Il periodo del Rinascimento, dal Quattrocento alla prima metà del Cinquecento coincise con
l'instaurazione del sistema politico assolutistico dei grandi Stati nazionali
che caratterizzò l'Europa moderna. Se nella vita politica si affermò l'onnipotenza
della monarchia, nella storia socio-economica assunse rilievo centrale la
figura del mercante, mentre l'equilibrio tra città e campagna era attraversato
da forti tensioni provenienti dal mondo agrario.
Il Rinascimento fu un fenomeno europeo, ma le sue radici furono
italiane, anzi fiorentine: infatti fu l'umanesimo fiorentino (F. Petrarca, L.
Bruni, M. Ficino ecc.) a promuovere inizialmente il recupero di testi latini e
greci, a riassimilare per primo i modelli dell'antichità classica nei campi
dell'arte e della vita intellettuale, a riscoprire il mondo, l'uomo e la natura
quali luoghi primari di elaborazione del sapere. Le manifestazioni più
emblematiche dell'estetica rinascimentale scaturirono dalle arti visive e
dall'architettura (alle quali furono dedicati anche testi e trattati normativi
sulla prospettiva e la città
ideale), resi possibili grazie al mecenatismo sia delle corti italiane sia
del papato romano.
Apertosi simbolicamente nel 1401 con
il concorso tra Filippo Brunelleschi e
Lorenzo Ghiberti per la seconda porta del battistero di Firenze, il
Rinascimento si protrasse fino alla metà del XVI secolo. Si configurò come
fenomeno tipicamente italiano e stimolatore di nuove energie, anche se venne a
maturazione nel clima generale di rinnovato interesse naturalistico comune a
tutta l'arte europea, in particolare parallelamente e in fecondo intreccio con
l'umanesimo nordico nato nelle Fiandre.
Il concetto di Rinascimento come ripresa degli
ideali e delle forme dell'arte classica, dopo il Medioevo, trovò la sua
esposizione sistematica nell'opera letteraria di Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori,
edita a Firenze nel 1550, che individuò il germe della rinascita nella pittura
di Giotto e nella scultura di Nicola Pisano.
La sintesi di Giotto fu recuperata e
superata largamente a Firenze agli inizi del Quattrocento da un architetto, Filippo Brunelleschi, da uno scultore, Donatello, e da un pittore, Masaccio. Costoro attuarono una
rivoluzionaria trasformazione della concezione e delle funzioni dell'attività
artistica: nelle loro mani l'arte, non più attività meccanica, ma
intellettuale, diventò strumento di conoscenza e di indagine della realtà, cioè
disciplina basata su precisi fondamenti teorici. Tali fondamenti sono
riconoscibili per la prima volta nell'invenzione della prospettiva da parte di
Brunelleschi. Le possibilità fornite dal mezzo prospettico di misurare,
conoscere e ricreare uno spazio a misura umana furono espresse nella nitida
scansione geometrica delle architetture di Brunelleschi, nel proporzionato
ambito spaziale che accoglie le figure eroiche
dei rilievi di Donatello e dei dipinti di Masaccio. Questo antropocentrismo, per cui l'uomo è misura di tutte le cose, rientra nel grande programma di renovatio dell'antichità classica che gli artisti del
Quattrocento si proposero di attuare. L'antico tuttavia non fu inteso, in
questa prima fase, come un modello da imitare, bensì come coscienza storica del
passato, fonte di ispirazione per elaborazioni autonome. In questa linea
Donatello risuscitò il nudo classico nel David bronzeo del Bargello, ricreò il
ritratto romano, realistico ed eroico, ripropose il tema del monumento equestre
nel Gattamelata a
Padova, e su questa linea si mosse tutta la scultura fiorentina del secolo fino
a Michelangelo.
L'architetto e scultore Filippo Brunelleschi (1377-1446), vissuto a Firenze creò
un'architettura rigorosamente razionale, basata sul linearismo prospettico e
sulla chiara modulazione dello spazio; fu anche il primo a rivendicare il ruolo
dell'architettura come arte liberale.
Il suo apprendistato di artista si
svolse nella bottega di un orafo. Si mise poi in luce con il concorso del 1402
per la seconda porta bronzea del Battistero di Firenze: la sua formella con il Sacrificio di Isacco fu giudicata ex aequo con quella vincitrice di Lorenzo
Ghiberti, al cui sereno classicismo si contrappongono la tensione drammatica e
il vibrante plasticismo di Brunelleschi. Unica altra sua scultura fu in seguito
(1409-1420) il Crocifisso ligneo
della cappella Gonchi in S. Maria Novella.
L'interesse per l'architettura fu
presto prevalente in Brunelleschi: dal 1409 sono documentati suoi interventi e
pareri per i lavori in S. Maria del Fiore e nel 1418 presentò il modello per la
cupola. Frattanto compì viaggi a Roma dal 1402, anche con Donatello, studiando
con passione i monumenti antichi. Sulla base di questo studio, e tramite
l'amicizia col matematico Paolo Dal Pozzo Toscanelli, l'artista giunse a
elaborare la prima formulazione delle leggi della prospettiva: le due tavolette
con vedute di edifici in prospettiva (perdute ma descritte dalle fonti
letterarie) dovevano essere la dimostrazione di un nuovo metodo di misurazione
razionale dello spazio, fondamentale per la progettazione architettonica. Sulla
base delle nuove ricerche risolse il problema della cupola di S. Maria del Fiore e condusse l'opera con rivoluzionari
sistemi costruttivi; adottando la muratura in mattoni a spinapesce eliminò centine e armature e creò una struttura che si
autososteneva scaricando i pesi e le spinte per mezzo di una doppia calotta a
sesto acuto, in tal modo il volume interno della cupola si differenziava in
modo armonico da quello esterno. Nel 1432 progettò, mettendola in atto nel 1436,
la lanterna della cupola, necessario punto di convergenza delle linee di forza
dei costoloni.
Nel 1419 iniziò il portico dell'Ospedale degli Innocenti a
Firenze, che concepì come corpo di collegamento tra l'ospedale stesso e lo
spazio circostante, la piazza, fornendo un altro capolavoro esemplare del suo
stile progettuale prospettico.
Su commissione di Giovanni de' Medici,
Brunelleschi sviluppò nella chiesa di S.
Lorenzo due temi fondamentali: lo schema basilicale della chiesa e quello a
pianta centrale della sacrestia vecchia
del 1428, formata dal coordinamento di due puri elementi geometrici, un vano
cubico sormontato da una cupola emisferica a vele, raccordata alle pareti da
pennacchi.
La semplicità esemplare di queste
strutture si arricchì nelle opere successive: la chiesa di S. Spirito in Oltrarno del 1440 e la cappella dei Pazzi (1430-1444) nel chiostro di S. Croce. Progettò,
ancora a Firenze, altri edifici civili e realizzò gli interventi al piano
nobile del Palazzo di Parte Guelfa nel
1425 e a Palazzo Pitti (ca 1440).
Quest'ultimo, imponente nella semplice massa squadrata a bugnato rustico,
divenne il prototipo del palazzo signorile del Rinascimento.
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze ca 1386-1466), fu
uno dei maggiori scultori italiani per l'energica struttura plastica,
l'impostazione prospettica e la vibrante sensibilità del modellato esibite
dalle sue opere.
Si formò nel 1403 nella bottega di Lorenzo Ghiberti e
nell'ambito dei cantieri tardogotici fiorentini del battistero, del campanile e
del duomo (dal 1407). Se reminiscenze tardogotiche sono evidenti nell'elegante
linearismo delle prime opere (i due Profetini per
la porta della Mandorla in Duomo, 1406-08, e il David marmoreo del Museo del Bargello,
1409), già il San Giovanni Evangelista
(1409, Museo dell'Opera del Duomo) e il San
Marco (1411-12, Orsanmichele) esprimono un rifiuto dei moduli gotici e una
nuova visione classico-realistica.
