III MODULO IL
TESTO POETICO
XI
UNITÀ
Educazione
letteraria. La metrica classica - Nell’età classica la poesia era
quantitativa, si basava cioè sull’alternanza tra sillabe lunghe e sillabe
brevi: il metro più diffuso era l’esametro, verso nei quali è scritto il poema[1] classico. Essa doveva essere letta o
declamata, scandendola rigorosamente a tempo, sebbene recenti studi linguistici
abbiano messo evidenza la natura melodica delle due lingue classiche, che la
faceva assomigliare quasi più alle lingue orientali che alle attuali lingue
neolatine.
Comunicazione
Parafrasi
– La parafrasi indica la trasformazione di un testo scritto nella propria
lingua, ma in un registro linguistico distante (sia esso arcaico, elevato o
poetico) in prosa nel registro medio e attuale.
Il processo di
parafrasi prevede dunque operazioni come:
·
la
ricostruzione sintattica e delle figure sintattiche,
·
la
sostituzione degli scarti linguistici (forma
linguistica antica, scomparsa o desueta) e degli altri scarti linguistici[2]
·
l’esplicitazione
delle figure retoriche di significato
·
la
riscrittura in prosa del testo poetico.
Possono anche
essere operati dei chiarimenti di alcuni punti del testo: una buona parafrasi
include infatti tutti i dettagli e rende il testo originale più semplice da
comprendere. Poiché il testo risultante è normalmente più ampio del testo di
partenza, quest’operazione si oppone a quella del riassunto.
Come necessario
effetto collaterale della parafrasi, il profondo rapporto tra significante e significato, tipico della comunicazione letteraria e fulcro dei
testi poetici finisce normalmente sacrificato.
Riflessione
sulla lingua. La ricostruzione sintattica e delle figure sintattiche – La poesia fonda il suo messaggio sulla
ricerca di un linguaggio particolare, diverso da quello ordinario ed ottiene
quest’effetto anche modificando l’ordine che normalmente le parole assumono
all’interno di una frase.
Lo studio di questi cambiamenti riguarda
l’aspetto sintattico del testo poetico quindi la
parafrasi deriva dall’osservazione su come
vengono disposte le parole nella frase[3]
e le frasi nei periodi[4] e dalla modificazione della costruzione[5] secondo il linguaggio prosastico.
Alcuni di questi cambiamenti, detti figure
sintattiche, caratterizzavano la sintassi della poesia classica e sono stati
ampiamente utilizzati fino alla fine dell’800.
La poesia del
ventesimo secolo utilizza di meno le figure sintattiche, prediligendo invece le
figure di significato, ma questo non significa che esse non si trovino in
moltissimi autori.
Tra le più
comuni figure sintattiche si trovano:
Educazione
letteraria L’esplicitazione delle figure retoriche di significato - Ogni volta che
si usa la lingua, allontanandosi dall’uso standard per ottenere un effetto di
maggiore efficacia si dice che si usa una figura:
essa è quindi l’uso della lingua in modo più o meno distante dall’uso standard.
Lo studio delle
combinazioni possibili e degli effetti determinati da un uso lontano da quello
standard fu iniziato dai Greci nel sec. V a.C.; i Greci chiamarono retorica
(l’arte del dire) questa disciplina.
Le più comuni
figure retoriche del significato sono:
- Allegoria[15]
- antitesi[16],
- Ellissi[17]
- Eufemismo[18]
- Iperbole[19]
- litote[20]
- metafora[21]
- metonimia[22]
- ossimoro[23]
- personificazione[24]
- Preterizione[25]
- Prosopopea[26]
- Similitudine[27]
- Sineddoche[28].
- sinestesia[29]
Riflessioni
sulla lingua. Complemento di
paragone –
Il complemento di paragone indica il secondo termine di un confronto.
Risponde alla
domanda: di chi?, dopo il comparativo di maggioranza o minoranza; come? quanto?
dopo un comparativo[30].
Riflessioni
sulla lingua. Complemento partitivo
-
Il complemento partitivo, è il complemento che indica l’insieme di cui fa parte
l’elemento di cui si parla.
Il complemento
risponde alle domande: tra chi? tra che cosa? all’interno di quale insieme?
Es:.
Il lupo era il più cattivo degli abitanti del bosco
Es:.
Chi
di voi non ha mai sentito la favola di Cappuccetto Rosso?
·
un
sostantivo che indica una quantità.
Es:. Una parte di noi non accettò la proposta.
·
un
pronome numerale.
Es.: A caso verranno scelti quattro fra i
partecipanti.
·
un
aggettivo superlativo relativo.
Es.: La balena è il più grande tra i mammiferi
marini.
·
un
pronome interrogativo.
Es.: Quale delle seguenti parole è un avverbio?
·
un
pronome indefinito.
Es.: Ciascuno dei membri del circolo riceverà
l’invito.
Può essere
introdotto dalle preposizioni “di”, “tra” e “fra”.
Riflessioni
sulla lingua. Proposizioni
comparative – Le
proposizioni comparative sono quelle proposizioni che contengono un confronto
con la reggente, compiono cioè il medesimo ufficio del complemento di paragone;
perciò si distinguono in comparative di
uguaglianza, di maggioranza e minoranza.
Esse sono quasi
sempre esplicite, eccetto quelle rette da piuttosto
che.
Es.: Voglio
studiare piuttosto che giocherellare.
Le proposizioni
comparative sono collegate alla reggente dalle espressioni: più (meno)... che, più (meno)... di quanto, più
(meno)... di quello che, ecc.; al posto di più può esserci meglio,
al posto di meno può esserci peggio. Usano l’indicativo e il
congiuntivo.
Es.: Il mio
nuovo vestito è più elegante di quanto
pensassi. (Proposizione subordinata comparativa di maggioranza).
Es.: È un libro meno interessante di quanto pensassi.
(Proposizione subordinata comparativa di minoranza).
Es.: Ho lavorato
più di quanto mi fosse consentito.
(Proposizione subordinata comparativa di uguaglianza).
XII
UNITÀ
Comunicazione.
Il testo espositivo-informativo – Per testo espositivo si intende la
presentazione esauriente, condotta a scopo informativo, di un determinato
argomento.
Sono testi espositivi la relazione, l’articolo informativo.
Oggetto
dell’esposizione può essere:
·
un argomento di esperienza personale
·
un argomento culturale di qualsiasi disciplina.
Il testo espositivo può:
·
limitarsi a presentare dati, fatti, informazioni
·
far seguire ai dati, ai fatti e alle informazioni la
loro interpretazione.
Comunicazione. Il testo argomentativo – Per testo argomentativo si intende la presentazione di
un’argomentazione, discussione o dimostrazione che si fa
adducendo argomenti favorevoli e contrari a quanto si espone; le argomentazioni
sono ragioni, opinioni, prove, pro o contro una certa
tesi.
Sono testi argomentativi sono i saggi, gli articoli problematici.
Oggetto dell’argomentazione possono essere:
·
idee, problemi, previsioni, fatti, comportamenti.
Il testo argomentativo può:
·
riguardare un fatto di attualità
·
affrontare un argomento di carattere generale o culturale
di qualsiasi disciplina.
Comunicazione. La scrittura documentata – Per scrittura documentata si intende una scrittura basata su altri
scritti, testi o fonti da cui attingere, per elaborare
un nuovo documento.
La scrittura documentata muove dunque da una
base documentaria che può essere acquisita:
·
attraverso una ricerca bibliografica
·
ricavata da un singolo testo
·
raccolta attraverso una ricerca sul campo.
Forme di scrittura documentata sono l’articolo, la relazione ed
il saggio breve.
La scelta di un modello di scrittura, tra quelli previsti
dall’esame di stato, presuppone, da parte di chi scrive,
la conoscenza dei requisiti specifici che differenziano un modello di scrittura
da un altro, soprattutto in base
·
alle differenti funzioni comunicative
·
alle diverse norme di trasmissione
del messaggio
·
al contesto
·
allo scopo
·
al punto di vista dell’emittente
·
all’attenzione
·
al destinatario
Comunicazione. L’articolo. – L’articolo[31]
è uno scritto pubblicato su un giornale e può riguardare vari argomenti: informazione, opinione, scientifico, letterario, sportivo ed
altro.
Il giornale raccoglie testi di varia natura e dotati di caratteristiche
specifiche: in ogni giornale si può individuare una varia tipologia di articoli
prodotta da vari fattori
·
modo
di raccolta dei contenuti
·
natura
dell’argomento
·
tecniche
di stesura
·
scopi
del testo.
Fondamentalmente ci sono due tipi di articolo:
1.
l’articolo informativo che riferisce fatti,
avvenimenti, dichiarazioni, nel quale le unità informative possono essere separate da quelle di valutazione e di
commento;
2.
l’articolo problematico che prende spunto da un
fatto per far emergere un problema, discuterlo,
commentarlo nel quale le unità informative implicano anche una valutazione
perché il giornalista ha utilizzato delle parole
connotate.
Tuttavia i due aspetti, dell’informare e del discutere o del
commentare, possono essere presenti nello stesso articolo che potrà essere
definito informativo-problematico, in parti distinguibili o no.
“I fatti separati dalle opinioni” è una delle regole auree del
giornalismo, in base alla quale l’articolista
dovrebbe sempre separare il resoconto dei fatti dalle sue personali riflessioni
e dal suo commento[32].
Non è sempre facile presentare i fatti separati dalle opinioni, ma
quando ciò avviene le riflessioni indotte dagli eventi riferiti
sono inserite in uno spazio programmaticamente assegnato
al commento.
Quanto alla struttura compositiva dell’articolo di cronaca, si
distinguono le seguenti norme:
1.
esposizione secondo l’ordine cronologico, quando i fatti
sono narrati nell’ordine in cui sono accaduti;
2.
disposizione delle notizie in ordine di piramide
rovesciata, quando si comunica prima la
notizia più importante, poi le altre in ordine di interesse decrescente[33].
notizia più importante, poi le altre in ordine di interesse decrescente[33].
3.
Riflessioni conclusive
Comunicazione. La stesura – Nella stesura del testo, occorre prestare attenzione all’uso di un
italiano corretto, alla scelta di uno stile appropriato e,
soprattutto, coerente per tutta la lunghezza
dell’elaborato; uno degli errori più frequenti consiste
nell’oscillazione stilistica, nell’incapacità di mantenere lo stesso registro e
lo stesso tono attraverso le frasi e i paragrafi.
Nello scrivere è opportuno rispettare la regola basilare della
chiarezza: il nostro punto di vista su una pagina di storia, su un evento
culturale, su un fenomeno sociale, su un aspetto della vita politica ed
economica deve essere comunicato in maniera semplice e accessibile a tutti i
lettori.
Per questo argomenti, analisi, riflessioni e valutazioni vanno esposti
in modo sintetico e chiaro, poiché sono diretti anche a persone
che non necessariamente hanno un elevato grado di
cultura.
Questo obiettivo si raggiunge con:
·
una buona distribuzione del contenuto informativo
all’interno del testo: nella distribuzione delle
idee-informazioni, non dimenticare mai il lead[34], cioè l’inizio
che corrisponde alle prime cinque-dieci righe del testo. Il lead è
dunque il nucleo centrale dell’argomento che s’intende
trattare.
·
opportune scelte lessicali: per farsi capire si useranno
termini comunemente adoperati dalla maggior parte delle persone, cioè quelli
del lessico italiano di base, ma è sconsigliabile
cedere alle forme del linguaggio parlato. Ogni riferimento storico ed i termini
scientifici, economici, sociologici devono essere resi in un linguaggio
mediale: quando si fa uso del lessico tecnico, bisogna proporzionarlo al tipo
di destinatario.
·
un’esatta strutturazione del periodo: si consiglia di
preferire una costruzione il più possibile lineare,
essenziale, magari elementare. È opportuno limitare i periodi a
venti-venticinque-trenta parole, virgole, articoli e
preposizioni inclusi, per non mettere mai il lettore in
condizioni disperdere il filo.
·
la punteggiatura: vale la regola di leggere a voce alta:
se manca il fiato, c’è qualcosa che non va.
·
È necessario, infine, evitare gli incisi, le elencazioni
meticolose, le lunghe citazioni, perché disturbano la
semplicità lineare della frase, rischiano di appesantirla dandole un andamento tortuoso: in poche parole annoiano.
Nella fase di revisione e controllo bisogna:
·
Verificare la pertinenza e la messa a fuoco del problema;
·
Verificare la completezza delle informazioni che sono
state proposte;
·
Verificare l’articolazione logica del discorso e quindi
la corretta disposizione delle varie
argomentazioni;
·
L’uso dei termini del sottocodice specialistico deve
essere opportuno e appropriato;
·
Verificare la costruzione sintattica delle frasi,
l’ortografia, la punteggiatura.
Nella fase di rilettura-correzione
bisogna:
·
eliminare ogni informazione non strettamente
indispensabile;
·
eliminare tutte le ripetizioni e le parole superflue che
non aggiungono nulla di sostanziale all’argomentazione;
·
eliminare gli aggettivi e gli avverbi inutili;
·
fare in modo che lo stile sia rigoroso e controllato
adeguato al livello del destinatario e coerente con il tema trattato.
Riflessione
sulla lingua. Proposizioni relative – La proposizioni relative sono
proposizioni completive che si collegano alla reggente con un pronome, avverbio
o aggettivo relativo:
che,
il quale, cui, colui il quale, colui che, dove, donde, dovunque, comunque,
intanto, che, chi,
ecc[35].
Le proposizioni
relative sono rette da un pronome o da un avverbio relativo (che, il quale,
cui, dove) che richiama nella subordinata un sostantivo (o anche
un pronome) della principale; questo sostantivo, che funge da base della
relativa, è detto antecedente.
Es.:Ma quelli
presero la strada dond’era lui venuto.
(Manzoni). (Proposizione subordinata relativa).
Es.: Mi è
piaciuto il regalo che mi hai mandato.
(Proposizione subordinata relativa)
Riflessione
sulla lingua. Complemento di fine – Il complemento di fine esprime lo scopo
per cui si compie un’azione ed è formato da un sostantivo preceduto da preposizioni
quali a, da, in, per o da locuzioni come a fine di, a scopo di.
Es.:Si faccia
attenzione a non confonderlo con il complemento di limitazione!
Es.:Tutti i
popoli si adoperano per la pace
Proposizioni
finali – Sono
quelle proposizioni che indicano lo scopo o il fine di ciò che è espresso
nella reggente.
Le proposizioni
finali possono avere la forma esplicita
con il verbo al congiuntivo introdotte dalle congiunzioni finali perché, affinché, acciocché, ecc.
