Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

lunedì 19 febbraio 2018

Italiano - classe I - grammantologia - IV unità

IV UNITÀ
T 5 Il mito di Deucalione e Pirra
Da Le metamorfosi[1] di Ovidio[2]
·         Prometeo aveva un figlio, Deucalione che aveva sposato Pirra, sua cugina, in quanto figlia del fratello di suo padre, Epimeteo. I due giovani sposi si stabilirono a Ftia, ai piedi del monte Parnaso, dove cercarono di regnare nel bene e sforzandosi di dare la pace ai proprio sudditi.
·         Gli uomini però, usciti dal mondo primitivo grazie all'illuminazione del fuoco e agli insegnamenti di Prometeo, iniziarono a sentirsi al pari degli dèi, trascurando gli obblighi religiosi; i popoli divennero superbi, cattivi e maligni, si armarono gli uni contro gli altri e sulla Terra scoppiarono molte guerre che portarono alla rovina molte città. Zeus allora decise di distruggere il genere umano, sommergendolo sotto le acque col Diluvio Universale. 
·         Tutti gli uomini morirono, meno due Pirra e Deucalione, perché Zeus sapeva che egli era l'unico principe onesto, giusto e religioso, e Pirra, l'unica donna savia e virtuosa che esistesse, perciò bisognava salvarli. Per volere di Zeus furono messi su una barca e vi navigarono per tutta la durata del Diluvio, nove giorni, fino a quando la barca non approdò sulla vetta del Parnaso, e l'unica coppia umana sopravvissuta al castigo divino poté finalmente scendere e toccare la terra. 
·         Deucalione e Pirra si ritrovarono uno spettacolo di desolazione, di rovine, camminarono fino ad una valle dove trovarono un tempio. Lo riconobbero per l'oracolo di Temi, la dea della giustizia; lo consultarono e ne ebbero questa enigmatica risposta: "Uscite dal tempio e gettate dietro le vostre spalle le ossa della Gran Madre".
·         Stettero a lungo a pensare a queste parole, ma un giorno Deucalione si illuminò e capì che la Gran Madre era la terra, e le ossa della Terra erano le pietre; così le pietre gettate da Deucalione, appena toccarono la terra, diventarono uomini e quelle gettate da Pirra, diventarono donne. In questo modo la Terra si ripopolò.

Divide dai campi Elei[3] gli Aoni[4] la Focide: una fertile terra, fin quando era terra, ma all'epoca un braccio di mare, una piana vastissima di acque inattese. Vi sorge un monte scosceso, che leva due vette alle stelle: si chiama Parnaso[5], e sovrastano le cime le nuvole. Qui Deucalione (nient'altro lasciava scoperto l'oceano) sbarcò da una piccola zattera insieme alla moglie: si prosternano alle ninfe Coricie[6], ai numi dei monti, a Temi[7] profetica, all'epoca custode degli oracoli.
Non esisteva a quel tempo un uomo migliore di lui, né più amante del giusto, o una donna che più temesse gli dèi. Ma quando vide il mondo allagato da chiare paludi, e solo un uomo rimasto di tante migliaia, e solo una donna rimasta di tante migliaia, l'uno e l'altra innocenti, l'uno e l'altra devoti agli dèi, Giove fece a brandelli le nuvole, e con l'Aquilone scacciò gli uragani. Al cielo fa vedere la terra e l'etere alla terra.
Non dura, la rabbia del mare; posa la lancia tricuspide, il re dell'oceano, placa le acque e fa emergere, chiamandolo, sopra gli abissi, l'azzurro Tritone[8], le spalle coperte di incrostazioni di murici; gli ordina di soffiare nella conchiglia sonora per dare finalmente ai flutti e ai fiumi il segnale di ritirarsi. Tritone afferra la vuota tromba, la tromba ritorta che cresce a spirale e dal basso s'allarga, e, appena animata dal fiato là in mezzo all'oceano, empie di musica i lidi sotto il primo e l'ultimo Febo[9]. Bastò che toccasse le labbra bagnate del dio sotto la barba grondante, e cantasse a gran voce l'ordine di ritirata, perché l'ascoltasse ogni flutto per terra e per mare e frenasse ogni flutto in ascolto. Il mare ritrova le rive, rientrano gonfi nel letto i fiumi, le acque si abbassano, si vedono colli che spuntano; la terra s'innalza e più calano i flutti più crescono i dossi e dopo un giorno lunghissimo, i boschi mettono a nudo le cime e il fango rimasto attaccato alle foglie.
Il mondo è tornato. Ma appena Deucalione lo vide deserto e abbandonate le terre a un silenzio profondo, gli vengono agli occhi le lacrime, e così parla a Pirra: «Sorella, moglie, che ormai sei l'unica donna superstite, cui mi lega una stessa famiglia, il rapporto fraterno dei padri, poi il matrimonio, e mi legano adesso le prove subite, tutte le terre che guardano a occidente e a oriente siamo noi due a popolarle; gli altri se li è presi il mare. Perfino la vita che abbiamo, non possiamo ancora fidarcene con certezza; anche ora, le nuvole ci gettano il panico in cuore. Che proveresti, adesso, a trovarti strappata al destino senza di me, disgraziata? In che modo potresti, da sola, sopportare il terrore? Un conforto al dolore, a chi andresti a richiederlo? Quanto a me, credi pure, se il mare si fosse preso anche te ti seguirei, moglie, e il mare si prenderebbe anche me. Ah, se potessi, con l'arte di mio padre, rimettere in piedi le genti, plasmare la terra e soffiarci le anime dentro! Adesso il genere umano dipende soltanto da noi; così hanno voluto i Celesti[10]: restiamo a campione degli uomini».