Con l'amico F. Brunelleschi compì viaggi a Roma
(1404-08) per studiare, disegnare, misurare sculture e monumenti antichi, un
processo di maturazione giunto a pieno compimento nel San Giorgio per una nicchia di Orsanmichele (1416, ora al Museo del
Bargello di Firenze). La conoscenza del classico gli valse soprattutto come
stimolo per un'appassionata indagine della realtà: ne sono testimonianza le
statue dei Profeti scolpite nel ventennio successivo per il
campanile (ora in gran parte al Museo dell'Opera del duomo di Firenze), figure
la cui drammatica umanità si esprime in forme di intenso e talora spietato
realismo (Geremia, ca 1426; Abacuc, 1434-36).
Verosimilmente intorno al 1423 ebbe inizio la sua
collaborazione con lo scultore e architetto Michelozzo
Michelozzi (Firenze 1396-1472). Dal sodalizio nacquero il fonte battesimale
del Battistero di Siena (ca 1425, nel quale il rilievo bronzeo col Banchetto di Erode è esempio già maturo della tecnica
donatelliana dello stiacciato
(bassorilievo che affiora poco dal fondo, per ottenere una perfetta graduazione
prospettica dei piani); il sepolcro dell'antipapa Giovanni XXIII (ca 1425-27,
Firenze, Battistero); il sepolcro del cardinale Brancacci (1427, Napoli, S.
Angelo a Nilo), dove a Donatello spetta solo il rilievo con l'Assunzione della Vergine.
Dopo il 1430 le ricerche di Donatello sull'antico si
fecero più intense (del 1433 è un altro viaggio a Roma) e ne scaturirono opere
fondamentali: il David bronzeo del
Bargello (ca 1430-33); la cantoria
del Duomo (1433-39, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo), dove si svolge
ininterrotta una sfrenata danza bacchica di putti. Lo stesso motivo è ripreso
nel pulpito esterno della cattedrale di Prato (1429-38). Tra il 1435 e il 1443
Donatello lavorò, su commissione di Cosimo de' Medici (figlio di Giovanni de'
Medici), alla decorazione della Sacrestia
Vecchia di S. Lorenzo, eseguendo otto medaglioni in stucco dipinto (Evangelisti e Storie del Battista), tre sovrapporte, anch'esse in
stucco, con figure di Santi, e due porte bronzee, scompartite in formelle
con figure di Martiri e Apostoli.
Nel 1443 si trasferì a Padova, dove la sua presenza
fino al 1454 fu fattore determinante per l'evoluzione dell'intera civiltà
artistica settentrionale: qui egli creò, nel monumento equestre al Gattamelata (1447-53), una versione moderna
dei monumenti romani.
Qui iniziò, col grande complesso dell'Altar Maggiore nella basilica di S. Antonio
(1446-50), l'ultima fase della sua attività. Le opere dell'ultimo periodo
fiorentino sono immagini di angoscia esistenziale, di meditazione sul dolore e
sulla morte: esemplari in tal senso la Maddalena lignea
del Battistero (1454-55) e le figure dei due pulpiti bronzei di S. Lorenzo
(1460, non ultimati alla sua morte e in parte eseguiti da aiuti).
Tommaso di ser Giovanni Cassai, detto Masaccio, nacque a S. Giovanni Valdarno
nel 1401 e morì a Roma nel 1428. Nella sua pittura la severa costruzione
prospettica e spaziale, il saggio uso del chiaroscuro e del colore (spesso
assunto a valori altamente simbolici), che ne fanno, insieme ai suoi ispiratori
F. Brunelleschi e Donatello, uno degli iniziatori del Rinascimento, si
accompagnano a un profondo contenuto umano e morale espresso con intensa
drammaticità, tale da trovare riscontro solo nell'opera di Michelangelo.
Della sua vita si hanno scarse
notizie: collaboratore a Firenze di Masolino da Panicale (ca 1383-ca1447), le
cui opere erano intrise di ispirazione fiabesca e cortese derivata dal gotico
internazionale, il giovane Masaccio consumò in questa città tutto il suo
brevissimo ma fondamentale percorso artistico, prima di essere chiamato a Roma,
dove morì improvvisamente a soli ventisette anni.
Le sue opere non sono numerose: S. Anna Metterza (1424-25, Firenze, Uffizi) in
collaborazione con Masolino, Madonna in trono (1426, Londra, National Gallery), Crocifissione (Napoli, Gallerie nazionali di
Capodimonte); opera facente parte, con la precedente, dello smembrato polittico
eseguito nel 1426 per la chiesa del Carmine a Pisa.
Gli affreschi della Cappella Brancacci
al Carmine a Firenze (1424-25), eseguiti in parte in collaborazione con
Masolino e di cui sono suoi Cacciata dei progenitori, Battesimo
dei neofiti, Il tributo, Distribuzione dei beni alla comunità, Morte di Anania, Resurrezione del figlio di
Teofilo, nei quali è evidente la celebrazione della
monumentalità e della drammaticità umana (contrapposte alla fragilità delle
figure realizzate da Masolino).
Nell'affresco della Trinità (1427-28, Firenze, S. Maria Novella), vero e
proprio itinerario visivo che ha inizio con il memento mori (lo
scheletro) e culmina nella rivelazione della verità (la Trinità), Masaccio
seppe fondere la drammaticità tipica di Donatello e le regole teoriche proprie
di Brunelleschi.
Fra' Giovanni da Fiesole, al secolo
Guido di Pietro detto Beato Angelico
(Vicchio di Mugello ca 1400 - Roma 1455), elaborò un personale linguaggio
pittorico, spiritualizzato ma aderente al tempo, che si rivelò poi determinante
nello svolgimento della pittura toscana.
Già suggestionato dalla lineare e
vibrante pittura di Lorenzo Monaco (ca 1370-1423), dal decorativismo
tardogotico dei miniaturisti fiorentini e dal magistero artistico di Donatello
e L. Ghiberti, recepì in particolare la lezione di Masaccio.
Tra il 1418 e il 1423 entrò
nell'ordine domenicano presso il convento di Fiesole, per il quale eseguì il Trittico di S. Pietro Martire (ca 1428-29, Firenze, Museo di S.
Marco).
Con la nuova strutturazione spaziale e
prospettica delle opere successive (Incoronazione della Vergine,
1433, Parigi, Louvre; Annunciazione, 1430-35, Madrid, El Prado; il Giudizio Universale,
Firenze, Museo di S. Marco), aderì compiutamente allo spirito rinascimentale,
soprattutto col grande Tabernacolo dei
linaioli (1433; Museo di S. Marco), che nell'impostazione della Madonna
ricorda la composizione masaccesca della tavola della Madonna con sant'Anna.
Intorno al 1435 dipinse l'Annunciazione (Cortona, Museo
diocesano), la Deposizione, già in S. Trinità, e
la Deposizione per la chiesa del tempio (entrambe al
Museo di S. Marco).
Dal 1438 al 1447 l'artista lavorò al
Convento di S. Marco, affrescando la grande Crocifissione
del capitolo e numerose scene nel chiostro e nelle celle (Annunciazione, Trasfigurazione, Incoronazione della Vergine). Agli inizi del 1446
l'Angelico era a Roma, dove eseguì la decorazione di vari ambienti dei palazzi
vaticani. Della sua attività romana rimangono oggi solo gli affreschi della
cappella Niccolina con Storie dei protomartiri Stefano e Lorenzo. Morì
durante un secondo soggiorno romano, dopo aver iniziato la decorazione della cappella di S. Brizio nel Duomo di Orvieto.
La pittura dell'Angelico, carica di
senso mistico, è l'esaltazione di una bellezza pura e trascendente che si sfuma
nella suggestiva luminosità cromatica e si concretizza nella quasi
miniaturistica definizione delle figure e delle cose. Il tutto fondato e
nutrito dalle acquisizioni culturali e artistiche più recenti.
Andrea
Mantegna (Isola di Carturo, Padova
1431 - Mantova 1506) ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del
Rinascimento toscano nell'Italia settentrionale.