Es.: Ti ho
regalato il libro affinché tu io leggessi. (Proposizione subordinata finale
esplicita).
Hanno forma implicita quando sono introdotte dalle
preposizioni, a, di, da, per ed hanno
il verbo all’infinito.
Es.: Domani andremo a Roma per visitare il Museo Etrusco. (Proposizione subordinata
finale implicita).
XIII UNITÀ
Educazione letteraria. La metrica accentuativa – Dopo l’anno mille il volgare, da dialetto
parlato dai ceti popolari, è innalzato a dignità di lingua letteraria,
accompagnando lo sviluppo di nuove forme di poesia e nuove metriche.
In Italia nel
periodo di Dante e del Dolce Stil Novo, la poesia si afferma
come mezzo di intrattenimento letterario e assume forma prevalentemente
scritta: questo porta i poeti italiani a comporre opere più strettamente
aderenti ai canoni grammaticali e stilistici del genere, e a prestare maggiore
attenzione alle qualità visive della parola scritta, come la rima e
l’alternarsi dei versi. Intorno alla fine del 1200 si diffuse anche la poesia burlesca.
Nel XIX secolo, con la nascita del concetto
dell’arte per l’arte, la poesia si
libera progressivamente dai vecchi moduli e compaiono sempre più frequentemente
componimenti in versi sciolti, cioè che non seguono nessuno schema particolare,
e spesso non hanno né una struttura né una rima.
Via via che la
poesia si evolve, si libera dai suoi schemi sempre più opprimenti per poi
diventare forma pura d’espressione.
L’Ermetismo si può definire la forma più
rarefatta di poesia, atta a trasmettere i sentimenti allo stato puro. Ma anche
l’Ermetismo si può definire superato.
Il concetto di
poesia oggi è molto diverso da quello dei modelli letterari; molta della poesia
italiana contemporanea non rientra nelle forme e nella metrica tradizionali ed
il consumo letterario è molto più orientato al romanzo e in generale alla
prosa, spostando la poesia verso una posizione
di nicchia.
Riflessione
sulla lingua. L’accento - In ogni parola c’è una sillaba, pronunziata con
maggiore forza delle altre perchè la voce si ferma su di essa più che sulle
altre. L’insistenza della voce sulla vocale della sillaba si chiama accento
tonico o semplicemente accento.
Le altre sillabe
si dicono atone.
Secondo
l’accento le parole si dividono in:
·
Tronche
o ossìtone,
quando l’accento cade sull’ultima sillaba. Es. bontà, città;
·
Piane
o parossìtone,
quando l’accento cade sulla penultima sillaba: pàne, civìle;
·
sdrucciole
o proparossìtone,
quando l’accento cade sulla terzultima sillaba: classìfica, tàvolo;
·
Bisdrucciole,
quando l’accento cade sulla quartultima sillaba: màndaglielo, scrìvimelo;
·
Trisdrucciole,
quando l’accento cade sulla quintultima sillaba: òrdinaglielo.
In italiano la
maggior parte delle parole sono piane, seguite a lunga distanza dalle
sdrucciole e dalle tronche[36].
È obbligatorio
segnare l’accento grafico:
·
Sulle
parole tronche di due o più sillabe: città, caffè, virtù, mezzodì;
·
Sui
monosillabi che terminano con un dittongo ascendente: può, più;
·
Sui
seguenti monosillabi: ciò, già, giù, scià;
·
Sui
monosillabi che, scritti senza accento, si confonderebbero con altri
monosillabi identici per forma ma diversi per significato:
dà
(verbo)
|
da
(preposizione)
|
dì
(sostantivo)
|
di
(preposizione)
|
è
(verbo)
|
e
(congiunzione)
|
là
(avverbio)
|
la
(articolo)
|
Lì
(avverbio)
|
li
(pronome)
|
né
(congiunzione)
|
ne
(particella
pronominale e avverbio)
|
sì
(avverbio)
|
si
(pronome personale)
|
sé
(pronome)
|
se
(congiunzione o pronome personale atono)
|
L’accento
grafico, infine, va segnato
·
sui
composti di tre, di re, di su e di blu (ventitré,
viceré, lassù rossoblù),
·
sui
composti della congiunzione che (benché, giacché, allorché,
altroché ecc.)
·
nelle
parole composte il cui secondo membro sia monosillabo (autogrù, lungopò).
Di norma
l’accento grafico non si segna quando cade nel corpo delle parole[37].
Educazione
letteraria. Il livello fonico della poesia - La poesia è l’arte di usare tanto
il significato semantico delle parole
quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha
quindi in sé alcune qualità della musica
e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo in maniera più evocativa e
potente di quanto faccia la prosa.
In una poesia il
significato è solo una parte della comunicazione che avviene quando si legge o
si ascolta una poesia; l’altra parte non è verbale, ma emotiva.
Queste strette
commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una
poesia in lingue diverse dall’originale, perché il suono e il ritmo originali
vanno irrimediabilmente persi e devono essere sostituiti da un adattamento
nella nuova lingua, che in genere è solo un’approssimazione dell’originale. Per
tali motivi nello studio di un testo poetico è fondamentale lo studio della metrica[38].
Educazione
letteraria. La metrica - La poesia,
come quasi ogni genere letterario, nasce come voce e, solo successivamente,
diventa voce scritta. Ogni poesia, anche la più intimista, va immaginata come espressa
a voce; la critica letteraria, poi, analizzando una parte
significativa della produzione poetica di una certa cultura stabilisce dei
canoni, delle categorie ricorrenti e significative, che classificano la
composizione dei versi e delle strofe.
La forma di una poesia ossia la metrica ne determina il ritmo:
lo specifico della poesia, infatti, diversamente dalla prosa, è, infatti,
collegato al ritmo che non è un
semplice accompagnamento musicale del contenuto, ma ne è parte integrante.
In greco ed in
latino, la metrica era fondata sulla quantità (brevità o lunghezza) delle
sillabe (metrica quantitativa); nelle lingue moderne si basa su rima accenti e numero delle sillabe
(metrica accentuativa).
La metrica di una poesia si decide da:
·
Metro è lo schema metrico e la
struttura caratteristica di un certo tipo di componimento.
·
Rima è l’omofonia completa fra le
ultime parole di due o più versi a partire dall’ultima sillaba tonica.
·
Strofa o strofe è un gruppo di versi, di numero e
di tipo fisso o variabile, organizzati secondo uno schema, in genere ritmico, seguito da una pausa.
Il ritmo
è dunque la cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che
caratterizza il verso, in base al numero delle sillabe ed agli accenti ritmici,
disposti secondo particolari schemi in ogni tipo di verso.
Nella metrica, per accento si intende il
maggior rilievo che alcuni suoni hanno rispetto ad altri nell’ambito di un
brano o di una frase, per questo si hanno:
·
Suoni più
accentati
(accento forte),
·
Suoni meno
accentati
(accento debole)
·
Suoni non
accentati.
Gli accenti ritmici sono quindi gli accenti
fondamentali, che cadono sulle sillabe toniche dove la voce si appoggia di più.
Anche i versi più liberi hanno il
loro ritmo e non esiste poesia senza ritmo, che talvolta supera perfino le
intenzioni stesse del poeta, che vorrebbe reprimerlo per esaltare la singola
parola, come accade in alcune poesie ermetiche.
Il ritmo è quindi il susseguirsi di una
serie di accenti con una periodica
regolarità. Esso è basato sulla suddivisione del tempo in forme e misure
variabili, talvolta regolari e simmetriche, altre volte irregolari e
asimmetriche. Il ritmo è dunque un movimento che si ripete regolarmente.
Qualsiasi movimento che non si ripeta regolarmente può essere detto come aritmico.
In generale il
ritmo del verso si fa più incalzante quanto più sono numerosi e ravvicinati e
gli accenti tra loro; l’abile uso degli accenti di un verso è parte
fondamentale della sensibilità artistica di un autore.
L’accentuazione
dei suoni di un brano può anche avere altre funzioni ed i ritmi sono così
distinti in diverse tipologie:
·
Ritmo lento e
monotono.
·
Ritmo veloce e martellante.
·
Ritmo calmo
alternato a ritmo veloce ed ossessivo.
·
Ritmo incalzante.
·
Ritmo cantilenante
·
Ritmo calmo, meditativo.
·
Ritmo solenne
·
Ritmo epico.
·
Ritmo musicale
·
Ritmo spezzato.
Educazione
letteraria. Il verso - Il verso,
la riga di una poesia, è un’unità metrico-ritmica di una composizione poetica,
costituita da un certo numero di piedi
o di metri nella poesia quantitativa
(quella greca e latina) il cui adattamento alla metrica italiana fu definito da
Carducci metrica barbara, nella
poesia accentuativa, invece è costituita da un certo numero di sillabe o di accenti.
Si dicono versi sciolti, quelli non legati da rima e non raggruppati da schemi
strofici tradizionali.
Si dicono versi liberi quelli che non seguono
nessuna norma metrica e ritmica tradizionale.
La poesia
esternatrice ed Omero
dal carme de’ I
sepolcri di Ugo Foscolo
del
mortale pensiero animatrici.
Ed
oggi nella Troade inseminata[41]
l’Olimpio: e l’immortal[48] capo accennando
E
dicea sospirando: - Oh se mai d’Argo,
cercherete! Le mura, opra di Febo,
proteggete i miei padri: e chi la scure
men si dorrà
di consanguinei lutti,
e
santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dì vedrete
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e
interrogarle. Gemeranno gli antri
splendidamente su le mute vie
risplenderà su le sciagure umane.
XIV UNITÀ
Riflessione
sulla lingua La sillaba - La sillaba è la più piccola combinazione di suoni
o fonemi, in cui può essere scomposta una parola. Essa si pronuncia con
un’unica emissione di voce.
Una sillaba può
essere composta:
·
da
una vocale (A-o-sta)
·
da
un dittongo (uo-vo)
·
da
un trittongo (a-iuo-la)
·
da
una o più consonanti seguite o precedute da una vocale o da un dittongo
(ma-ti-ta, fiu-me, al-ber-go)
1.
Ogni
sillaba deve avere almeno una vocale:
Es.: a-mi-che-vol-men-te
2.
Una
vocale o un dittongo, posti all’inizio di una parola e seguiti da una
consonante, costituiscono una sillaba:
Es.: o-ra-rio, au-gu-rio
3.
Le
vocali dei dittonghi e dei trittonghi non si dividono mai:
Es.: mie-le, a-iuo-la
4.
Una
consonante semplice forma una sillaba con la vocale e il dittongo che la
seguono: Es.: co-ro-na, piu-ma,
5.
Le
consonanti doppie e quelle del gruppo cq
si dividono tra due sillabe:
Es.: ap-pal-lot-to-la-re,
ac-qua
Riflessione
sulla lingua La divisione in sillabe – Oggi la scrittura al computer ha
semplificato le cose poiché i comuni programmi di videoscrittura non spezzano
le parole in fine riga, sembra inutile conoscere le regole della divisione in
sillabe.
Ma quando, nello
scrivere a mano, dobbiamo andare a capo è necessario dividere le parole, non
possiamo farlo a caso: è necessario conoscere delle precise regole, quelle
della divisione in sillabe.
In ogni caso,
nella scrittura di libri e giornali la conoscenza di tali regole è essenziale.
I digrammi e i trigrammi, gruppi di lettere che formano un solo suono, non si
dividono mai.
Essi sono:
1
|
gl
+ i
|
Es.:
e-gli
|
2
|
gn
+ vocale
|
Es.:
gno-mo
|
3
|
sc
+ le vocali e, i
|
Es.:
sce-na, sci-vo-lo
|
4
|
ch
+ le vocali e, i:
|
Es.:
chi-mi-co, o-che
|
5
|
gh
+ le vocali e, i
|
Es.:
ru-ghe, a-ghi
|
6
|
ci
e gi + le vocali a, o, u
|
Es.:
ca-mi-cia, mi-cio, gio-va-ne, giu-sto
|
7
|
gli
+ vocale
|
Es.:
a-glio, mo-glie
|
8
|
sci
+ vocale
|
Es.:
li-scio, a-sciu-ga-re
|
1. I gruppi
formati da due o tre differenti consonanti + una vocale costituiscono una
sillaba, se con questo insieme di lettere può iniziare una parola della lingua
italiana:
Es.: re-cla-mo, a-pri-re, a-stra-le, re-cri-mi-na-re, pro-ble-ma.
2. Gli insiemi
di due o tre consonanti che non potremmo mai trovare all’inizio di una parola
italiana: rt, cn, lt, mbr, nfr,
e così via, devono essere divisi tra due sillabe, come negli esempi
seguenti:
Es.: cor-to, tec-ni-co, al-to, om-bra, in-fran-ge-re.
3. La s seguita da una o più consonanti forma
generalmente una sillaba con la vocale seguente, non con quella che la precede:
Es.: a-stro, ri-spon-de-re, di-sprez-zo.
4. Nelle parole
composte, nelle quali il primo elemento termina per i e il secondo elemento comincia per vocale, l’insieme delle
vocali risultante da tale unione non deve essere considerato un dittongo e va
diviso tra due sillabe:
Es.: chi-un-que, ri-e-du-ca-re
5. I prefissi
come dis-, tras-, trans-, in-, ben-,
mal- possono essere separati dalla radice
e formare una sillaba a sé oppure divisi, secondo le regole generali della
divisione in sillabe:
Es.: dis-a-bi-ta-to oppure di-sa-bi-ta-to,
tras-por-ta-re oppure tra-spor-ta-re,
mal-in-ten-zio-na-to oppure ma-lin-ten-zio-na-to
Oggi, però, si
tende a seguire le regole generali e prevale la seconda delle possibilità.
Riflessione
sulla lingua. Sillabe con dittonghi e trittonghi. Lo iato – Il dittongo è l’unione nella stessa sillaba di due vocali: quando
una a, una e oppure una o, dette
vocali forti, si incontrano con una i o una u, dette vocali deboli, e
quando si incontrano due vocali deboli
si crea un dittongo.
Nel dittongo le
vocali non devono essere mai divise tra due sillabe:
Es.: a-ria, spe-cie, uo-vo, au-to, fiu-me, fiu-to
Il trittongo si forma dall’unione di tre
vocali: due deboli, una forte.
Come nel
dittongo, anche nel trittongo le vocali che lo costituiscono non possono essere
mai separate:
Es.: a-iuo-la
Per iato nella grammatica italiana si
intendono due fenomeni letteralmente distinti:
1 Si considera
iato l’incontro di due vocali forti
con l’accento sulla prima vocale;
2 Si considera
iato l’incontro di due vocali forti
con l’accento sulla seconda, oppure l’incontro di una vocale forte con una
debole, la quale è però accentata.