Così disse: e piangevano. Scelsero d'invocare i poteri celesti, consultando gli oracoli sacri per averne un soccorso. Senza indugio, si mettono insieme per via verso le onde del Cefiso[11], non limpide ancora, ma tornate a solcare il solito letto. Qui attingono l'acqua e ne spruzzano il capo e le vesti, volgendo poi i passi al santuario della gran dea, dai frontoni macchiati di lurido muschio: gli altari spogli di fuoco, ma ancora in piedi.
Raggiunti i gradini del tempio, lui e lei si prosternano, la faccia a terra e tremanti; baciarono la pietra gelata e dissero: «Se le preghiere dei giusti sono capaci di conquistare gli dèi e intenerirli, se possono stornare l'ira divina, rivelaci, Temi dolcissima, il mezzo per compensare la morte del genere umano, soccorri il mondo sommerso!».
La dea si commosse, e concesse un responso: «Uscite dal tempio, velatevi il capo e sciogliete la cinta degli abiti; le ossa della gran madre, buttatele dietro le spalle».
Restarono a lungo smarriti: la prima a spezzare il silenzio è Pirra: rifiuta, dichiara, di mettere in atto il comando, implora, con labbra tremanti, perdono: le manca il coraggio di oltraggiare lo spettro materno buttandone in giro le ossa. Ma dentro di loro ritornano al responso sentito, e fra loro rimuginano quelle sentenze, oscure di occulti segreti. Finché, per rassicurare la figlia di Epimeteo, il figlio di Prometeo pronuncia frasi di conforto: «O la ragione mi inganna, o il responso rispetta la devozione filiale, e non vuole invitarci a un crimine. La grande madre[12] è la terra; la terra ha un corpo, e suppongo che i sassi si possano dirne le ossa. Secondo il comando, questi dobbiamo buttarci dietro le spalle».
Sebbene l'abbia colpita la profezia del marito, la figlia del Titano[13] ha ancora paura a sperare: a tal punto diffidano i due dei comandi celesti. Ma a fare una prova, rischio non c'è. Si allontanano, si velano il capo, si sciolgono la tunica e, seguendo il comando, man mano che procedono si buttano dietro dei sassi. E i sassi (chi lo crederebbe, se ad attestarlo non fosse la tradizione?) perdettero via via la durezza e il rigore, si fecero molli col tempo e assunsero, molli, una forma. Quindi, una volta ingrossatisi e presa un'essenza più docile, comincia a potervisi scorgere una sorta di immagine umana, ancora non chiara: li diresti abbozzati nel marmo, piuttosto imprecisi e assai somiglianti a rozze sculture.
La parte dei sassi impregnata di qualche umore e di terra si muta in materia corporea, la parte inflessibile e solida si cambia in ossa: le vene di prima conservano il nome; così, per volere celeste, in breve tempo le pietre gettate dal pugno dell'uomo assunsero aspetto di uomini e rinacque la donna da quelle che ha lanciato la donna. Perciò siamo duri di razza e rotti ai disagi: forniamo le prove del ceppo da cui siamo nati.
Tutti gli altri viventi, in forme diverse, la terra li partorì senza aiuto, una volta scaldati dal fuoco del sole i resti del liquido, e gonfiate dal calore le molli paludi e il fango, e i germi fecondi del tutto, nutriti, a sembianza di un utero materno, da una terra vitale, sbocciarono e assunsero forme, col tempo, di questo o di quello.
Così, ogni volta che lascia i campi fradici il Nilo a sette foci e riporta i flutti nel letto di un tempo, e il fango fresco è bruciato dall'astro del cielo[14], i contadini che vengono a voltare le zolle vi scoprono moltissime cose viventi, qualcuna già perfezionata nell'atto stesso di nascere, qualcuna abbozzata e in difetto degli organi, e spesso in un'unica massa una parte è vivente e un'altra è terra incoerente. Infatti, l'umore e il calore «o mischiati germogliano, e nascono da questi due tutti gli esseri: benché sia nemico dell'acqua il fuoco, l'aria umida e calda genera tutte le cose: è una discordia concorde che favorisce gli embrioni.
Così, non appena rovente la terra infangata di fresco dal diluvio, del sole per l'etere[15] e dell'arsura dall'alto, produsse specie infinite: in parte rifece le fogge di un tempo, in parte inventava nuove e bizzarre creature. In realtà, non avrebbe voluto, ma generò pure te, gigantesco Pitone, serpente mai visto, terrore dei popoli nati da poco «o col tuo dominio su immense regioni montane. Ma il dio dell'arco, che l'arma mortale fin lì non l'aveva saggiata se non a troncare la fuga di daini e caprioli, gli tirò addosso, svuotando la faretra, un migliaio di frecce fino ad ammazzarlo: e versavano veleno, le nere ferite. Perché non potesse offuscare il tempo l'impresa gloriosa, istituì giochi sacri in forma di gare grandiose che chiamò Pitiche, in nome del serpe che aveva abbattuto. E lì riceveva l'onore di una ghirlanda di quercia il giovane primo alla lotta, alla corsa, alla gara dei carri. Non esisteva l'alloro; Febo usava una fronda qualunque per cingerne i lunghi capelli in giro alla splendida fronte.
Il primo amore di Febo, Dafne, la figlia del Peneo[16], non era stata un regalo del caso incosciente, ma del rancore crudele di Cupido.

Comprensione
1.      Riassumi per sequenze il testo di Ovidio
2.      Classifica le sequenze e attribuisci un titolo a ciascuna
Analisi del testo
1.      Individua i verbi transitivi e i verbi intransitivi presenti nel brano di Ovidio e per ognuno fanne un esempio.
2.      Individua i complementi oggetto presenti nel brano
3.      Individua gli attributi presenti nel brano indicando di che tipo di aggettivo si tratta
4.      Componi dieci frasi contenenti la proposizione oggettiva esplicita su argomenti inerenti al brano e trasformale in forma implicita.
