Comunicazione.
Il testo argomentativo – Per testo
argomentativo si intende la presentazione di un’argomentazione, discussione o dimostrazione
che si fa adducendo argomenti favorevoli e contrari a quanto si espone; le
argomentazioni sono ragioni, opinioni, prove, pro o contro una certa
tesi.
Sono testi argomentativi sono i saggi, gli articoli problematici
Oggetto dell’argomentazione possono essere:
·
idee, problemi,
previsioni, fatti, comportamenti.
Il
testo argomentativo può:
·
riguardare un fatto
di attualità
·
affrontare un
argomento di carattere generale o culturale di qualsiasi disciplina.
Il testo argomentativo
è un testo in cui chi scrive presenta una propria opinione - o tesi -, la
spiega la dimostra e la difende attraverso opportuni argomenti, allo scopo di
persuadere chi lo ascolta o lo legge della
validità di quello che dice.
I
testi argomentativi possono trattare di problemi molto diversi. Ma tutti hanno in comune lo scopo di
persuadere chi ascolta e il modo in cui si cerca di raggiungere questo scopo, che consiste nel dimostrare ciò che
si dice portando delle prove convincenti.
Il
testo argomentativo si articola nelle seguenti parti:
1. problema
2. tesi
3. argomenti a favore della tesi
4. antitesi
5. confutazione degli argomenti in favore dell'antitesi
6. conclusione
Questa struttura. però, ammette delle varianti, con lo spostamento o
la soppressione di uno degli elementi che la compongono. In linea di massima, si potrà così avere una
delle seguenti possibilità: spostamento della tesi alla fine del testo, omissione della tesi, omissione
degli argomenti a favore dello tesi, omissione dell'antitesi.
Educazione
letteraria. La metrica accentuativa – In
greco ed in latino, la metrica era fondata sulla quantità (brevità o lunghezza)
delle sillabe (metrica quantitativa);. Dopo l’anno mille il volgare, da dialetto parlato dai ceti popolari, è
innalzato a dignità di lingua letteraria, accompagnando lo sviluppo di nuove
forme di poesia e una nuova metrica.
Basata nelle lingue moderne si basa su rima
accenti e numero delle sillabe (metrica accentuativa)
In Italia nel periodo
di Dante e del Dolce Stil Novo, la poesia si afferma come mezzo di intrattenimento
letterario e assume prevalentemente forma scritta: questo porta i poeti
italiani a comporre opere più strettamente aderenti ai canoni grammaticali e
stilistici del genere, e a prestare maggiore attenzione alle qualità visive
della parola scritta, come la rima e l’alternarsi dei versi. Intorno alla fine del
1200 si diffuse anche la poesia burlesca.
Nel XIX secolo, con la nascita del concetto
dell’arte per l’arte, la poesia si
libera progressivamente dai vecchi moduli e compaiono sempre più frequentemente
componimenti in versi sciolti, cioè che non seguono nessuno schema particolare,
e spesso non hanno né una struttura né una rima.
Man mano che la poesia
si evolve, si libera dai suoi schemi sempre più opprimenti per poi diventare
forma pura d’espressione. L’Ermetismo si può definire la forma più
rarefatta di poesia, atta a trasmettere i sentimenti allo stato puro. Ma anche
l’Ermetismo si può definire superato.
Il concetto di poesia
oggi è molto diverso da quello dei modelli letterari; molta della poesia
italiana contemporanea non rientra nelle forme e nella metrica tradizionali ed
il consumo letterario è molto più orientato al romanzo e in generale alla
prosa, spostando la poesia verso una posizione
di nicchia.
Riflessione
sulla lingua. L’accento
- In ogni parola c’è una sillaba, pronunziata con maggiore forza delle altre
perché la voce si ferma su di essa più che sulle altre. L’insistenza della voce
sulla vocale della sillaba si chiama accento tonico o semplicemente accento.
Le altre sillabe si
dicono atone.
Secondo l’accento le
parole si dividono in:
·
Tronche
o ossìtone,
quando l’accento cade sull’ultima sillaba. Es. bontà, città;
·
Piane
o parossìtone,
quando l’accento cade sulla penultima sillaba: pàne, civìle;
·
sdrucciole
o proparossìtone,
quando l’accento cade sulla terzultima sillaba: classìfica, tàvolo;
·
Bisdrucciole, quando l’accento cade sulla
quartultima sillaba: màndaglielo, scrìvimelo;
·
Trisdrucciole, quando l’accento cade sulla
quintultima sillaba: òrdinaglielo.
In italiano la maggior
parte delle parole sono piane, seguite a lunga distanza dalle sdrucciole e
dalle tronche[1].
È obbligatorio segnare
l’accento grafico:
·
Sulle parole tronche di due o più
sillabe: città, caffè, virtù, mezzodì;
·
Sui monosillabi che terminano con un
dittongo ascendente: può, più;
·
Sui seguenti monosillabi: ciò, già,
giù, scià;
·
Sui monosillabi che, scritti senza
accento, si confonderebbero con altri monosillabi identici per forma ma diversi
per significato:
dà (verbo)
|
da (preposizione)
|
dì (sostantivo)
|
di (preposizione)
|
è (verbo)
|
e (congiunzione)
|
là (avverbio)
|
la (articolo)
|
Lì (avverbio)
|
li (pronome)
|
né (congiunzione)
|
ne (particella pronominale e avverbio)
|
sì (avverbio)
|
si (pronome personale)
|
sé (pronome)
|
se (congiunzione o pronome personale
atono)
|
L’accento grafico,
infine, va segnato
·
sui composti di tre, di re,
di su e di blu (ventitré, viceré, lassù rossoblù),
·
sui composti della congiunzione che
(benché, giacché, allorché, altroché ecc.)
·
nelle parole composte il cui secondo
membro sia monosillabo (autogrù, lungopò).
Educazione
letteraria. Il livello fonico della poesia - La poesia è l’arte di usare tanto il
significato semantico delle parole
quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha
quindi in sé alcune qualità della musica
e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo in maniera più evocativa e
potente di quanto faccia la prosa.
In una poesia il
significato è solo una parte della comunicazione che avviene quando si legge o
si ascolta una poesia; l’altra parte non è verbale, ma emotiva.
Queste strette
commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una
poesia in lingue diverse dall’originale, perché il suono e il ritmo originali
vanno irrimediabilmente persi e devono essere sostituiti da un adattamento
nella nuova lingua, che in genere è solo un’approssimazione dell’originale. Per
tali motivi nello studio di un testo poetico è fondamentale lo studio della metrica[3].
Educazione
letteraria. La metrica - La
poesia, come ogni genere letterario,
nasce come voce e, solo successivamente, diventa voce scritta. Ogni poesia,
anche la più intimista, va immaginata
come espressa a voce.
La forma di una poesia ossia la metrica ne determina il ritmo:
lo specifico della poesia, infatti, diversamente dalla prosa, è, infatti,
collegato al ritmo che non è un
semplice accompagnamento musicale del contenuto, ma ne è parte integrante.
La metrica di una poesia si decide da:
·
Metro è lo schema
metrico e la struttura caratteristica di un certo tipo di componimento.
·
Rima è l’omofonia
completa fra le ultime parole di due o più versi a partire dall’ultima sillaba
tonica.
·
Strofa o strofe
è un gruppo di versi, di numero e di tipo fisso o variabile, organizzati
secondo uno schema, in genere ritmico,
seguito da una pausa.
Il ritmo è dunque la
cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che caratterizza il verso, in
base al numero delle sillabe ed agli accenti ritmici[4], disposti secondo particolari schemi in
ogni tipo di verso.
L’accentuazione dei
suoni di un brano può anche avere altre funzioni ed i ritmi sono così distinti
in diverse tipologie:
·
Ritmo
lento e monotono.
·
Ritmo
veloce e martellante.
·
Ritmo
calmo alternato a ritmo veloce ed ossessivo.
·
Ritmo
incalzante.
·
Ritmo
cantilenante
·
Ritmo
calmo, meditativo.
·
Ritmo
solenne
·
Ritmo
epico.
·
Ritmo
musicale
·
Ritmo
spezzato.
Educazione
letteraria. Il verso - Il
verso, la riga di una poesia, è
un’unità metrico-ritmica di una composizione poetica, costituita da un certo
numero di piedi o di metri nella poesiaquantitativa (quella greca e latina) il cui adattamento alla
metrica italiana fu definito da Carducci metrica
barbara[5], nella poesia accentuativa, invece è
costituita da un certo numero di sillabe
o di accenti.
Si dicono versi sciolti, quelli non legati da rima e non raggruppati da schemi
strofici tradizionali.
Si
dicono versi liberi quelli che non
seguono nessuna norma metrica e ritmica tradizionale.
T 1 Il gran consiglio di guerra a. D. 535
·
Gian Giorgio Trìssino (1478-1550)
lavorò a questo poema epico per tutta la vita. Sebbene la critica letteraria
abbia definito quest’opera “il poema più noioso della letteratura italiana”,
non lo si può liquidare come opera “noiosa”. Si tratta invece di un poema molto
complesso, interessante anche soltanto per l’argomento, perché descrive la
guerra voluta dall’imperatore Giustiniano (527-565) contro i Goti ariani.
·
Trìssino iniziò a lavorare al
poema nel 1527 e lo completò nel 1547. L’Italia liberata dai Goti è un complesso poema in ventisette libri
sulla guerra tra Bizantini e Ostrogoti, in cui la materia storica s’intreccia
con gli elementi del “meraviglioso” per catturare l’interesse del lettore Il
poema ha come fonte principale il libro La Guerra Gotica dello storico
bizantino Procopio di Cesarea. ed è dedicato all’imperatore Carlo V, generoso
protettore di poeti e letterati, come l’Aretino e lo stesso Trìssino.
·
Trìssino abbandonò l’ottava,
armoniosa e melodica, il metro poetico utilizzato dai poeti Boiardo e Ariosto
per comporre i loro poemi e adottò l’endecasillabo sciolto, già usato per la
tragedia, ritenendo che tale modello di verso, privo di rima, potesse adattarsi
assai meglio al poema epico, in quanto avrebbe dato all’opera un ritmo
narrativo più discorsivo e più vicino allo stile dei poemi omerici di cui egli
era appassionato ammiratore.
che non doveano stare entr'al consiglio,
fu comandato che ciascun tacesse,
ma come in mar che da rabbiosi venti
gonfiato freme, poi che restan queti
rimane un mormorar per entro l'onde;
o qual campana che a disteso suoni,
poi ch'è restata di sonar si sente
per alcun spazio rimbombar d'intorno;
così dopo 'l tacer di tante lingue,
restava un mormorio dentr'a la sala:
né si chetò, se non quando levossi
il sommo imperador co 'l scettro in mano.
e quattro cerchi d'oro avea d'intorno
tanto eccellenti, e sì perfette gemme,
che non fu visto mai cosa sì bella:
questo l'eterno Dio mandò dal cielo
al suo gran Costantino, e morto lui
stette nascoso poi molti e molt'anni,
e d'indi al buon Todosio ancor pervenne;
e dietro a quello il Re dell'universo
con cui reggeva i popoli del mondo;
a questo egli appoggiato, in tai parole
sciolse la dolce e risonante voce:
«Cari fedeli, e venerandi amici
nel cui consiglio e nel cui gran valore
s'appoggia e si riposa il nostro impero,
dapoi che 'l Re delle sustanze eterne
mi pose in questa glorïosa sede
ho sempre avuto un desiderio immenso
che racquistarle le perdute membra?
Per questo solo in Africa mandai,
e racquistai tutto quel gran paese
ch'esser si crede il terzo de la terra;
ma quello è nulla, infin che non s'acquista
Questo è l'Italia e l'onorata Roma,
e questo è dove ho volto ogni pensiero;
però vorrei mandar la nostra gente
a porre in libertà l'Italia afflitta,
e racquistar la mia perduta sede.