Nello iato le
vocali fanno parte di sillabe differenti:
Es.: zì-o,
pa-ù-ra, ma-e-stra, po-e-ta
Educazione
letteraria. Il metro - Il metro è l’unità di misura dei versi
che si classificano in base al numero delle sillabe di cui sono composti e
possono variare da due a sedici.
Si hanno dieci
tipi di versi, di cui cinque parisillabi (2, 4, 6, 8, 10 sillabe) e
cinque imparisillabi (3, 5, 7, 9, 11 sillabe).
Alcuni
poeti sporadicamente hanno usato versi costituiti da un numero di sillabe
più alto.
Es.: E ammirami
per il mio calore e per la mia fede: mentre io ti parlerò di Percy l’arcangelo
e di Walt Whitman, un uomo,... (A.de Bosis, Giovine che mi guardi
parlare, v 13) costituito di 35 sillabe.
Alto
è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga
nell’infinito. (A.
Negri, Il muro, v 1) costituito di 30 sillabe.
E
berrà del suo vino, torchiato le sere d’autunno in cantina (C. Pavese, Atlantic
Oil, v 32) costituito di 19 sillabe.
Essi sono:
Si dicono doppi
i versi uguali, in coppia nella stessa riga, interrotti da una pausa o cesura.
Essi sono:
·
Doppio ottonario.
Strettamente
legate al metro del verso sono le figure
metriche.
Le figure
metriche sono fenomeni sillabici, tipici della poesia, che non comportano
alterazioni grafiche, ma solo una diversa modalità di lettura, ai fini del
computo sillabico del verso.
Esse sono:
·
Dialefe[75]
·
Dieresi[76]
·
Sinalefe[77]
·
Sineresi[78]
XV UNITÀ
Riflessioni
sulla lingua. Elisione e troncamento – Per evitare suoni di difficile
articolazione spesso togliamo la vocale a fine parola (quando non è accentata)
nel caso in cui la parola successiva inizi anch’essa per vocale.
L’elisione ed il troncamento di un’intera
sillaba si segnano con l’apostrofo[79].
Es.: un’altra
invece di una altra
po’ invece di poco
vo’ invece di voglio
di’ invece di dici
Elisione e troncamento sono fenomeni legati
all’incontro di due parole, esistono però anche dei casi in cui vi è la caduta
della vocale o della sillaba finale di una parola, indipendentemente
dall’incontro con altre parole.
Per indicare la
perdita è necessario mettere un segno d’apostrofo, i casi più diffusi sono:
1
|
sta’
=
imperativo di stare.
|
Es.
Sta’
fermo!
|
2
|
fa’
=
imperativo di fare.
|
Es.
Fa’
i compiti!
|
3
|
da’
=
imperativo di dare.
|
Es.
Da’
la mancia a Mirko!
|
4
|
di’=
imperativo di dire.
|
Es.
Di’
quello che pensi!
|
5
|
va’
=
imperativo di andare.
|
Es.
Va’
a prendere il quaderno!
|
Riflessioni
sulla lingua. Riflessioni sulla lingua. Elisione – L’elisione[80]
consiste nella soppressione della
vocale finale atona di una parola dinanzi alla vocale iniziale della parola
seguente per ragioni eufoniche ed al posto della vocale caduta si mette un
apposito segno, l’apostrofo.
Riflessioni
sulla lingua. Riflessioni sulla lingua. Troncamento – Il troncamento[81]
o apocope[82]
rappresenta la caduta di uno o piú
suoni atoni in fine di parola davanti ad un’altra parola iniziante sia per
vocale sia per consonante per ragioni eufoniche e/o di brevità.
Perché il
troncamento sia possibile, la lettera che precede la vocale o la sillaba da
eliminare deve essere una delle seguenti: l – m –n – r.
Non si esegue
mai il troncamento quando la parola che segue inizia con s impura, z, gn, ps.
Educazione
letteraria Figure fonetiche sillabiche – Alcuni fenomeni fonetici, pur non
essendo delle vere e proprie figure metriche come la dieresi, la sineresi, la
dialefe e la sinalefe, possono avere una
rilevanza metrica cioè possono essere utilizzate per ottenere l’esatta misura
del verso.
Esse sono:
Educazione
letteraria. Rima - La
rima è l’omofonia, ossia l’identità
dei suoni, tra due o più parole a partire dall’ultima vocale accentata, e si
verifica per lo più tra le clausole dei versi
di un componimento (altrimenti, essa si definisce rima interna).
A seconda del
loro schemi rimico, le rime si distinguono in:
·
Alternata[90]
Oltre alla rima
acquistano grande valore le cosiddette figure fonetiche che riguardano la
ripetizione o il parallelismo dei suoni.
Le figure
fonetiche sono:
XVI UNITÀ
Educazione
letteraria. Strofa - La
strofa o strofe è l’insieme di più versi, di numero e di tipo fisso o
variabile, organizzati secondo uno schema e formanti un periodo ritmico,
seguito da una pausa in genere
ripetuto più volte.
Per poter
definire i vari tipi di strofe occorre prendere in considerazione sia la
successione delle rime sia il numero
dei versi. La strofa può quindi
essere considerata un sistema ritmico, stabilito dalla combinazione delle rime e dalla struttura metrica dei versi
che la compongono. Le combinazioni strofiche possono essere infinite perché
esse, pur essendo legate a regole fisse di decodificazione del testo poetico,
sono riferibili anche alla capacità di innovazione e alla libertà del poeta.
La strofa è
sinonimo di stanza ed i generi
metrici, a seconda del numero dei versi,sono dette:
La strofa può
quindi essere considerata un sistema ritmico che è stabilito dalla combinazione
delle rime e dalla struttura metrica dei versi che la compongono. Le combinazioni
strofiche possono essere infinite. Esse sono legate a regole fisse di
decodificazione del testo poetico ma anche alla capacità di innovazione e alla
libertà del poeta, tant’è con la rivoluzione si diffuse l’uso della strofa libera[105].
La cavalla storna
da
Canti di Castelvecchio di Giovanni
Pascoli
Nella
Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano
i pioppi del Rio Salto.
Là
in fondo la cavalla era, selvaggia,
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
tu dai retta alla sua piccola mano.
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
che portavi colui che non ritorna;
lo
so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con
lui c’eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
che portavi colui che non ritorna;
con negli orecchi l’eco degli
scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del
sole,
perché udissimo noi le sue parole».
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa
fiera.
Mia madre l’abbraccio’ su la criniera.
Mia madre l’abbraccio’ su la criniera.
« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non
osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».
Mia madre alzò nel gran silenzio un
dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
I due fanciulli
Da Poemetti[130]
di Giovanni Pascoli
I
Era
il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d’oro
dell’ombroso viale, i due fanciulli.
erano intenti, nella pace d’oro
dell’ombroso viale, i due fanciulli.
Nel
gioco, serio al pari d’un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de’ tigli,
tra lor parole grandi più di loro.
corsero a un tratto, con stupor de’ tigli,
tra lor parole grandi più di loro.
A
sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l’uno e l’altro, esangue,
ne’ tenui diti si trovò gli artigli,
non più veduti, e l’uno e l’altro, esangue,
ne’ tenui diti si trovò gli artigli,
e
in cuore un’acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l’uno dell’altro per il volto, il sangue!
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l’uno dell’altro per il volto, il sangue!
Ma
tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,
ed
«A letto» intimasti «ora, cattivi!»
II
A
letto, il buio li fasciò, gremito
d’ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d’ogni angolo al labbro alzino il dito.
d’ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d’ogni angolo al labbro alzino il dito.
Via
via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.
L’uno
si volse, e l’altro ancor, leggero:
nel buio udì l’un cuore, non lontano
il calpestìo dell’altro passeggero.
nel buio udì l’un cuore, non lontano
il calpestìo dell’altro passeggero.
Dopo
breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.
Guardò
sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l’uno all’altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;
dormir li vide, l’uno all’altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;
e
rincalzò, con un sorriso, il letto.
III
Uomini,
nella truce ora dei lupi,
pensate all’ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a’ silenzi cupi
pensate all’ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a’ silenzi cupi
che
regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d’un’ape dentro il bugno vuoto.
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d’un’ape dentro il bugno vuoto.
Uomini,
pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d’aver fratelli in suo timor, non erra.
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d’aver fratelli in suo timor, non erra.
Pace,
fratelli! e fate che le braccia
ch’ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.
ch’ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.
E
buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini
la
Morte con la sua lampada accesa.
Da I
canti di Castelvecchio di Giovanni
Pascoli
E s’aprono i
fiori notturni,
nell’ora che
penso a’ miei cari.
Sono apparse in
mezzo ai viburni[132]
le farfalle
crepuscolari[133].
Da un pezzo si
tacquero i gridi:
là sola una casa
bisbiglia.
Sotto l’ali
dormono i nidi,
come gli occhi
sotto le ciglia.
Dai calici
aperti si esala
l’odore di
fragole rosse.
Splende un lume
là nella sala[134].
Nasce l’erba
sopra le fosse.
Un’ape tardiva
sussurra
trovando già
prese le celle.
La Chioccetta[135] per
l’aia azzurra
va col suo
pigolio di stelle.
Per tutta la
notte s’esala
l’odore che
passa col vento.
Passa il lume su
per la scala;
brilla al primo
piano: s’è spento ...
È l’alba: si
chiudono i petali
un poco
gualciti; si cova,
dentro l’urna molle
e segreta,
non so che
felicità nuova.
Ballata e sestina della lontananza
Da
L’Isotteo
e la Chimera di Gabriele
D’Annunzio
Quando piú ne’ profondi orti le rose
aulivano per l’aria de la sera
e mesceasi a quel lor tepido fiato
sapor di miele da’ pomari[136] d’oro,
venne Isaotta un tempo a le mie braccia,
candida e mite quale a maggio luna.
Quando piú ne’ profondi orti le rose
aulivano per l’aria de la sera
e mesceasi a quel lor tepido fiato
sapor di miele da’ pomari[136] d’oro,
venne Isaotta un tempo a le mie braccia,
candida e mite quale a maggio luna.
Non
sí dolce chinò li occhi la Luna
su ‘l suo vago sopito in tra le rose
Endimïon[137], tendendo ambo le braccia,
(splendeva il Latmo[138] a la vermiglia sera,
cui bagnano i ruscelli in vene d’oro:
sol de’ veltri s’udia l’ansante fiato)
su ‘l suo vago sopito in tra le rose
Endimïon[137], tendendo ambo le braccia,
(splendeva il Latmo[138] a la vermiglia sera,
cui bagnano i ruscelli in vene d’oro:
sol de’ veltri s’udia l’ansante fiato)
com’ella
sovra me. Caldo il suo fiato
io sentía su ‘l mio volto, ed a la luna
vedea brillare la cesarie[139] d’oro
cui cingevano i miei sogni e le rose.
Fulgida aurora a me parve la sera,
ne ‘l cerchio de le sue morbide braccia.
io sentía su ‘l mio volto, ed a la luna
vedea brillare la cesarie[139] d’oro
cui cingevano i miei sogni e le rose.
Fulgida aurora a me parve la sera,
ne ‘l cerchio de le sue morbide braccia.
Dolce
cosa languir tra le sue braccia!
Dolce, languendo, bevere il suo fiato!
Voci correan d’amor per l’alta serra[140];
e bramire[141] s’udian cervi a la luna
da’ chiusi, e Agosto[142] a l’ombra de le rose
cantar soletto in su la tibia[143] d’oro,
e a quando a quando, come in vaso d’oro
pioggia di perle, da le verdi braccia
de li alberi che misti eran di rose
le odorifere gomme[144] ad ogni fiato
d’aura cader su’ fonti ove la luna
piovea gl’incanti de l’estiva sera.
O donna ch’anzi vespro a me fai sera,
cui Laura[145] è suora[146] ne le rime d’oro,
deh foss’io, come il vago[147] de la Luna,
addormentato, e alfin tra le tue braccia
mi risvegliassi e bevere[148] il tuo fiato
potessi ancora, in letto alto di rose!
Tu la Bella[149] vedrai diman da sera
e a lei ricingerai le chiome d’oro,
canzon, nata di notte senza luna.
Dolce, languendo, bevere il suo fiato!
Voci correan d’amor per l’alta serra[140];
e bramire[141] s’udian cervi a la luna
da’ chiusi, e Agosto[142] a l’ombra de le rose
cantar soletto in su la tibia[143] d’oro,
e a quando a quando, come in vaso d’oro
pioggia di perle, da le verdi braccia
de li alberi che misti eran di rose
le odorifere gomme[144] ad ogni fiato
d’aura cader su’ fonti ove la luna
piovea gl’incanti de l’estiva sera.
O donna ch’anzi vespro a me fai sera,
cui Laura[145] è suora[146] ne le rime d’oro,
deh foss’io, come il vago[147] de la Luna,
addormentato, e alfin tra le tue braccia
mi risvegliassi e bevere[148] il tuo fiato
potessi ancora, in letto alto di rose!
Tu la Bella[149] vedrai diman da sera
e a lei ricingerai le chiome d’oro,
canzon, nata di notte senza luna.
ESERCIZI
C. 1 Svolgi la parafrasi dei brani proposti
C. 2 Svolgi il riassunto dei brani proposti
R. L. 1 Individua tutte le figure sintattiche
presenti nei brani proposti trascrivile e ricostruiscile sintatticamente.
R. L. 2 Individua tutti gli scarti linguistici
presenti nei brani proposti trascrivili, classificali ed indicane il
significato nell’uso corrente.
R.
L. 3 Trascrivi
i primi 5 versi di ogni testo, mettendo gli accenti tonici su tutte le parole,
tranne su quelle atone, e classificandole in:
·
tronche
o ossìtone
·
piane
o parossìtone
·
sdrucciole
o proparossìtone
·
bisdrucciole
·
trisdrucciole
R.
L. 4 Trascrivi
i primi 5 versi di ogni testo, scomponendo in sillabe, mettendo gli accenti
tonici su tutte le parole, tranne su quelle atone, individuando infine la
presenza di
·
Dittonghi
·
Trittonghi
·
Iati
R.
L. 5 Trascrivi
i primi 5 versi di ogni testo, individuando e classificando elisioni e
troncamenti
R.
L. 6 Individua
e trascrivi tutte le figure fonetiche sillabiche
presenti nei testi, classificandole in:
·
afèresi
·
pròstesi
·
apòcope,
·
epítesi (o paragòge)
·
sìncope
·
epèntesi
E. L. 1 Individua tutte
le figure le figure metriche presenti nei brani proposti trascrivile e
classificale, indicando se si tratta di
·
Dialefe
·
Dieresi
·
Sinalefe
·
Sineresi
E.