5.      Trasforma in discorso indiretto i seguenti brani in cui compare il discorso diretto:
a.       Ma appena Deucalione lo vide deserto e abbandonate le terre a un silenzio profondo, gli vengono agli occhi le lacrime, e così parla a Pirra: «Sorella, moglie, che ormai sei l'unica donna superstite, cui mi lega una stessa famiglia, il rapporto fraterno dei padri, poi il matrimonio, e mi legano adesso le prove subite, tutte le terre che guardano a occidente e a oriente siamo noi due a popolarle; gli altri se li è presi il mare. Perfino la vita che abbiamo, non possiamo ancora fidarcene con certezza; anche ora, le nuvole ci gettano il panico in cuore. Che proveresti, adesso, a trovarti strappata al destino senza di me, disgraziata? In che modo potresti, da sola, sopportare il terrore? Un conforto al dolore, a chi andresti a richiederlo? Quanto a me, credi pure, se il mare si fosse preso anche te ti seguirei, moglie, e il mare si prenderebbe anche me. Ah, se potessi, con l'arte di mio padre, rimettere in piedi le genti, plasmare la terra e soffiarci le anime dentro! Adesso il genere umano dipende soltanto da noi; così hanno voluto i Celesti[17]: restiamo a campione degli uomini».
b.      La dea si commosse, e concesse un responso: «Uscite dal tempio, velatevi il capo e sciogliete la cinta degli abiti; le ossa della gran madre, buttatele dietro le spalle».
c.       Finché, per rassicurare la figlia di Epimeteo, il figlio di Prometeo pronuncia frasi di conforto: «O la ragione mi inganna, o il responso rispetta la devozione filiale, e non vuole invitarci a un crimine. La grande madre[18] è la terra; la terra ha un corpo, e suppongo che i sassi si possano dirne le ossa. Secondo il comando, questi dobbiamo buttarci dietro le spalle».
6.      Quanti  e chi sono i personaggi del testo?
7.      Quali sono le loro caratteristiche fisiche, la loro indole, le loro aspirazioni, le loro qualità, negative o positive. Costruisci un discorso argomentato.
8.      La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta presentazione? Se sì avviene attraverso: a) il narratore, quando questi interviene a fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del personaggio, magari commentando e valutando il suo operato, in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva? b) dal personaggio stesso, quando si tratta di un autoritratto disegnato in prima persona e perciò in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva? c) da un altro personaggio e in tal senso la presentazione è sostanzialmente soggettiva? d) il narratore, dal personaggio stesso e da un altro personaggio: si tratta di una presentazione composita affidata a più persone (narratore, personaggi vari), ognuna delle quali aggiunge secondo il proprio punto di vista una nota al ritratto di un determinato personaggio. Costruisci un discorso argomentato.
9.      Il personaggio è presentato solo in modo indiretto, attraverso le sue azioni, i suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpreta come altrettanti indizi del modo di essere del personaggio stesso.
10.  Il tipo di caratterizzazione introduce aspetti fisici individuali, psicologici individuali, sociali individuali, culturali individuali, ideologici individuali.
Laboratorio
1. In nota sono riportati due brani tratti dall’epopea di Gilgamesh[19] e dalle Bibbia[20] leggili con attenzione riassumili per sequenze. Dividi il tuo foglio di lavoro in tre colonne e riporta come sono scritti gli elementi comuni dei tre brani. Su un altro foglio di lavoro diviso in tre colonne riporta gli elementi di distinzione.
2. Su un altro foglio di lavoro, infine, alla luce di quanto hai studiato a proposito del testo argomentativo, componine uno nel quale ipotizzi le ragioni per cui questo mito è presente in tre fondamentali culture dell’antichità (mesopotamica, ebraica e greca)
3. Componi un testo argomentativo in cui spieghi le ragioni delle differenze fra i tre testi.

Comunicazione. Il testo argomentativo – Per testo argomentativo si intende la presentazione di un’argomentazione, discussione o dimostrazione che si fa adducendo argomenti favorevoli e contrari a quanto si espone; le argomentazioni sono ragioni, opinioni, prove, pro o contro una certa tesi.
Sono testi argomentativi sono i saggi, gli articoli problematici.
Oggetto dell’argomentazione possono essere:
·         idee, problemi, previsioni, fatti, comportamenti.
Il testo argomentativo può:
·         riguardare un fatto di attualità
·         affrontare un argomento di carattere generale o culturale di qualsiasi disciplina.

Riflessioni sulla lingua. Verbi transitivi e verbi intransitivi - Un verbo è transitivo quando l’azione transita direttamente su qualcosa o qualcuno; in altre parole, quando il verbo può reggere un complemento oggetto.
Per esempio il verbo dirigere è transitivo perché regge un complemento oggetto come un’azienda, un’orchestra, il traffico, ed altro.
Il verbo nuotare, invece, è intransitivo perché non può reggere in alcun modo un complemento oggetto.
Alcuni verbi transitivi, in certi casi, possono avere un significato intransitivo.
Possiamo dire: “Piero legge il quotidiano”, ma possiamo dire soltanto: Pierolegge, per dire che è impegnato nell’attività della lettura.
Ugualmente si può dire: Baglioni canta Questo piccolo grande amore, ma se togliamo il complemento oggetto, resta Baglioni canta, il che significa che l’attività di Baglioni è cantare.
Viceversa, alcuni verbi intransitivi possono avere un complemento oggetto (detto complemento oggetto interno) che ha la stessa radice del verbo o che comunque ha una correlazione con esso.
Ha vissuto una vita intensa. (Vivere e vita hanno la stessa radice.)
Egli pianse lacrime amare. (Fra piangere e lacrime c’è un nesso di significato.)

Riflessioni sulla lingua. Complemento diretto o complemento oggetto - Esso indica l’oggetto sul quale cade direttamente l’azione espressa dal verbo transitivo attivo[21]. Risponde alla domanda chi? che cosa?
Es.: Luca legge il giornale.
Luca (soggetto) legge (predicato) il giornale («che cosa»? complemento oggetto).