Ben ho speranza de vittoria certa,
sì agevolmente la Sicilia, quando
vittorïoso d'Africa tornava;
e le presenti e le future cose,
e soccorrete a l'alto mio bisogno.»
Laboratorio
Svolgi la parafrasi del testo
Comprensione del testo
Riassumi a
parole tue il contenuto del testo
Qual è il tema centrale del componimento e com’è esposto?
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono
esposti?
Analisi del testo
3.
A
quale sottogenere letterario appartiene il testo?
4.
Rispetto alla definizione tradizionale del genere
letterario o del sottogenere, che cosa mantiene
e che cosa trasforma?
5.
Nel brano l'autore fa ricorso a termini letterari, aulici,
poetici? Se ce ne sono individuarne qualcuno che ti sembra a tal fine più
rilevante e spiegane significato e valore.
6.
Dal punto di vista sintattico, prevalgono costruzioni[25] difficili, elaboratissime, o espressioni colloquiali? Una volta individuata la prevalenza,
spiegane le motivazioni.
7.
Dal punto di vista sintattico, prevalgono frasi lunghe o
frasi brevi? Sono frasi ricche di proposizioni subordinate
o prevale là coordinazione? Perché fa ricorso a questa struttura sintattica? Quando prevalgono le frasi più
complesse, di ampio respiro o quando prevalgono frasi più brevi?
8.
Qual è nella poesia
la misura dei versi[26] (di quante sillabe
sono composti) e di quali versi si tratta?
10.
La
vicenda è narrata da un narratore esterno[28] o in prima
persona un narratore interno[29]? Se
si tratta di un narratore esterno, è un narratore onnisciente[30] che
esplicita la propria presenza ed esprime giudizi personali
oppure è un narratore occulto[31] che si
limita a raccontare le azioni e a descrivere i personaggi?
inoltre, il punto di vista del narratore esterno o neutro oppure, in qualche
momento o in tutta la vicenda, coincide con il punto di vista di qualche
personaggio? infine, questo punto di vista cambia, nel corso della narrazione?
Se si tratta
di un narratore interno chi è? inoltre è il protagonista della vicenda o un
personaggio secondario o uno spettatore?
infine, dichiara il proprio ruolo oppure lo si deduce dal racconto?
11.
Nella vicenda vi è un protagonista[32]? di chi si tratta? vi è un antagonista[33]? di chi si tratta? vi è un oggetto[34]? di chi o di che cosa si
tratta? infine ci sono personaggi secondari come aiutanti[35] ed oppositori[36]? di chi si tratta? Protagonisti e
personaggi secondari sono negativi o positivi? quali sono, inoltre, da che cosa emergono le
caratteristiche principali dei personaggi?
quale relazione esiste infine tra i personaggi del brano? Quale particolare significato conferisce alla vicenda il ruolo
assunto dai personaggi ed il rapporto fra i personaggi?
12.
Nel brano sono chiaramente distinguibili le
parti in cui i personaggi agiscono da quelle in
cui parlano o esprimono i loro pensieri? I pensieri o le parole dei personaggi
vengono presentati prevalentemente
con, discorso diretto[37], discorso
indiretto[38], discorso diretto libero[39], discorso indiretto
libero[40], monologo
interiore[41] o flusso di
coscienza[42].
13. Nel brano è individuabile lo spazio geografico in cui è
ambientata la vicenda?
Se questo non è indicato per quale motivo
14. Individua
la descrizione dei luoghi. essi sono: Luoghi reali o immaginari? Chiusi o aperti? Limitati o illimitati?
Ristretti o ampi? Quali oggetti si trovano. Trova eventuali collegamenti tra situazioni (di
tensione, gioia, aspettativa) e spazi.
15. Trova
eventuali relazioni tra luoghi e
personaggi (come i personaggi vivono il luogo, vi sono analogie o
discordanze tra i tipi di personaggio e il luogo in cui si trovano)
16. Trova
eventuali relazioni tra i luoghi (ad
esempio opposizione tra spazi vicino/lontano, aperto/chiuso, ecc.)
17. Individua
la funzione rivestita
nella descrizione degli spazi:
è di ambientazione[43], narrativa[44] o simbolica[45]?
2
Come ebbe detto questo, alzò le ciglia
e volse gli occhi al viso di ciascuno,
attendendo il parlar di quei signori;
ma ciascun d'essi tacito si stava,
ed aspettava che parlasse prima
Trovossi allora consule Giovanni
figliuol d'Antinodoro e di Erifila,
che da tutti Salidio era chiamato;
che fu fatto prefetto del Palazzo.
Questo era astuto ed arrogante molto,
di Belisario e del suo gran valore,
che non volgeva mai la mente ad altro;
rispose astutamente in tal maniera:
v'elesse Dio de le sue caste leggi,
la grande umanità ch'alberga in voi
mi fa sicuro a dir ciò che m'occorre
senza timore alcun di farvi offesa;
perché voi non credete essere amato
da quel che afferma ciò che dir vi sente,
ma da colui che a l'onor vostro ha cura;
né avete a sdegno che vi parli contra
quel che a l'util di voi volge il pensiero:
certo il principio d'ogni buon consiglio è
è quando 'l vero volentier s'ascolta.
Io non dirò che 'l far la guerra a i Goti
e se ben la vittoria adombra tanto
che fa scordarci ogni passato affanno
pur, s'el fin d'ogn'impresa il ciel nasconde,
buon è pensar che questa guerra ancora
potrebbe uscir contraria a la speranza;
Ah, se questo avenisse, in qual periglio
che viver con perigli e con fatiche.
imperador de le mondane genti,
avea l'Italia ingiustamente oppressa,
commise al buon figliuol di Teodemiro,
giovane audace e di leggiadro ingegno,
ch'andasse a liberar l'Italia afflitta.
Questi v'andò con tutti quanti e' Goti
che si trovava aver sott'il suo regno,
e con molta fatica e molti affanni
d'indi la possedeomolt'anni e molti
osservando di lei l'antiche leggi,
e mentre visse ci fu sempre amico;
che la Sicilia tacito ci lascia;
qual causa dunque abbiam di farli guerra?
Mai non si loda chi s'appiglia al torto.
dugentomillia in arme a la campagna;
Questa dunque mi par non giusta impresa,
né già ci mancheranmolt'altre parti
d'acquistar terra e glorïosa fama.
e molta nostra valorosa gente,
tutta con tradimenti e con inganni;
che muover guerra a che ci serve ed ama.
Questo è il consiglio, imperador supremo,
che 'l mio debole ingegno mi dimostra;
al meno è pien d'amore e pien di fede.»
Laboratorio
Svolgi la parafrasi del testo
Comprensione del testo
1.
Riassumi a
parole tue il contenuto del testo
2.
Qual è il tema centrale del componimento e com’è esposto?
3.
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono
esposti?
Analisi del testo
1. Dal punto
di vista sintattico, prevalgono costruzioni[83] difficili, elaboratissime, o espressioni colloquiali? Una volta individuata la
prevalenza, spiegane le motivazioni.
2. Dal punto
di vista sintattico, prevalgono frasi lunghe o frasi brevi? Sono frasi ricche
di proposizioni
subordinate o prevale là coordinazione? Perché fa ricorso a questa struttura sintattica? Quando prevalgono le frasi più
complesse, di ampio respiro o quando prevalgono frasi più brevi?
3. Nella
vicenda vi è un protagonista[84]?
di chi si tratta? vi è un antagonista[85]?
di chi si tratta? vi è un oggetto[86]?
di chi o di che cosa si tratta? infine ci sono personaggi secondari come
aiutanti[87]
ed oppositori[88]?
di chi si tratta? Protagonisti e personaggi secondari sono negativi o positivi?
quali sono, inoltre, da che cosa
emergono le caratteristiche principali dei personaggi?
quale relazione esiste infine tra i personaggi del brano? Quale particolare significato conferisce alla vicenda il ruolo
assunto dai personaggi ed il rapporto fra i personaggi?
4. Nel brano sono chiaramente
distinguibili le parti in cui i personaggi agiscono da quelle in cui parlano o esprimono i loro pensieri? I
pensieri o le parole dei personaggi vengono presentati prevalentemente con, discorso diretto[89], discorso indiretto[90], discorso diretto libero[91], discorso indiretto libero[92], monologo interiore[93] o flusso di coscienza[94].
5.
Dal punto di
vista sintattico quali tipi di proposizioni principali sono presenti? enunciative o narrative[95], interrogative
dirette[96], esclamative[97], imperative[98], dubitative[99],
esortative[100] concessive[101], potenziali[102], desiderative
o ottative[103].
3.
Al parlar di Salidio assai signori
s'eran commossi, o per le sue parole
ma sopra tutti il re de' Saraceni,
che si nomava Areto, e fu figliuolo
de la bella Zenobia e di Gaballo;
questi per la paura d'Alamandro
però, levato in piè, con bel sembiante
poi disse accortamente este parole:
«O re di tutti e' re che sono in terra,
l'immenso amor ch'io porto a questo impero
e i benefici che la vostra altezza
m'ha conferiti con sì larga mano,
fan ch'io non schifo mai di sottopormi
ad ogni grave e periglioso incarco
che vi diletti o che v'apporti onore,
perch'io vorrei per voi spender la vita.
Pur meco rivolgendo entr'al pensiero
tutto 'l parlar che 'l consule v'ha fatto
con bel discorso ed ottime ragioni,
creder mi fa che saria forse il meglio
lasciare i Goti star ne la sua pace,
e volger queste forze a l'orïente:
non pensan altro mai che farvi danno;
poi non so quanto sia sicura impresa
un sì possente e perfido nimico,
che vi disturbarà ciascun disegno.
cosa che possa dar troppo disturbo;
ma se co i Persi piglierete guerra,
i Goti staranqueti, e forse ancora
Questo non dico per fuggir fatica,
che seguir voglio le romane insegne
Laboratorio
Svolgi la parafrasi del testo
Comprensione del testo
1.
Riassumi a
parole tue il contenuto del testo.
2.
Qual è il tema
centrale del componimento e com’è
esposto?
3.
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono
esposti?
Analisi del testo
5. Individua tutte le figure sintattiche presenti nel
testo, classificale, riordinale sintatticamente ed eventualmente spiegane la
funzione dal punto di vista retorico
verso l'imperador con gesto umìle
e ne la sedia sua si risedette.
Il ragionar di Areto avea piaciuto
a molti di quei re de l'orïente,
di che s'avvide Belisario il grande,
che di quel gran paese avea 'l governo,
questi poi venne a la famosa corte
con Arato ed Isarco suoi fratelli,
e per lo suo meraviglioso ingegno
ed era un uom d'un'eloquenzia rara.
Costui, levato in piè, guardò la terra,
poi volse gli occhi gravemente intorno
e cominciò parlare in questo modo:
resto molto confuso entr'a la mente:
e l'un consiglia di mandare in Spagna,
e l'altro contra i Persi in Oriente:
parendoli più agevol quelle strade
che questa, che si fa quasi in un giorno.
Ah, come è duro mantener con arte
quella ragion che non risponde al vero!
Ma perché molto il buon Salidio afferma
la guerra contra ' Goti essere ingiusta,
e di fatiche e di perigli piena,
fia buon considerar queste due parti.
Né vo' negar ch'ogni famosa impresa
perché il bene è figliuol de la fatica,
e guerra non fu mai senza perigli.
che tanto è lunge, e fra una gente fiera
ne gl'italici liti, che 'l paese
tutto ribellerà da quei tiranni.
l'amica volontà de gli abitanti;
la qual non vi saria, chi andasse in Spagna,
e manco in Persia o in più lontana parte.
avendo seco una infinita pace,
ché scelerata cosa è il romper fede.
