersi gli Ionici, i Pitagorici, gli Eleati, i
Pluralisti e i Fisici eclettici.
·
Il periodo cosiddetto umanistico, che
coincide, in parte, con l’ultima fase della filosofia naturalistica e con la
dissoluzione della medesima e che ha come protagonisti i Sofisti e soprattutto
Socrate, il quale per la prima volta cerca di determinare l’essenza dell'uomo.
·
Il momento delle grandi sintesi di
Platone e di Aristotele, che coincide con il secolo IV a.C., e risulta
caratterizzato soprattutto dalla scoperta del soprasensibile e dalla
esplicitazione e dalla organica formulazione di vari problemi della filosofia.
·
Segue il periodo caratterizzato dalle
Scuole Ellenistiche, che va dalla conquista di Alessandro Magno alla fine
dell’era pagana, e che vede il sorgere dei grandi movimenti dell’Epicureismo e
dello Stoicismo, caratterizzati dalla finalità prevalentemente etica che essi
attribuiscono alla filosofia.
·
Il periodo religioso del pensiero
antico-pagano si svolge ormai quasi per intero in epoca cristiana ed è
caratterizzato soprattutto da una grandiosa rinascita del Platonismo, che
culminerà con il movimento neoplatonico. Il rifiorire delle altre scuole sarà
condizionato in vario modo dal Platonismo medesimo.
·
In questo periodo nasce e si sviluppa il
pensiero cristiano che tenta di formulare razionalmente la dottrina della nuova
religione e di definirla alla luce della ragione con categorie derivate dai
filosofi greci. Questo momento del pensiero antico non costituisce, però, un
coronamento del pensiero dei Greci, ma segna, piuttosto, la messa in crisi e il
superamento del loro modo di pensare, e, così, prepara la civiltà medievale e
le basi di quello che sarà il pensiero cristiano "europeo". Pertanto,
questo momento del pensiero, pur tenendo ben presenti i legami che esso ha con
l’ultima fase del pensiero pagano, va studiato a sé stante, appunto come
pensiero antico-cristiano, e va considerato come premessa e come fondazione del
pensiero e della filosofia medievali.”
(tratto
da Che cos’è la filosofia)
18) La formazione della
civiltà greca
Per
comprendere la situazione politica e sociale della Grecia del VI sec. a.C.,
occorre analizzare le tappe attraverso le quali si è formata questa civiltà.
Prima
dell'arrivo delle popolazioni indoeuropee, che la colonizzeranno a partire dal 2000 a .C., la Grecia è
divisa in una zona continentale, più arretrata, e in una zona costiera e di
isole, relativamente più progredita. I primi nomadi che vi giunsero si divisero
presto in due gruppi: uno si insediò nel nord e si dedicò alla pastorizia,
mentre l'altro si stabilì al sud e sviluppò l'agricoltura. Proprio questo
secondo gruppo diede luogo, fondendosi con gli Egei e assorbendo influssi
cretesi, alla civiltà micenea, la prima testimonianza storica di una grande
civiltà in Grecia.
La
struttura politica dei Micenei era basata sull'appartenenza al clan e non al
territorio, caratteristica questa che permarrà a lungo nella cultura greca e
che si riscontrerà anche nella polis.
Ben
presto i Micenei divennero abili imprenditori e mercanti il cui successo era
legato alla grande produzione di bronzo (avevano monopolizzato il controllo del
rame di Cipro e dello stagno del Caucaso).
Con la crisi
generale legata al decadere dell'impiego del bronzo, ai Micenei subentrarono i
Dori, i quali padroneggiavano le armi di ferro e si insediarono nel nord
ellenico.
I Micenei, a
differenza degli imperi orientali antichi, avevano creato un modello civile che
dava più spazio e importanza al singolo individuo, anche perchè i problemi
organizzativi che dovettero affrontare erano più semplici di quelli incontrati
dai paesi orientali molto più densamente popolati dei primi. Essi diffusero la
struttura detta mègaron (casa con tetto a due spioventi) che anticipa la
struttura del tempio greco classico.