Riflessioni sulla lingua. Attributo - È un aggettivo che, accompagnando un nome, gli attribuisce una qualità o un’altra determinazione: per questo gli aggettivi si distinguono in aggettivi qualificativi ed aggettivi determinativi o pronominali[22].
Es.: I libri usati (attributo) non mi piacciono.
La mia (attri­buto) casa è in collina, ecc.

Riflessioni sulla lingua. La proposizione oggettiva - La proposizione subordinata oggettiva è una proposizione subordinata che fa da complemento oggetto al predicato della reggente:
Es Desideriamo che tu sia presente (prop. subordinata oggettiva).
Es.: Desideriamo la tua presenza (complemento oggetto).
Diversamente dalla soggettiva, la proposizione oggettiva dipende sempre da reggenti con il predicato costituito da un verbo usato in forma personale, cioè fornito di soggetto espresso o sottinteso. In particolare, può essere retta:
·         da verbi che enunciano una dichiarazione, come dire, affermare, proclamare, comunicare, informare, rivelare, raccontare, riferire, promettere, scrivere, telegrafare, telefonare, rispondere, negare ecc.:
“Gli zii hanno scritto che verranno qui a Natale”; “Ti prometto che rientrerò presto”; “Rispose che non sapeva nulla”;
·         da verbi che indicano percezione o ricordo, come vedere, sentire, udire, percepire, accorgersi, degnarsi, rifiutarsi, capire, dimenticare ecc.:
“Ho sentito che stavano litigando”;
“Ricorda che devi finire subito quel lavoro”;
·         da verbi o locuzioni che indicano opinione, giudizio, sospetto, dubbio o ipotesi, come credere, pensare, ritenere, giudicare, supporre, ipotizzare, convincere, essere conscio, essere consapevole, essere convinto, rendersi conto ecc.:
“Credo che lo spettacolo finirà fra poco”;
“Perché ritieni che abbia ragione Mario?”;
“Si convinse di essere un incapace”;
·         da verbi o locuzioni che indicano concessione, speranza, desiderio, ordine, divieto, timore, come desiderare, sperare, comandare, vietare, impedire, proibire, permettere, concedere, promettere, temere, essere desideroso, essere timoroso ecc.:
“Temo che non otterremo alcun risarcimento”;
“Gli impediremo di fare altri danni”.
Nella forma esplicita, l’oggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·         all’indicativo, se la reggente annuncia un fatto come reale o certo:
“Paolo dice che gli hai mentito”;
·         al congiuntivo, se la reggente presenta il fatto come un’opinione o un’ipotesi:
Es: Paolo crede che tu gli abbia mentito;
·         al condizionale, se la reggente presenta il fatto come possibile:
Es: Paolo pensa che saresti capace di mentirgli.
Nella forma implicita, invece, l’oggettiva è introdotta dalla preposizione di e ha il verbo all’infinito:
Es: Spero di rientrare per le sette;
Es: Ricordati di passare dal meccanico.
Come appare dagli esempi, la costruzione implicita dell’oggettiva, di norma, è possibile solo se il soggetto della reggente è lo stesso di quello dell’oggettiva. Essa, tuttavia, è possibile, anche se i soggetti non coincidono:
·         con i verbi come ordinare, comandare, richiedere, proibire, vietare, impedire, concedere ecc.:
Es: Il generale ordinò ai soldati di attaccare battaglia;
Es: Vi prego di tacere;
Es: Il medico ha proibito al nonno di alzarsi;
·         con i verbi indicanti percezione, come sentire, udire, vedere ecc. In questo caso, però, l’infinito non è preceduto dalla preposizione di:
Es: Sento abbaiare il cane;
Es: Vide arrivare i bambini di corsa.
·         Con questi verbi, inoltre, l’oggettiva implicita può essere trasformata sia in un’oggettiva esplicita, sia in una dipendente relativa

Riflessioni sulla lingua. Discorso diretto e discorso indiretto - Il discorso direttosi ha quando il narratore riporta in forma di dialogo le parole dei personaggi. Le battute sono segnalate dall’uso di formule del tipo dissi, sussurrò, chiesero.. seguite dai due punti e virgolette.
Il discorsoindiretto è il modo in cui vengono riportate, in una proposizione subordinata, le parole dette in precedenza.
C’è da un lato la possibilità di riportare quanto è stato detto ripetendo l’enunciato in forma invariata e usando per esempio le virgolette:
Es.: Luigi XIV disse: “Lo stato sono io”.
In questo caso si riporta l’enunciato usando il discorsodiretto.
Con il discorso indiretto, al contrario, l’enunciato è integralmente incorporato in quello di chi lo sta citando:
Es.: Luigi XIV disse che lo stato era lui.
Dato che il contesto in cui l’enunciato è prodotto non è più lo stesso, nasce la necessità di adattare ogni forma di deissi, cioè tutte le indicazioni di tempo, persona e di luogo.
Quando il verbo è al presente, la seconda frase non cambia.
Es.: Mario dice: “Sta per piovere”
Mario dice che sta per piovere.
Quando il verbo è al passato, sono necessari alcuni cambiamenti nella seconda frase. Il presente cambia nel passato, il futuro cambia nel condizionale molte volte.
Es.:La signora ha detto: “Voglio il vestito bianco”
La signora ha detto che voleva il vestito bianco.
Io ho insistito: “Non uscirò prima delle nove”         
Io ho insistito che non uscivo prima delle nove.
Mio nonno mi ha detto: “Ti racconto una storia”.
Mio nonno ha detto che mi  avrebbe raccontato racconterò una storia”.
Quando i verbi sono al presente e al passato.
Es.: Il padre dice: “So che Piero ha mangiato al ristorante italiano”
Il padre dice che sa che Piero ha mangiato al ristorante italiano
Dario  ha detto al preside : “Mi dispiace, che mi sono comportato male”
Dario ha detto al preside che gli dispiaceva di essersi comportato male.