Poi, se 'l fin de le guerre è sempre incerto,
pensiam come si può mandar soccorso
tanto lontano e consolar gli afflitti;
ma ne l'Italia in manco di dui giorni
dugentomillia in arme a la campagna,
non suol dar la vittoria de le guerre,
ma i pochi e buoni, con consiglio ed arte,
più volte han vinto innumerabil gente.
Poi se colui che ha più soldati in campo
vincesse sempre, il nostro alto signore
ma basterà che ve ne vadan tanti,
sì come ancora in Africa si fece,
nominato sarà mill'anni e mille.
Dunque a me par l'impresa contra ' Goti
di più facilità che l'altre guerre;
e parmi parimente onesta e santa,
sì perché sono barbari arrïani,
come perché ci han tolto la migliore
e la più antica e la più bella parte
che mai signoreggiasse il nostro impero.
È manifesto che Zenone Isauro
imperador de le mondane genti
non mandò ne l'Italia Teodorico
perché s'avesse a far di lei tiranno,
ma perché la togliesse ad Odoacro,
e tosto, come a lui l'avesse tolta,
ma quello ingrato poi, com'ebbe vinto
l'acerbo re de gli Eruli, si tenne
in dura servitù quel bel paese,
e fece andarlo d'un tiranno in altro.
Sì che l'antica Esperia a noi s'aspetta,
Che onore esser ci può far sempre guerra
ed acquistare or questa parte or quella
con sudore e con sangue, e poi lasciare
Dunque non fu già mai più giusta impresa;
e poi quest'è 'l voler del nostro sire,
Però ciascun di voi di grado in grado
s'accinga al glorïoso e bel passaggio.»
Laboratorio
Svolgi la parafrasi del testo
Comprensione del testo
6.
Riassumi a
parole tue il contenuto del testo.
7.
Qual è il tema
centrale del componimento e com’è
esposto?
8.
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono
esposti?
Analisi del testo
Individua
tutte le figure retoriche presenti nel testo, classificale, espilcale ed
eventualmente spiegane la funzione dal punto di vista retorico
5. Così parlò
Narsete, e fece a molti
ed infiammò più valorosi spirti.
al cui levarsi ognuno alzò la fronte,
aspettando d'udir le sue parole
come una voce che dal ciel venisse.
Laboratorio
Svolgi la parafrasi del testo
Comprensione del testo
10.
Riassumi a
parole tue il contenuto del testo.
11.
Qual è il tema
centrale del componimento e com’è
esposto?
12.
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono
esposti?
Analisi del testo
14. Rieleggi
tutte le parti del testo magari dalla tua parafrasi corretta a scritta in word.
15. Si può
definire questo testo un testo argomentativo?
16. Se sì, qual è
il problema generale[171]
affrontato nel brano e quali sono gli eventuali sotto-problemi
affrontati?
17. Qual è la tesi[172] di
fondo sostenuta? quali sono gli argomenti[173] a
sostegno della tesi generale?
18. Vengono presentate antitesi[174] o
argomenti altrui non condivisi? se sì, quali sono quali sono le
antitesi ed attraverso - quali argomenti sono eventualmente confutate?
19.
Quali
sono le prove di validità degli argomenti? quali fra di esse sono dati
oggettivi (fatti, nozioni, leggi generalmente valide, testimonianze, pareri o
citazioni di esperti)? Quali sono dati
soggettivi (opinioni personali
dell'autore, suoi giudizi, sue interpretazioni, opinioni di persone diverse dallo scrivente o di determinati
gruppi)?
T
2 La battaglia dei giganti a. D. 552
Da La guerra Gotica di Procopio
di Cesarea
·
Procopio chiamò lo scontro
definitivo tra Goti e Bizantini la battaglia dei giganti, per la durata e la
violenza dello scontro. Per due giorni consecutivi i due eserciti avversari si
affrontarono, tanto da farne una delle battaglie più violente combattute durante
l'alto medioevo in Europa. Ancora oggi, a distanza di tanti secoli, emergono
luce reperti di quella battaglia, come ossa e frammenti di armature e armi,
tanto da poter identificare con certezza il luogo in cui avvenne la battaglia.
·
Narsete passando il Sarno sulla
sua riva sinistra, all'inseguimento dei nemici, pose il suo campo lungo la
strada tra Stabia e Nocera a sud ovest di Angri, dove si trovava un terreno
pianeggiante. Il generale bizantino non volle attaccare il nemico arroccato sul
monte Lattaro, malgrado la sua superiorità numerica, si limitò invece ad
assediarli in attesa che commettesse qualche errore.
·
Teia dopo aver sistemato il campo
in una posizione facilmente difendibile sul Lattaro, si accorse
dell'impossibilità di approvvigionare l'esercito. Completamente circondato dai
monti su tre lati, i Goti subito si accorsero di trovarsi nella condizione di
assediati e, per la mancanza di viveri, in una situazione disperata, senza via
d'uscita. A questo punto Teia e i suoi uomini avevano solo due alternative se
non volevano morire di fame lentamente, arrendersi incondizionatamente al
nemico o attaccare. I germani scelsero quest'ultima alternativa anche se questo
significava la morte in combattimento" meglio perire in battaglia,
pensarono, che perdere la vita a causa della fame"
·
Si era nel Marzo del 553, per
l'epoca il primo mese dell'anno, probabilmente la situazione di assedio non
dovette durare più di un giorno, dal momento che Narsete pose il suo campo
presso Angri e la decisione dei Goti di andare all'assalto del nemico. Teia
aveva deciso di prendere il nemico di sorpresa con un'azione di fanteria. Così,
la mattina di quel marzo fatale, prima che sorgesse il sole, le forze ostrogote
discesero dalle loro posizioni sul monte, dirigendosi a nord-est verso Angri.
Il campo bizantino si trovava nel punto più stretto del pianoro limitato dal
lato meridionale dai monti e da quello settentrionale dal fiumicello La Marna e
dalle paludi. Qui, al sorgere del sole, le truppe bizantine vennero colte di
sorpresa dai Goti. I soldati imperiali reagirono prontamente alla minaccia,
senza ordini, senza essere guidati da alcun comandante e senza badare al
reparto d'appartenenza, si fecero incontro a casaccio contro i nemici con
decisione. I Bizantini lasciarono alle proprie spalle i loro cavalli. Lo spazio
disponibile, per un uso efficace della cavalleria, era limitato dai monti a sud
e dal fiume e le paludi a nord. La tremenda battaglia fu quindi uno scontro
essenzialmente tra fanterie.
·
La battaglia si accese subito
violentissima, continuando ininterrottamente per tutta la giornata. A
differenza della battaglia di Tagina però lo scontro tra le due fanterie non
avvenne con la tecnica della falange ma in formazioni più aperte, in modo da
permettere un ricambio continuo tra le prime file che combattevano e i soldati
più riposati delle retrovie. Questa formazione più aperta permetteva ai
contendenti l'uso di tutte le armi da getto e dava spazio ai guerrieri delle
prime file di utilizzare l'umbone dello scudo come arma offensiva, un modo di
combattere in uso in quel periodo.
·
Il re germanico non si risparmiò
fin dall'inizio della battaglia, a differenza dell'anziano Narsete che cercò di
condurre le operazioni dalle retrovie, Teia continuò a combattere valorosamente
nelle prime file incoraggiando e dando l'esempio ai suoi uomini. Nel racconto
di Procopio, nonostante sia uno storico di parte, si ritrova tutta
l'ammirazione per questo giovane guerriero, riportiamo il racconto stesso.
1.
In Campania c’è un monte, il
Vesuvio, che ho ricordato nei libri precedenti, per il fatto ch’emette sovente
un boato simile a un mugghio. Quando succede così, erutta anche una gran
quantità di cenere bollente. Questo l’ho detto, a quel punto della mia storia.
Ora, questa montagna, come l’Etna in Sicilia, ha l’interno naturalmente vuoto
dall’estremità inferiore alla vetta, ed è proprio là dentro che il fuoco arde
in continuazione. Questo vuoto giunge a tale profondità, che, se uno sta sulla
cima e ha il coraggio di sporgersi, non riesce facilmente a vedere la fiamma.
Ogni volta che la montagna erutta, come ho detto, la cenere, la vampa stacca
anche pietre dalle viscere del Vesuvio e le lancia in aria al di sopra della
vetta, talune piccole, altre assai grandi, e di lì le sparpaglia dove capita. E
c’è anche un rivolo di fuoco che si diparte dalla sommità e si spinge fino alle
pendici del monte e anche oltre: tutti fenomeni che si verificano anche
nell’Etna. Il rivolo di fuoco forma alti argini di qua e di là, scavandosi il
letto con un taglio profondo. Da prima la fiamma che corre su quel rivolo
somiglia a un flusso ardente d’acqua; ma appena si spegne, il corso del rivolo
si blocca subito e la corrente non procede oltre, mentre il sedimento di quel
fuoco è una fanghiglia simile a cenere.
2.
Alle falde di questo Vesuvio ci
sono sorgenti d’acqua potabile. E ne scaturisce un fiume detto Dracone[176], che poi passa molto vicino alla
città di Nocera[177].
3.
I due eserciti s’accamparono da
una parte e dall’altra di questo fiume. Il corso del Dracone è un filo, ma il
fiume non è accessibile né a cavalieri né a fanti, perché scorre in una
strettoia e si scava un letto molto profondo, rendendo le rive come sospese e
incombenti da entrambi i lati. Se la ragione di ciò vada cercata nella natura
del suolo o in quella dell’acqua non saprei dire.
4.
I Goti s’impadronirono del ponte
sul fiume, accampati com’erano nelle immediate vicinanze. Vi collocarono torri
di legno e, fra altre macchine, vi costruirono le così dette baliste, per
essere in grado di bersagliare dall’alto i nemici che venissero a dar fastidio.
Era dunque impossibile un corpo a corpo, perché c’era di mezzo il fiume:
entrambi gli eserciti, avvicinandosi il più possibile alle rive del fiume,
facevano soprattutto assegnameli lo sugli archi. S’ebbero anche alcuni duelli,
quando un Goto, per esempio, era provocato a passare il ponte. I due eserciti
passarono così due mesi.
5.
Finché i Goti ebbero il dominio
del mare in quel punto poterono reggere, portando i rifornimenti con le navi
(erano accampati a breve distanza dal mare). Ma poi i Romani riuscirono a
prendere le navi nemiche, grazie al tradimento d’un Goto che sovrintendeva a
tutta la flotta; inoltre a loro cominciarono ad arrivare innumerevoli navi
dalla Sicilia e dal resto dell’Impero.
6.
In pari tempo Narsete collocò
anche lui sulla riva del fiume torri di legno e riuscì così a mortificare
completamente la baldanza degli avversari. I Goti di tutto ciò s’impaurirono
molto e, pressati dalla penuria di viveri, si rifugiarono su un monte ch’è lì
vicino e che i Romani chiamano, in latino Monte del Latte (Mons Lactarius). Là
i Romani non potevano certo raggiungerli, per le difficoltà del terreno. Ma i
barbari si pentirono subito d’essere saliti lassù, perché la scarsità di
viveri si faceva ancora maggiore, non avendo essi alcun mezzo per procurarne
per sé e per i cavalli.
7.
Perciò ritennero che farla finita
in uno scontro fosse preferibile che morire di fame, e inaspettatamente
avanzarono in massa contro i nemici, piombando loro addosso fulmineamente. I
Romani si disposero a difesa come consentivano le circostanze, schierandosi
senza distinzioni di comandanti, di compagnie o di reparti, e senza
differenziarsi in altra guisa gli uni dagli altri. Né avrebbero potuto udire
ordini durante lo scontro: erano solo pronti a fronteggiare il nemico con tutto
il vigore possibile, dovunque si trovassero. I Goti furono i primi ad
abbandonare i cavalli e a formare a piedi, fronte al nemico, una profonda
falange. I Romani, a quella vista, lasciarono i cavalli anche loro e si
schierarono tutti allo stesso modo.
8.