Allievo a Padova fra il 1442 e il 1448 presso la
bottega del pittore Francesco Squarcione
(1397-1468) si formò in un ambiente culturale assai fecondo per gli apporti
degli artisti toscani che vi erano allora attivi. Nel 1448 gli fu commissionata
la decorazione della Cappella Ovetari agli Eremitani (distrutta in un
bombardamento nella seconda guerra mondiale). In quest'opera Mantenga seppe
fondere il gusto per l'antichità (derivato dalla bottega dello Squarcione, che
era anche collezionista di marmi antichi) e l'uso della prospettiva (derivata
dai toscani). Anche negli altri capolavori del periodo padovano, come il Polittico di S. Luca (1453-54, Milano, Brera), la Pala di S. Zeno (1456-59) per la chiesa veronese, e l'Orazione nell'orto (1455-60,
Londra, National Gallery), Mantegna fissò il mito classico della cultura
umanistica veneta.
Nel 1460 l'artista si stabilì a Mantova quale pittore
di corte di Ludovico III Gonzaga. Della prima attività mantovana, la
decorazione della cappella del castello di S. Giorgio, rimangono oggi solo il
trittico con l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione e l'Ascensione (1460-70
ca, Firenze, Uffizi) e la Morte della Vergine (1461,
Madrid, Prado), che preannunciano l'opera più famosa, la decorazione della Camera degli sposi, la stanza di
rappresentanza di Palazzo Ducale (Mantova 1471-74), con le due scene della Famiglia di Ludovico Gonzaga
radunata per una cerimonia e dell'Incontro del marchese Ludovico
col figlio Francesco cardinale e col suo seguito. In questi
affreschi Andrea riesce a trasformare illusionisticamente lo spazio della
camera con la decorazione pittorica.
La maggiore rievocazione mantegnesca del mondo
classico è costituita dalle nove tele che raffigurano su una linea continua il Trionfo di Cesare (1480-95, Hampton
Court, Royal Collection).
Intorno al 1480 risale il S. Sebastiano conservato al Louvre di Parigi. Negli
ultimi anni la ricerca stilistica di Mantegna fu indirizzata sia verso un
colorismo intenso (Madonna della Vittoria, 1496,
Parigi, Louvre), sia verso una ripresa degli scorci audaci, delle forme
definite dal disegno (S. Sebastiano, Venezia, Ca' d'Oro;
Cristo morto, Milano, Brera).
Alla tarda attività dell'artista appartengono anche il Parnaso e il Trionfo della Virtù, dipinti nel 1497 per lo studiolo
d'Isabella d'Este a Mantova e ora al Louvre, e alcuni bellissimi monocromi (Sansone e Dalila, Il trionfo di Scipione,
Londra, National Gallery). Vanno ricordati inoltre i disegni (Giuditta con la testa di Oloferne) e le incisioni di soggetto religioso e
mitologico (Baccanali), conservati agli Uffizi (Gabinetto dei
disegni e delle stampe).
L'architetto, letterato e poeta Leon Battista Alberti (Genova 1404 -
Roma 1472) concepì l'architettura come progettazione, arte liberale e non arte
meccanica. Le sue opere architettoniche rivelano la grande cultura classica e
la ricerca di una bellezza fatta di armonia e geometrico equilibrio.
Studiò a Padova e a Bologna, dove nel
1428 ottenne la laurea in diritto canonico. Dopo esser stato a Firenze, Bologna
e Ferrara, ottenne nel 1432 l'ufficio di abbreviatore apostolico a Roma.
L'interesse per l'antichità classica lo portò alla Descriptio urbis Romae del 1434, il primo sistematico tentativo di
messa a punto dell'aspetto di Roma antica. Descrisse per la prima volta il
metodo prospettico nel De pictura del
1435, dedicato a Brunelleschi, spiegando la costruzione geometrica della
piramide visiva costruita con punto centrico e punto di distanza, che
assieme ai successivi (De statua e De re aedificatoria) aveva l’intento di fornire regole
e basi scientifiche all’artista, con la consapevolezza che si stava passando
dalla figura di semplice artigiano a quella di vero e proprio intellettuale,
tenuto in grande considerazione soprattutto negli ambienti di corte.
La sua cultura lo rese ricercato
presso le corti del tempo: a Ferrara progettò l'Arco del Cavallo (su cui poggia la statua equestre di Nicolò III d'Este)
e il campanile della cattedrale. Di
nuovo a Roma con Nicolò V, fu incaricato del riordino urbanistico della città e
del restauro di S. Maria Maggiore, S. Stefano Rotondo, S. Teodoro. A Roma
scrisse il trattato in 10 libri De re
aedificatoria del 1452), in cui si occupò dell'aspetto urbanistico della
città del Quattrocento, dei suoi edifici e della loro tipologia e
distribuzione, degli ordini e dei materiali da costruzione.
Nel frattempo (1446-50) per Sigismondo
Malatesta progettò il rivestimento con nuove strutture della chiesa gotica di
S. Francesco a Rimini, che divenne il Tempio
Malatestiano, in cui la facciata riprende il motivo dell'arco trionfale
romano a tre fornici.
Ricevette incarichi importanti dalla
famiglia fiorentina dei Rucellai: il completamento della facciata di S. Maria Novella e il palazzo Rucellai, con facciata a ordini sovrapposti.
Dal 1459 la sua attività si svolse
soprattutto a Mantova, con la chiesa a pianta centrale di S. Sebastiano (dal 1460) e quella a pianta longitudinale di S. Andrea (dal 1470).
Piero
della Francesca (Sansepolcro
(1415/20-1492) fu una figura cardine della pittura rinascimentale per il rigore
della stesura prospettica e la geometrica e quasi astratta perfezione dei
volumi, immersi in una luminosità diffusa e sottile. Per primo in Italia
utilizzò la tecnica della pittura a olio, importata dagli artisti fiamminghi.
Compì un lungo soggiorno a Firenze
dove completò la sua formazione collaborando, nel 1439, con Domenico Veneziano, agli affreschi
perduti del coro di S. Egidio. Le prime opere, collocabili prima del 1450 (S. Gerolamo e un devoto, Venezia, Gallerie
dell'Accademia; Battesimo di Cristo, Londra, National Gallery; i
pannelli con la Crocifissione e i SS. Sebastiano e Giovanni
Battista, facenti parte del Polittico della Misericordia, Sansepolcro, Pinacoteca,
commissionato nel 1445, ma compiuto solo nel 1462), dimostrano da un lato
l'assimilazione del plasticismo di Masaccio, del rigore prospettico di F.
Brunelleschi e L. B. Alberti, della luminosità cromatica del Beato Angelico e
di Domenico Veneziano, dall'altro lato l'emergere del personale modo espressivo
dell'artista.
Intorno al 1450 l'attività di Piero si
fece particolarmente intensa: fu prima a Ferrara, dove la sua opera, perduta,
influenzò nettamente la cultura locale, poi a Rimini, dove lasciò nel Tempio
Malatestiano l'affresco votivo col ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta nel
1451. Nel 1452 subentrò nella decorazione ad affresco del coro di S. Francesco ad Arezzo, con vicende della Leggenda della vera Croce.
Intorno a questi anni si collocano i
rapporti di Piero con la corte di Federico da Montefeltro a Urbino, uno degli
ambienti più colti e aperti d'Italia, nel quale l'artista lasciò, nel giro di
un ventennio, alcune delle sue opere di maggior prestigio: la tavoletta con la Flagellazione di Cristo (1455-60) e la più tarda Madonna di Senigallia,
risalente al 1470 (ambedue conservate a Urbino, Galleria nazionale delle
Marche); lo straordinario dittico coi Ritratti dei duchi di Montefeltro (1465, Firenze, Uffizi), con scene dei Trionfi dei duchi dipinte sul retro delle tavole; infine
la Sacra conversazione (ca 1472-74,
Milano, Brera).