La figlia dice alla mamma: “domani vengo con te al mercato”       
La figlia dice alla mamma che il giorno dopo va con lei al mercato.
Il papà dice al figlio: “lavati bene”.
Il papà dice al figlio di lavarsi bene.

Educazione letteraria. I personaggi – Un altro elemento base della storia è costituito dai personaggi. Essi sono coloro che eseguono le azioni o le subiscono; senza di loro è impossibile immaginare di muovere alcun atto narrativo.
La costruzione di un personaggio con le sue caratteristiche fisiche, la sua indole, le sue aspirazioni, le sue qualità, negative o positive, avviene attraverso la delineazione dei tratti caratterizzanti del suo aspetto e della sua personalità.
La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta presentazione che può avvenire attraverso tre modalità fondamentali:
11.  dal narratore, quando questi interviene a fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del personaggio, magari commentando e valutando il suo operato, in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva.
12.  dal personaggio stesso, quando si tratta di un autoritratto disegnato in prima persona e perciò in tal senso la presentazione è sostanzialmente oggettiva;
13.  da un altro personaggio e in tal senso la presentazione è sostanzialmente soggettiva;
14.  dal narratore, dal personaggio stesso e da un altro personaggio: si tratta di una presentazione composita affidata a più persone (narratore, personaggi vari), ognuna delle quali aggiunge secondo il proprio punto di vista una nota al ritratto di un determinato personaggio.
Talvolta il personaggio è presentato solo in modo indiretto, attraverso le sue azioni, i suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpretare come altrettanti indizi del modo di essere del personaggio stesso.
La costruzione del personaggio prosegue per tutto il corso della narrazione, attraverso un processo di caratterizzazione, attuato mediante un accumulo di elementi che potranno emergere dalle vicende stesse, dal giudizio di altri personaggi, da annotazioni più o meno ampie del narratore e così via. Il tipo di caratterizzazione più frequente è quella fisica e psicologica a cui si possono aggiungere altri livelli di analisi, importanti ma non indispensabili:
·         Livello fisico ossia la descrizione dell’aspetto fisico (magro grasso, alto magro, atletico robusto) e dei caratteri somatici (capelli, fronte, occhi, naso, bocca)
·         Livello psicologico ossia l’analisi di sentimenti, emozioni e stati d’animo che il personaggio vive in determinate circostanze della vicenda.
·         Livello sociale ossia la analisi della classe sociale cui il personaggio appartiene connessa ai due elementi dello status[23] e della stratificazione sociale[24].
·         Livello culturale ossia l’analisi del tipo di cultura che possiede.
Livello ideologico ossia l’analisi dei valori e degli ideali in cui crede.


[1] Le Metamorfosi è un’opera di circa 12.000 esametri, divisi in 15 libri, in cui sono inseriti circa 250 miti di trasformazione. L’argomento dell’opera è dunque mitologico.
Le Metamorfosi fu iniziata all’incirca nel 3 d.C. e portata a termine nell’8 d.C., poco prima che Ovidio ricevesse l’ordine di lasciare Roma.
I criteri con cui i miti risultano inseriti nelle Metamorfosi di Ovidio sono vari. A volte si tratta di legami di somiglianza: un mito ne richiama un altro per analogia di situazioni e di risvolti psicologici. Spesso i miti sono collegati dall’appartenenza o alla stessa area geografica, oppure alla stessa famiglia.
Nei primi due libri sono collocati i miti relativi alla trasformazione del Caos nei vari elementi della natura, poi la creazione dell’uomo, il diluvio universale, l’incendio della terra causato da Fetonte, la rinascita degli uomini ad opera di Deucalione e Pirra.
Si entra, poi, a partire dal libro III, nell’età dei semidei e degli dei, e delle loro passioni per gli esseri umani. Sono narrati quindi i miti di uomini tramutati in animali, in piante, o in esseri inanimati.
[2] Publio Ovidio Nasone (Sulmona 43 a.C.-Tomi, Mar Nero 17 d.C.) nacque da una ricca famiglia appartenente al ceto equestre. A 12 anni venne inviato con il fratello a Roma, dove frequentò le scuole dei retori più famosi del tempo, Arellio Fusco e Porcio Latrone. Completò la sua formazione ad Atene, come tutti i giovani di buona famiglia; in seguito visitò l'Asia Minore, l'Egitto e la Sicilia. Tornato a Roma, iniziò, come era desiderio dei genitori, la carriera pubblica, limitandosi tuttavia a magistrature minori, con il compito di far eseguire le pene capitali e risolvere le cause di cittadinanza. Ma la politica non faceva per lui: Ovidio amava la vita brillante e la poesia, alla quale si dedicò interamente.
Nel circolo di Messalla Corvino - La facilità a comporre versi si era svelata fin dal suo arrivo a Roma: com'era di moda li recitava con successo in pubblico. Questo talento lo portò a entrare nel circolo culturale di Valerio Messalla Corvino. Frequentò i migliori poeti del tempo, da Orazio a Properzio e a Tibullo; conobbe, anche se solo marginalmente, Virgilio. Aveva già composto una tragedia, Medea, ora perduta, ma fu la pubblicazione delle prime sue elegie amorose, gli Amores e le Heroides, che gli procurò immediatamente, a circa trent'anni, un largo successo, facendolo diventare il poeta prediletto degli ambienti mondani, interprete della loro vita elegante e disimpegnata, lontana ormai dai travagli delle guerre civili. Seguirono l'Ars amatoria, i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Successivamente, dopo la morte di Messalla nel 3 d.C., Ovidio cambiò la sua produzione, dedicandosi, con i Fasti e le Metamorfosi, a una poesia meno frivola e più impegnata. Si sposò tre volte, ma solo l'ultimo matrimonio, con Fabia, fu duraturo.