Io sto qui per descrivere una
battaglia memorabile e il valore d’un uomo, non inferiore, credo, a quello
degli eroi: il valore di cui Teia[178] fece sfoggio in quell’occasione.
I Goti erano spinti all’ardimento dalla disperazione; d’altra parte i Romani,
pur vedendoli fuori di sé, tennero loro fronte con tutte le forze, arrossendo
di cedere di fronte ad avversari inferiori di numero. Gli uni e gli altri, poi,
andavano contro i nemici con molta rabbia, gli uni cercando la morte, gli
altri l’eroismo.
9.
La battaglia cominciò all’alba.
Teia, facilmente riconoscibile, riparandosi con lo scudo e protendendo la
lancia, si mise in testa alla falange, con pochi altri. I Romani, vedendolo,
pensarono che, se fosse caduto lui, la battaglia sarebbe finita immediatamente;
sicché su di lui si concentrarono tutti i prodi (ed erano molti), chi spingendo
e chi vibrando la lancia contro di lui. Il quale, coperto dallo scudo, riceveva
su quello tutte le lance, e con repentini assalti aggrediva i nemici,
uccidendone molti. Ogni volta che vedeva lo scudo pieno di lance conficcate, lo
consegnava a uno degli scudieri e ne brandiva un altro. Così combattendo arrivò
a un terzo della giornata: a quel punto, sullo scudo c’erano, conficcate,
dodici lance, sicché non ce la faceva neppure più a muoverlo come voleva e a
respingere gli assalti. Chiamò allora in fretta uno degli scudieri, senza però
lasciare il suo posto e senza muoversi d’un dito, né per retrocedere né per
attirare i nemici in avanti, senza voltarsi, senza ripararsi le spalle con lo
scudo, senza neppure mettersi di fianco: stava lì ritto col suo scudo, che
pareva radicato al suolo, uccidendo con la destra, rintuzzando i colpi con la
sinistra, e chiamando lo scudiero per nome. Quello era già lì con lo scudo, e
lui si liberava in fretta dell’altro, appesantito dalle lance. Fu proprio in
quell’attimo (un tempo infinitesimale) che il petto gli restò scoperto, e il
caso volle che fosse colpito proprio allora da un giavellotto, per cui
immediatamente morì. Alcuni Romani misero la sua testa in cima a un palo e
andarono in giro mostrandola a entrambi gli eserciti, ai Romani perché
prendessero ancor più coraggio, ai Goti perché, disperati, ponessero fine alla
guerra.
10.
Ma neppure allora i Goti
cessarono di combattere. Lottarono fino a notte, pur sapendo che il loro re
era morto. Quando si fece buio, si separarono e gli uni e gli altri bivaccarono
in tenuta di guerra. Il giorno dopo s’alzarono presto, schierandosi di nuovo
allo stesso modo, e combatterono fino a notte. Non cedevano, non fuggivano, non
ripiegavano benché da una parte e dall’altra un gran numero d’uomini fosse
ucciso: lottavano come in preda a una furia selvaggia per l’odio reciproco, i
Goti ben consapevoli che quella era per loro l’ultima battaglia, i Romani rifiutando
di farsi vincere.
11.
Alla fine Ì barbari mandarono
alcuni dei loro notabili a Narsete[179], dicendo d’aver capito che
l’avversario con cui combattevano era Dio; si rendevano conto della potenza che
s’erano trovati di fronte e, arrendendosi all’evidenza dei fatti, erano decisi
a dichiararsi vinti e ad abbandonare la lotta, non però per divenire soggetti
all'imperatore, bensì per vivere autonomi insieme con altri barbari.
12.
Chiedevano che i Romani concedessero
loro una ritirata pacifica, senza rifiutare un trattamento ragionevole, e anzi
donando loro come viatico quelle ricchezze che ciascuno aveva in precedenza
depositate nelle fortezze italiane. Narsete mise in discussione queste
proposte. E Giovanni nipote di Vitaliano[180] l’esortava ad accogliere la
richiesta, a non spingere oltre la lotta contro uomini morituri, a non fare la
prova d’un coraggio originato dalla disperazione — atteggiamento psicologico
assai rischioso per chi lo segue e per chi lo fronteggia. «Basta a chi è saggio
vincere — disse; — le brame smodate possono risolversi in fallimenti».
13.
Narsete seguì il consiglio, e si
fece un accordo in questi termini: che i barbari superstiti si prendessero le
ricchezze personali e se ne andassero subito da tutta l’Italia, per non fare
più guerra in nessun modo ai Romani. Nel frattempo mille Goti partirono dal
campo per recarsi alla città di Ticino e ai paesi dell’oltre Po. Li guidava,
fra gli altri, Indùlf, di cui ho fatto menzione in precedenza . Tutti gli altri
prestarono giuramento a convalida degli accordi.
14.
Così i Romani presero Cuma e
tutto il resto.
15.
Si chiudeva il diciottesimo
anno, e con esso la guerra gotica, di cui Procopio ha scritto la storia.
Comprensione
del testo
1. Esponi a parole tue il contenuto del testo. Qual è il
tema centrale del componimento e com’è esposto? Quali sono, se ci sono, i temi secondari
e come sono esposti?
2. Quali sono i nessi di relazione fra il tema-centrale e
gli eventuali temi secondari?
3. Analizza in dettaglio, enunciandone però la
trattazione, una situazione o un personaggio o qualche particolare immagine presente nel
brano, spiegandone la relazione con il tema centrale del componimento.
4. Il testo fa leva principalmente su descrizioni, su
ragionamenti, su emozioni?
5. L'autore punta ad una particolare precisione ed
evidenza delle immagini?
6. Individua qualche immagine particolarmente curata ed illustra
com’è espressa.
Analisi del testo
1. A quale genere letterario appartiene il testo?
A quale sottogenere letterario appartiene il testo?
Rispetto alla definizione tradizionale del genere letterario o del sottogenere,
che cosa mantiene e che cosa trasforma?
2. Qual è il
sistema dei personaggi[182]nel
brano?
3. Come sono
caratterizzati i personaggi[183]
4. Qual è la
funzione dei personaggi[184].
5. Analizza in
dettaglio il protagonista del testo
T 3 Le dieci regole della retorica per comunicare bene in pubblico
di Andrea Granelli[185]
Esprimersi con efficacia - ma anche
ben ragionare - è alla base del successo di molte attività economiche: dai pitch[186]
delle startup[187]
alla gestione dell'azienda.
La téchné rhetoriké – tecnica ma
anche arte retorica – non ci insegna solo a esprimerci con efficacia ma
soprattutto a «ben ragionare». Anzi è la più importante tecnologia della mente
di cui disponiamo. Ben nota agli antichi (e un po’ meno a noi moderni) era la
base del curriculum studiorum della classe dirigente. Volendo estrarre da una
sapienza che ha radici molti antiche (e che si è molto evoluta nel tempo) dieci
massime, questa è una proposta (necessariamente tentativa):
1. Ricordarsi sempre della legge
fondamentale della retorica: l’oratore
– colui che parla o scrive per convincere – non è mai solo. Si
esprime sempre in concomitanza o in opposizione ad altri oratori (presenti o
impliciti nelle credenze dell’uditorio), e sempre in funzione di altri discorsi.
2. Costruire – come ci ricorda Cicerone nel suo De oratore
– sempre un impasto indissolubile tra res e verba, tra argomenti e forme espressive; i fatti non sono
più importanti delle parole e le parole non lo sono più dei fatti.
3. Ricordarsi il principio di incertezza
di Quintilliano: gli schemi o i metodi non possono comprendere
la complessità del reale. Ogni tassonomia, catalogo di strumenti o
metodo sarà sempre parziale.
4. Iniziare
sempre con la «captatio benevolentiae» («assumendo» anche uno specifico carattere
– l’ethos – adatto all’uditorio) per ottenere innanzitutto la sua fiducia.
5. Ricordarsi sempre che «Excusatio non petita, accusatio
manifesta»
6. Usare
sempre i 3 “mezzi persuasione” (ethos, pathos, logos) enunciati
da Aristotele.
7. Usare il più possibile il
Principio di Teofrasto secondo cui non
bisogna mai spiegare tutto in modo puntiglioso e prolisso, ma bisogna
sempre lasciare all'uditore qualcosa da comprendere e da dedurre da solo
(sentirà più «suo» il ragionamento).
8.Ricordarsi
dell’efficacia del principio del tre (è il «numero perfetto» di cose importanti
da dire e ricordare): se è
una è «indottrinamento»; se sono due
è un suggerimento incompleto; se sono quattro, sono già troppi elementi da
ricordare.
9. Usare – quando si è in difficoltà – il corax (una delle tecniche retoriche più
antiche): l’apparenza inganna: quella che sembrerebbe
la causa più naturale… non può esserlo… è troppo prevedibile
10. Ricordarsi l’importanza dello stile e la sua
dipendenza sia dalla propria personalità (autenticità) che dal contesto
in cui si comunica (per non essere «fuori
luogo»).
[1]Accento acuto ed accento grave In italiano gli
accenti grafici, cioè i segni con cui si marca la vocale tonica della parola,
sono di due tipi:
·
L’accento
acuto:
é;
·
L’accento
grave:
à.
Si
segna l’accento grave sulle vocali a, i,u,
quando è necessario: libertà, più, capì. Invece sulle
vocali e ed o si segna l’accento acuto quando
hanno un suono chiuso, come nelle parole: pésca (= l’azione del
pescare), vólto (= il viso), perché, né; si segna
l’accento grave quando hanno un suono aperto, come nelle parole: pèsca
(il frutto), vòlto (participio passato di volgere) è, cioè.
·
Quando
solo l’accento distingue due o più parole omografe, cioè due o più parole che
hanno identica grafia ma pronuncia e significato diversi, come:
·
Lèggere e leggère
·
Nocciolo e nocciolo
·
Gito, agito e agitò;
·
Nelle
forme plurali delle parole in -orio quando possono essere confuse con le
forme plurali delle parole in -ore: direttòri(plurale di direttorio)
/ direttóri (plurale di direttore);
·
Nelle
forme plurali delle parole in -io quando possono essere confuse con i
plurali di altre parole simili: princìpi (plurale di principio) /
prìncipi (plurale di principe);
·
Nelle
voci del verbo dare che possono essere confuse con i loro omografi: danno,
dato, dagli;
Tutte
le volte che si vuole indicare l’esatta pronuncia di una parola rara e
difficile: ecchìmosi, prosèliti, streptomicìna.
[3]Metrica - La metrica è la struttura letteraria
di un componimento poetico, che ne
determina il ritmo e l’andamento generale.
Con il termine metrica si indica quella particolare branca della filologia che
si occupa dello studio di queste strutture.
[4]
Nella metrica, per accento si intende
il maggior rilievo che alcuni suoni hanno rispetto ad altri nell’ambito di un
brano o di una frase, per questo si hanno:
·
Suoni
più accentati (accento forte),
·
Suoni
meno accentati (accento debole)
·
Suoni
non accentati.
Gli
accenti ritmici sono quindi gli
accenti fondamentali, che cadono sulle sillabe toniche dove la voce si appoggia
di più. Anche i versi più liberi
hanno il loro ritmo e non esiste poesia senza ritmo, che talvolta supera
perfino le intenzioni stesse del poeta, che vorrebbe reprimerlo per esaltare la
singola parola, come accade in alcune poesie ermetiche.
Il
ritmo è quindi il susseguirsi di una
serie di accenti con una periodica
regolarità. Esso è basato sulla suddivisione del tempo in forme e misure
variabili, talvolta regolari e simmetriche, altre volte irregolari e
asimmetriche. Il ritmo è dunque un movimento che si ripete regolarmente.
Qualsiasi movimento che non si ripeta regolarmente può essere detto come aritmico.
In
generale il ritmo del verso si fa più incalzante quanto più sono numerosi e
ravvicinati e gli accenti tra loro; l’abile uso degli accenti di un verso è
parte fondamentale della sensibilità artistica di un autore.