L. 2
Individua
tutti i metri presenti nei testi proposti se sono:
·
bisillabo
·
ternario
·
quadrisillabo
·
quinario
·
senario
·
settenario
·
ottonario
·
novenario
·
decasillabo
·
endecasillabo
E.
L. 3 Individua
tutte le figure le figure metriche presenti nei brani proposti trascrivile e
classificale, indicando se si tratta di:
·
Allitterazione
·
Assonanza
·
Consonanza:
·
Onomatopea
·
Paronomasia
·
Enjambement
E.L. Individua tutti
i sistemi strofici presenti nei brani proposti, indicando se si tratta di
·
Distico
·
Terzina
·
Quartina
·
Sestina
·
ottava
E.
L. 1 Individua
tutte le figure le figure retoriche di significato presenti nei brani proposti
trascrivile ed esplicitale.
[1] Poema - Un poema è una composizione letteraria in versi, per lo più
di carattere narrativo o didascalico e di ampia estensione, spesso suddivisa in
più parti.
Con questo termine si intende
generalmente il genere letterario che comprende tali
composizioni.
Un poema è in genere scritto in
versi endecasillabi, perché sono versi narrativi, serve per raccontare, ed è
molto più lungo di una poesia.
Ha tre momenti fissi:
·
Protasi: riassunto in pochi versi di
tutto il contenuto dell’opera;
·
Invocazione: richiesta di aiuto
(ispirazione) ad un’entità superiore (dèi,
muse della letteratura nell’età
classica, Maria nella letteratura
religiosa del cristianesimo, oppure una vera donna come nel caso di Ludovico
Ariosto)
·
Dedica: nel poema classico, la dedica
non è presente in modo scritto perché era destinato alla declamazione orale,
dal medioevo in poi la dedica sarà presente per dimostrare gratitudine a chi
ospita l’autore.
Un poema può avere vario tono ed
argomento e si può distinguere fra l’altro, a seconda della materia, in:
·
Poema cavalleresco - è un insieme di narrazioni e di
poemi che trattano tematiche inerenti le gesta dei cavalieri medievali. Si
distingue dalla letteratura epica in quanto alterna i toni tipici dell'epica
con quelli satirici o grotteschi, per la presenza di interventi soggettivi
dell'autore e per la grande varietà delle azioni descritte. Nel Medioevo e nel
Rinascimento furono composti in Europa numerosi poemi epici, comunemente
raccolti sotto la definizione di epica cavalleresca, perché narrano le imprese
dei cavalieri medioevali. Pur ispirandosi alla figura del cavaliere, questi poemi sono spesso molto diversi tra loro.
Evidenti sono ad esempio le differenze tra due forme di narrazione epica nate
entrambe in Francia: le chansons de geste
(materia di Francia) e i romanzi
cavallereschi del ciclo di re Artù (materia di Bretagna). I miti e le
leggende dei popoli germanici trovarono la loro espressione più importante nel Canto dei Nibelunghi, mentre gli
sviluppi della poesia epica in Italia ci mostrano la trasformazione subita nel
tempo dall'immagine del cavaliere: il passaggio dagli ideali e dai valori del Medioevo a quelli del mondo
rinascimentali modifica profondamente le caratteristiche degli eroi, come
risulta evidente, in particolare, dall'Orlando
furioso di Ludovico Ariosto.
·
Poema didascalico - è un genere letterario che, in
forma di poema si propone di impartire un ammaestramento scientifico,
religioso, morale, dottrinale, etc. Il più antico esempio è costituito dal
breve poema Le opere e i giorni di Esiodo, risalente all'VIII sec. a.C.
contenente una serie di consigli per le opere agricole delle singole stagioni.
Nel poema esiodeo il poeta impartisce agli uomini consigli pratici per
l'attività fondamentale in una comunità agricola. La poesia didascalica è
diffusa nella Letteratura greca e nel III sec a.C. secolo nell'opera I fenomeni di Arato ed è stata ripresa dalla Letteratura latina, con il
capolavoro De rerum natura di Lucrezio. Rientrano nel genere
didascalico anche le Georgiche di
Virgilio, composte intorno al 30
a .C. La poesia didascalica è presente anche
abbondantemente nella Letteratura italiana fino da Bonvesin de la Riva, Brunetto
Latini e Dante.
·
Poema epico
·
Poema eroico
·
Poema eroicomico è un genere letterario del XVII
secolo che ribalta le tecniche stilistiche e i cliché della poesia epica allo
scopo di ottenere un effetto comico.
·
Poema sinfonico
- Il poema
sinfonico è una composizione musicale di solito di ampio respiro che sviluppa
musicalmente una idea poetica, ispirata a una opera letteraria in versi o in
prosa o ad un'opera figurativa o filosofica. È una derivazione diretta della musica a programma che fu una delle
forme predilette dai musicisti romantici, ad esempio Hector Berlioz nella sua Sinfonia fantastica e nell'Aroldo in Italia.
[2] Scarto
linguistico – vedi modulo I
[3] Frase –
vedi modulo I
[4] Periodo: è
l’insieme di due o più proposizioni collegate in successione logica in modo da
formare un’unità funzionale autonoma; le struttura del periodo si distingue in:
·
paratattica
quando le proposizioni di un discorso sono coordinate fra loro, senza
utilizzare alcuna congiunzione;
·
ipotattico
quando il rapporto di subordinazione che esiste tra due frasi viene evidenziato
mediante un segno funzionale.
[5] Costruzione:
è un’ordinata disposizione delle parole in una frase o delle frasi in un
periodo.
[6] Anafora:
l’anafora consiste nella ripetizione
di una o più parole all’inizio di più versi o enunciati successivi.
Es.: Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Come l’allitterazione, anche l’anafora si presenta con
frequenza nel linguaggio pubblicitario, per richiamare l’attenzione
dell’ascoltatore.
Es.: Selenia, speciale formula Alfa Romeo...
Selenia, il motore dei nuovi motori.
[7] Anastrofe o
inversione: l’anafora
o inversione consiste nel
capovolgimento dell’ordine di alcuni elementi della frase.
Es.: sempre
caro mi fu quest’ermo colle”
al posto di quest’ermo
colle mi fu sempre caro.
[8] Antitesi: l’antitesi
consiste nella contrapposizione di idee, espressa mettendo in corrispondenza
parole di significato opposto; conferisce a due immagini consecutive e spesso
simmetriche un maggior rilievo, facendo leva sulla loro più o meno accentuata
contrapposizione.
Es.: Pace non trovo e non ho da
far guerra
di
fuor si legge com’io dentro avvampi
[9] Asindeto: l’asindeto consiste nell’eliminazione delle congiunzioni tra un
termine e l’altro, lasciando solo la virgola a separarli; si prenda come
esempio la prima parte di Meriggiare.
L’asindeto è una figura
sintattica molto usata nella poesia del ‘900.
[10] Chiasmo: il chiasmo è collegato all’inversione, dispone in ordine opposto gli
elementi corrispondenti di due versi o frasi.
Es.: Le donne, i cavalier
l’armi, gli amori
[11] Climax: La climax consiste nell’enumerazione di termini in ordine crescente
(es.: disagio, paura, terrore).
Questa figura si trova anche in
altri settori dell’arte come ad esempio il cinema.
Se invece l’enumerazione dei
termini avviene in ordine decrescente (terrore, paura, disagio), si ha l’anticlimax, che è tuttavia molto più raro.
[12] Iperbato: Affine all’anastrofe
che rappresenta un’inversione nell’ordine naturale delle parole all’interno di
una frase, l’iperbato si produce
quando tale inversione comporta lo spostamento di un segmento di enunciato
all’interno di un sintagma.
Es.: [...] ma
valida
venne
una man dal cielo,
e
in più spirabil aere
pietosa
il trasportò;
Es.: ...tardo ai fiori
ronzìo di coleotteri
(Eugenio Montale, Derelitte...,
1-3)
Es ...a
noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura
[13] Parallelismo: Il parallelismo
consiste, al contrario del chiasmo,
nel disporre nello stesso ordine gli elementi corrispondenti di due versi o
frasi.
Es.: l’albero cui tendevi
la
pargoletta mano
il
verde melograno
da’
bei vermigli fior
[14] Polisindeto: il polisindeto,
al contrario dell’asindeto, consiste nella ripetizione della congiunzione prima
di ogni elemento dell’enumerazione, con l’effetto di dare molta enfasi al verso
o alla frase.
Es.: e sempre corsi, e mai non
giunsi il fine;
e
dimani cadrò… (Carducci)
[15] Allegoria - L’allegoria è la figura retorica per cui un concetto
astratto è espresso attraverso un’immagine concreta: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un
oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, l’accostamento non è basato su
qualità evidenti o sul significato comune del termine, bensì su un altro
concetto che spesso attinge al patrimonio di immagini condivise della società.
Essa opera comunque su un piano superiore rispetto al visibile e al primo
significato: spesso l’allegoria si appoggia a convenzioni di livello filosofico
o metafisico.
Es.:
Ed ecco, quasi al
cominciar de l’erta,
una lonza leggiera
e presta molto,
che di pel macolato
era coverta;
e non mi si partia
dinanzi al volto,
anzi ‘mpediva tanto
il mio cammino,
ch’i’ fui per
ritornar più volte vòlto.
Temp’ era dal
principio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n
sù con quelle stelle
ch’eran con lui
quando l’amor divino
mosse di prima
quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar
m’era cagione
di quella fiera a
la gaetta pelle
l’ora del tempo e
la dolce stagione;
ma non sì che paura
non mi desse
la vista che
m’apparve d’un leone.
Questi parea che
contra me venisse
con la test’ alta e
con rabbiosa fame,
sì che parea che
l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di
tutte brame
sembiava carca ne
la sua magrezza,
e molte genti fé
già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura
ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la
speranza de l’altezza.
Qui le tre fiere rappresentano
tre mali che turbano l’animo dell’uomo: la superbia e la violenza (leone),
l’avarizia e la cupidigia (lupa), l’avidità o per alcuni la lussuria (lonza).
[16] Antitesi – l’antitesi è
l’accostamento di concetti opposti per significato, espressi da sintagmi
diversi.
Es.: Nel tuo giro inquieto
ormai lo stesso
sapore ha miele e assenzio
(l’assenzio è un liquore che si
ottiene dalla pianta assenzio: ha
sapore amaro)
Es.: Tutto ei provo: la gloria
maggior dopo il periglio
la fuga e la vittoria
la reggia e il triste esiglio;
Il seguente verso di Dante è un
esempio di come si possa “lavorare”
con l’antitesi ed ottenere effetti ad incastro
Es.: Amor condusse noi ad una
morte
amor e morte sono opposti per significato (l’amore dà la vita) e sono
prima ed ultima parola del verso; al centro del verso si trovano noi e una opposti in quanto noi
indica un plurale, mentre una indica il singolare.
[17] Ellissi - L’ellissi consiste nell’omissione, all’interno di una
frase, di uno o più termini che sia possibile sottintendere. È frequente nei proverbi
e nelle sentenze
Es.: A nemico che fugge, ponti
d’oro.
Simile all’ellissi è la frase
nominale, molto ricorrente nel linguaggio giornalistico, che consiste nella
soppressione del verbo e nella trasmissione del suo contenuto e di parte delle
sue funzioni ad un sintagma nominale che resta presente nella frase.
[18] Eufemismo - L’eufemismo consiste nell’uso di una parola o di una perifrasi al fine di attenuare il carico
espressivo di ciò che si intende dire, perché ritenuto o troppo banale, o
troppo offensivo, osceno o troppo crudo.
Es.: “questo piatto lascia a
desiderare” per non dire che è ripugnante
“mordere la polvere” per non dire
essere in una posizione secondaria
“il caro nonno non è più tra noi” per attenuare una
proposizione di senso troppo crudo del tipo “il nonno è morto”
[19] Iperbole - L’iperbole è una figura retorica che consiste
nell’esagerazione nella descrizione della realtà tramite espressioni che
l’amplifichino, per eccesso o per difetto.
« quella macchina, la
desidero da morire! »
«il prezzo del petrolio è
schizzato alle stelle »
« ti amo da morire »
«ti stavo aspettando da una
vita »
« vado a fare quattro
passi »
« ci facciamo due spaghetti»
«perdere quell’amichevole fu per
noi una catastrofica sconfitta »
Dagli studiosi è stato messo in luce che l’iperbole
presuppone la buona fede di chi la usa: non si tratta
infatti di un’alterazione della realtà al fine di ingannare ma, al contrario,
allo scopo di dare credibilità al messaggio, attraverso un eccesso nella frase
che imprima nel destinatario il concetto che si vuole esprimere.
[20] Litote - La litote consiste nel dare un giudizio usando il termine
contrario preceduto dalla negazione.
Es.: “Quell’uomo non è un genio”,
per indicare che una persona è stupida.
La litote può anche essere per
così dire positiva.
Es.: “questa non è una pessima
idea” significa approvarla.
Generalmente però viene usata per rafforzare un
giudizio negativo, lasciando in superficie una versione che sembra più
edulcorata.
[21] Metafora: la metafora è
il trasferimento di significato dal campo semantico di una parola al campo di
un’altra, per una caratteristica riscontrabile in entrambe le parole. Equivale
ad una operazione di intersezione, cioè l’operazione di riconoscere somiglianze
tenendo conto di differenze tra due o più classi (insiemi).
Es.:
O falce di luna
calante
Campo semantico di falce:
strumento, di ferro, a forma molto arcuata, ecc...
Campo semantico di luna:
satellite della Terra, ha un periodo di rivoluzione attorno ad essa di 28
giorni; fasi lunari - i periodi di tempo nei quali la luna è visibile/non
visibile dalla Terra; la luna ha dapprima una forma arcuata, via via meno
arcuata fino a divenire piena (tutta visibile), poi diminuisce riassumendo
forma arcuata, infine non è più visibile –
Lo strumento falce e la luna nella fase calante hanno la stessa forma; allora
invece di dire:”O luna calante che sembri (sei arcuata come) una falce” si trasferisce
la forma dalla falce alla luna calante;
Es.: Ridon or per le piagge erbette e fiori
Erbette: è un diminutivo, fa pensare a
erba nuova, quindi piccola.
Fiori: aprono la loro corolla
stimolati dai raggi solari.
Ridere: sta ad indicare una reazione
dell’essere umano di felicità.
Invece di dire: erbette e fiori
che sembrano uomini e donne che ridono felici, si trasferisce il ridere ad
erbette e fiori.