In queste opere la straordinaria
finezza della stesura pittorica e l'acutezza descrittiva dei particolari
rivelano l'attenzione con cui Piero guardò alle esperienze fiamminghe, con le
quali entrò in contatto alla corte di Urbino, e che più intensamente rievocò
nella tarda Natività (ca
1475, National Gallery di Londra). Lungo l'arco dei soggiorni urbinati si
collocano altre opere, in particolare, per la città natale, la Madonna del parto (ca
1460, Monterchi, cappella del cimitero) e la Risurrezione di Cristo (1463-65, Sansepolcro, Pinacoteca).
Svolse anche attività di teorico,
scrivendo il trattato De prospectiva pingendi (1490 ca) e il libretto De quinque corporibus
regularibus (dopo il 1492).
Sandro Filipepi, detto il Botticelli (Firenze 1445-1510), fu
pittore interprete della cultura umanistica medicea: ricercò una raffinata
perfezione formale e un'armonia della composizione che, insieme con la
trasparenza del colore, trasfigurano la realtà e la pongono fuori del suo
tempo. La sua formazione avvenne nella bottega di Filippo Lippi e in quella del Verrocchio,
la cui influenza, unita a quella del Pollaiolo,
si fa evidente nella Fortezza (1470, Firenze, Uffizi) eseguita per il Tribunale della Mercanzia.
Verso il 1478 realizzò la celebre Allegoria della Primavera, eseguita per
Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, che è l'espressione più compiuta del suo
linguaggio maturo e delle sue idee umanistico-platoniche di bellezza e amore.
Della stessa atmosfera è pervasa la Nascita
di Venere (Firenze, Uffizi), databile intorno al 1485.
Tra i due capolavori è situato il
soggiorno romano dell'artista (1481-82), durante il quale Botticelli lavorò con
Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Perugino, agli affreschi nella Cappella Sistina,
eseguendo i tre riquadri con la Punizione dei ribelli, le Prove di Mosè e le Prove di Cristo. Posteriori al suo ritorno a Firenze
(1483-85) sono la Madonna del Magnificat e la Madonna della melagrana, ora agli Uffizi.
Intorno al 1490 Lorenzo di Pier
Francesco de' Medici affidò a Botticelli l'incarico di illustrare la Divina
Commedia (94 disegni sono conservati tra la Biblioteca vaticana e il Gabinetto
delle stampe di Berlino). In questo periodo Botticelli appare già volto verso
una religiosità che la predicazione del Savonarola trasformerà in esaltazione
mistica: la sua pittura si fece a carattere prevalentemente sacro (Crocifissione simbolica, Pietà) e di intensa
drammaticità, espressa con linee spezzate e colori lividi (La calunnia), fino a toccare alta tensione spirituale
in forme arcaicizzanti (Natività, Ultimi atti di S. Zanobi,
intorno agli inizi del sec. XVI).
Nella seconda metà del Quattrocento Napoli
non ricoprì un ruolo culturale paragonabile a quello esercitato da Firenze,
Ferrara o Urbino, tuttavia diede un apporto essenziale allo sviluppo della
pittura rinascimentale con l'attività di alcuni artisti, quali Colantonio e Antonello da Messina che a Napoli appunto si
formarono.
Determinante a fissare quel clima
culturale e artistico fu la diffusione di opere fiamminghe (Roger Van der Weyden e Jan Van Eyck) raccolte dai sovrani
d'Angiò e d'Aragona.
Colantonio (Napoli ca 1420-70) ebbe un'importante collocazione
nel mondo culturale napoletano, ricco di fermenti umanistici e aperto agli
apporti borgognoni, iberici e soprattutto fiamminghi. Nel S. Gerolamo e il leone (1445, Napoli, Capodimonte) l'artista
ripropone infatti un ambiente tipicamente fiammingo.
Antonello
da Messina (Messina ca 1430-79)
svolse probabilmente il suo noviziato a Napoli presso Colantonio. Nel 1456 era
a Messina e nel 1475 a Venezia, periodo in cui si accostò a Giovanni Bellini e
realizzò la Crocifissione oggi
conservata a Bucarest.
Nel 1476 ritornò a Messina rimanendovi
fino alla morte.
Nelle due tavolette (La visita dei tre angeli ad Abramo e S. Girolamo penitente)
di Reggio Calabria e nel S. Girolamo nello studio (1475,
Londra, National Gallery) si avvertono influenze fiamminghe.
L'influsso di Piero della Francesca è
invece rintracciabile in dipinti successivi (le Annunziate, il Salvator Mundi),
che rivelano una profonda conquista del senso dello spazio.
Sintesi perfetta di particolarismo
fiammingo e di impianto spaziale pierfrancescano è la Madonna col Bambino (1465-70) della National Gallery di Washington.
Il punto più alto di queste ricerche di Antonello è rappresentato dal polittico di S. Gregorio (1473).
A Venezia nascono, tra l'altro, il S. Sebastiano e la pala
di S. Cassiano (1475-76).
Il particolare colorismo di queste
opere sarà uno stimolo importante per gli sviluppi della pittura tonale veneta.
Nella storia dell'arte, l'espressione arte fiamminga viene applicata alle
manifestazioni artistiche, specialmente pittoriche, fiorite con ben definite
caratteristiche storiche e stilistiche nelle Fiandre (regioni meridionali dei
Paesi Bassi e regioni settentrionali del Belgio) a partire dal sec. XV fino al
XVII.
L'arte fiamminga ha le sue origini
verso la metà del Trecento per il confluire di esperienze del raffinato gotico
francese e di influssi senesi sul fondo del vivace naturalismo locale, ma
soltanto nel secolo seguente, con Jan
Van Eyck (ca 1390 - Bruges 1441, le cui opere più celebri sono i Coniugi Arnolfini (1434, Londra, National Gallery) e la Madonna del cancelliere Rolin (1433, Parigi, Louvre) oltre a
numerosi ritratti, si affermò nei suoi caratteri essenziali.
La grande protagonista dell'umanesimo
fiammingo, che nasce parallelamente all'umanesimo italiano, è la natura,
indagata con lenticolare attenzione in tutte le sue particolarità e di cui
l'uomo è aspetto fondamentale ma non predominante; e il fattore unificante
della visione non è la concezione razionale e geometrica dello spazio, ma la
luce, principio stesso della visione, una luce reale e non astratta.
Questa poetica venne arricchita dalle
ricerche di Robert Campin (Tournai
ca 1375 - 1444) identificato con il Maestro di Flémalle; dalle tendenze più
drammatiche di Roger Van der Weyden
(Tournai ca 1400 - Bruxelles 1464), che si interessò al particolare realistico
e all'analisi della psicologia umana unitamente alla sensibilità luministica e
produsse un'importante serie di ritratti come Il Gran Bastardo Antonio di Borgogna di Bruxelles e la Giovane donna di Berlino; dall'intimismo di Petrus Christus (Baerle, Gand ca 1410 -
Bruges 1472/73); dalla severità morale e dalla luminosità di Dierik Bouts (Haarlem 145 - Lovanio
1475); dall'intenso naturalismo di Hans
Memling (Mömligen ca 1435 - Bruges
1494). Un posto di rilievo trova la eterodossa, visionaria arte di Hieronymus Bosch (ca 1450-1516),
creatore di un magico e demoniaco mondo di allegorie, visto con spirito critico
e moraleggiante.
Intanto, nel corso del sec. XV, la
pittura fiamminga aveva esteso il suo influsso a livello europeo, dalla Francia
meridionale alla Spagna e al Portogallo (dove Van Eyck viaggiò nel 1428), dai
paesi tedeschi alla stessa Italia dove si ricordano i viaggi di Van der Weyden
a Ferrara nel 1450, dell'altro pittore Giusto
di Gand (attivo tra il 1460-75) a Urbino nel 1473-75, e l'influsso
esercitato da opere importate dalle Fiandre come il celebre Trittico Portinari (1476 ca) di Hugo Van der Goes (1435-1482) a Firenze.