[5]Metrica barbara - L’imitazione
dei metri greco-latini ha trovato nella letteratura italiana importanza. Questa
sperimentazione, definita poesia metrica,
da Carducci in poi assunse la definizione di poesia barbara, perché tale sarebbe sembrata «al giudizio dei greci
e dei romani».
Questo
tipo di tecnica consiste nell’applicare la metrica quantitativa dell’antichità
classica, basata sulla lunghezza delle sillabe, alla poesia italiana. La lingua
italiana, al contrario del greco e del latino, non fa distinzione tra sillabe
lunghe e sillabe brevi: per la struttura delle singole parole e per
l’intonazione della frase, ha invece valore decisivo la netta differenza tra
sillabe atone e sillabe toniche, aspetto che nel verso antico aveva
un’importanza secondaria. Inoltre per il verso italiano è fondamentale il
numero delle sillabe, che nella poesia greca e latina era oltremodo variabile,
data la possibilità di sostituzione della sillaba lunga con due brevi.
Carducci studiò a lungo e
pubblicò i risultati dei precedenti tentativi firmati Leon Battista Alberti,
Leonardo Dati, Claudio Tolomei, Annibal Caro e Gabriello Chiabrera, Foscolo e
Leopardi, noti al mondo letterario, eppure la pubblicazione delle Odi barbare
nel 1877 attirò numerose polemiche.
La novità di Carducci era il
risultato raggiunto nella sperimentazione attuata sull’esametro e sul distico
elegiaco che, per la loro particolare struttura metrica, avevano sempre
rappresentato un ostacolo nella poesia metrica. Per raggiungere il suo scopo,
ossia riprodurre nel miglior modo possibile il ritmo antico, trovò l’espediente
di applicare al verso la lettura accentativa italiana o, in alternativa, di
comporre versi in cui le sillabe lunghe fossero sostituite con arsi. Carducci lavorò anche ad altre
forme metriche, dedicandosi in particolare all’imitazione delle strofe saffiche
e alcaiche. Possiamo paragonare la sua attività di sperimentazione a quella
svolta dai ricercatori nei laboratori: operazioni delicate, curate nei minimi
dettagli, non solo dal punto di vista formale ma anche lessicale. Infatti,
nell’esprimere la quotidianità, il poeta non impiega un linguaggio comune, ma
propende sempre verso vocaboli di netta impronta classica, scelta che, come
afferma il Salinari, potrebbe a sua volta essere considerata un limite: «il suo
linguaggio che ha grande forza espressiva nelle rappresentazioni epiche o
comunque di sentimenti dai contorni ben precisi, è troppo poco allusivo,
sfumato, musicale per rappresentare situazioni sfuggenti, indefinite,
contraddittorie, che riflettono i conflitti intimi delle zone più oscure e
incerte della coscienza.»
[6]L’Italia Liberata dai Goti – Reduce dal
grande successo della tragedia Sofonisba,
Trìssino cercò la fama anche come poeta epico e, affascinato dal mondo greco,
vide nell’Impero bizantino di Giustiniano la suprema sintesi tra l’ideale
imperiale romano e la nuova fede cristiana.
Tra le numerose guerre che l’Impero giustinianeo
combatté contro i suoi numerosi nemici (Persiani, 531 532, Vandali, 533-534,
Visigoti, 551), Trìssino scelse la guerra contro gli Ostrogoti, che avevano
invaso l’Italia nel 489, sottraendola all’erulo Odoacre.
Trìssino voleva creare un grande “poema eroico”
completamente diverso dal poema cavalleresco come lo avevano concepito Boiardo
e Ariosto abbandonando le tematiche carolingie delle guerre dei paladini di
Francia contro i Mori.
Secondo l’intenzione del Trìssino, il poema segue come
criterio principale l’unità dell’azione, che ruota tutta intorno al personaggio
di Giustiniano. Ma siccome la Guerra Greco-Gotica durò diciotto anni,
svolgendosi attraverso varie fasi (dal 535 al 553), anche il poema risente di
questo lungo periodo, per questo motivo la tanto decantata unità si rivela in
molti punti assai difettosa.
La vicenda inizia con il sogno di Giustiniano, il
quale è esortato da un angelo, inviatogli da Dio, a liberare l’Italia dal
feroce dominio dei Goti ariani. L’imperatore convoca i suoi cortigiani e i suoi
collaboratori ed espone loro la necessità di intraprendere una spedizione
militare per sottrarre, il “Giardinodell’Impero”
alla nefanda tirannide dei Goti eretici. E il discorso fatto da Narsete, eunuco
spietato che è anche la mente della politica estera bizantina, per giustificare
l’ennesima guerra voluta dal suo basilèus, è interessante.
L’imperatore fa preparare una grande armata e una
grande flotta e ne affida il comando al generale Belisario, già vincitore di
Persiani e Vandali.
Questi salpa alla volta dell’Italia, sbarca in Puglia
e conquista Brindisi, sconfiggendo Faulo, il gigante goto che domina la città.
Poi, le armate greche occupano la Puglia e la Campania e si spingono fino a
Roma.
Ma un soldato bizantino profana un altare della Beata
Vergine Maria, la quale, indignata, inizia a proteggere i Goti. Mentre
Belisario assedia Roma, da Aquileia giunge un esercito goto guidato dal gigante
Torrismondo: le truppe bizantine e gote si scontrano e queste ultime vincono la
battaglia.
Ma da Bisanzio giunge un altro esercito, guidato
dall’eunuco Narsete, che affronta i Goti e li sconfigge. Allora i Goti nominano
re il prode Vitige, che si batte contro i bizantini di Narsete, venendo però
sconfitto ad Osimo.
Alla fine della lunga guerra, Narsete e Vitige si
accordano per una disfida: dodici cavalieri greci contro dodici cavalieri goti,
che si affrontano davanti alle mura di Roma. I campioni goti sono sconfitti,
Narsete fa catturare Vitige e lo conduce prigioniero a Bisanzio (il tutto,
ovviamente, falsando la realtà storica, perché la Guerra Greco-Gotica non finì
così).
È difficile realizzare in un poema una vicenda storica
complessa, anche se ampio: Trìssino per arricchire la narrazione, infarcisce la
storia di interventi soprannaturali (angeli e demoni che si schierano i primi
in favore dei Bizantini e i secondi dei Goti), di duelli terribili tra
giganti goti e guerrieri greci, di interventi di maghe dotate di anelli fatati,
nonché di storie d’amore disperate e tormentate.
Il poema non eccelle: la vera poesia emerge soltanto a
tratti e solo in taluni episodi, il meraviglioso abbonda, ma la prolissità
eccessiva fa sentire il suo peso. D’altronde Trìssino si rese conto che un
poema solo epico-eroico avrebbe stimolato poco l’interesse dei lettori, per
questo vi inserì molti episodi amorosi, magici o addirittura fantastici,
attinti direttamente dall’epica cavalleresca e dai poemi boiardeschi e
ariosteschi che egli, teoricamente, non voleva avere come modelli imitativi.
Sostanzialmente, quindi, il poema del Trìssino oscilla
tra epica e romanzo.
In ogni caso, l’idea di scrivere un poema epico in
endecasillabi sciolti, scevri dalla cantilena e dalla rigida armoniosità della
rima, era davvero buona, così come la scelta dell’argomento, essendo state le
guerre bizantine sempre trascurate dai nostri poeti epici e cavallereschi.
Peccato che a tentare di realizzarla sia stato un poeta mediocre come Gian
Giorgio Trìssino e non un vero e grande poeta come fu Torquato Tasso.
[7]Gian
Giorgio Trìssino – Gian Giorgio
Trìssino (Vicenza, 1478 - Roma,
1550) era un famoso e ricco nobile dei conti Trìssino: studiò greco a Milano
sotto la guida di Demetrio
Calcondila e filosofia a Ferrara
sotto quella di Niccolò
Leoniceno. Da questi maestri apprese l’amore per i classici e per il greco, che
ampiamente si respira nelle sue opere. La sua produzione letteraria, infatti,
insieme alla riflessione teorica sul volgare, rivela un indirizzo classicistico
ellenizzante.
Al filellenismo
letterario corrispose sul piano politico, la sua posizione favorevole
all’Impero piuttosto che alla Repubblica di Venezia, che lo costrinse per
qualche tempo all’esilio. Durante quel periodo soggiornò a Ferrara, a Firenze e
infine si stabilì a Roma presso la corte papale, svolgendo missioni diplomatiche
in Italia e all’estero per conto dei pontefici Leone X, Clemente VII e Paolo
III.
Dovunque
Trìssino si recasse riceveva con grandi onori.
Dopo aver
soggiornato a Padova dal 1538 al 1540 si ritirò nell’isola di Murano, luogo più
solitario, fino al 1545. Morì a Roma l’8 dicembre 1550 e fu sepolto nella Chiesa di Sant’Agata alla Suburra.
Nelle sue opere
Gian Giorgio Trìssino fu fautore di un classicismo integrale conforme ai
principi aristotelici, che espose nelle sei parti della sua Poetica del 1562, ambiziosa sistemazione
di tutti i generi letterari, ognuno ricondotto a precise regole di struttura,
stile e metrica. Poeta e tragediografo, le sue opere sono coerenti con questa
concezione di letteratura.
La tragedia Sofonisba, composta nel 1515, pubblicata a
Roma nel 1562 e rappresentata a Vicenza nel 1562 per iniziativa dell’AccademiaOlimpica, può essere
considerata la prima tragedia di impianto classico
del secolo: pur ispirandosi a Tito Livio, guarda alla Grecia classica,
modellandosi in particolare sull’Alcesti di Euripide; inoltre, si attiene
scrupolosamente alle unità aristoteliche (tempo, luogo, azione) e ripropone il
coro delle tragedie antiche.
Sul piano
teorico Trìssino si espresse riguardo la dibattuta questione della lingua
letteraria: la sua tesi “cortigiana italianista”
sosteneva l’idea di una lingua formata dagli elementi comuni a tutte le parlate
dei letterati della Penisola. I suoi scritti linguistici (Epistola, Il Castellano, I dubbi
grammaticali, La grammatichetta) costituiscono quindi la principale voce di
dissenso rispetto alla corrente di impostazione classicista di Pietro Bembo.
Gian Giorgio
Trìssino non fu soltanto amante della poesia e della letteratura, ma si
interessò anche di architettura. Architetto lui stesso, concepì un trattato Dell’Architettura e protesse Andrea di Pietro della Gondola, di cui
fu amico e mentore e gli cambiò il nome in “Palladio”,
come l’angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L’Italia liberata dai Goti.
Trìssino condusse Palladio a Roma e avviò il futuro genio
dell’architettura verso le vette più ardite di un’innovazione a livello
mondiale.
[8] Sta per dappoi: poi , dopo
[9] Lo scettro.
[11] ali
[12] volle
[13]degno,
meritevole Etimologia: dal lat. condĭgnu(m), comp. di cŭm, con valore rafforzativo, e dĭgnus ‘degno’.
[14] Potrebbe
[15] Sede o trono
[16] trova
[17] Sono gli Ostrogoti
[18] domandi
[19] Teniamo radunata
[20]Belisario è
stato un generale bizantino, servì sotto Giustiniano ed è considerato uno dei
più grandi generali bizantini.
Nato nella città di Germania nell'Illirico, Belisario intraprese la
carriera militare, entrando a far parte dapprima delle guardie del corpo
addette alla persona dell'Imperatore Giustino
I e poi diventando generale.