[22] Metonimia – La metonimia
è il trasferimento di significato da una parola ad altra con il seguente meccanismo:
a)
la
causa per l’effetto
b)
l’autore per l’opera
Es.: leggere Manzoni
c)
il
produttore per il prodotto:
Es.: un Martini,
un Ferré
d)
il
proprietario per la cosa posseduta:
Es.: Federico va a cento all’ora
(ma è l’auto di Federico che raggiunge quella velocità)
e)
il
patrono per la chiesa:
Es.: messa in San Giovanni
f)
la
divinità per i suoi attributi o l’ambito di influenza:
Es.: Cupido per l’amore,
Bacco per il vino
g)
i mezzi per lo scopo:
Es.: compiere un ottimo lavoro
h)
il concreto per l’astratto e viceversa
Es: gioia per persona che dà
gioia
fortuna, rovina per persone o
cose che producono tali effetti
avere fegato, cioè coraggio
l’umanità per l’insieme di tutti
gli uomini
i)
il
contenente per il contenuto:
Es.: bere una bottiglia
j)
lo
strumento per chi lo usa:
Es.: è un ottimo pennello
k)
il
fisico per il morale:
Es.: avere un gran cuore
l)
il
luogo per gli abitanti:
Es.: l’Italia per gli Italiani
m)
la
località di produzione per il prodotto:
Es.: il Bordeaux
n)
la
marca per il prodotto:
Es.: una FIAT,
un Rolex
o)
il
simbolo per la cosa simboleggiata:
Es.: armi per guerra,
alloro per gloria poetica
p)
le
divise per indicare chi le porta:
Es.: Camice Rosse per
Garibaldini,
Rossoneri per giocatori del Milan
i Verdi per indicare un partito
politico (antonomasia metonimica)
q)
la
sede per l’istituzione o l’organo di governo o l’industria-società:
Es.: il Vaticano per il Papa
Palazzo Chigi per il Presidente
del Consiglio dei Ministri.
[23] Ossimoro - L’ossimoro la fusione di due concetti opposti per
significato in una immagine; si esprime tramite un solo sintagma nel quali sono
presenti parole opposte per significato o due sintagmi di cui il secondo
dipendente dal primo.
Es.:
Di questo son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento
Il sintagma nominale disperazione calma è formato da un nome disperazione
che sta ad indicare agitazione al massimo grado di intensità e da un
aggettivo calma il cui significato è
l’opposto di disperazione.
Un piccolo infinito
scampanio
Nel sintagma nominale indicato i
due aggettivi attribuiti al nome sono tra loro opposti per significato
il lampo che
candisce
alberi e muri e li
sorprende in quella
eternità d’istante
Il sintagma preposizionale
d’istante dipende dal sintagma nominale eternità.
Antitesi e ossimori sono largamente
usati anche nella lingua standard, soprattutto dai titoli di giornali, nei
titoli di film e naturalmente dalla pubblicità.
[24] Personificazione - La personificazione consiste nell’attribuzione
di fattezze, comportamenti, pensieri, tratti (anche psicologici e
comportamentali) umani a qualcosa che umano non è.
Oggetto di personificazione può
ben essere un oggetto inanimato, un animale, ma anche un concetto astratto,
come ad esempio la pace, la giustizia, la vendetta etc.
[25] Preterizione - La preterizione, nota anche come paralessi,
paralissi o paralipsi, è la figura retorica in cui si finge di non voler dir
nulla di ciò di cui si sta parlando.
Es.:
“Non ti dico cosa mi è
successo...”
“Quando dico niente, o è niente,
o è cosa che non posso dire.”
[26] Prosopopea - La prosopopea si ha quando si attribuiscono qualità o
azioni umane ad animali, oggetti, o concetti astratti. Spesso questi parlano
come se fossero persone. È una prosopopea anche il discorso di un defunto.
Nel linguaggio comune è sinonimo di arroganza,
pomposità, boria
[27] Similitudine: la similitudine
è l’accostamento tra due concetti tramite come,
sembra, simile; equivale ad un’operazione di mettere in corrispondenza,
cioè l’operazione di confronto fra elementi appartenenti a più insiemi (classi)
in base a caratteristiche prescelte o ad un’operazione di mettere in relazione,
cioè l’operazione di confronto fra elementi appartenenti allo stesso insieme
(classe) in base a caratteristiche prescelte.
Es: Si sta come
d’autunno
sugli
alberi
le
foglie.
Soldati di G. Ungaretti.
È riconosciuta una somiglianza
tra i soldati del titolo e le foglie nella stagione d’autunno. La
somiglianza è lo stato di precarietà: per le foglie in autunno il loro star per
morire e per i soldati la possibilità sempre presente di morire.
Lo stesso effetto può essere dato
da una correlazione: così...come, tal...quale. In questo caso si ha una
comparazione.
Es.: Come una pantera esce da
forra profonda
[...]
così il figlio del nobile
Antenore...
[28] Sineddoche: La sineddoche,
aspetto particolare della metonimia, è il trasferimento di significato da una
parola ad altra con il seguente meccanismo:
a) il tutto per la parte.
Es.: l’Europa (i paesi
dell’Unione) ha deliberato;
Italia batte
Germania 2-0
(intendendo le rispettive squadre nazionali di calcio)
b) la parte per il tutto:
Es.: tetto per casa, bocche
(persone) da sfamare
c) il genere per la specie:
Es.: felino per gatto,
mortali per uomini
d) la specie per il genere.
Es.: pini per conifere,
pane per cibo
e) il plurale per il singolare:
Es.: la servitù per un
solo domestico
f) il singolare per il plurale.
Es.: l’Italiano per gli Italiani
g) la materia per il prodotto
(ma molti considerano questo caso una metonimia): ferro per spada.
Es.: le sole vere pupille,
sebbene tanto offuscate
eran
le tue
Pupille (parte dell’occhio) sta per il
tutto, cioè occhio
h) il singolare per il plurale
e viceversa
Es.: Sei ancora quello della
pietra e della fionda
uomo
del mio tempo
Uomo (il singolare) sta per tutti gli
uomini (il plurale)
i)
il
genere per la specie e viceversa.
Es.: O animal grazïoso e
benigno
Animal (il genere) sta ad indicare nel
verso di Dante l’uomo (la specie)
[29] Sinestesia – La sinestesia
è l’associazione di parole il cui significato si riferisce a sfere sensoriali
diverse
Es.: La luce era gridata a perdifiato
La luce riguarda la sfera
sensoriale della vista; gridata fa riferimento alla sfera sensoriale
dell’udito.
Es.: Pure i dorati silenzi ad ora ad ora
silenzi fa riferimento alla sfera
uditiva, dorati fa riferimento ad un colore, di conseguenza alla sfera visiva
[30] L’aggettivo qualificativo - I concetti espressi dagli aggettivi
qualificativi e da molti avverbi possono essere soggetti a una gradazione per
meglio esprimere una certa intensità espressiva.
La grammatica ha codificato tre
tipi di gradazioni:
·
grado
positivo, in cui la qualità è espressa senza indicazione di quantità o intensità;
·
grado
comparativo, in cui la gradazione intensiva è messa a confronto con un altro
termine di paragone o con un’altra qualità posseduta dal soggetto;
·
grado
superlativo, in cui la gradazione intensiva è espressa al suo massimo in senso
assoluto o relativo:
Grado positivo
|
Daniela è elegante.
|
Grado comparativo
|
Daniela è più elegante di
Marta.
Daniela è meno elegante di Marta. Daniela è elegante quanto Marta. |
Grado superlativo
|
Daniela è elegantissima.
Daniela è la più elegante del gruppo. |
Il comparativo - Il grado comparativo
dell’aggettivo serve per esprimere un confronto fra due termini, in relazione a
una qualità possedute da entrambi o in relazione a qualità diverse da un unico
termine.
Es.: La mia amica Valeria è più paziente di me.
Es.: L’ ippopotamo è più vorace che veloce.
Gli elementi messi a confronto
sono chiamati primo e secondo termine di paragone.
Il comparativo può essere di tre
tipi:
·
comparativo di maggioranza, quando il primo termine di
paragone possiede la qualità indicata dall’aggettivo in misura maggiore
rispetto al secondo termine di paragone. L’aggettivo, in questo caso, è
introdotto da più, il secondo termine
di paragone da di o che:
Es.: Miriam è più alta di Luisa.
Es.: Sono più esperto di prima.
Es.: Sono più stanchi che affamati.
·
comparativo di minoranza, quando il primo termine di
paragone possiede la qualità indicata dall’aggettivo in misura minore rispetto
al secondo termine di paragone. L’aggettivo, in questo caso, è introdotto da meno, il secondo termine di paragone da di o che:
Es.: Miriam è meno alta di Luisa.
Es.: Carla è meno studiosa che intelligente.
·
comparativo di uguaglianza, quando la qualità espressa
dall’aggettivo è presente in misura uguale nei due termini di paragone. In
questo caso l’aggettivo è introdotto da tanto
o così (espressi o sottintesi), il
secondo termine di paragone indifferentemente da quanto o come:
Es.: Miriam è (tanto) alta quanto Luisa.
Es.: Simona è (così) simpatica come te.
Il superlativo - L’aggettivo qualificativo è di
grado superlativo quando esprime una qualità posseduta al massimo livello.
Il grado superlativo può essere
di due tipi: relativo o assoluto.
Superlativo relativo - Il superlativo relativo esprime
una qualità posseduta al massimo o al minimo grado, stabilendo un confronto fra
l’unità e un gruppo di persone o cose (secondo termine di paragone).
Il superlativo relativo si
ottiene premettendo all’aggettivo l’articolo determinativo assieme agli avverbi
più o meno (la più dolce, il meno volenteroso).
Il secondo termine, che può
essere anche sottinteso, è introdotto da di, tra, fra. A volte l’articolo
determinativo si può trovare separato dagli avverbi più o meno:
L’elefante è il più
grande di tutti gli animali.
Il treno meno
veloce (di tutti) è l’accelerato.
Superlativo assoluto - Il superlativo assoluto degli
aggettivi esprime una qualità posseduta al massimo grado dal nome cui si
riferisce, senza alcun paragone con altre grandezze. Esso si può formare in
vari modi:
·
aggiungendo
all’aggettivo di grado positivo il suffisso -issimo, -a, -i, -e
(alto/altissimo, stanco/stanchissimo);
·
premettendo
all’aggettivo di grado positivo avverbi come molto, assai, oltremodo,
immensamente, incredibilmente, estremamente... (molto vivace, immensamente
ricco);
·
premettendo
all’aggettivo di grado positivo i prefissi arci-, stra-, super-, iper-, ultra-,
extra-, sovra- (arcinoto, stracarico, ipersensibile);
·
ripetendo
l’aggettivo di grado positivo due volte (forte forte, piano piano, svelto
svelto, zitto zitto);
·
rinforzando
l’aggettivo positivo con un altro aggettivo (nuovo fiammante, piena zeppo,
stanco morto)
·
rinforzando
l’aggettivo di grado positivo mediante tutto (tutto felice, tutta matta);
·
unendo
all’aggettivo di grado positivo le locuzioni quanto mai, oltre ogni dire, come
una campana, in canna (quanto mai intelligente, amabile oltre ogni dire, sordo
come una campana, povero in canna).
Comparativi e
superlativi particolari -
Per alcuni aggettivi qualificativi, oltre alle normali forme di comparativo e
di superlativo, si usano anche speciali, in genere derivanti dal corrispondente
latino. Tra gli aggettivi che possiedono queste forme speciali ci sono:
grado positivo
|
grado comparativo di
maggioranza
|
grado superlativo relativo
|
grado superlativo assoluto
|
Buono
|
più buono – migliore
|
il migliore
|
buonissimo – ottimo
|
Cattivo
|
più cattivo – peggiore
|
il peggiore
|
cattivissimo – pessimo
|
Grande
|
Più grande – maggiore
|
il maggiore
|
grandissimo – massimo
|
Piccolo
|
più piccolo – minore
|
il minore
|
piccolissimo - minimo
|
[31] Gli argomenti di carattere sociale, culturale, scientifici
individuano per l’articolo una
posizione che oscilla tra l’editoriale (articolo di apertura di un giornale,
con funzione di riflessione su un
argomento di particolare rilievo nell’attualità), l’articolo di commento, l’articolo di terza pagina (è la pagina culturale
e letteraria), in ogni caso posizioni riservate a eventi di larga incidenza
storica o contemporanea.
[32] La regola delle 5 w - Per
rendere praticabile questa formula i giornalisti anglosassoni hanno quindi
elaborato il cosiddetto “principio delle
5 W” cui possiamo aggiungere 1 H che derivano dalle domande, in inglese:
- who? = chi?
- where? =
dove?
- when? = quando?
- what? = che cosa?
- why? = perché?
- how = come?
Rispondere a
queste domande garantisce generalmente, che l’informazione comunicata al lettore-ascoltatore, sia un’informazione più essenziale e al tempo stesso più completa e che egli abbia cosi
tutti gli elementi per formulare un proprio giudizio sui fatti e confrontarlo
con quello dei vari opinionisti.
[33] La piramide rovesciata - Attualmente
il secondo modo è il più diffuso. Esso offre, tra gli altri vantaggi, quello di
far capire subito al lettore se
l’articolo gli interessa e di cogliere rapidamente gli aspetti più rilevanti
del fatto. L’insieme dei fatti
nell’ordine in cui sono narrati dal giornalista che si avvale di vari artifici,
quali ad esempio anticipazioni ed effetti di suspence,
costituisce l’intreccio, mentre la fabula è la ricostruzione dei
fatti nella loro successione effettiva.
[34] Il lead – Il lead, dall’inglese to lead = guidare.. In
italiano si dice inizio o cappello o attacco. Nel
linguaggio letterario il termine è incipit, la frase che incomincia. Non
vi sfugge l’importanza del cominciare un articolo o un saggio con una frase che
attiri immediatamente il lettore o l’ascoltatore e che, nello stesso tempo, lo
guidi alla comprensione della notizia.
Per
evitare imbarazzanti ed inutili ripetizioni è buona regola, purtroppo non
sempre osservata, di articolare le due parti del lead, anche per non
“svuotare” il servizio vero e proprio, togliendogli ogni interesse.
1.
Per
costruire un lead che sia efficace ed in piena regola, ci sono delle
norme da osservare.
2.
È
innanzi tutto preferibile ricorrere alla forma passiva: “Michael Jackson è
stato arrestato dalla polizia di Los Angeles” e non “La polizia di Los Angeles
ha arrestato Michael Jackson”.
3.
Cercare
di estrapolare la notizia principale ed essenziale: “Da domani il giornale
costerà due euro”. E non: “In seguito all’aumento dei costi della carta, la
Federazione degli editori ha deciso di aumentare di un euro il prezzo di
vendita dei giornali”.