Il Cinquecento
fu un secolo caratterizzato da laceranti e drammatici contrasti: la scossa
della riforma protestante di Lutero (1517), i successivi sviluppi della
controriforma cattolica. Eventi che alterarono profondamente i termini
dell'operare artistico: l'arte diventò ricerca inquieta delle ragioni
dell'azione umana nella storia, dell'esperienza umana del divino. Questi
contrasti si rispecchiarono in modo esemplare nelle esperienze dei più grandi
artisti del momento: nell'indagine sperimentale di Leonardo; nella bruciante
tensione spirituale di Michelangelo; nel misurato e luminoso classicismo
compositivo di Raffaello. Venezia parve vivere più a lungo una felice stagione
di classicismo, nella pittura di Giorgione e del primo periodo di Tiziano. Ma
la vera erede del prestigio di Firenze fu Roma, che dopo il ritorno dei papi da
Avignone aveva conosciuto, per il mecenatismo papale, un intenso rinnovamento
edilizio e culturale.
Leonardo (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux, presso
Amboise, 1519) fu uno dei massimi artefici del Rinascimento: pittore, scultore,
architetto e scienziato, ma anche ingegnere e scrittore, ha testimoniato
un'ampiezza di conoscenze e di interessi che ha largamente e puntualmente
profuso nelle sue poliedriche attività, alla ricerca di un'armonica
corrispondenza e complementarietà tra arte, natura e scienza.
Stabilitosi nel 1469 a Firenze, entrò
da apprendista nella bottega del Verrocchio e frequentò intanto gli ambienti
umanistici e le famiglie altolocate di Firenze. Il primo sicuro intervento di Leonardo
si ha nel Battesimo (ca 1470-75, Uffizi). Ancora legata
all'ambiente del Verrocchio è l'Annunciazione
(1472-75, Uffizi), fin troppo decorativa nell'ornamentazione dei marmi, nei
panneggi elaborati, nella minuzia con cui sono dipinti i fiori, ma completamente
nuova nello sfondo luminosissimo e lontano che si contrappone alla fila scura
di alberetti, un effetto che Leonardo riprese anche nel suo primo ritratto,
creduto di Ginevra Benci (1474-76,
Washington, National Gallery), gravemente mutilato nella parte inferiore, dove
la posizione delle mani accentuava la torsione del busto, disposto a piramide.
Nel 1481, dopo aver già dipinto il S. Gerolamo (Pinacoteca vaticana), ricevette la
sua prima importante commissione, l'Adorazione
dei Magi per il convento di S. Donato a Scoperto (che non fu mai consegnata
e oggi si trova agli Uffizi), in cui si ha la prima grande realizzazione della
spazialità leonardesca: intorno alla Madonna, le figure si dispongono a
semicerchi, ma la struttura non risulta chiusa perché i personaggi esterni e il
fondo di rovine sono coordinati secondo vari e divergenti punti di fuga.
Basilare nella composizione dell'opera (lasciata incompiuta alla partenza di
Leonardo per Milano) è il disegno, strumento di definizione spaziale, volumetrica
e anatomica, raffinato in un secondo momento dal chiaroscuro, che permette sia
la resa trasparente dell'atmosfera sia la gradazione del colore e quindi della
luce. La stesura del colore rappresenta un momento finale, quasi secondario,
della messa in opera, secondo una poetica che è all'opposto di quella
dell'ambiente veneto, dove in quegli anni il colore stava divenendo l'elemento
strutturale portante della composizione.
Dal 1483 al 1499, Leonardo fu al
servizio di Ludovico il Moro come pittore, scultore, architetto, costumista,
regista e scenografo. Presso la sua corte egli trovò l'ambiente favorevole allo
sviluppo dei suoi interessi scientifici nel campo sia della fisica sia delle
scienze naturali. Nel 1483 approntò i disegni preparatori per il monumento
equestre in bronzo a Francesco Sforza. Nella Vergine delle rocce, dipinta tra
il 1483 e il 1486 (Parigi, Louvre; una seconda versione, del 1503-06, si trova
alla National Gallery di Londra), la composizione a piramide del gruppo
costituito dalla Madonna, dal Bambino, da S. Giovannino e dall'angelo è
arricchita e movimentata dall'incrociarsi di linee convergenti indicate dai
gesti. La tecnica dello sfumato (cioè del morbidissimo chiaroscuro tipico di
Leonardo) si sovrappone al disegno e ne sfalda i contorni.
Nel 1493 terminò il modello in creta a
grandezza naturale del gran cavallo per il monumento Sforza, la cui fusione in
bronzo è stata realizzata nel 1999 e collocata allo stadio milanese di San
Siro. Intorno al 1495, iniziò i lavori per l'Ultima Cena nel refettorio di S. Maria delle Grazie, per la quale
sperimentò una nuova tecnica che, abolendo il tradizionale strato di intonaco,
gli permettesse di lavorare con la lentezza e meticolosità che gli erano
proprie. Tale tecnica si rivelò nel tempo inadeguata e già alla metà del
Cinquecento l'umidità aveva corroso quasi tutto il colore che doveva essere
brillantissimo. Negli anni milanesi Leonardo ritrasse inoltre due favorite di
Ludovico il Moro: Lucrezia Crivelli andrebbe identificata nella Belle Ferronière (Parigi, Louvre),
Cecilia Gallerani nella Dama con
l'ermellino (Cracovia, Czartoryski Muzeum); entrambi i ritratti si basano
sulla raffigurazione del busto lievemente rotante.
Nel 1499 la fine della signoria
sforzesca, costrinse Leonardo a lasciare Milano: dapprima fu a Mantova, dove
eseguì il ritratto di Isabella d'Este. Tornato a Firenze nel 1503, Leonardo
dipinse la Leda, nota da copie di
allievi (la più famosa è quella di Roma, già collezione Spiridion e attualmente
proprietà dello Stato) e La Gioconda (Parigi,
Louvre), celeberrimo ritratto di Lisa, moglie del mercante Francesco Bartolomeo
del Giocondo, che stilisticamente rappresenta uno dei più alti esempi della
ritrattistica rinascimentale, per l'unità di tutti gli elementi che la
compongono attuata per mezzo dell'infinitesimale gradazione della luce.
Nel 1506 tornò a Milano. Eseguì i
disegni preparatori per il monumento equestre di Giangiacomo Trivulzio
(1441-1518). Nel 1513 si recò a Roma dove eseguì l'ultimo suo quadro, il S. Giovanni Battista (Parigi, Louvre)
che nel monocromo di toni bruni e dorati ripete con maggiore raffinatezza la
rappresentazione del trapassare quasi inavvertibile della luce, nell'abolizione
del disegno e del contorno.
Verso la fine del 1516, accogliendo un
invito di Francesco I, Leonardo lasciò Roma per la Francia. Nei disegni della Fine del mondo,
espresse la sua convinzione, sull'esistenza di un'armonia universale
sicuramente presente anche nell'apparente caos della fine del mondo. Morì nel
1519 nel castello di Cloux, presso Amboise.
Di questo poliedrico artista del ´500
restano anche numerosi codici contenenti disegni e note scientifiche,
solitamente scritti a rovescio, da destra a sinistra, tra cui i maggiori: Codice Atlantico (Milano, Biblioteca ambrosiana), Codice sul volo degli uccelli (Torino, Biblioteca reale), Fogli A, B, C (Biblioteca reale del castello di
Windsor) con studi anatomici, Codice 8936 e 8937 sulle
macchine e la fusione del cavallo (Biblioteca nazionale di Madrid).
Donato di Pascuccio d'Antonio, detto
il Bramante (Monte Asdruvaldo,
Fermignano 1444 - Roma 1514), architetto e pittore erede spirituale di
Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, con la sua opera architettonica, ricca
di effetti luminosi precorse il gusto e le conquiste del Cinquecento, fondendo armoniosamente
grandiosità strutturale e risorse prospettiche. La sua formazione si svolse
nell'ambiente urbinate della corte di Federico da Montefeltro, permeato del
classicismo dell'Alberti e dell'esperienza prospettica di Piero della
Francesca.