Si distinse nella guerra iberica contro i Sasanidi, per poi salvare il trono
dell'imperatore Giustiniano sedando con successo la rivolta di Nika nel 532. Successivamente, Giustiniano
gli affidò il comando delle sue grandi guerre di conquista in occidente: la
prima, la guerra vandalica,
combattuta contro il regno africano dei Vandali, la seconda, la guerra gotica,
svoltasi nel regno d'Italia sotto il dominio degli Ostrogoti. Le due campagne ebbero buon
esito: Belisario riuscì non solo a sottomettere tutto il Nord Africa e gran parte dell'Italia, ma anche a
condurre il re vandalo Gelimero e il re goto Vitige in catene ai piedi di Giustiniano. In
seguito alla vittoria africana, Giustiniano gli concesse il trionfo e l'onore
del consolato nel 535. Richiamato a Costantinopoli, fu inviato in Oriente contro i Persiani.
Dopo due anni di guerra contro i Sasanidi, Belisario
venne inviato per la seconda volta in Italia nel 544.
A causa della scarsità di uomini e mezzi fornitigli da
Giustiniano, non riuscì però a contrastare efficacemente il nuovo re dei Goti Totila, che era riuscito a
riconquistare quasi tutta la penisola. Tornato a Costantinopoli nel 548, ricoprì negli anni successivi
alcuni incarichi di tipo religioso venendo inviato presso il Papa per cercare
di convincerlo ad accettare la politica religiosa dell'imperatore. Nel 559 fu
di nuovo utile all'Impero riuscendo, alla testa di un esercito formato per lo
più da contadini, a scacciare un'orda di barbari che stava devastando la Tracia mettendo in grande pericolo
Costantinopoli.
Nonostante il suo grande contributo alla difesa
dell'Impero, Belisario cadde più volte in disgrazia con l'imperatore: accusato
di tradimento, venne però ogni volta riabilitato. Secondo una leggenda che
prese vigore nel medioevo, Giustiniano avrebbe ordinato di accecarlo
riducendolo ad un mendicante e lo avrebbe condannato a chiedere l'elemosina ai
viandanti presso lo stadio di Costantinopoli.
Sebbene la maggioranza degli storici moderni non dia credito alla leggenda, la
storia della cecità divenne un soggetto popolare per i pittori del XVIII secolo. Divenne uso comune
rievocare il nome di Belisario per ricordare (e condannare) l'ingratitudine
mostrata da alcuni sovrani nei confronti dei loro servitori.
[21] conoscete
[22] timore
[23] I nessi di relazione individuano la coerenza del testo cioè la
concordanza di significato fra le parti che lo compongono.
[24]
Il genere letterario è il luogo all'interno del quale un'opera
letteraria trova la sua identità, riconoscendosi in altre ad essa affini per
scelte tematiche, stilistiche e strutturali dunque genere letterario è ciascuna
delle suddivisioni che, in conformità a criteri contenutistici e formali,
distinguono tradizionalmente la produzione letteraria
1.
Genere saggistico riguarda l'arte di scrivere saggi critici che
possono avere due forme: il trattato ed il saggio; il trattato è opera di
considerevole estensione che si occupa metodicamente di una scienza, di una
disciplina, di una dottrina o di parti di esse; il saggio è uno scritto di
carattere critico su un particolare argomento storico, politico, economico,
sociologico ecc.
2.
Genere
narrativo è assai ampio e variegato e
riguarda tutto ciò che ha per oggetto la narrazione di avvenimenti reali,
quando sono senza fabula, diario, epistolografia, odeporia, o fantastici, quando
sono cum fabula, romanzo, racconto breve, novella, favola e fiaba.
3.
Genere epico riguarda ampia narrazione in versi, avente
come oggetto la celebrazione delle imprese di un guerriero o di un intero
popolo, colti in avvenimenti in parte leggendari, sull'esito dei quali non poca
importanza ha l'elemento soprannaturale. L'epica si articola in vari
sottogeneri:
- L'epica
mitologica che ha come oggetto la mitologia,
- L'epica
cavalleresca che ha come oggetto le gesta dei cavalieri medievali,
- L'epica
storica che ha come oggetto eventi storici particolarmente importanti per
la vita di un popolo
- L'epica
eroicomica parodia dei poemi epici, particolarmente in voga nel Seicento,
in cui un soggetto futile è cantato in tema solenne o un argomento eroico
in stile basso e plebeo
4. Genere lirico o lirica è la forma poetica che esprime nel modo più soggettivo e
immediato il sentimento del poeta, evidenziandone l'esperienza psicologica,
sentimentale, fantastica e autobiografica. La lirica si articola in vari sotto
generi:
·
la poesia civile
che esalta le virtù proprie del cittadino ed ha la finalità di sensibilizzare
su questioni politico-sociali,
·
la poesia
didascalica che ha come scopo l’ammaestramento scientifico morale e religioso
del lettore
·
l'innografia che
ha carattere religioso,
·
la poesia
comico-giocosa che si basa sulla parodia e lo scherzo e ha forma apparentemente
antiletteraria,
·
la poesia
satirica che ritrae con intenti critici e morali personaggi e ambienti della
realtà e dell'attualità, in toni che vanno dalla tranquilla ironia alla
denuncia, all'invettiva più acre.
5. Genere drammaturgico
riguarda qualsiasi componimento in prosa o in versi destinato alla
rappresentazione scenica avente per oggetto un fatto storico o di invenzione e
per protagonisti uomini di qualunque condizione sociale esso comprende vari
sottogeneri
·
La tragedia è una rappresentazione scenica
in prosa o in versi, diviso in atti e scene che abbia per oggetto un fatto
grandioso e terribile di personaggi illustri della storia o del mito, tale da
provocare negli spettatori una viva emozione, volta a purificarli da
determinate passioni (catarsi), e che si conclude con un evento luttuoso
(catastrofe).
·
La commedia è la rappresentazione scenica
in prosa o in versi, diviso in atti e scene, di un episodio della vita di ogni
giorno, con personaggi comuni e spesso di modeste condizioni, per lo più
divertente e briosa e nella maggior parte dei casi caratterizzata da un
conclusione felice; la commedia a sua volta si suddivide in:
-
commedia di
carattere che dipinge un particolare carattere o difetto umano
-
commedia
d'intreccio che si fonda su vicende complicate
-
commedia di
ambiente che subordina personaggi e intreccio all'ambientazione naturale e
umana della vicenda, puntando piuttosto sul colore
-
commedia musicale
spettacolo musicale in parte anche recitato, simile all'operetta, con soggetto
comico o sentimentale.
·
La sacra rappresentazione è un'opera drammatica di carattere sacro con
personaggi sacri.
·
Il dramma pastorale è una composizione drammatica ispirata all'ambiente dei
pastori e alla vita campestre. La commedia dell'arte il teatro degli attori
italiani nei secoli XVI-XVIII, caratterizzato da recitazione improvvisata su
canovacci e dalla presenza delle maschere.
·
Il melodramma è una composizione
drammatica, generalmente in versi, musicata e cantata.
·
Il dramma moderno nacque all'inizio dell'Ottocento come reazione
all'esaurirsi della necessità storica della tragedia e come esigenza di una
maggiore aderenza alla realtà, si e sviluppala in varie direzioni, in
corrispondenza delle esigenze ideologiche dell'autore e delle inclinazioni del
gusto, dando luogo, cosi, al dramma storico, al dramma a tesi, al dramma
borghese, al dramma psicologico.
[25] La costruzione è un'ordinata disposizione delle parole in una frase o
delle frasi in un periodo.
[26] Il verso è un'unità metrico-ritmica di una composizione poetica,
costituita da un certo numero di piedi o di metri nella poesia quantitativa
(quella greca e latina), da un certo numero di sillabe o di accenti nella
poesia accentuativa. Si dicono versi
sciolti, quelli non legati da rima e non raggruppati da schemi strofici
tradizionali. Si dicono versi liberi
quelli che non seguono nessuna norma metrica e ritmica tradizionale.
[27] La rima è l'identità dei suoni finali di due o più versi a partire
dalla vocale accentata in poi; se ne fa uso in poesia secondo schemi
prefissati: rima piana, sdrucciola, tronca, a seconda che la parola in rima sia
piana, sdrucciola o tronca.
La rima
alternata, quando versi rimano alternativamente; rima baciata, di due versi
consecutivi.
La rima
incrociata, quando è legata secondo lo schema ABBA.
La rima
incatenata, con struttura a catena, secondo lo schema ABA, BCB, CDC ecc..
La rima
interna, rimalmezzo l'identità.
[28] Il narratore esterno si ha quando la voce narrante non
partecipa alla storia che racconta, ma
è soltanto la voce narrante che riferisce la storia dall'esterno, parlando in
terza persona.
L'adozione del narratore esterno che
racconta in terza persona consente di presentare i fatti da più punti di vista
e in genere fa sì che la storia sia
proposta con un taglio oggettivo ed emotivamente più distaccato.
[29]
Il narratore interno si ha quando la voce narrante è uno dei
personaggi della vicenda e, quindi, narra in
prima persona (io narrante) i fatti ai
quali partecipa o ha partecipalo come protagonista,
come figura secondaria o anche in qualità di semplice testimone.
L'adozione del narratore interno che
registra i fatti in prima persona comporta necessariamente un punto di vista piuttosto limitato, perché tutta la storia è vista
solo attraverso gli occhi del narratore, ma in genere conferisce alla storia la tensione emotiva di una
vicenda vissuta come esperienza diretta e personale.
[30]
Il narratore onnisciente si ha quando rivela in modo
esplicito la sua funzione di narratore e di
regista del racconto, intervenendo a fornire spiegazioni, sollecitare
l'attenzione del lettore, esprimere giudizi e considerazioni.
[31] Il narratore occulto
si ha quando si pone l'obiettivo di una
narrazione oggettiva che sembra svolgersi
da sé e quindi si limita a raccontare i fatti senza intervenire con
spiegazioni o commenti.
[32] Il protagonista è il personaggio principale che è al
centro del discorso narrativo, anche quando
non compare direttamente in scena.
[33]
L’antagonista
è il personaggio che contrasta il protagonista sul piano delle azioni o che gli
si oppone anche soltanto sul piano
psicologico. Spesso è proprio lui a determinare la rottura dell’equilibrio che da inizio alla vicenda, ma può
anche entrare in scena quando ormai l'equilibrio iniziale è decisamente già
rotto. In ogni caso, con il suo comportamento è sempre il motore dello sviluppo dell'azione.
[34] L’oggetto è il personaggio che costituisce lo scopo
dell'impegno o del desiderio del protagonista,
contrastato in ciò dall'antagonista. La sua funzione, in un racconto o in un
romanzo, è fondamentale perché spesso
è, senza alcuna colpa, la causa scatenante della vicenda.
[35]
L’aiutante
è il personaggio che assiste, aiuta, protegge e favorisce il protagonista.
Gli aiutanti che dovrebbero aiutarlo ma che invece, per i motivi più diversi,
finiscono per danneggiarlo.
[36]
L'oppositore è il personaggio che
cerca di ostacolare il protagonista. Di solito l'oppositore è al servizio
dell'antagonista di cui quindi è l’aiutante, ma può anche agire di sua
iniziativa. Anche gli oppositori possono
essere più di uno e possono trasformarsi in falsi aiutanti, cambiando campo e
passando dalla parte del
protagonista.
[37]
Nel discorso diretto
il narratore riferisce le parole del personaggio direttamente, cedendo
a tutti gli effetti la parola al personaggio, collocandosi momentaneamente in
secondo piano.
[38] Nel discorso indiretto
il narratore non riferisce direttamente le parole del personaggio, ma le
riporta indirettamente, attraverso la mediazione della propria voce,
inserendole cioè nel tessuto narrativo come
frasi dipendenti rette da verbi dichiarativi.
[39] Il discorso diretto libero si
ha quando mancano i verbi dichiarativi e le battute si succedono una
dietro l'altra con grande immediatezza, senza essere introdotte in alcun modo.
Questo modo di presentare le parole dei personaggi è immediato e vivace, nella
sua semplicità e consente di ridurre al
minimo la distanza fra il narratore e la storia e di porre il lettore
direttamente di fronte ai personaggi, senza la mediazione del narratore.