L'esilio a Tomi – La vita di Ovidio cambiò radicalmente nell'8 d.C., quando Augusto lo relegò a Tomi (oggi Costanza), luogo inospitale sul Mar Nero e lontanissimo dalla vita agiata di Roma, senza il conforto della famiglia e degli amici. I motivi di questo provvedimento, che fu un soggiorno obbligato più che un vero e proprio esilio, dato che non ci fu un processo, non sono accertabili con precisione: lo stesso Ovidio attribuisce la causa a duo crimina, carmen et error (due colpe, una poesia e un errore). Il carmen era forse l'accusa di immoralità mossa alla sua Ars amatoria (che, tuttavia, al tempo del confino, era già stata pubblicata da molti anni), e l'error era probabilmente un coinvolgimento del poeta nello scandalo che travolse la nipote di Augusto, la spregiudicata Giulia Minore (19 a.C.-28 d.C.). I suoi libri furono tolti dalle biblioteche. A Tomi Ovidio scrisse i Tristia, le Epistulae ex Ponto e l'Ibis. Tutti i tentativi di ottenere la grazia, suoi e della moglie, teneramente amata, furono respinti da Augusto. Nel vuoto caddero anche, dopo la morte di Augusto (14 d.C.), le speranze di clemenza poste in Germanico e in Tiberio. Morì a Tomi e lì fu sepolto, nonostante il suo desiderio di essere sepolto a Roma.
[3] l’Elide, regione della Grecia
[4] Aoni – Popolo che abitava l’Aonia, una regione montuosa dell'antica Grecia posta in Beozia ai confini con la Focide.
[5] Il Monte Parnaso è una montagna del centro della Grecia, che domina la città di Delfi. Particolarmente venerato durante l'antichità, il Parnaso era consacrato al culto del dio Apollo e alle nove Muse, delle quali era una delle due residenze.
[6] Abitavano nell'antro di Corice ai piedi del monte Parnaso, da cui deriva il loro nome.
[7] Temi è una figura della mitologia greca. Secondo Esiodo Temi era una titanide, figlia di Urano e Gea, e fu una delle spose di Zeus. Il significato del nome Temi è "irremovibile", e forse per questo motivo questa figura mitologica fu considerata non tanto una dea, quanto la personificazione dell'ordine, della giustizia e del diritto, tanto che si usava invocarla nel momento in cui qualcuno doveva prestare un giuramento.
[8] Tritone è, nella mitologia greca, il figlio di Poseidone il dio del mare e della nereide Anfitrite. Tritone aveva un corno di conchiglia il cui suono calmava le tempeste e annunciava l'arrivo del dio del mare. Tritone veniva raffigurato con la metà superiore umana e quella inferiore a forma di pesce, tutta la pelle era verde.
[9] Epiteto greco del dio Apollo: "splendente", "luminoso", "puro"[
[10] Gli dei
[11] Fiume della Beozia, nasce dal monte Parnaso, scorre per 114 km e sfocia nel golfo di Eubea dopo aver alimentato alcuni laghi fra cui il Lago Copaide
[12]La Grande Madre è un'ipotetica divinità femminile primordiale, la cui esistenza è stata teorizzata ma mai dimostrata. Essa sarebbe presente in quasi tutte le mitologie note ed attraverso essa si manifesterebbe la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l'umano e il divino.
Essa attesterebbe l'esistenza di una originaria struttura matrifocale nelle civiltà preistoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
[13] Pirra, figlia di Epimèteo
[14] Il sole
[15] Etere. cielo
[16] Penèo (Πηνειός), dio fluviale della mitologia greca, dà origine al nome dell'omonimo fiume della Tessaglia. Figlio di Oceano e Teti.
[17] Gli dei
[18]La Grande Madre è un'ipotetica divinità femminile primordiale, la cui esistenza è stata teorizzata ma mai dimostrata. Essa sarebbe presente in quasi tutte le mitologie note ed attraverso essa si manifesterebbe la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l'umano e il divino.
Essa attesterebbe l'esistenza di una originaria struttura matrifocale nelle civiltà preistoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
[19] Gilgamesh: il diluvio - Presi con me tutto quanto avevo, l’intero frutto della mia vita, e lo portai nella barca; imbarcai poi la famiglia e tutti i parenti, gli animali dei campi, le bestie del pascolo e le genti da lavoro.
Salii nella barca e chiusi la porta. Quando il nuovo giorno sorse luminoso, una nuvola nera si raggomitolò lontano sull’orizzonte. Il chiarore del giorno si trasformò d’un tratto nella notte e il fratello non vide più il fratello.
Gli dèi erano pieni di spavento davanti al diluvio. Durante sei giorni e sei notti si gonfiarono la tempesta e il diluvio, il dio Uragano regnò sul paese. Quando il settimo giorno spuntò, si placò la tempesta, si spianò la marea che aveva infuriato come un esercito in guerra; le onde si fecero tranquille, cessò il vento tempestoso e i flutti smisero di salire. Guardai verso l’acqua, il suo mugghiare si era ammutolito: tutti gli uomini erano diventati fango! Il fango arrivava all’altezza dei tetti! Guardai verso terra, verso l’orizzonte del mare; lontano, molto lontano, emergeva un’isola.
L’imbarcazione arrivò al monte Nisser e rimase ancorata. Quando spuntò il settimo giorno liberai una colomba e la mandai lontano, e la mia colomba volò via poi tornò indietro. Presi una rondine e la lasciai volare, e la mia rondine volò via e ritornò, poiché non aveva trovato un posto dove posarsi. Presi un corvo e lo lasciai volare, e volò via e vide che lo specchio dell’acqua si abbassava; si nutrì, volò intorno, gracchiò e non tornò più indietro.
La saga di Gilgamesh, a cura di G. Pettinato, Rusconi, Milano 1992
[20] Bibbia Il Diluvio - E il Signore disse a Noè: “Entra nell’arca tu, e tutta la tua famiglia, poiché io ti ho riconosciuto giusto dinnanzi a me in mezzo a questa generazione. Di tutti gli animali puri ne prenderai sette coppie, maschio e femmina, e degli animali impuri una coppia, maschio e femmina, affinché se ne conservi la razza sopra la faccia della terra. Poiché di qui a sette giorni io farò piovere sopra la terra per quaranta giorni e quaranta notti, e sterminerò dalla faccia della terra tutti i viventi che ho fatto”. Fece adunque Noè tutto quello che il Signore gli aveva comandato. E passati sette giorni le acque del diluvio inondarono la terra.