I Dori, di
carattere tenace e votato ad una rigida disciplina, costrinsero le popolazioni
ioniche, dalla mentalità più libera e attenta alle esigenze del singolo, ad
emigrare verso le coste dell'Asia Minore, portando con loro la cultura micenea
e le sue tradizioni. Qui essi fonderanno numerose città che si arricchiranno
grazie ai commerci con i vicini paesi orientali.
Durante questo
periodo, definito medioevo ellenico, viene adottato dai greci l'alfabeto dei
Fenici, fatto di sole consonanti, al quale essi aggiungono le vocali.
L'organizzazione sociale è basata sui clan e, successivamente, su tribù più
ampie rette da capi molto potenti: a favorire un'organizzazione sociale così
frammentaria contribuì molto l'eccessivo frazionamento del territorio.
L'attività più diffusa era quella agricola, mentre si registra un abbandono
dell'artigianato e del commercio.
Nell'VIII sec.
a.C. si affermano le repubbliche aristocratiche, guidate da grandi famiglie
nobili che si erano arricchite grazie ai possedimenti fondiari e alle guerre:
queste si riunirono ben presto a formare una casta chiusa che si impadronì del
potere per esercitarlo ai danni delle classi più povere, costrette a subire
gravi ingiustizie soiali.
In questo
contesto nasce la polis (prima nelle colonie dell'Asia Minore poi nella
penisola): con questo termine si intende la città-stato, ovvero una piccola
comunità statale che abbraccia città e contado e il cui elemento essenziale non
è il territorio, ma la comunità dei cittadini. Si ritiene che vi sia stata una
certa continuità tra la polis e la precedente struttura tribale.
Tra il 750 e il 550 a .C. assistiamo ad una
seconda migrazione, dovuta questa volta essenzialmente a motivi economici: il territorio greco si rivelò infatti
povero di materie prime e di nutrimenti, per cui era facile il
sovrappopolamento e quindi si rendeva necessario emigrare e fondare colonie in
zone più fertili.
A questi motivi
va aggiunta l'incapacità politica dello Stato gentilizio di trovare soluzione
ai conflitti sociali fra ricchi e poveri. I governi erano estranei ai primi
viaggi di colonizzazione, per cui questi risultarono spesso male organizzati.
Da parte di chi partiva, una volta giunti sul luogo in cui sarebbe nata la
nuova polis, cessavano tutte le distinzioni basate sulla vecchia nobiltà e si
costruiva una società in cui l'unico criterio di distinzione era il valore
personale. Visto il successo di queste spedizioni, in un secondo tempo anche i
governi presero parte all'organizzazione dei viaggi. Molte delle nuove colonie
da agricole si trasformarono presto in centri di traffico, basti pensare a
Mileto che divenne un punto di partenza per le migrazioni verso il Mar Nero.
Verso la fine del VI sec. questa espansione fu bloccata a occidente dagli
etruschi e a oriente dai persiani.
(tratto da
homolaicus.com)
19)
Conseguenze sociali della colonizzazione
Questa
espansione del mondo greco provocò l'afflusso di molte ricchezze che
contribuirono alla nascita di una classe media economicamente indipendente, che
ben presto si trovò in lotta con gli aristocratici. L'economia ellenica divenne
mercantile e manifatturiera, grazie anche alla diffusione della moneta,
introdotta per la prima volta dagli Ioni dell'Asia Minore nel VII sec a.C.. A
differenza dei Persiani, che tesaurizzavano le ricchezze, i Greci investivano
il denaro per creare nuova ricchezza. I centri più produttivi erano situati
nelle colonie dell'Asia Minore ( Mileto per i tappeti, Mègara per i tessuti,
Samo per la metallurgia), le città si ampliarono e si sviluppò l'arte nautica.
Gli aristocratici solo in alcuni casi scelsero di entrare in affari, ritenendo
più degne del loro ceto sociale la pirateria, la difesa militare delle polis e
lo sfruttamento dell'altrui attività.