[40] Nel discorso indiretto libero il
narratore riporta i discorsi del personaggio in modo indiretto, ma senza
introdurli con i consueti verbi dichiarativi e utilizzando uno stile coerente
con il modo di esprimersi del personaggio. Questa
tecnica espressiva, che fonde insieme le caratteristiche del discorso
diretto e del discorso indiretto, consente di mettere in primo piano le parole
del personaggio senza interrompere la
continuità narrativa e senza appesantire il testo con troppi nessi
subordinanti.
[41] Il soliloquio e il monologo interiore
sono la trascrizione diretta, cioè in prima persona, senza mediazioni da parte del narratore, delle parole che il
personaggio pensa tra sé e sé, ma secondo
alcuni studiosi, si differenziano l'uno dall'altro. Nel soliloquio, infatti, il
personaggio si rivolge idealmente a
un interlocutore preciso, lontano dalla scena, ma a lui ben presente; nel
monologo interiore, invece, questo non succede e il personaggio si limita a
esporre le proprie riflessioni.
[42]
Il flusso di coscienza è la registrazione diretta di una
serie confusa e quasi caotica di pensieri, emozioni e immagini che si
susseguono, spesso in modo del tutto illogico, nella mente o nell'inconscio di un personaggio.
[43] quando fornisce uno sfondo generale per la storia (ad
esempio, il romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga è ambientato ad Aci
Trezza, un piccolo paese della Sicilia, negli ultimi anni del XIX secolo). Più
specificamente, il termine “ambientazione” può anche indicare il momento e il
luogo in cui si svolge una singola scena di una lunga storia
[44] come oggettivazione del
carattere del personaggio, rappresentazione di una situazione sociale o morale,
come proiezione soggettiva dello stato d’animo del personaggio
[45] quando è filtrato attraverso la coscienza dei personaggi che
istituiscono una corrispondenza tra la propria condizione esistenziale e il
paesaggio in sintonia o in contrasto con il loro mondo interiore. (ad esempio
il palazzo di Atlante nell’Orlando furioso diventa il simbolo
della prigione delle passioni)
[46] Si risedette
[47] console
[48] La Cappadocia è una regione storica dell'Anatolia, un tempo ubicata
nell'area corrispondente all'attuale Turchia centrale. La regione che attualmente
prende il nome di Cappadocia è molto più piccola di quello che era l'antico
regno di Cappadocia di epoca ellenistica.
[49] Sì sta per così.
[50] capace
[51] voleva
[52] La dieresi rende il dittongo uno
iato
[53] Per questo
[54]Sostegno arcaismo
[55] nobile
[56] sia
[57] prevenire
[58] (lett.) attività, occupazione: Etimologia: dal lat. negotĭum ‘affare, occupazione, interesse’,
comp. di nĕc ‘non’ e otĭum ‘riposo dagli affari, tempo libero,
ozio’.
[59] conseguenza
[60] Sarebbe arcaismo
[61] sarebbe
[62] Zenone Isaurico (imp. 474-491 d.C.)
era un imperatore romano d’Oriente, di
nazionalità isaurica, governò alla morte di Leone I dal 474 per pochi mesi come
coreggente dell’imperatore Leone III, e morto questo, come unico imperatore
d’Oriente.
Perduto per breve tempo il trono
(475-476 d.C.) usurpato dal generale bizantino Basilisco, lo recuperò nello stesso
anno in cui in Italia Odoacre [vedi]
deponeva l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo e riconosceva come unico imperatore Zenone,
che riuniva così almeno formalmente le due parti dell’Impero.
Zenone governò con grande astuzia,
lasciando che Teodorico marciasse
sull’Italia contro Odoacre, pur di evitare la rivolta dei Goti e nella speranza
di ristabilire il nuovo regno barbarico sotto l’alta sovranità bizantina (488
d.C.).
Alla sua morte, la moglie Ariadne
impose come imperatore Anastasio I, vecchio domestico del
palazzo.
[63]Odoacre (476 - 493 d.C.) Acclamato rexgèntium dalle milizie barbare che non avevano
ottenuto il donativo di terre in Italia, Odoacre depose l’imperatore Romolo Augustolo (23 agosto 476),
dichiarando di voler governare l’Italia solo come suo patricius.
Si concluse in tal modo “il ciclo
vitale dell’Impero d’Occidente”, ormai caduto nel potere dei barbari.
Odoacre fu poi sconfitto da Teodorico e costretto a rifugiarsi a Ravenna dove rimase ucciso.
Odoacre fu poi sconfitto da Teodorico e costretto a rifugiarsi a Ravenna dove rimase ucciso.
[64]Romolo Augustolo (imp. 475-476
d.C.) Ultimo imperatore romano
d’Occidente, fu insediato sul trono dal padre Oreste nel 475 d.C. e deposto nel
476 da Odoacre che
lo relegò a Napoli.
Con la deposizione di Romolo
Augustolo si chiudevano tutte le dinastie degli imperatori d’Occidente:
Odoacre, infatti, preferì governare l’Italia, col titolo di patrizio, come rappresentante
dell’imperatore d’Oriente.
Il re barbaro poté così insediarsi
con le forme della legalità e giustificare la deposizione di Romolo Augustolo
come un ritorno al concetto dell’unità dell’impero.
Gli avvenimenti del 476 d.C.
segnarono l’inizio della dominazione barbarica sull’Italia (come già era
avvenuta la dominazione dei Visigoti in Spagna, dei Vandali in Africa, dei
Franchi in Gallia).
Tale data segna per tradizione la
fine del mondo romano e l’inizio dell’epoca medievale.
[65]Teodorico (493-526 d.C.) - Re degli Ostrogoti. Sconfitto e
ucciso Odoacre nel 493
d.C. Teodorico fu delegato dall’imperatore d’Oriente Zenone a reggere l’Italia con il titolo
di patrizio.
Teodorico governò in virtù di un
patto (temporaneo e personale) che lo legittimò e gli garantì una posizione di
primato rispetto agli altri re barbarici; ai Romani lasciò l’amministrazione
dello Stato, ai Goti la sua difesa. Allo scopo di creare un ordinamento unitario
ed unico, superando la concezione barbarica della “personalità del diritto”,
emanò un “Editto”, derivato dal diritto imperiale romano e compilato in latino,
valido sia per gli Ostrogoti che per i Romani.
L’EdictumTheodorìci fu emanato verso il 500 d.C., nel
corso del regno del sovrano ostrogoto Teodorico, dal præfectus prætorio, Magno
di Narbona.
Teodorico si considerava
formalmente governatore della prefettura italica in nome di Zenone, imperatore d’Oriente, ed è perciò che la compilazione
prende il nome di edictum e non quella di lex (riservato alle statuizioni
imperiali).
L’Edictum Theodorici, destinato sia
agli Ostrogoti sia alla popolazione romana, constava di 155 capitoli,
essenzialmente ricavati dai tre codici Gregoriano,
Ermogeniano e Teodosiano e dalle Sententiæ di Paolo. Nei confronti degli altri
sovrani barbarici, il re cercò di far valere la propria superiorità, come erede
dell’impero d’Occidente.
Teodorico fu la figura più
significativa tra i re barbari e la sua opera politica in Italia e in Europa fu
indubbiamente la più avveduta.
[66]che, chi
commette azioni crudeli e spietate: Etimologia: lat. impĭu(m),
comp. di ĭn- negativo e pĭus‘pio’.
[67]Amalasunta - Regina degli Ostrogoti (m. 535), figlia di Teodorico, reggente per
il figlio Atalarico dal 526 al 534, svolse un'accorta
politica, sviluppando buoni rapporti con l'imperatore d'Oriente; fu favorevole
all'elemento romano, mostrando in definitiva di seguire gli ideali paterni.
Osteggiata per questo dai
nazionalisti ostrogoti, ne subì il malcontento al punto d'esser costretta a
dividere il regno col cugino Teodato. Imprigionata da questi in un'isola del lago di Bolsena, fu poi
strangolata.
La sua morte diede l'avvio alla
guerra greco-gotica (535-553).
[68]Teodato - Re
degli Ostrogoti (m. 536). Figlio di una sorella di Teodorico, avido e
ambizioso, accettò di sposare la cugina Amalasunta rinunciando all'esercizio del potere
in cambio del titolo di re; poi la fece imprigionare e assassinare nel 535 per
esercitare pienamente le funzioni.
Il fatto fu di pretesto a Giustiniano per inviare Belisario alla riconquista dell'Italia. La sua
incertezza e la codardia davanti alle vittorie nemiche furono tali che gli
Ostrogoti lo dichiararono decaduto e lo sostituirono con l'anziano Vitige. Alla notizia
Teodato fuggì verso Ravenna, ma fu ucciso.
[69] combattivo, battagliero: Etimologia: ← dal
lat. bellicōsu(m), deriv.
di bellĭcus ‘guerresco’.
[70] Sta per possono
[71] Sta per toglieremmo
[72] Ricchezze
[73] pericolo
[74] Sarebbe
[75] C’è
[76]Mauri - Popolazione
dell'Africa occidentale stanziata in prevalenza nella Mauritania e in piccoli
gruppi fino al Senegal. I Mauri derivano da ceppi berberi islamizzati e in parte
(maggiormente a sud) meticciati con elementi sudanesi; in origine pastori
nomadi, sono in gran parte sedentarizzati e dediti all'agricoltura. La loro
società, a struttura patriarcale, è suddivisa in numerose caste: gli
agricoltori, i mercanti e i sacerdoti (che collettivamente si designano con il
nome di beidān, i Bianchi), di più pura origine berbera, detengono il potere socio-economico.
[77]Numidia - Antico
nome della regione dell'Africa nordoccidentale, corrispondente all'Algeria orientale. Abitata dai Numidi, popoli berberi, di
origine nomade. Nel 46 a. C., la Numidia fu eretta a provincia romana col nome di Africa Nova. In età
imperiale la Numidia conobbe grande prosperità nell'agricoltura con i suoi
vigneti, allevamenti di cavalli e greggi; il processo di urbanizzazione fu
graduale e intenso con le città di Caicul, Thamngadi, Theveste, con un fiorente centro di studi a Cirta. I
contrasti di natura religiosa scoppiativi tra manichei e donatistifavorirono
l'avvento dei Vandali di Genserico con conseguente declino, economico e
urbano della Numidia e con lo smembramento dell'unità regionale, a Sud il limes era
messo in difficoltà da infiltrazioni di berberi.
Dopo la morte di Giustiniano, che l'aveva
riconquistata e riorganizzata, la Numidia entrò in un nuovo periodo di
disordine finché, nei sec. VII-VIII, fu travolta, come tutta l'Africa
settentrionale, dagli Arabi.
[79] sarebbe
[80] fiero
[81] All’apparenza
[82] I nessi di relazione individuano la coerenza del testo cioè la
concordanza di significato fra le parti che lo compongono.
[83] La costruzione è un'ordinata disposizione delle parole in una frase o
delle frasi in un periodo.
[84] Il protagonista è il personaggio principale che è al
centro del discorso narrativo, anche quando
non compare direttamente in scena.
[85]
L’antagonista
è il personaggio che contrasta il protagonista sul piano delle azioni o che gli
si oppone anche soltanto sul piano
psicologico. Spesso è proprio lui a determinare la rottura dell’equilibrio che da inizio alla vicenda, ma può
anche entrare in scena quando ormai l'equilibrio iniziale è decisamente già
rotto. In ogni caso, con il suo comportamento è sempre il motore dello sviluppo dell'azione.
[86] L’oggetto è il personaggio che costituisce lo scopo
dell'impegno o del desiderio del protagonista,
contrastato in ciò dall'antagonista. La sua funzione, in un racconto o in un
romanzo, è fondamentale perché spesso
è, senza alcuna colpa, la causa scatenante della vicenda.