La prima esperienza di pittore
prospettivo fu fondamentale per la realizzazione della sua prima opera di
architettura, la sistemazione della chiesa di S. Maria presso S. Satiro a Milano (1479-83), dove risolse i
condizionamenti di spazio imposti dal preesistente edificio con una falsa
abside prospettica, che ristabilisce l'equilibrio proporzionale dell'insieme,
dando al ristretto spazio un'illusoria qualità monumentale e scenografica.
A Milano, Bramante venne a contatto
con i maggiori artisti del momento: con Leonardo fu interessato alla
sistemazione della piazza e del castello ducale di Vigevano, ancora con
Leonardo e il senese Francesco di Giorgio Martini fornì consulenze per il Duomo
di Milano e per il Duomo di Pavia. Importanti lavori condusse in S. Maria delle Grazie a Milano, dove
progettò, oltre al piccolo chiostro e
alla sagrestia vecchia, la grandiosa tribuna. Altre attività degli anni
milanesi riguardarono la parziale realizzazione della canonica e dei chiostri
di S. Ambrogio (1492-98) e gli interventi al Castello Sforzesco.
Ultima testimonianza, pressoché certa,
dell'attività lombarda di Bramante è l'arcone della chiesa di S. Maria Nuova ad
Abbiategrasso (1497). Nel 1499, alla caduta di Ludovico il Moro, anche questo
artista abbandonò Milano.
A Roma, dove gli stimoli più vivi gli
vennero dallo studio dei monumenti e dei sistemi costruttivi degli antichi,
ricevette il maggiore impulso alla sua attività da papa Giulio II che gli
affidò incarichi grandiosi: il rinnovamento dei Palazzi Vaticani (1503), il
progetto del cortile del Belvedere (1504), interventi urbanistici con la
ristrutturazione di via della Lungara, via Giulia, via dei Banchi (1505-08) e
infine il progetto del nuovo S. Pietro (1506). Purtroppo ben poco è rimasto
integro di questa straordinaria attività. Perduti sono inoltre il monumentale Palazzo dei Tribunali (1506-08) e il Palazzo Caprini in Borgo (ca 1510),
prototipi per l'architettura civile del Cinquecento. Integri rimangono il coro di S. Maria del Popolo (1505-07) e
il tempietto di S. Pietro in Montorio
(realizzato ca 1502-10), vero paradigma dell'ideale pianta centrale.
Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (Castelfranco Veneto 1477/78
- Venezia 1510), nell'arco di un decennio attuò un modo di far pittura rivoluzionario nello stile e nei contenuti ponendo le
basi della pittura cinquecentesca veneziana e influenzando anche artisti
posteriori.
Le prime opere, l'Adorazione dei pastori (Washington, National Gallery), la pala di Castelfranco (1505),
il ritratto di Laura (1506),
si svincolano dall'impostazione spaziale quattrocentesca per istituire un nuovo
rapporto fra le figure e la natura, realizzato nella pittura di tono: il colore, cioè, diventa
l'elemento costruttivo della composizione, cogliendo direttamente le cose vive e naturali... senza far disegno,
come comprese Vasari. Nel 1508 eseguì gli affreschi della facciata del Fondaco
dei Tedeschi sul Canal Grande, di cui resta un frammento con Giovane ignuda (1508).
Intorno al 1506-11 sono datate anche
le opere fondamentali: Venere dormiente (1508-10); Concerto campestre (1510
ca), La tempesta (1506 ca) e I tre filosofi (1508
ca). Di queste ultime due (a carattere misterioso) rimangono ancora irrisolti i
temi che l'artista volle trattare. Delle opere attribuite o attribuibili a
Giorgione, una ventina in tutto, si ricordano ancora: Cristo portacroce (Venezia, S. Rocco); il Giovane con la freccia (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Tramonto (Londra, collezione privata); Ritratto virile (1508
ca, S. Diego, California, Fine Arts Gallery).
Michelangelo
Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475 -
Roma 1564) rappresentò il punto culminante dell'arte rinascimentale e lasciò
un'importante eredità che sarebbe poi sfociata nel manierismo.
Avviato dal padre Ludovico agli studi
umanistici, nel 1488, a Firenze entrò a bottega dal Ghirlandaio e poi studiò la
statuaria antica. Accolto da Lorenzo il Magnifico nella sua cerchia di artisti,
letterati e filosofi, assorbì quelle dottrine neoplatoniche che costituiranno
una delle componenti essenziali della sua cultura. Lo studio della grande
tradizione fiorentina, da Giotto a Masaccio, e l'interesse per la classicità
sono evidenti nelle sue prime opere di scultura: la Madonna della Scala,
che recupera in modo originale lo stiacciato donatelliano, e la Battaglia dei Centauri, dal marcato plasticismo
(ambedue 1490-92 a Firenze, Casa Buonarroti). La crisi dell'umanesimo
fiorentino, seguita alla predicazione del Savonarola e alla morte del
Magnifico, turbò profondamente Michelangelo (è di questo momento il Crocifisso ligneo dal modellato delicatissimo,
per il convento di S. Spirito, ora a Casa Buonarroti), il quale dopo l'ingresso
in città delle truppe francesi di Carlo VIII lasciò Firenze, trasferendosi nel
1494 a Bologna (dove realizzò le sculture per l'arca di S. Domenico, il S. Petronio, S. Patroclo e un Angelo).
Nel 1496 si trasferì a Roma e qui
s'impose all'attenzione eseguendo il sensuale Bacco (Firenze,
Bargello) e l'intensa Pietà in S. Pietro, che costituì la prima opera su un
tema che Michelangelo sviluppò lungo tutto l'arco della sua attività la
meditazione sulla morte che ne divenne un costante nucleo ispiratore. Di poco
posteriore è la Madonna con Bambino in
Notre-Dame a Bruges. Nel 1501, rientrando a Firenze, Michelangelo affermò la
sua personalità in una serie di opere fondamentali: la Madonna Pitti (1501, Firenze, Bargello) e il Tondo Taddei (1502,
Londra, Royal Academy), libera interpretazione dei modi compositivi di Leonardo
da Vinci. Il primo capolavoro pittorico di Michelangelo è la Sacra Famiglia detta Tondo Doni (ca 1504, Firenze, Uffizi).
In queste opere pittoriche l'artista parve contrapporsi polemicamente a
Leonardo, forzando gli schemi formali, sottolineando la linea dinamica del
contorno e rinnegando il valore dello sfumato leonardesco. Ma l'opera più
celebre di questo momento è il David
marmoreo (1501-4, Firenze, Accademia), collocato davanti a Palazzo Vecchio come
simbolo della libertà della Repubblica fiorentina e insieme incarnazione
dell'ideale rinascimentale dell'uomo padrone del proprio destino. Sono ancora
di questo periodo le statue per l'altare Piccolomini nel Duomo di Siena (S. Paolo, S. Pietro, S. Pio) e l'incompiuto S. Matteo,
commissionato dall'opera di S. Maria del Fiore.
Nel 1505 papa Giulio II commissionò a
Michelangelo il progetto del proprio monumento funebre da erigersi in S.
Pietro, per il quale vennero scolpiti le due figure di Schiavi (1513-14, Parigi, Louvre) e il superbo Mosè (1515-16, Roma, S. Pietro in Vincoli) e più tardi i quattro Prigioni (Firenze, Accademia). Nel 1508
Michelangelo aveva assunto l'incarico di affrescare la volta della Cappella Sistina, che fu compiuta in quattro anni di
solitario lavoro: creando una nuova struttura dipinta, inserì al centro le Storie della Genesi (1508-12) e ai lati le poderose figure
dei Profeti, delle Sibille, degli Ignudi, secondo un
complesso programma iconografico che, mentre narra il più antico epos della
storia dell'umanità, allude simbolicamente alla vicenda eterna dell'elevazione
dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino.