Le classi
sociali emergenti tolsero ben presto però il monopolio della difesa militare
della polis agli aristocratici, introducendo l'arruolamento dei cittadini. Il
nuovo esercito (falange) poggiava sulla fanteria e sulla sua forza d'urto,
anzichè sul vecchio duello cavalleresco. Era ormai inevitabile che il ceto
emerso da questi cambiamenti ambisse a ricoprire ruoli più importanti nella
gestione della polis.
L'esistenza di
una borghesia ricca accanto all'aristocrazia non aveva eliminato il problema di
una classe di poveri sfruttati (contadini), ma anzi, sfruttando proprio questo
malcontento, la borghesia si alleò con il popolo per insidiare i privilegi
della nobiltà. Il valore su cui si basava il nuovo ceto sociale era il denaro
(censo) e proprio su questo esso voleva fondare un'organizzazione comunitaria
(timocrazia). Il primo passo in questa direzione fu costituito da un'intensa
attività legislativa, che non riuscì però ad eliminare le profonde
disuguaglianze sociali. Ben presto la crisi fra latifondisti e piccoli
proprietari da una parte e borghesia e popolo dall'altra riesplose, rendendo
necessario l'intervento di principi assoluti (tiranni).
Nonostante il
giudizio negativo dei greci dell'età classica, questa fu una fase storica nella
quale fu garantito il rispetto di certe regole e in cui molti poveri poterono
migliorare la loro situazione economica: i tiranni infatti erano nemici
dell'aristocrazia e in molti casi alleati del popolo, anche se finivano per
perseguire pur sempre un interesse privato. Certo è che questa fase storica
contribuì a rafforzare le istituzioni statali, tanto che rappresentò il ponte
verso la successiva fase democratica di molte polis (Sparta, che non visse
questa fase, rimase ancorata ad una struttura oligarchica conservatrice, mentre
ad Atene si realizzarono strutture democratiche).
(tratto da
homolaicus.com)
20)
Il panellenismo e la religione greca
Come abbiamo già
avuto occasione di notare, nel popolo greco non si era formata un'unità
politica, ma solo la coscienza di appartenere ad un unico gruppo etnico e
linguistico. A differenza degli orientali, dei quali pure hanno subito
l'influsso, i greci hanno un carattere particolarista che favorisce l'inventiva
personale e non ama l'accentramento del potere nelle mani di pochi. Altro
elemento unificante è la religione, di cui il mito costituisce il filo conduttore;
bisogna inoltre notare che manca una casta sacerdotale che detiene il potere
attraverso l'elaborazione di dogmi di fede, per cui l'autorità del mito viene
affidata ai poeti.
Per i greci il
mito era religione, poesia e filosofia, ovvero un modo di pensare i problemi
dell'esistenza attraverso immagini simboliche: è questo un elemento che va
tenuto presente per capire la nascita della riflessione filosofica in questo
contesto.
A costituire una
coscienza religiosa comune contribuì la partecipa-zione ai giochi sacri
panellenici.
Il tipo di
religione diffuso fra gli aristocratici non soddisfaceva però le esigenze del
popolo, per cui presto ci fu un'apertura agli influssi religiosi orientali: si
diffusero così le pratiche misteriche che prospettavano la sopravvivenza
dell'anima nell'aldilà e una sua redenzione (problema questo poco sentito dalla
religione olimpica, protesa all'esaltazione del corpo e dei valori terreni e
che quindi era lontana dai problemi dei poveri). Molto successo ebbe allora il
culto di Dioniso, al quale si opponeva la versione spirituale dell'orfismo: è
in quest'ultima che troviamo, per la prima volta in Grecia, il concetto di
caduta e una serie di dogmi. Sarà l'orfismo a sopravvivere al crollo delle
tirannidi, proprio perchè più aperto alle esigenze di diverse classi sociali,
dal momento che non distingueva fra ricchi e poveri.