4.
Mettere
sempre l’accento sulle persone e non sull’evento: “Trenta persone sono morte in
un attentato terroristico a Istanbul” – e non: “In un attentato terroristico a
Istanbul sono morte trenta persone”.
5.
Evitare
assolutamente di cominciare con una domanda. Esempio: “La Viterbese vincerà il
campionato? Lo sapremo stasera”. E’ meglio dire: “Soltanto stasera sapremo se
la Viterbese vincerà il campionato”.
6.
Mai
usare una negazione (o una frase al negativo) ad inizio di frase. Non
scriveremo, dunque, “La Viterbese non ha evitato la retrocessione in C2
nonostante una splendida vittoria sul Frosinone”, ma “La Viterbese è stata
retrocessa in C2 nonostante una splendida vittoria sul Frosinone”.
[35] Si distinguono due tipi di
relative: la determinata (o limitativa) e l’appositiva (o esplicativa).
La relativa determinata serve
a limitare o a precisare il senso dell’antecedente, che risulterebbe altrimenti
incompiuto.
La relativa appositiva fornisce
invece un’aggiunta di per sé non indispensabile alla compiutezza
dell’antecedente. La relativa appositiva introduce un elemento accessorio che
spesso si presenta come una parentesi nel discorso, e per questo è separata
dall’antecedente per mezzo di una virgola, o chiusa tra due virgole.
La proposizione relativa può
indicare varie circostanze dell’azione espressa dalla principale, acquistando
frequentemente un valore temporale, finale, consecutivo, causale, condizionale,
concessivo.
Il modo del verbo è l’indicativo
quando il fatto espresso è presentato come reale, certo; è il congiuntivo o il
condizionale quando è presentato come possibile, ipotetico, desiderato.
[36] Accento acuto ed accento grave In italiano gli accenti grafici,
cioè i segni con cui si marca la vocale tonica della parola, sono di due tipi:
·
L’accento
acuto:
é;
·
L’accento
grave:
à.
Si segna l’accento grave sulle
vocali a, i, u, quando è necessario: libertà, più, capì.
Invece sulle vocali e ed o si segna l’accento
acuto quando hanno un suono chiuso, come nelle parole: pésca (= l’azione
del pescare), vólto (= il viso), perché, né; si segna
l’accento grave quando hanno un suono aperto, come nelle parole: pèsca
(il frutto), vòlto (participio passato di volgere) è, cioè.
[37] Uso dell’accento nel corpo della parola - Tuttavia è consigliabile
segnarlo nei seguenti casi:
·
Quando
solo l’accento distingue due o più parole omografe, cioè due o più parole che
hanno identica grafia ma pronuncia e significato diversi, come:
·
Lèggere e leggère
·
Nocciolo
e nocciolo
·
Gito, agito e agitò;
·
Nelle
forme plurali delle parole in -orio quando possono essere confuse con le
forme plurali delle parole in -ore: direttòri (plurale di direttorio)
/ direttóri (plurale di direttore);
·
Nelle
forme plurali delle parole in -io quando possono essere confuse con i
plurali di altre parole simili: princìpi (plurale di principio) /
prìncipi (plurale di principe);
·
Nelle
voci del verbo dare che possono essere confuse con i loro omografi: danno,
dato, dagli;
Tutte le volte che si vuole indicare l’esatta
pronuncia di una parola rara e difficile: ecchìmosi, prosèliti, streptomicìna.
[38] Metrica - La metrica è la struttura letteraria di un componimento poetico, che ne determina
il ritmo e l’andamento generale. Con
il termine metrica si indica quella particolare branca della filologia che si
occupa dello studio di queste strutture.
[39] Le muse Le
Muse sono i nove personaggi della mitologia greca e romana, figlie di Zeus e di
Mnemosine o Armonia, o, secondo un’altra versione, di Gaia (Terra) e Urano
(Cielo) L’importanza delle muse nella mitologia antica fu assai elevata: esse
infatti rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, di cui erano anche patrone.
[40] Pimplee: – Pimplee è uno dei
molteplici sono gli appellativi
dati alle Muse, sovente riferiti alle località in cui esse soggiornarono
[41] Inseminata: di terreno, su cui non si è seminato; incolto, abbandonato: ed
oggi nella Troade inseminata |
eterno splende ai pellegrini un loco (Foscolo)
[42] Ninfa: - La mitologia greca annovera molte ninfe, semidivinità
della natura. Qui Foscolo fa riferimento ad Elettra, una ninfa oceanina, figlia
del titano Oceano e della titanide Teti, quindi una delle Oceanine. Secondo
Omero Elettra e Zeus concepirono Dardano, capostipite dei re di Troia, e perciò
detti Dardanidi. Elettra
era una ninfa a cui era consacrato l’ambra, un materiale importante per chi
viaggiasse nel mare in quell’epoca.
[43] Diè: sta per diede.
[44] Dardano: Dardano era figlio di Zeus, e
dell’oceanina Elettra figlia di Atlante. Dardano è considerato il capostipite
della dinastia troiana.
Secondo alcune tradizioni, quando
Dardano giunse in Asia Minore sposò Batiea, figlia del re del paese, Teucro, o,
secondo altre fonti, Arisbe.
Dall’unione di Dardano con la sua
sposa nacque Erittonio che sposerà Astiope. Dai discendenti Pandione e Troo, a
quest’ultimo la mitologia accredita la derivazione del nome Troia alla
cittadella. Lo stesso quindi è il capostipite della stirpe troiana di Priamo.
Dall’altra stirpe, quella di Pandione, sarà generato Teseo. Dardano è
considerato un civilizzatore sul piano religioso: a lui si deve infatti il
culto del Palladio nella cittadella di Troia, e l’introduzione del culto di
Cibele in Frigia.
[45] Assaraco: Assarco o
Assaraco era il nome di uno dei figli di Troo
e Calliroe. Troo, mitico fondatore di Troia ebbe un
figlio Assarco che prese il suo posto sul trono di Troia, al comando di tutti i
dardani.
Fu re di Troia, ed ebbe come
moglie Ieromnene, che diede vita a Capi, padre di Anchise, che generò Enea.
Assarco ebbe due fratelli Ilo il
giovane, Ganimede dalla famosa
bellezza ed una sorella, Cleopatra.
[46] Almen: sta per almeno.
[47] Gemea: sta per gemeva.
[48] l’immortal: sta per l’immortale.
[49] Piovea: sta per pioveva. Osservare l’uso del verbo piovere, intransitivo ma usato
da Foscolo transitivamente nel senso di faceva
piovere.
[50] Sciogliean: sta per scioglievano.
[51] Allor: sta per allora.
[52] Fea: sta per
[53] Nepoti: sta
per nipoti. È un latinismo.
[54] Tidìde: Diomede figlio di
Tideo. Nota l’uso del patronimico. Un patronimico è la parte del nome di una
persona che indica la discendenza paterna. Si distingue dal cognome perché,
mentre quest’ultimo è fisso, il patronimico varia nelle generazioni.
Dal punto di vista onomastico è
l’espressione delegata a indicare il vincolo col proprio padre, come, ad
esempio, in greco il Pelide Achille (dal nome del padre Peleo), il Tidide
Diomede(dal nome del padre Tideo) il Laerziade Odisseo (dal nome del padre
Laerte).
[55] di Läerte al figlio: Odisseo figlio
di Laerte.
[56] Servar: sta per servare latinismo per conservare.
[57] Piantan: sta per piantano.
[58] Pelìdi: sta per Achei. Nota la figura di significato
[59] Prenci: sta per principi.
[60] Argivi: argivi sta per Achei. Nota la figura di significato
[61] Lagrimato: sta per lacrimato = pianto.
[62] Bisillabo: Il bisillabo o
binario è un verso di due sillabe ed
ha per forza un solo accento sulla prima sillaba:
es.: Dopo tanta
Nébbia
a
ùna a ùna
si
svelano
le
stelle
(G. Ungaretti, Sereno, vv 1-6)
[63] Trisillabo - Il trisillabo
o ternario è un verso molto raro e di
solito si trova inframmezzato a versi più lunghi, in cui l’accento si trova
sulla seconda sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende tre
sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente due oppure
quattro.
Es.: Si tàce,
non
gètta
più
nùlla.
Si
tàce,
non
s’òde
romóre
di
sòrta,
che
fórse…
che
fórse
sia
mòrta?
(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv 26-35)
La
mòrte
si
scónta
vivéndo
(G. Ungaretti, Sono una creatura, vv 12-14)
(G. Ungaretti, Sono una creatura, vv 12-14)
[64] Quadrisillabo - Il quadrisillabo
o quaternario, non molto comune nella
poesia italiana, è un verso di quattro sillabe nel quale l’accento principale
si trova sulla terza sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana, il verso
comprende quattro sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola, ne contiene
rispettivamente tre oppure cinque.
generalmente Si ha un accento
secondario sulla prima sillaba.
Es.: Col mare
mi
sono fatto
ùna
bàra
dì
freschézza
(G. Ungaretti, Universo)
Spesso questo verso è usato
alternato con versi più lunghi come gli ottonari.
Es.: Paranzelle in alto mare
biànche
biànche,
io
vedeva palpitare
còme
stànche:
o
speranze. Ale di sogni
pér
il màre!
(G. Pascoli, Speranze e memorie, vv 1-6)
[65] Quinario - Il quinario o pentasillabo è un verso nel quale l’accento principale si trova
sulla quarta sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende cinque
sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente quattro oppure
sei. Gli accenti metrici sono generalmente con un accento secondario sulla
prima o sulla seconda sillaba l’altro sulla quarta sillaba.
Es.: Vìva la chiòcciola,
vìva una béstia
che
unìsce il mèrito
àlla modèstia.
(G. Giusti, La chiocciola, vv 1-4)
Anche questo verso spesso è usato
alternato a settenari ed endecasillabi o come clausola.
Es.: Lungo la strada vedi su la
siepe
ridere
a mazzi le vermiglie bacche.
nei
campi arati tornano al presepe
tàrde
le vàcche.
(G. Pascoli, Sera d’ottobre,
vv 1-4
[66] Senario - Il senario è un verso è un verso di sei sillabe nel quale
l’accento tonico si colloca sulla quinta sillaba metrica. Di conseguenza, se
l’ultima parola è piana il verso comprende sei sillabe, mentre se è tronca o
sdrucciola ne comprende rispettivamente cinque oppure sette. Il senario due
accenti ritmici, uno sulla seconda e l’altro sulla quinta sillaba.
Es.: Sul chiùso quadérno
di
vàti famósi,
dal
mùsco matérno
lontàna
ripósi,
ripósi
marmórea,
dell’ónde
già fìglia,
ritórta
conchìglia.
(G. Zanella, Sopra una conchiglia
fossile, vv 1-7)
[67] Settenario - Il settenario, con l’endecasillabo uno dei versi più ricorrenti
nella poesia italiana, è un verso nel quale l’accento principale si trova sulla
sesta sillaba: quindi, se l’ultima parola è piana comprende sette sillabe,
mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente sei oppure otto.
Il settenario ha un accento fisso sulla sesta sillaba e l’altro mobile
su una delle prime quattro.
Es.: L’àlbero a cui
tendévi
la pargolétta
màno,
il vèrde
melogràno
da’ bei vermìgli fiòr,
nel muto òrto solingo
rinverdì tutto or óra
e giùgno lo ristòra
di lùce e di
calór.
(G. Carducci, Pianto
antico, vv 1-8)
Il settenario molto spesso è
alternato a quinari ed endecasillabi.
Es.: Silvia, rimèmbri ancóra
quel tempo della tua vita
mortale,
quando beltà splendèa
negli occhi tuoi ridenti e
fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il
limitare
di gioventù salìvi?
(G. Leopardi, A Silvia, vv 1-6)
[68] Ottonario - L’ottonario è
un verso di otto sillabe nel quale
l’accento principale si trova sulla settima sillaba: se l’ultima parola è piana
comprende otto sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha sette o nove. Gli
accenti metrici si collocano generalmente sulle sedi dispari. Accenti secondari
possono situarsi sulla seconda, quarta e sesta sillaba. L’ottonario ha gli accenti ritmici sulla terza e sulla
settima sillaba.
Es.: Quant’è bèlla giovinèzza
che si fùgge tuttavìa:
chi vuol èsser lieto, sìa,
di domàn non c’è certèzza.
Quest’è Bàcco e Ariànna,
belli, e l’ùn dell’altro ardènti:
perché ‘l tèmpo fugge e ingànna,
sempre insième stan contènti.
(Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, vv 1-8)
[69] Novenario - Il novenario
o enneasillabo è un verso di nove
sillabe è un verso in cui l’accento principale si trova sull’ottava sillaba
metrica: quindi, se l’ultima parola è piana comprende nove sillabe metriche,
mentre se è tronca o sdrucciola ne ha rispettivamente otto oppure dieci. Il
novenario ha tre accenti ritmici che cadono sulla seconda, sulla quinta e
sull’ottava sillaba.
Es.: Il giòrno fu pièno di
làmpi;
ma
óra verrànno le stélle,
le
tàcite stélle. Nei càmpi
c’è
un brève gre gré di ranèlle.
Le
trèmule fóglie dei pioppi
trascórre
una giòia leggièra.
[70]
Decasillabo - Il
decasillabo è un verso nel quale
l’accento principale si trova sulla nona sillaba: quindi, se l’ultima parola è
piana comprende dieci sillabe, mentre se è tronca o sdrucciola ne ha
rispettivamente nove oppure undici. Gli accenti metrici sono generalmente con
accenti secondari sulla terza e sesta sillaba.
Es.: Soffermàti sull’àrida
spónda,
volti
i guàrdi al varcàto Ticìno,
tutti
assòrti nel nòvo destìno,
certi
in còr dell’antìca virtù,
han
giuràto: Non fìa che quest’ónda
scorra
più tra due rìve stranière;
non
fia lòco ove sòrgan barrière
tra
l’Itàlia e l’Itàlia, mai più!
(A. Manzoni, Marzo 1821, vv 1-8)
[71] Endecasillabo - L’endecasillabo,
metro principale della nostra poesia è il verso nel quale l’accento principale
si trova sulla decima sillaba metrica.
L’endecasillabo è il verso in cui le sedi degli
accenti sono più varie, sebbene di solito gli endecasillabi presentano un
accento fisso o sulla quarta o sulla sesta sede. Per questa sua flessibilità
l’endecasillabo è stato il verso prediletto ed il più utilizzato nella poesia
italiani e si trova in tutte le formazioni più importanti, come la ballata, la canzone, il sonetto, l’ottava.