Nel 1513 Michelangelo tornò a Firenze,
dove esordì in campo architettonico: con gli incarichi per la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e per la Biblioteca Laurenziana. Nella sacrestia
i due monumenti a Giuliano e Lorenzo de' Medici (1525-34), con le statue del
Giorno e della Notte, dell'Aurora e del Crepuscolo, e la Madonna col Bambino sull'altare esprimono compiutamente il
tema michelangiolesco della riflessione dell'uomo sulla vita e sulla morte.
Dopo la cacciata dei Medici, nominato "governatore
e procuratore generale sopra alla fabbrica e fortificazione delle mura",
Michelangelo partecipò alla difesa della Repubblica fino alla caduta della
città (1530). Grazie all'appoggio di papa Clemente VII poté continuare a
lavorare anche dopo la restaurazione dei Medici: Cristo risorto per la chiesa di S. Maria sopra
Minerva e la Vittoria (1532-34)
in Palazzo Vecchio furono modello per un'intera generazione di scultori
manieristi.
Nel 1534 Michelangelo si trasferì
definitivamente a Roma e ricevette l'incarico da Clemente VII e poi la conferma
da Paolo III, di dipingere nella Cappella Sistina il Giudizio Universale sulla parete dell'altare. Il grandioso affresco
(1536-41) altera l'iconografia tradizionale del tema e nell'abbandono di ogni
intelaiatura architettonica sconvolge il concetto di spazio proprio del
Rinascimento e rappresenta un'immane catastrofe: un Dio irato che travolge
l'umanità spaventata di fronte a una condanna senza appello. Sulla genesi
dell'opera influirono i contatti con i circoli spiritualisti romani per la
riforma della Chiesa. Dopo i recenti restauri gli affreschi della Sistina hanno
rivelato anche il luminoso senso cromatico abbinato alla plasticità dei volumi.
L'ultima attività di Michelangelo
risultò caratterizzata dall'impegno dell'architettura: la sistemazione
urbanistica e monumentale della piazza
del Campidoglio (1544-54) e altri importanti lavori. Spicca soprattutto il
nuovo progetto per S. Pietro (dal 1546), pensato, riprendendo la pianta
centrale di Bramante, come un colossale organismo plastico culminante nella
grande cupola (terminata dopo la morte dell'artista). Il rapporto con la
romanità costante nell'architettura di Michelangelo è presente anche
nell'eroico busto del Bruto (Firenze, Bargello). Più degli ultimi
affreschi, la Conversione di Saulo e il Martirio di S. Pietro nella Cappella Paolina in Vaticano
(1542-50), le ultime sculture sono tra gli esiti più alti dell'arte di
Michelangelo: nella Pietà di Palestrina
(Firenze, Accademia), nella Pietà del
Duomo di Firenze (1550-55) e soprattutto nell'estrema Pietà Rondanini (1552-66, Milano, Castello Sforzesco) la
liberazione sulla morte come meditazione dello spirito raggiunge il massimo
dell'intensità espressiva.
La forte personalità di Raffaello Sanzio (Urbino 1483 - Roma
1520), pittore e architetto interprete di una forma classica intrisa di
spiritualità cristiana, concorse con Leonardo e Michelangelo a determinare il
sorgere dell'ultima e straordinaria stagione rinascimentale.
Fu avviato alla pittura dal padre
Giovanni Santi. In una prima fase l'influsso del Perugino appare determinante
nel ritmo compositivo fluido e ondulato e nelle modulazioni cromatiche delle
opere giovanili come l'Incoronazione
della Vergine (1502-03, Musei vaticani) e lo Sposalizio della Vergine (1504, Milano, Brera). L'intensa
luminosità del chiaroscuro e la limpida articolazione spaziale dello Stendardo di Città di Castello (1499)
testimoniano invece una profonda meditazione dell'arte di Piero della
Francesca.
Dal 1504 al 1508 Raffaello operò a
Firenze. Appartengono a questi anni il Sogno del Cavaliere (Londra, National Gallery), il S. Michele e il S. Giorgio (Parigi,
Louvre) e Le tre Grazie (Chantilly,
Musée Condé); mirabili opere, un tempo ritenute della sua prima adolescenza, la Madonna Connestabile (S. Pietroburgo, Ermitage), la Madonna del Granduca (Firenze, Palazzo Pitti), la Madonna del Belvedere (1506, Vienna, Kunsthistorisches
Museum), la Madonna del cardellino (1507 ca, Firenze, Uffizi), la
cosiddetta Belle Jardinière (1507,
Parigi, Louvre). Raffaello si impegnò anche nei primi ritratti: la Dama con il liocorno (Roma, Galleria Borghese), i Coniugi Doni (1506, Firenze, Palazzo Pitti) e La muta (1507 ca, Urbino, Galleria nazionale delle
Marche).
A Roma, dove la sua presenza è
documentata per la prima volta nel 1509, Raffaello iniziò per papa Giulio II la
decorazione delle Stanze Vaticane eseguendo personalmente gli affreschi della
stanza della Segnatura (1508-11)
e della stanza di Eliodoro (1511-14),
(1511-14), nei quali lo spunto enciclopedico dà adito ad una celebrazione del
mondo umanistico e religioso rinascimentale. Dopo la morte di papa Giulio II,
Leone X, il suo successore, affida a Raffaello la decorazione della terza
stanza vaticana, destinata ai pranzi cerimoniali, la Stanza dell’Incendio in cui affresca scene di atti gloriosi di
alcuni pontefici, tra le quali la scena con l’Incendio di Borgo (1514), in cui papa Leone IV salva il
quartiere di Borgo da un furioso incendio.
Fin dalle sue prime opere Raffaello
rivelò l'assoluta originalità del suo linguaggio pittorico nella tendenza a
semplificare classicamente la composizione, accentuandone in modo nuovo lo
spazio architettonico, nel quale si dispongono le figure umane, che acquistano
così nella chiara luminosità del tessuto cromatico e nell'equilibrio delle
misure e dei gesti un valore di bellezza immobile, ideale e insieme
naturalissima.
Negli ultimi anni gli furono affidati
sempre più numerosi incarichi che Raffaello realizzò in un alternarsi di
momenti di altissima felicità creativa ad altri di crisi e di stanchezza: gli affreschi della sala di Galatea (1511),
la decorazione delle Logge Vaticane
(1517-19), i cartoni delle Storie evangeliche per
gli arazzi della Cappella Sistina (1515-16), la Madonna di Foligno (1511-12, Musei Vaticani), la Madonna Sistina (1513-14, Dresda, Gemäldegalerie), la Madonna della seggiola (1514, Firenze, Palazzo Pitti), la Trasfigurazione (1518-20),
terminata nella parte inferiore da Giulio Romano (Pinacoteca Vaticana), e i
ritratti di Baldassarre Castiglione (1514-15, Parigi, Louvre),
della cosiddetta Velata (1516
ca, Firenze, Palazzo Pitti), di Leone X (1518-19) e di Giulio II (1512), entrambi agli Uffizi di
Firenze.
A Raffaello, divenuto architetto della
fabbrica di S. Pietro alla morte del Bramante (1514) e poi (1515) conservatore
delle antichità romane, spettano anche i progetti della Cappella Chigi in S. Maria del Popolo, di Villa Madama e di S. Eligio
degli Orefici.
Tiziano
Vecellio (Pieve di Cadore ca 1490 -
Venezia 1576) fu una personalità fondamentale nello sviluppo della pittura
veneziana ed europea. Grande colorista, egli portò alle estreme conseguenze la
pittura tutto colore, creando un linguaggio che influenzò Tintoretto e altri
grandi maestri europei quali Rembrandt, Rubens ed El Greco.
Giunse a Venezia giovanissimo e svolse
il suo apprendistato presso Gentile Bellini, ma divenne presto allievo e
collaboratore di Giorgione. La sua prima attività sviluppò la pittura di tono (Noli me tangere,
Londra, National Gallery; serie delle mezze figure femminili, come la Flora, 1515 ca
Firenze, Uffizi). Contemporaneamente s'interessò ad A. Mantegna, A. Dürer e
Raffaello, indirizzandosi verso un realismo espressivo grandemente innovativo
per la cultura veneta (affreschi per la scuola del Santo a Padova, 1511; serie
di ritratti fra cui l'Ariosto, Londra, National Gallery;
le prime xilografie), che trova espressione nell'Amor Sacro e Amor Profano (1515, Roma, Galleria Borghese) e nella
pala dell'Assunta (1518, Venezia, S.