La religione in
Grecia conosce diverse fasi di sviluppo, ma è difficile stabilire esattamente
le sue radici storiche in quanto non si hanno molti elementi a disposizione:
non è possibile, per esempio, sapere quanto abbiano influito culti di origine
indoeuropea e quanto la cultura cretese-micenea.
Solo a partire
dal X sec. a.C. sino alla vittoria del cristianesimo (IV) sec. disponiamo di
documenti esaurienti. Emergono nei primi secoli presenze di totemismo, culti
attinenti alle arti e ai mestieri e forme di magia malefica e curativa. Vi
erano poi rituali per soli uomini o per sole donne (forse ai giochi olimpici le
donne non erano ammesse).
Tranne una breve
parentesi, la sepoltura dei morti (inumazione) è sempre stata praticata, anzi
il destino delle anime dei morti era legato più alla corretta esecuzione della
sepoltura che alla condotta in vita da parte del defunto (come testimoniano i
poemi di Omero).
Tutti questi
elementi sono tipici della fase tribale, mentre con la formazione e l'ascesa al
potere delle famiglie aristocratiche, si diffuse il culto degli eroi
(evoluzione della più antica forma della venerazione degli antenati, per cui
ora anziché adorare ciascuno il proprio eroe, alcuni eroi popolari, spesso
guerrieri, vengono imposti alla massa). Oltre a questi continuavano a essere
diffusi culti locali agrari, specialmente tra le masse popolari.
La fase
successiva vede la diffusione del culto degli dei protettori della polis ; si
tratta di un culto ufficiale statale e obbligatorio per tutti i cittadini, i
quali sotto questo aspetto erano quindi privati di ogni libertà, basti pensare
al caso di Socrate che fu condannato perchè si rifiutava di adorare questi dei
(dei protettori che possiamo considerare a ragione gli antenati dei nostri
santi protettori). Accanto agli dei locali vi erano anche quelli panellenici,
venerati in tutta la Grecia e facenti parte del pantheon (in genere si
ricorreva alla protezione dei primi nelle guerre fra polis e ai secondi quando
si combatteva contro altre nazioni).
Il culto degli
dei locali era il riflesso delle vecchie divisioni politiche all'interno della
Grecia, mentre la tendenza all'unificazione fra gli dei appartenenti al pantheon e i culti locali rispecchia l'accentramento
economico e culturale dell'epoca delle polis.
E' interessante
notare l'uso politico che venne fatto, in diverse circostanze, di questi culti:
valga per tutti l'esempio dei tiranni che appoggiarono il culto agrario di
Dioniso, caro alle masse popolari, nella lotta contro l'aristocrazia che
tentava invece di imporre il culto degli eroi.
Occorre
accennare anche all'esistenza di alcuni dei che incarnavano singoli concetti
astratti (Plutone = abbondanza). Per quanto riguarda poi la credenza nel
destino non si tratta di una credenza popolare, ma di una speculazione
filosofico-mitologica dell'aristocrazia nella fase di disgregazione delle
antiche usanze dell'ordinamento tribale.
(tratto da
homolaicus.com)
21)
Mitologia
Accanto ai miti
che sono personificazioni di elementi naturali, fenomeni della natura, troviamo
le cosmogonie (Esiodo), dalle quali è però assente il motivo della creazione
divina, mentre vi si trova invece una concezione ciclica del tempo. Così pure
non troviamo nemmeno un mito sull'origine dell'uomo. Altri miti conosciuti sono
quelli culturali, personificazioni del genio umano, di fondatori di città o
legislatori: in questo modo, essendo sempre questi personaggi degli
aristocratici, l'aristocrazia circondava di un'aureola di sacralità i propri
privilegi.
Altri miti su
eroi culturali furono quelli che elevarono artisti e poeti (Omero), leggende
che esaltavano una professione e la volevano legare ad una famiglia in
particolare. Occorre notare che la mitologia greca aveva dei caratteri
particolari che la distinguevano dalle altre allora diffuse: gli dei greci
infatti non erano altro se non l'idealizzazione della figura umana a cui veniva
aggiunta l'immortalità. Facevano eccezione i miti importati dall'oriente.