Es.: E me che i tempi ed il desio d’onore
fan
per diversa gente ir fuggitivo,
me
ad evocar gli eroi chiamin le Muse
[72] doppio quinario - es.: Al mìo cantùccio, / dónde non sénto
se nón le réste / brusìr del
gràno,
il suón dell’óre / viène col
vènto
dal nón vedùto / bórgo montàno:
suòno che uguàle, / che blàndo
càde,
come ùna vóce / che pérsuàde.
(G. Pascoli, L’ora di Barga, vv 1-6)
[73] Doppio settenario - Es.: Dagli
àtrii muscósi, / dai Fòri cadènti,
dai bòschi, dall’àrse / fucìne
stridènti,
dai sòlchi bagnàti / di sèrvo
sudór,
un vólgo dispèrso / repènte si
désta;
intènde l’orécchio, / sollèva la
tèsta
percòsso da nòvo / crescènte romór.
(A. Manzoni, Dagli atrii muscosi…, vv 1-6, Adelchi)
[74] Doppio ottonario - Es.: Su i càmpi di Maréngo / batte la lùna; fósco
tra la Bòrmida e il Tànaro /
s’agita e mùgge un bòsco,
un bòsco d’alabàrde, / d’uòmini e
di cavàlli,
che fùggon d’Alessàndria / da i
màl tentati vàlli.
(G. Carducci, Su i campi di Marengo, vv 1-8)
[75]Dialefe
- La dialefe: è il fenomeno inverso della
sinalefe e si verifica quando la vocale finale di una parola e quella iniziale
della parola successiva formano due sillabe separate. Si applica quando le due
vocali o la prima di loro sono accentate.
Es.: che la diritta viaˇera smarrita. (Dante, Inferno,
I , v. 3)
La dialefe è favorita di solito da pause grammaticali
o dall’inversione dell’ordine logico delle parole.
[76] Dieresi – La dieresi: è la figura
metrica opposta alla sineresi in questo caso un dittongo si divide in due
sillabe. Essa è segnata da due puntini che vengono posti sulle vocali più
deboli.
Es.: la somma sapïenza e ‘l primo amore. (Dante, Inferno, III, v. 6)
La parola sapienza, secondo la
comune sillabazione italiana, è un trisillabo (sa-pien-za); ma in questo verso
è computata come quadrisillabo (sa-pi-en-za).
[77] Sinalefe – la sinalefe è la fusione in un’unica
sillaba metrica delle vocali finali di una parola con quella iniziale della
parola successiva.
Es.: «mi ritrovai per una selva
oscura» (Dante, Inferno I, v 2)
Il suo schema metrico, in cui si
evidenzia la sinalefe, è il seguente
Sill 1
|
Sill 2
|
Sill 3
|
Sill 4
|
Sill 5
|
Sill 6
|
Sill 7
|
Sill 8
|
Sill 9
|
Sill 10
|
Sill 11
|
Mi
|
Ri
|
Tro
|
Vai
|
Pe
|
r u
|
Na
|
sel
|
va o
|
scu
|
ra.
|
[78] Sineresi – La sineresi: consiste nel
fondere in una sola sillaba all’interno di una parola due o più vocali vicine
ma appartenenti a sillabe diverse.
Es.: Questi parea che contra me venisse (Dante, Inferno I, 46)
Parea, secondo la grammatica, ha tre sillabe, in questo
verso ne ha due soltanto.
[79] Apostrofo - L’apostrofo
(‘) è un carattere usato, nelle lingue scritte che indica soprattutto l’elisione, talora il troncamento. Da non confondere con
l’apostrofo è l’apostrofe retorica.
[80] L’elisione deve attuare
nei seguenti casi:
1.
|
Con ci davanti a voci
del verbo essere:
|
c’è, c’era, c’erano
|
2.
|
Con l’articolo una:
|
un’ora
|
3.
|
Con gli articoli lo, la,
e le relative preposizioni articolate:
|
l’orto, all’orto, dall’orto,
nell’orto,
l’anima, all’anima, dell’anima,
nell’anima
|
4.
|
Con gli davanti a parole
che iniziano con i:
|
gl’Italiani
|
5.
|
Con bello/bella, quello/quella:
|
bell’uomo, quell’erba
|
6.
|
Con santo davanti a
vocale:
|
sant’Agnese
|
7.
|
Con alcune locuzioni caratteristiche:
|
senz’altro, tutt’altro, mezz’ora
|
8.
|
Con la preposizione da in
alcune espressioni:
|
d’allora, d’ora, d’altra
parte
|
9.
|
Con la preposizione di in
alcune espressioni:
|
d’accordo, d’epoca, d’oro
|
facoltativa
|
||
1.
|
Con le particelle mi, ti, si
|
mi importa/m’importa, ti
accolsi/t’accolsi, si accende/s’accende
|
2.
|
Con questo e grande:
|
questo assegno/quest’assegno, grande
uomo/grand’uomo
|
3.
|
Con la preposizione di in
alcune espressioni
|
di esempio/d’esempio
|
Il monosillabo da non si
elide, scriveremo perciò da amare e non d’amare. A questa regola fanno
eccezione alcuni casi cristallizzati dall’uso: d’ora in poi, d’ora in avanti,
d’altronde, d’altra parte.
[81] Il troncamento si deve attuare nei seguenti casi:
1.
|
Con uno e suoi composti
(alcuno, ciascuno, ecc)
|
un uomo, alcun luogo
|
2.
|
Con buono, bello, quello
davanti a consonante:
|
buon giorno, bel cane, quel
giorno
|
3.
|
Con santo davanti a
consonante:
|
san Mattia
|
4.
|
Con quale davanti a “è”:
|
qual è
|
Facoltativo
|
||
1.
|
Con tale e quale davanti
a vocale e consonante
|
tal uomo/tale uomo, qual buon
vento/quale buon vento
|
2.
|
Con l’aggettivo grande davanti
a nomi maschili che cominciano per consonante:
|
gran signore/grande signore
|
3.
|
Con frate davanti a
consonante e suora davanti a vocale e consonante
|
Fra Cristoforo/frate Cristoforo,
suor Antonia/suora Antonia
|
[82] Apocope
– Il termine apocope E infatti, come sa chiunque abbia anche solo i
rudimenti di greco classico, «apocope» significa «taglio (via da)»,
«amputazione».
[83] Aferesi - L’afèresi è un fenomeno fonetico storica che consiste
nella caduta d’una vocale o d’una sillaba all’inizio di parola.
Può anche essere una ‘figura
retorica’ che dà luogo a forme poetiche:
Es.: inverno = verno
[84] Prostesi - La pròstesi o pròtesi (dal greco próthesis, derivato da
protithénai, «porre avanti») è un fenomeno fonetico che consiste nell’aggiunta
di una vocale o una sillaba, all’inizio di una parola.
Es.: in strada = in istrada
[85] Apocope – L’apòcope (anche detta troncamento) è un fenomeno
fonetico che consiste nella caduta della vocale o della sillaba finale atona
della parola.
L’apocope differisce
dall’elisione perché può determinare la caduta di un’intera sillaba e perché
può avvenire davanti a una parola che inizia per consonante. Salvo nei casi
particolari rappresentati dagli imperativi in seconda persona singolare di
dare, dire, fare, stare, andare e dagli equivalenti tronchi di poco (po’), modo
(nella locuzione a mo’ di), bene (be’; viene spesso sostituito da beh) e
dell’arcaico e desueto “tògli” con il significato di “prendi” (to’; es. to’
questa caramella= prendi questa caramella), il troncamento, a differenza
dell’elisione, non è marcato dall’apostrofo.
[86] Epitesi - L’epítesi (anche detta «paragòge») è un fenomeno fonetico
che consiste nell’aggiunta d’una vocale o d’una sillaba alla fine d’una parola.
Es.:
David = David(d)e.
In italiano antico era anche
frequente dopo vocale:
Es.: amò = amoe
fu = fue
[87] Sincope - La síncope è un fenomeno fonetico storica che consiste
nell’eliminazione d’una lettera o d’una sillaba all’interno della parola.
Può anche essere una figura
fonetica che dà luogo a forme poetiche:
opera = opra
spirito = spirto
Il contrario della sincope è l’epèntesi.
[88] Epentesi - L’epèntesi è un fenomeno fonetico che consiste nell’aggiunta di una vocale o di una sillaba
all’interno di una parola.
Es.: asma = ansima
biasma = biasima
medesmo = medesimo
[89] Baciata – la rima si dice baciata quando un verso è in rima con
quello successivo.
Lo schema metrico è AABB.
Es.: «Una donna s’alza e cànta
La
segue il vento e l’incànta
Sulla
terra la stènde
il
sogno vero la prènde »
(G. Ungaretti - Canto beduino, vv. 1-4)
[90] Alternata - la rima si dice alternata,
quando il primo verso rima con il terzo, e il secondo con il quarto.
Schema metrico è ABAB, CDCD.
Es. «Lo stagno risplende. Se
tàce
la
rana. Ma guizza un bagliore
d’acceso
smeraldo, di bràce
azzurra:
il martin pescatore.
E
non sono triste, ma sono
stupito
se guardo il mio giardìno...
Stupito
che? non mi sono
mai
sentito tanto bambìno... »
(G. Gozzano - L’assenza - vv. 21-28)
[91] Incrociata: la rima si dice incrociata,
quando il primo verso rima con il quarto, il secondo con il terzo.
Schema metrico è ABBA CDDC.
Es.: « Non pianger più.
Torna il diletto fìglio
a
la tua casa. È stanco di mentìre.
Vieni;
usciamo. Tempo di rifiorìre.
Troppo
sei bianca: il volto è quasi un gìglio.
Vieni;
usciamo. Il giardino è abbandonato
serva
ancora per noi qualche sentièro
Ti
dirò come sia dolce il mistèro
che
vela certe cose del passàto.»
(G. D’Annunzio - Consolazione - vv.
1-8)
[92] Incatenata – la rima si dice incatenata
quando il primo verso rima con il terzo della prima terzina, il secondo con
il primo della seconda terzina, il secondo di questa rima con il primo delle
terza terzina, e così via.
Il più alto esito di tale schema
di rime è la Divina Commedia, interamente strutturata in questo modo.
Lo schema metrico è ABA, BCB,
CDC.
Es.: «Amor, ch’al cor gentil
ratto s’apprende,
prese
costui de la bella persona
che
mi fu tolta; e’l modo ancora m’offende.
Amor,
ch’a nullo amato amar perdona,
mi
prese del costui piacer sì forte,
che,
come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor
condusse noi ad una morte.
Caina
attende chi a vita ci spense».
Queste
parole da lor ci fuor porte.»
(Dante - Commedia, Inferno, V, vv.
100-108)
[93] Ipermetra - la rima si dice ipermetra
quando una delle due parole è considerata senza la sillaba finale
Es. «Ah l’uomo che se ne va
sicuro,
agli
altri ed a se stesso amico,
e
l’ombra sua non cura che la canicola
stampa
sopra uno scalcinato muro! »
(Eugenio Montale - Non chiederci la parola vv. 5 e segg.)
[94] Allitterazione - L’allitterazione
consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di
un suono all’inizio o all’interno di parole successive.
Essa pone l’attenzione sui
rapporti tra le parole fonicamente messe in rilievo.
Grazie alle allitterazioni
possono essere evocate diverse sensazioni condizionate dalle lettere che fanno
l’allitterazione stessa.
Alcune linee di tendenza possono
essere:
·
le
consonanti dal suono secco (g, c e s) evocano una sensazione di durezza.
·
le
consonanti dal suono dolce (v e l) evocano una sensazione di morbidezza,
piacere.
·
la
vocale a evoca un senso di ampiezza.
·
la
vocale u evoca un senso di gravezza.
·
la
vocale i evoca un senso di chiarezza.
[95] Assonanza - L’assonanza è
un fenomeno di metrica che consiste nella parziale identità di suoni di due o
più versi.
La forma più comune di assonanza
è una rima imperfetta in cui le parole hanno le stesse vocali a partire dalla
vocale accentata (vocale tonica), mentre le consonanti sono diverse, anche se
spesso di suono simile, ma si possono distinguere diverse tipologie:
·
assonanza semplice, quando coincidono soltanto le
vocali (rasone/colore)
·
assonanza della sola tonica, quando coincide solo la vocale
accentata (pieta/demandava)
·
assonanza atona, quando coincide la vocale non
accentata (limo/toro) o la sillaba non accentata (mare/sere).
·
consonanza tonica, quando coincidono le consonanti (partire = splendore; colle
= elle).
L’assonanza è impiegata spesso
nella poesia del Novecento al posto della rima, ed è frequente nel linguaggio
della pubblicità.
[96] Consonanza – La consonanza
si ha quando, a partire dalla vocale accentata, sono uguali le consonanti e
diverse le vocali (non comprende la corrispondenza della stessa vocale tonica).
Es.: màriti
aprìti
[97] Onomatopea - L’onomatopea
consiste nell’uso di una parola la cui pronuncia assomiglia al suono o rumore che si intende riprodurre.
Esistono onomatopee
·
naturali che consistono nell’imitazione
del suono di qualcosa ossia dalle parole da cui sono derivati termini di uso
comune ad esempio miagolare dal verso
del gatto.
·
artificiali ossia quelle parole che
contengono suoni che si riferiscono ad un suono come fruscio, ticchettio, rimbombo, ciak, etc.;
Es.: «Clof,
clop, clock,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...
È giù,
cloppete,
clocchete,
chchch...
È giù,
nel
cortile,
la
povera
fontana
malata;
[...] »
da La fontana malata di Aldo Palazzeschi
[98] Paronomasia - La paronomàsia
consiste nell’accostare due o più parole che abbiano suono molto simile
(differendo per una o due lettere) e significato diverso. Può essere usata per
rendere perentoria l’associazione tra due concetti, per esaltare la musicalità
di un verso o per scopi umoristici.
Es.: Carta canta, Dalle stelle
alle stalle, Chi non risica non
rosica, Senza arte né parte, Volente o nolente.
Es.: “...e non mi si partia
dinanzi al volto
anzi
‘mpediva tanto il mio cammino
ch’i’
fui per ritornar più volte volto.”
(Dante)
“Talor, mentre cammino solo al sole
e guardo coi miei occhi chiari il
mondo...” (Sbarbaro)
[99] Enjambement - L’enjambement
consiste nell’alterazione tra l’unità del verso e l’unità sintattica ed è
quindi una frattura a fine verso della sintassi o di un elemento sintattico al
quale esso è collegato.
Es.: sol con un legno e con
quella compagna
picciola
da la qual non fui diserto. Dante
- Inferno, canto XXVI)
L’enjambement si ha dunque quando la frase non termina col verso, ma
si protrae in quello successivo.