Maria Gloriosa dei Frari).
Negli anni seguenti iniziò a lavorare
per alcune corti italiane (Ferrara, dal 1519; Mantova, dal 1523; Urbino, dal
1532) e per l'imperatore Carlo V (dal 1530), con una produzione di scene
mitologiche (due Baccanali, 1518-19, Madrid, Prado; Venere di Urbino,
1538, Firenze, Uffizi). Vasta anche la sua produzione ritrattistica (serie per
Carlo V; Uomo dal guanto, ca 1523, Parigi, Louvre; La bella, 1536,
Firenze, Palazzo Pitti), apprezzata soprattutto per la caratterizzazione che
infondeva ai personaggi ritratti. Ricerca realistica è ravvisabile in alcune
pale d'altare, tra cui la Pala Pesaro
(1519-26, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari), che costituisce il punto più
alto di evidenza compositiva: Tiziano vi affronta il tema della Sacra
Conversazione impostando la composizione non più secondo una visione frontale
(come nella Pala di Castelfranco di Giorgione), ma secondo una visione in
diagonale a più livelli, disponendo il gruppo con la Vergine e il Bambino in
alto a destra, i devoti in basso a sinistra e i committenti (famiglia Pesaro)
inginocchiati in primo piano.
Il periodo successivo al 1540,
culminato nel soggiorno a Roma (1545-46), rappresentò una svolta nell'opera di
Tiziano verso un nuovo tipo di figurazione, altamente drammatica ed emotiva (Ecce Homo, 1543, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Paolo III Farnese con i nipoti
Alessandro e Ottavio, 1546, Napoli, Gallerie nazionali di
Capodimonte). Nel 1548 fu alla dieta di Augusta al seguito di Carlo V (Carlo V alla battaglia di Mühlberg, Filippo II, 1548, Madrid, Prado), che gli diede il
ruolo di primo pittore della corte asburgica. Molto intensa fu anche la
produzione di scene erotico-mitologiche (Venere con organista, amorino e
cagnolino, o la Danae, in diverse redazioni). Una maggiore
penetrazione psicologica caratterizzò invece la produzione ritrattistica (Clarice Strozzi a cinque anni, 1542, Berlino,
Staatliche Museen; Il giovane dagli occhi glauchi, detto anche Il giovane inglese,
Firenze, Palazzo Pitti).
Per Venezia l'attività di Tiziano fu
particolarmente rivolta alla realizzazione di pale religiose come Il martirio di S. Lorenzo (1559, chiesa dei Gesuiti). Tra i suoi
ultimi capolavori: L'Annunciazione
(Venezia, S. Salvatore); Tarquinio e
Lucrezia (Vienna, Akademie der bildenden Künste); L'incoronazione di spine (Monaco, Bayerische
Staatsgemäldesammlungen), che segnano il passaggio definitivo alla fase
manieristica, infatti, il grande colorista portò alle estreme conseguenze la pittura
tutto colore, creando un linguaggio
che era atto a sperimentare nuovi profondi mezzi espressivi. Questo
atteggiamento influenzò molto Tintoretto, Rembrandt, P.P. Rubens, El Greco e
alcuni altri grandi maestri del suo tempo.
Lorenzo
Lotto (Venezia ca 1480 - Loreto 1556)
fu pittore che maturò un linguaggio originale caratterizzato da vivace
cromatismo e da ricca fantasia.
La sua formazione avvenne tra Venezia
e Treviso (1503-06), sulla base di una cultura pittorica dominata dalla figura
di Giovanni Bellini, ma sensibile anche ad Antonello da Messina e ad Albrecht
Dürer, visibile nella Madonna col Bambino e santi,
(1503, Napoli, Capodimonte), nell'Assunta della parrocchiale di Asolo (1506) e
nella pala della chiesa di S.
Cristina al Tivarone (1507, Treviso). Del 1508 è il primo lavoro per le Marche,
il polittico della Pinacoteca di
Recanati. Le opere successive del soggiorno marchigiano (Deposizione, 1512, Jesi, Pinacoteca; Trasfigurazione, ca
1513, Recanati, Pinacoteca) dimostrano la capacità dell'artista di servirsi di
schemi d'impianto raffaellesco per un racconto volutamente scarno.
Dopo il 1513 iniziò il periodo
bergamasco di Lotto, in un ambiente più adatto al suo linguaggio sempre più
antiaccademico e anticlassico. Dipinse le pale di S. Stefano (1513-16, ora in
S. Bartolomeo), di S. Spirito (1521), di S. Bernardino in Pignolo (1521); gli
affreschi con Storie di S. Barbara (1524)
nella Cappella Suardi a Trescore e quelli con Storie della Vergine (1525)
in S. Michele al Pozzo Bianco; il polittico
della chiesa di Ponteranica (1527) e le tarsie lignee con Storie bibliche (1524-32)
per il coro di S. Maria Maggiore. Particolarmente intensa fu anche la sua
attività di ritrattista, in cui Lotto eccelse per l'acuta penetrazione
psicologica del personaggio (Ritratto di Lucina Brembate,
1520 ca, Bergamo, Accademia Carrara; Ritratto di giovane, Venezia, Gallerie
dell'Accademia).
In seguito, nonostante le importanti
commissioni veneziane (Elemosina di S. Antonino,
1542, SS. Giovanni e Paolo), Lotto continuò a viaggiare tra Venezia, Treviso e
le Marche, dove lasciò un'altra serie di capolavori: l'estrosa Annunciazione di Recanati (1527, Pinacoteca), la
drammatica Crocifissione (1531)
di Monte S. Giusto, la Pala di S. Lucia (1532, Jesi, Pinacoteca), la Madonna del Rosario e santi (1539,
Cingoli, S. Domenico).
Antonio Allegri, detto il Correggio (Correggio ca 1489-1534),
elaborò un ricco e originale linguaggio pittorico, che contribuì al
rinnovamento dell'arte cinquecentesca e lasciò stimoli e suggerimenti anche per
il secolo successivo.
Già nelle opere giovanili, ai toni
mantegneschi si affiancarono, in una sintesi personalissima, invenzioni
chiaroscurali di origine leonardesca (Sposalizio di S. Caterina,
Washington, National Gallery; Madonna col Bambino 1524-26,
Firenze, Uffizi; Natività 1512,
e Adorazione dei Magi,
1518, Milano, Brera).
Lo sviluppo successivo dell'arte del
Correggio, caratterizzata da un cosciente classicismo, rende necessaria
l'ipotesi di un suo viaggio a Roma intorno al 1518, di poco antecedente cioè
alla prima grande realizzazione ad affresco dell'artista: la decorazione della volta della Camera della
Badessa di S. Paolo a Parma. La nuova carica vitale del Correggio continua
esaltante nell'affresco della cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma
(1520-23), che anticipa le soluzioni del barocco.
La sua ultima grande impresa è la decorazione della cupola del Duomo di
Parma (1526-30), ma accanto e prima di essa si colloca una ricca serie di
opere, fra cui i capolavori più celebri (Madonna di S. Girolamo,
1527-28, e Madonna della scodella, 1530, Parma, Galleria
nazionale; La notte 1529-30, Dresda, Gemäldegalerie; Noli me tangere,
1518 ca, Madrid, Prado). Dell'ultima attività del Correggio fanno parte i
dipinti commissionati dal duca di Mantova e dedicati agli Amori di Giove;
restano il sottile erotismo della Danae (1531-32,
Roma, Galleria Borghese), di Leda (1531
ca, Berlino, Staatliche Museen), di Io (1531)
e di Ganimede (1530-32, Vienna, Kunsthistorisches
Museum).
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