E venne il diluvio sulla terra per quaranta giorni. E le acque coprirono la terra per centocinquanta giorni. Quando le acque cominciarono a diminuire Noè mandò fuori il corvo, il quale uscì e non tornò, fino a tanto che le acque fossero seccate sulla terra. Mandò ancora dopo di lui la colomba per vedere se le acque fossero diminuite. Ma la colomba non avendo trovato ove posare il suo piede, tornò a lui nell’arca. E avendo aspettato altri sette giorni, mandò di nuovo la colomba fuori dell’arca.
Ed essa tornò a lui la sera portando in bocca un ramo di ulivo con verdi foglie. Intese dunque Noè che le acque erano cessate sopra la terra. Nondimeno aspettò altri sette giorni e rimandò la colomba, la quale non tornò più a lui.
La Bibbia di Gerusalemme, Genesi 6-8, Edizioni Dehoniane, Bologna 1985
[21]Verbi transitivi e verdi intransitivi – La prima importante classificazione del verbo è quella che distingue i verbi transitivi e quelli intransitivi.
Si chiamano transitivi i verbi che possono avere un complemento oggetto.
Es. Marco legge un libro
Non sempre però i verbi transitivi, per avere senso compiuto, devono essere seguiti da un complemento oggetto;
Es. Marco legge
In tal caso il verbo transitivo è usato in forma assoluta, senza complemento oggetto, ma continua a rimanere transitivo.
Sono intransitivi i verbi che non possono avere un complemento oggetto:
Es. L’uomo impallidì;
Es. Giovanni è partito;
Es. Siamo finalmente arrivati;
Es. Io esco.
Nel primo caso il verbo impallidire indica uno stato; negli altri tre i verbi (partire, arrivare, uscire) indicano un’azione. Si tratta comunque di uno stato e di un’azione che si esauriscono nel soggetto, tant’è vero che i verbi non sono nemmeno seguiti da un complemento. Anche se il complemento ci fosse, servirebbe solo a precisare alcune circostanze dello stato o dell’azione, ma non potrebbe mai essere un complemento oggetto.
La forma del verbo – La seconda importante classificazione del verbo e quella che riguarda la forma Esistono tre modi di coniugare i verbi:
1.       per esprimere un’azione compiuta dal soggetto, si coniugano i verbi nella forma attiva;
2.       per esprimere un’azione subita dal soggetto, si usa la forma passiva, formata dal verbo essere (o, in certi casi, venire, andare, finire, restare), seguito dal participio passato del verbo;
3.       per esprimere un’azione che è compiuta dal soggetto e che termina sul soggetto stesso, si usa la forma riflessiva, in cui il verbo è preceduto da una delle particelle mi, ti, si, ci, vi.
La forma riflessiva a sua volta può essere:
·         propria: soggetto e complementooggetto coincidono ("Piero si veste").
·         apparente: le particelle mi, ti, si, ci, vi non svolgono la funzione di complemento oggetto, ma di complementoditermine ("Piero si asciuga i capelli" = "Piero asciuga i capelli a sé", dove "i capelli" è il complemento oggetto e "si" = "a sé" è il complemento di termine).
·         reciproca: l’azione è compiuta e subita scambievolmente da due soggetti ("Piero e Carlo si salutano" = "Piero saluta Carlo e Carlo saluta Piero").
N.B.: Alcuni verbi hanno una forma pronominale che è simile a quella riflessiva, ma non c’entra affatto: le particelle mi, ti, si, ci, vi fanno parte del verbo stesso. Per esempio, "Piero si pente" non significa "Piero pente se stesso": infatti "pentirsi" è un verbo che ha la forma pronominale.
[22] Gli aggettivi determinativi – Detti  anche aggettivi pronominali, perché sono simili ai rispettivi pronomi, solo che non fanno le veci di un nome, ma lo accompagnano come aggettivo.
Tra gli aggettivi determinativi sono da includere:
·         L’aggettivo possessivo indica a chi appartiene il sostantivo a cui si riferisce. Essi sono: mio, tuo, suo, proprio, nostro, vostro, loro, altrui
Es.: La mia casa, la tua automobile, i suoi libri.
·         Gli aggettivi interrogativi introducono una domanda diretta o indiretta al fine di chiedere indicazioni circa il nome a cui si riferiscono. Essi sono: che, quale, quanto.
·         L’aggettivo correlativo stabilisce un confronto. Essi sono: tale, quale.
Es.: Tale il padre, tale il figlio.
Sono due fratelli. Tali e quali.
·         L’aggettivo dimostrativo (detti anche indicativi o identificativi) determinano vicinanza o lontananza da chi sta parlando o a chi  ascolta (questo, codesto, quello) oppure rapporti di identità (stesso, medesimo, altro ecc.) 
Es.: Questo libro è interessante.