I miti di Esiodo
si rivolgevano alle classi povere per offrire loro una consolazione alle
miserie in cui erano costrette a vivere, mentre quelli omerici si rivolgevano
ad un pubblico aristocratico: i motivi di questa diversità vanno ricercati
nella diversa estrazione sociale dei due poeti.
Il clero in
Grecia non si è mai costituito come casta o ceto chiuso e questo fatto ha reso
più facile la nascita di una riflessione laica sulla natura; inoltre non vi era nemmeno l'oppressione religiosa
diffusa in oriente La carica di sacerdote poteva essere elettiva o ereditaria;
veniva richiesta la castità, fatto questo che spingeva molti giovani sacerdoti
a lasciare l'incarico appena raggiunta la maturità. Siccome i templi avevano
una loro economia e possedevano terreni, i sacerdoti amministravano grosse
somme di denaro, spesso prestandolo in cambio di interesse, per cui il tempio
fungeva da banca e il sacerdote diveniva un usuraio.
Il culto era
comunque molto frammentario, se si eccettuano alcuni culti di carattere
panellenico. Risulta comunque chiaro che questi venivano utilizzati quali
strumenti politici per guidare il popolo a fare certe scelte (basti pensare al
potere degli oracoli, manovrati da sacerdoti molto abili in politica e in grado
quindi di suggerire mosse politiche finalizzate al conseguimento di fini
personali).
(tratto da
homolaicus.com)
22)
Orfici e pitagorici
Un discorso a
parte meritano questi culti, apparsi nel VI sec. a.C., che influenzeranno molto
la nascente filosofia. Di tipo settario, l'Orfismo risente di influssi filosofico-religiosi
di tipo orientale e possiede propri libri sacri in cui si parla di un dio morto
e risorto; inoltre offre anche, per la
prima volta, un mito sull'origine dell'uomo (sarebbe nato dalla cenere dei
titani, bruciati da Giove perchè avevano ucciso Zagreo-Dioniso il quale, tra
l'altro, risorgerà). L'orfismo divenne la religione dei pitagorici, i quali non
erano semplicemente una setta religiosa, ma anche il partito politico
dell'aristocrazia e una scuola filosofica. Caratteristiche dell'orfismo furono
la dottrina della trasmigrazione delle anime, la venerazione del sole e del
fuoco, una visione magica dei numeri.
Un elemento
fondamentale, per il futuro sviluppo delle religioni salvifiche, è la
diffusione dei misteri eleusini: questi, da culti agrari locali, si
trasformarono ben presto in culti molto diffusi, grazie alla loro offerta di
una speranza di felicità per la vita nell'aldilà che non si poteva trovare
negli altri culti greci. E' probabile quindi che la loro diffusione (VI
sec.a.C.), in un'epoca in cui il malessere dei ceti più poveri andava
aumentando, sia dovuta al desiderio dell'aristocrazia di distrarre l'attenzione
di quella classe sociale dai problemi terreni.
Una cosa analoga
era accaduta per Dioniso, culto agrario locale ripreso dagli orfici che lo
identificarono con Zagreo e lo considerarono un salvatore.
In Grecia non
attecchirono il misticismo orientale e l'abitudine di divinizzare il re, tranne
durante l'ellenismo, fase di generale crisi dei valori in cui elementi
stranieri penetrarono con maggior facilità.
L'influsso della
religione sulla filosofia risulta evidente in Talete, dove l'idea di un'origine
del mondo dall'acqua richiama il mito di Oceano, padre di tutto ciò che esiste;
Socrate e Platone, per esporre meglio il loro pensiero, fecero ricorso spesso
al mito; il neoplatonismo è chiaramente un sistema religioso-filosofico.