[100] Distico - Il distico,
formato da una strofa di due versi in genere uguali metricamente, é a rima
baciata (AA).
Es.: “Al valente segnore A
di cui non so migliore A
sulla terra trovare B
ché non avete pare B (..)”
(dal Tesoretto di Brunetto Latini)
[101] Terzina - la
terzina, è formata da una strofa di
tre versi in genere metricamente uguali.
Le rime possibili sono: ABA BCB CDC DED... incatenata, terza rima o Dantesca ABA CBC DED FEF...
La terzina, che ha di solito la rima incatenata (ABA
BCB) e rappresenta il metro caratteristico della poesia didascalica e
della poesia allegorica a cui appartiene anche la Divina Commedia di Dante,
è formata da una strofa di tre versi.
Nella terzina vengono usati più frequentemente gli endecasillabi (Giovanni Pascoli,
costruendo terzine di novenari, interruppe la tradizione) dove il primo verso
rima con il terzo e nella successione delle terzine il secondo verso rima con
il primo della terzina che segue. In alcuni autori dell’Ottocento e del
Novecento la rima può non essere incatenata, come nel Pascoli di Myricae.
[102] Quartina - La quartina,
per lo più a rima incatenata (ABAB) o incrociata (ABBA) è una strofa composta
da quattro versi che, come la terzina, può vivere autonomamente. Si possono
cioè avere componimenti di sole quartine come nel caso della poesia Diana di Mario Luzi che è composta da
quattro quartine che seguono lo schema
ABAB/CDED/FGFG/HILI.
I versi che compongono la
quartina di solito sono dello stesso metro e si hanno così quartine composte di
4 endecasillabi o di 4 settenari. Sono state adottate soluzioni differenti
solamente da quei poeti che hanno voluto imitare strofe di origine
greco-latina. Un esempio ne è la strofa saffica che è composta da tre
endecasillabi e un quinario, oppure la strofa
alcaica composta di due doppi quinari,
da un novenario e da un decasillabo.
[103] Sestina . La
sestina è una strofa di sei versi di
cui i primi quattro versi a rima alternata (ABAB) e gli altri due a rima
baciata (CC). Essa si distingue in
·
sestina narrativa, composta da due distici a rima alternata o incrociata e da un distico
a rima baciata (ABABCC;ABBACC) che viene spesso usata per gli argomenti leggeri
e scherzosi
·
Sestina Lirica
che è una variante della canzone con
una struttura complessa che prevede sei stanze
a strofe incatenate e parole-rima interamente ripetute.
La sestina
fu creata dai poeti provenzali e fu introdotta in Italia da
Dante e da Francesco Petrarca, fu usata nei canzonieri del Cinquecento e Seicento e
nelle raccolte dell’Arcadia, è infine
usata nel Novecento da Gabriele
D’Annunzio, da Giuseppe Ungaretti,
da Franco Fortini.
[104] Ottava -
L’ottava è una strofa di otto versi
di cui i primi sei versi a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata è il
metro della poesia narrativa e in
particolare dei poemi epico-cavallereschi, come l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e la
Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
L’ottava, di cui si attribuisce l’invenzione a
Giovanni Boccaccio che la utilizzò per primo in uno dei suoi poemi, visse il
suo periodo più felice tra il Trecento ed il Seicento e fu successivamente
ripresa, anche se solo occasionalmente, da Giuseppe Giusti, da Niccolò Tommaseo
e da Gabriele D’Annunzio.
[105] Strofa
libera - Si dice strofe libera,
quella in cui i versi non hanno un numero fisso, non sono legati dal ricorso regolare della rima, o che presenta variazioni nel
numero delle sillabe del verso e nella loro disposizione.
[106] Poste: posto destinato a ciascun animale nella stalla.
[107] Frangean: rompevano.
[108] Biada: nome generico dei cereali usati per alimentare il
bestiame.
[109] Salsa: salata.
[110] Froge: ciascuna delle estremità carnose delle narici degli
equini.
[111] Avea: aveva.
[112] Aguzzi: acuti, appuntiti.
[113] Greppia: nelle stalle, rastrelliera per il fieno posta sopra
la mangiatoia.
[114] Dicea: diceva.
[115] Storna: di mantello equino, di colore grigio scuro
macchiettato di bianco. Di cavallo, che ha tale mantello.
[116] Giovinetto: ragazzo molto giovane, adolescente.
[117] Briglie: ciascuna delle due redini che si attaccano al morso
del cavallo. L’insieme dei finimenti con cui si guida il cavallo.
[118] Brulla: mancante, privo di qualcosa.
[119] Volgea: girava.
[120] Scarna: del corpo o di una sua parte, molto magro,
macilento.
[121] Dicea: diceva.
[122] Lasso: affaticato.
[123] Seguitasti: seguisti.
[124] Dové: doveva.
[125] Vampe: fiamma alta e intensa.
[126] Fise: fisso.
[127] Dormian: dormivano.
[128] Battean: battevano.
[129] Dormian: dormivano.
[130] Poemetti – La seconda
grande opera poetica di Giovanni Pascoli, Primi Poemetti reca nel frontespizio
l’epigrafe latina Paulo Maiora e la dedica A Maria Pascoli.
La prima edizione è del 1897, si
intitolava soltanto Poemetti e
comprendeva solo 20 testi; la seconda edizione del 1900 ne conteneva 45; la
terza, del 1904, prende il titolo definitivo di Primi Poemetti, la quarta
edizione ed ultima, del 1907.
La prefazione espone le
intenzioni e il significato dell’opera, che riafferma l’importanza della
Natura; anche il tema del mistero acquista un significato e una profondità
maggiori; il terzo grande tema della raccolta nella solidarietà internazionale
tra tutti gli uomini come un popolo di rondoni, un popolo bellicoso e straniero,
porta da mangiare alle rondini.
La Sementa racconta la storia di una
famiglia contadina che svolge lavori agricoli. I personaggi sono Rosa, la
sorella maggiore, Viola, la sorella minore, e due fratelli piccoli, Nando e
Dore, guidati da un capofamiglia. Al centro della storia c’è l’innamoramento di
Rosa per Rigo un cacciatore.
Nella sezione Il bordone, Pascoli ha inserito alcuni
componimenti poetici, come L’aquilone
o Suor Virginia o ispirati dal senso oscuro del mistero, come I due fanciulli, Nella nebbia, La grande
aspirazione, L’immortalità, Il Libro.
Nello sviluppo di questi temi
l'autore ha inserito dei personaggi allegorici come Il cieco e L’eremita.
L’opera termina con un poemetto Italy dedicato all’Italia raminga, che
racconta la storia di una famiglia emigrata in America, ma costretta a
rientrare, per via di una bimba malata, che viene ricondotta a casa, con la
speranza che il clima della Penisola, mite e salubre le possa giovare. Gli
emigranti maledicono l’Italia, perché in essa non hanno trovano lavoro, ma
Pascoli li invita a non farlo, perché un giorno essa accoglierà tutti e darà
lavoro a tutti.
Tutta l’opera poetica è in
terzine di endecasillabi a rime incatenate. I componimenti poetici sono quelli
che esulano dal romanzo agreste e georgico.
I componimenti più brillanti sono
quelli che Pascoli scrisse, in tempi e su riviste diverse, ma che poi sistemò
in un ordine ideale nell’opera poetica. Tra questi, un capolavoro assoluto è
sicuramente costituito da L’aquilone,
che viene dopo due componimenti forti,
Il soldato di San Pietro in Campo e Digitale purpurea.
Nella quarta sezione L’accestire notevole è il componimento La siepe.
Ma la sezione che contiene i
componimenti più coinvolgenti è la quinta sezione. Il tema di questa sezione è
il Mistero e la pace internazionale come
nel primo poemetto I due fanciulli.
Segue la poesia Nella nebbia una
poesia simbolica. Poi La grande
aspirazione e il componimento L’immortalità.
Seguono tre componimenti poetici Il libro,
La felicità e Il cieco, considerato il più bello
dell’intera raccolta. Il cieco è un
personaggio allegorico è simboleggia l’intera umanità, cieca di fronte al
mistero dell’universo e della vita. Egli non conosce la propria provenienza e
non conosce la propria destinazione, così come l’umanità non sa da dove è
venuta e non sa dove andrà a finire. Il cieco ha perso il cane che lo guidava,
così l’umanità ha perso la scienza che la conduceva verso la pace e verso la
felicità. Il cieco si rivolge a Dio, per avere indicazioni. Ma Dio non risponde,
tace immobilmente.
Nuovi Poemetti reca sul frontespizio il motto Paulo Malora ed è dedicata agli scolari dello scrittore, di Matera,
Massa, Livorno, Messina, Pisa e Bologna.
Giovanni Pascoli riprende i temi
dei Primi Poemetti e sviluppa ulteriormente la storia della famiglia,
inserendo rapsodicamente pregevoli poemetti sparsi, come Il naufrago, La morte del Papa, La pecorella
smarrita, La vertigine, Gli emigranti
della luna e termina con il poema Pietole.
Questi componimenti sottolineano
l'esiguità della Terra nei confronti dell’Universo e indulgono alla riflessione
sull'esistenza di Dio, entità percepita nella sua assente indifferenza nei
riguardi della vicenda umana.
[131] Il gelsomino notturno –
Scritta il 21 luglio 1901, ma l'ideazione è degli anni 1897-98. Inserita nella
prima edizione dei Canti di Castelvecchio
del 1903. È rivolta all'amico Gabriele Briganti in occasione della nascita del
figlio, ma è come se il poeta, che nel 1901 aveva 46 anni, la scrivesse a se
stesso, poiché egli s'immagina d'essere uno sposo senza esserlo.
Cinque anni prima della stesura
della poesia era naufragato il suo progetto di matrimonio con la facoltosa
cugina riminese Imelde, ormai trentenne, figlia di Alessandro Morri. In questa
decisione influì pesantemente la sorella di Pascoli, Maria, che viveva con lui.
Nel 1895 il matrimonio della
sorella Ida l'aveva sconvolto. Scrive da Roma all'altra sorella Maria: “Questo
è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non
sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia
famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà,
per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono
preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va
strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla
distruzione de' miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!”
[132] Viburni: il viburno comprende circa duecento specie di arbusti di
dimensioni varie; molto diffusi nei giardini per la facilità di coltivazione,
hanno in genere forma arrotondata, o eretta, e raggiungono i 3-4 metri di altezza
nell'arco di alcuni anni. Il fogliame è ovale o lanceolato, in genere coriaceo,
liscio o rugoso, a seconda della specie, di colore verde scuro. I fusti sono
molto ramificati, e sopportano potature anche drastiche, per mantenere
l'arbusto più compatto.
[133] Le… crepuscolari: secondo
la trdizione popolare le farfalle crepuscolari e quelle nere portano sfortuna e
sono presagio di guai e morte ed in esse si nascondono le anime dei dannati.
[134] Sala: stanza destinata
alla conversazione e al ricevimento di ospiti.
[135] Chioccetta:
la costellazione delle Pleiadi
[136] Pomari: frutteto,
specialmente per indicare giardini dell’antichità o rinascimentali. Il termine
è letterario.
[137] Endimione – Secondo il mito Endimione fu re dell'Elide, la regione
di Olimpia. Le storie su di lui sono discordanti. Le più popolari narrano che
per aver cercato di insidiare Hera,
una volta scoperto da Zeus, fu maledetto e fu costretto a 50 anni di sonno
continuo Secondo tale versione la dea Artemide scoprì Endimione dormiente sul
monte Latmo, e, incantata dalla sua bellezza, si recava ogni notte a guardarlo.
Un’altra versione del mito narra
che Ipno donò ad Endimione la facoltà
di dormire con gli occhi aperti.
[138] Latmo – Le pitture rupestri preistoriche del monte Latmos sono
distribuite intorno alla cima del monte e sono le prime testimonianze di arte rupestre
dell’Asia minore occidentale.
Tematicamente queste
raffigurazioni costituiscono un gruppo distinto: diversamente dalle pitture
rupestri dell’Europa occidentale e dalle loro rappresentazioni zoomorfe, il
tema principale delle raffigurazioni del Latmos è l’uomo, raffigurato insieme
ai suoi simili, più frequentemente in coppia, un uomo e una donna, con chiaro
riferimento alla relazione tra i sessi o alla famiglia umana e alla sua
sopravvivenza.
A questo cambiamento tematico
corrisponde un cambiamento stilistico: al posto delle raffigurazioni zoomorfe
della pittura rupestre preistorica, subentra uno stile di rappresentazione
della figura umana schematica, di formato ridotto e tendente al simbolismo.
Grazie all’attenzione posta alla
famiglia è per la prima volta rappresentato il decisivo cambiamento nelle
abitudini di vita dell’uomo, verificatosi con il suo passaggio alla
stanzialità.
Il Latmos era uno dei monti sacri
dell’Asia Minore. La sua cima, sede di un antichissimo culto rupestre della
pioggia e quindi della fertilità, era adorata la divinità anatolica del cielo e
della pioggia, il dio più importante dell’Asia Minore, al cui posto subentrò
più tardi Zeus.
Allo stesso tempo dietro il culto
rupestre si celava una divinità locale della montagna, venerata insieme al dio
del cielo. Nella mito classico il dio del monte Latmo continuò ad essere
venerato nel personaggio di Endimione.
Nelle pitture rupestri vengono espresse anche le
credenze religiose degli uomini della preistoria legate a questa montagna ed esse
sono scaturite da questo ambiente naturale: la loro ubicazione e i loro
soggetti fanno chiaramente riferimento ad un culto della fertilità praticato
sulla cima del monte. Nei luoghi delle pitture rupestri erano celebrate
cerimonie nuziali in onore o sotto la protezione del dio del cielo. In tal
senso queste pitture potrebbero essere considerate le prime raffigurazioni di
feste nuziali della storia dell’umanità e dell’arte.
[139] Cesarie: chioma lunga e
folta.
[140] Serra: locale in forma di
padiglioni, con pareti costituite da grandi vetrate, per la coltivazione di
piante in condizioni climatiche controllate.
[141] Bramire: emettere bramiti.
Il bramito è un verso di animali
selvatici, specialmente del cervo e dell’orso.
[142] Agosto: personificazione
[143] Tibia: antico strumento a
fiato, simile al flauto, di osso, legno o metallo
[144] Gomme: miscela di resine e
oli essenziali, per essudazione di varie piante.
[145] Laura: riferimento di D’Annunzio a
Laura, la donna cantata da Petrarca nel Canzoniere.
[146] Suora: sorella
[147] Vago: vagare
[148] Bevere: bere
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