·         Gli aggettivi indefiniti qualificano il nome con una quantità o qualità approssimata o indeterminata. Questi aggettivi indicano una quantità generica: alcuno  (significa nessunapersona e si usa nelle frasi negative) Es.: Non ho incontrato alcuno dei miei amici.
alquanto  (indica una quantità intermedia fra poco e molto) Es.: Marco è alquanto ingrassato.
altrettanto  (indica una quantità uguale a un’altra) Es.: Questo vino è altrettanto buono di quell’altro.
altro  (indica una quantità nuova ma non precisa) Es.: Abbiamo deciso di seguire un altro percorso.
certo  (indica una piccola quantità o una persona che non si conosce) Es.: Ho un certo appetito.
ciascuno  (significa tutti, uno per uno) Es.: Ciascuno dei dipendenti ha ricevuto in regalo un dizionario.
molto  (indica una grande quantità) Es.: La nostra azienda ha investito molto denaro per questo progetto.
diverso  (inserito prima del nome indica una quantità grande, anche se non quanto l’aggettivo molto; inserito dopo il nome significa dialtrotipo) Es.: Sandro ha incontrato diverse persone al ricevimento.
nessuno  (indica l’assenza totale di quantità) Es.: Oggi non è venuto nessun amico a trovarmi.
ogni  (significa tutti uno per uno) Es.: Ogni socio ha partecipato all’assemblea di fine anno.
parecchio  (indica una quantità intermedia fra poco e molto) Es.: Per svolgere questo lavoro è necessario parecchio tempo.
poco  (indica una quantità piccola ma imprecisata.) Es.: Lo spettacolo ha avuto poco successo.
qualche  (indica una quantità appena più grande di poco; a volte indica incertezza) Es.: Qualche anno fa eravamo andati in vacanza in Olanda.
quanto  (in correlazione con ‘tanto’ indica una quantità uguale a un’altra) Es.: Giulia ha tanto fascino quanta intelligenza.
tale (preceduto dall’articolo indica una cosa o una persona in modo indeterminato. Preceduto da ‘quello/a’ indica cosa o persona nota) Es.: Mi ha detto che doveva incontrare la tale persona.
taluno  (indica una quantità di persone o di oggetti imprecisata) Es.: Taluni studenti parteciparono alla manifestazione.
tanto (indica una quantità anche più grande di molto) Es.: Possiede tanto denaro.
troppo  (indica una quantità eccessiva) Es.: Ho messo troppo zucchero nel caffè.
tutto  (indica una quantità totale) Es.: Siamo partiti con tutta calma. vario (prima del nome indica una quantità grande, ma meno di quella indicata dall’aggettivo molto; dopo il nome indica diversità) Es.: Per vario tempo non l’ho più incontrato.
Questi aggettivi indicano una qualità generica: qualsiasi  (indica una persona o una cosa generica, senza importanza) Es.: Qualsiasi persona saprà indicarti la strada per arrivare alla stazione. qualunque  (indica una persona o una cosa generica, senza importanza.) Es.: Possiamo andare a trovare mio zio in qualunque momento.
[23] Status sociale - Lo status identifica la posizione di un individuo nei confronti di altri soggetti nell'ambito di una comunità organizzata.
Le norme sociali di attribuzione dello status dipendono dal gruppo sociale e possono essere molto variegate: possesso di beni materiali, posizione lavorativa, cultura, posizioni di potere.
Queste disuguaglianze generano la stratificazione sociale.
Lo status si differenzia dal potere in quanto quest'ultimo consiste nel costringere le persone a fare ciò che non vogliono; quando ad un individuo, invece, viene tributato un particolare rispetto si parla di attribuzione di prestigio o di status.
Si parla di status ascritto quando questo è assegnato in base alle proprie caratteristiche naturali, quali l'età, il sesso, la salute fisica.
Si parla di status acquisito quando una condizione si acquisisce e si modifica nel corso della vita attraverso capacità e volontà personali, ad esempio una persona è un "medico" in quanto laureato in medicina.
Lo status infine si colloca su una dimensione orizzontale della stratificazione sociale, quella delle relazioni tra pari, mentre il potere è indicativo del posizionamento sulla dimensione verticale.
[24]Stratificazione sociale – Per stratificazione sociale si intende la divisione in gruppi generalmente non paritari che avviene all'interno di quasi la totalità delle società, ponendo l'accento sugli elementi strutturali delle disuguaglianze sociali, nei due principali aspetti:
1. distributivo, riguardante l'ammontare delle ricompense materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società,
2. relazionale, che ha invece a che fare con i rapporti di potere esistenti fra loro.
Nel corso dei secoli sono sempre esistiti dei sistemi di stratificazione
La schiavitù è la forma estrema di disuguaglianza, dove delle persone posseggono altre persone. Essa si è manifestata in epoca antica e romana, affievolitasi nel Medioevo, tornò alla ribalta nelle Americhe. Nell’antichità gli schiavi erano impegnati nelle miniere, nell'agricoltura e presso le famiglie con attività anche intellettuali.
Le caste esistono in India da millenni. Tuttavia la loro interpretazione è mutata nel tempo. Oggi, invece le caste sono migliaia, diverse per ampiezza e radicamento locale o nazionale.
Le caratteristiche principali delle caste sono tre:
1.       chiusura, infatti si nasce in una casta e si rimane a vita con anche l’obbligo di endogamia interno ad ogni casta.
2.       specializzazione ereditaria infatti ogni casta ha un ruolo sociale preciso e differenziato dalle altre.
3.       purezza infatti le varie caste sono socialmente e fisicamente divise per non essere infettate dalle impurità delle caste minori.
I ceti è una divisione, esistita in Europa fino alla rivoluzione francese, aveva i seguenti elementi distintivi:
1. Gli status ascritti erano accettati come condizione di immobilità sociale;
2. Fra ceti diversi vi erano differenze sociali sia di fatto che di diritto. (Per esempio nobiltà e clero erano esenti dalle tasse)
3. Ogni ceto richiedeva un determinato stile di vita da parte dei suoi membri.
Una classificazione dei ceti venne proposta già nel mondo antico in base alle rendite di ogni ceto attraverso tre cerchi concentrici di persone:
·         i poveri strutturali (che non guadagnavano);
·         i poveri congiunturali (lavoratori occasionali);
·         i poveri non indigenti (con lavoro stabile ma in difficoltà nelle crisi economiche).
Le classi sociali moderne, nate dalla rivoluzione francese, sono caratterizzate dall’eguaglianza di diritto di tutti i suoi membri. A differenza quindi delle società dell’Ancien régime, le classi moderne sono raggruppamenti di fatto, non di diritto.