Al tempo stesso
in Grecia troviamo una concezione atea della vita che non ha eguali nel mondo
di allora, basti pensare all'ironia di Omero sugli dei ( Platone, nel suo stato
ideale, voleva proibirne la lettura per l'immoralità) e alle critiche e ai
dubbi degli autori delle tragedie (Euripide, basandosi sull'esistenza
dell'ingiustizia sulla terra, giunse a negarne l'esistenza). Ma soprattutto la
filosofia si fece portatrice di un razionalismo anti-religioso che trovava
nella "materia in movimento" la spiegazione di ogni cosa. Per il suo
ateismo Anassagora fu cacciato da Atene e le sue opere bruciate.
(tratto da
homolaicus.com)
23)
La nascita della filosofia
Nel contesto
della cultura greca il significato del termine filosofia oscilla tra due poli
estremi: da un lato esso indica la cultura in generale e l'educazione;
dall'altro indica una determinata disciplina scientifica che ha per oggetto i
princìpi primi, le strutture generali dell'essere e dio.
Una tesi molto
diffusa vuole che l'origine della filosofia in Grecia sia dovuta ad un
preponderante influsso orientale. Contro questa spiegazione si schiera Zeller,
il quale mostra come, alla luce dei documenti in nostro possesso, tale tesi non
sia sostenibile. Troppe sono infatti le differenze fra il pensiero orientale e
quello greco, per cui risulta abbastanza chiaro che la filosofia in Grecia è da
considerarsi un fenomeno indigeno.
Presso gli
orientali non troviamo per esempio nessuna spiegazione naturalistica delle
cose, ma solo miti e cosmogonie; inoltre, mentre presso gli orientali il sapere
era monopolio della casta sacerdotale, in Grecia esso è libero perchè, come
abbiamo detto sopra, non esiste nulla di simile ad una gerarchia sacerdotale ( i
cristiani dovranno infatti prendere l'impero romano come modello della loro
struttura gerarchica). Se influsso vi è stato quindi, questo non può dirsi
determinante.
Detto questo,
Zeller individua i fattori che possono aver stimolato la nascita della filosofia
in una serie di elementi tipici della società greca di quell'epoca: la
posizione geografica di ponte fra Europa e Asia; lo spirito amante del bello e
del sapere; una religione che non pone ostacoli allo sviluppo della
riflessione, ma anzi la favorisce; una struttura politica che garantisce un
certo margine di libertà ai cittadini; un commercio in costante sviluppo e che
richiedeva lo sviluppo di una riflessione che potesse essergli utile; un primo
tentativo di spiegare i fenomeni secondo una visione naturalistica presente nei
miti di Omero e di Esiodo.
Nel VI sec. a.C.
la contrapposizione fra mito e logos, dove il primo è suffragato dalla
tradizione mentre il secondo da operazioni logiche della mente, costringerà il
primo ai soli ambiti della religione e della poesia.
La riflessione
filosofica non coinvolse il pensiero di larghe masse di uomini, ma ebbe la sua
base sociale in una minoranza progressista appartenente alla classe dominante.
Furono questi intellettuali a togliere l'alone sacrale che ricopriva le cose
per scoprire l'oggettività dei fenomeni.
La nuova
cultura, che i primi filosofi creano, deve rispondere ad una serie di problemi
nuovi, nati nelle città ioniche del VI sec. a.C.: occorre cioè ricostruire il
contesto naturale e storico a misura della città. E' chiaro infatti che questi
problemi difficilmente sarebbero potuti sorgere in una società agricola, quale
era quella greca precedente, dove la natura consisteva nell'insieme dei
fenomeni che non dipendono dall'uomo, e tutto si risolveva nel culto della
divinità e nel rituale. E' proprio la città a compiere quella rottura che
toglie l'uomo dal contatto con la natura e lo porta ad inventare nuovi mestieri
e un modo diverso di vivere e di strutturarsi socialmente. Il filosofo allora
prenderà il posto che nell'antica società tribale era occupato dal sacerdote, e
cioè quello di depositario del sapere.
(tratto da
homolaicus.com)
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