[87]
L’aiutante
è il personaggio che assiste, aiuta, protegge e favorisce il protagonista.
Gli aiutanti che dovrebbero aiutarlo ma che invece, per i motivi più diversi,
finiscono per danneggiarlo.
[88]
L'oppositore è il personaggio che
cerca di ostacolare il protagonista. Di solito l'oppositore è al servizio
dell'antagonista di cui quindi è l’aiutante, ma può anche agire di sua
iniziativa. Anche gli oppositori possono
essere più di uno e possono trasformarsi in falsi aiutanti, cambiando campo e
passando dalla parte del
protagonista.
[89]
Nel discorso diretto
il narratore riferisce le parole del personaggio direttamente, cedendo
a tutti gli effetti la parola al personaggio, collocandosi momentaneamente in
secondo piano.
[90] Nel discorso indiretto
il narratore non riferisce direttamente le parole del personaggio, ma le
riporta indirettamente, attraverso la mediazione della propria voce,
inserendole cioè nel tessuto narrativo come
frasi dipendenti rette da verbi dichiarativi.
[91] Il discorso diretto libero si
ha quando mancano i verbi dichiarativi e le battute si succedono una
dietro l'altra con grande immediatezza, senza essere introdotte in alcun modo.
Questo modo di presentare le parole dei personaggi è immediato e vivace, nella
sua semplicità e consente di ridurre al
minimo la distanza fra il narratore e la storia e di porre il lettore
direttamente di fronte ai personaggi, senza la mediazione del narratore.
[92] Nel discorso indiretto libero il
narratore riporta i discorsi del personaggio in modo indiretto, ma senza
introdurli con i consueti verbi dichiarativi e utilizzando uno stile coerente
con il modo di esprimersi del personaggio.
Questa tecnica espressiva, che fonde insieme le caratteristiche del discorso
diretto e del discorso indiretto, consente di mettere in primo piano le parole
del personaggio senza interrompere la
continuità narrativa e senza appesantire il testo con troppi nessi
subordinanti.
[93] Il soliloquio e il monologo interiore
sono la trascrizione diretta, cioè in prima persona, senza mediazioni da parte del narratore, delle parole che il
personaggio pensa tra sé e sé, ma secondo
alcuni studiosi, si differenziano l'uno dall'altro. Nel soliloquio, infatti, il
personaggio si rivolge idealmente a
un interlocutore preciso, lontano dalla scena, ma a lui ben presente; nel
monologo interiore, invece, questo non succede e il personaggio si limita a
esporre le proprie riflessioni.
[94]
Il flusso di coscienza è la registrazione diretta di una
serie confusa e quasi caotica di pensieri, emozioni e immagini che si
susseguono, spesso in modo del tutto illogico, nella mente o nell'inconscio di un personaggio.
[95]
Enunciative sono le più frequenti
fra le proposizioni principali; esse riferiscono, enunciano e raccontano un
episodio sia in forma negativa sia in forma positiva.
In genere usano l’indicativo.
Es.:
Questo alunno né studia, né sta attento alle lezioni.
Con
i verbi potere, dovere, usano il condizionale.
Es.: Avresti dovuto accettare;
[96]
interrogative dirette sono
proposizioni che contengono in sé una domanda e si concludono con il punto
interrogativo.
Es.: Chi ti ha parlato?;
sono
proposizioni che contengono in sé una domanda e si concludono con il punto
interrogativo.
Es.: Chi ti ha parlato?;
[97]
esclamative sono proposizioni che
esprimono un sentimento di meraviglia, dolore, gioia, ecc. Usano l’indicativo o
il modo infinito e si concludono con il punto esclamativo.
Es.: Che gioia parlarti!;
[98]
imperative sono proposizioni che esprimono un ordine un comando, una
proibizione. Usano l’imperativo.
Es.:
Va’ via di qua;
[99]
dubitative sono proposizioni che
esprimono dubbio, incertezza. Usano indicativo e il condizionale.
Es.:
Che cosa dovevo fare? A chi dovrei parlare?;
[100]
esortative – sono proposizioni che
esprimono una preghiera, un invito. Usano il modo congiuntivo.
Es.:
Su, si faccia avanti. Andiamo dal professore e chiediamogli una spiegazione;
[101]
Concessive - sono proposizioni che
esprimono una concessione, un permesso; esse usano il congiuntivo seguito in
genere da pure, finché.
Es.: Ammettiamo pure che lo abbia fatto;
[102]
potenziali - sono proposizioni che
esprimono un fatto come possibile; esse usano il condizionale e l’indicativo.
Es.: Avrei dovuto ascoltarlo.
Potrei andare da lui;
[103]
desiderative o ottative - sono
proposizioni che servono ad esprimere un desiderio o un augurio. Queste
proposizioni sono spesso introdotte da espressioni come: Voglia il cielo, che.
Esse usano il congiuntivo o il condizionale.
Es.: Voglia il cielo che tu possa venire.
Oh, come vorrei che tu mi fossi vicino!
[104] fossero
[105] Sta per viltà
[106] avrebbe
[107] Occidente ossia verso l’Italia
[109]Cosroe
I - Regnò sull'Iran dal 531 al 579. Si oppose a Mazdak e al suo movimento politico-religioso.
Intorno al 558 Cosroe, alleatosi con il khanato turco
occidentale, distrusse il regno degli Eftaliti e
ristabilì la frontiera orientale dell'Iran sul fiume Oxus. A occidente aveva
stipulato nel 532 una pace con Bisanzio; ben presto però le ostilità ripresero
a causa di una disputa tra gli Stati di Gassān (vassallo
di Bisanzio) e Hīra (vassallo dell'Iran); dopo la distruzione di Antiochia nel
540 e varie nuove conquiste, fra cui quella dello Yemen, nel 562 stipulò una
nuova pace coi Bizantini.
Le frontiere vennero assicurate da
un sistema di limes nel
deserto siriano, nel Caucaso e a est del Mar Caspio.
[110] Alle spalle
[111] Dopo le spalle: alle spalle
[112] potrebbero
[113] sia
[114] Potenza persiana
[115] avrete
[116] Quieto, tranquillo
[117] Non si ruini: non si distrugga
[118] Conduca.
[119] I nessi di relazione individuano la coerenza del testo cioè la
concordanza di significato fra le parti che lo compongono.
[120] (lett.) eseguire; portare a compimento, finire. Etimologia: dal fr. fournir, che deriva dal
francone *frumjan‘eseguire’.
[121] Fatica: francesismo
[122] Si preparava
[123] sostenerlo
[124] Spagna
[125] Astuto latinismo
[126] Narsete - Generale
bizantino (478 - 568). Di origine armena, acquistò una posizione preminente
alla corte di Giustiniano grazie
al favore di Teodora e
concorse con Belisario alla
repressione della cosiddetta rivolta di Nika nel 532, cioè alla salvezza
dell'imperatore.
Nella guerra contro gli Ostrogoti per la riconquista dell'Italia
(535-553) operò con Belisario, ma in discordia con lui; quando poi Belisario fu
richiamato a Costantinopoli nel 549, gli succedette come unico comandante
supremo delle forze imperiali in Italia e riportò le vittorie decisive di
Tagina sul re Totila
nel 552 e dei monti Lattari sul re Teia nel 553.
Respinse in seguito le scorrerie
franco-alemanne di Leutari insieme con il fratello Butilino scesi in Italia con un numeroso
esercito composto da Alemanni, Franchi e Burgundi per portare aiuto ai Goti in lotta con
i Bizantini. Separatosi dal fratello, attraversò la penisola, ma, costretto
alla ritirata, cadde al Volturno nel 554.
Narsete continuò fino al 567 le
operazioni contro i resti degli Ostrogoti sparsi per l'Italia.
Avviò col titolo di patricius il riordinamento dell'Italia tornata
provincia dell'impero applicando la PrammaticaSanzione giustinianea,
su richiesta del papa Vigilio, allo scopo di estendere all'Italia, ricongiunta
all'Impero dopo la vittoria sugli Ostrogoti, la legislazione imperiale. Essa annulla le leggi
dei re ostrogoti succeduti a Teodato e
restaura le posizioni dell'aristocrazia fondiaria, revocando in particolare i
provvedimenti di Totila a
beneficio delle masse rurali, detta norme tributarie e relative alle monete, ai
pesi e alle misure, regola rapporti di natura privata e pubblica turbati
durante la guerra, attribuisce ampi poteri amministrativi ai vescovi (che
tuttavia li esercitavano già di fatto). Nonostante le prescrizioni della
Prammatica sanzione, la legislazione di Giustiniano e quella dei suoi
successori ebbero in Italia un'applicazione assai limitata.
Esonerato dalla carica da Giustino II, Narsete si
ritirò a Roma, dove morì poco dopo.
[127]Araspo: padre di Narsete
[128] che esprime chiaramente un concetto, un sentimento,
un’intenzione, un dato di fatto. Etimologia: dal lat. eloquĕnte(m), part. pres. di elŏqui; cfr. elocuzione.
[129] orientata
[130] sarebbero
[131] lenti
[132] soddisfare
[133] Imperatore
[134] La Persarmenia fu originariamente una delle 15
province della Grande Armenia
situata sulla riva occidentale del Lago
di Urmia.
[135] Madre di Narsete
[136] In realtà Giustiniano era nipote
di Giustino, uno stimato generale che assurse alla carica imperiale e lo adottò
[137] Acquisì grande influenza alla corte di Giustiniano I grazie al favore di Teodora. In breve tempo scalò la
gerarchia dei servitori della camera da letto imperiale, raggiungendo la posizione
di tesoriere e primo ufficiale (sacellarius e comes
sacri cubiculi) nel 530-531.
[138] Meco = con me dal latino mecum
[139] date
[140] Esperia: ntichissimamente la
parte meridionale della nostra Penisola era detta dai
greci Esperia (= terra del tramonto), come per analogia l’attuale
Turchia Anatolia (= terra del levante). L’Esperia era detta
anche Ausonia (= terra di Ausòne o Ausonio, figlio di Ulisse e
Calipso, e degli Aurunci che i greci poi chiamarono Ausòni)
ed Enotria (= terra del vino).
[141] Roma
[142] possono
[143] [dal lat. expedire, der. di pespedis col pref. ex-; propr. «liberare i
piedi»] (io espedisco, tu
espedisci, ecc.), ant. – Rendere spedito, facilitare, sbarazzare,
liberare:
[144] part passato del verbo involgere Ricoperto, avvolto:fig. Implicato, coinvolto
[145] Sta per gire v. intr. [lat. ire: v. ire], ant. Il
verbo gire è difettivo, adoperato in poche forme, di cui talune rimaste
nell’uso di qualche regione (indic. imperf. giva, givano; pass. rem. gì, gimmo; fut. girò, ecc.; cong. imperf. gissi, ecc.; part. pass. gito). Lo stesso che ire, andare.
[146] vicino
[147] Giogo: Trave in legno, sagomata per adattarsi al collo di uno o due buoi, che
costituisce l'attacco del carro, dell'aratro ecc. In senso figurato il giogo è ciò che opprime, asservisce, il
suo sinonimo è oppressione.
[148] sarebbe
[149] Qui Trìssino vuol mettere in
evidenza gli splendidi rapporti esistenti fra Visigoti e i romani della
provincia Hispanica. Con il sec. VI, e
soprattutto dopo la morte dell'ostrogoto Teodorico, il loro regno divenne quasi
interamente spagnolo, con capitale a Toledo. I Visigoti rispettarono le
strutture politico-sociali dell'antica Hispania romana e la Chiesa cattolica.
Nelle frequenti lotte fra la Chiesa ariana e la cattolica, lo Stato si mostrava
però favorevole alla prima, fino alla conversione di re Recaredo, dopo la quale
Stato e Chiesa collaborarono alla formazione di uno Stato sui generis nel quale il re presiedeva ai Concili
toledani e le leggi ecclesiastiche avevano spesso validità civile.
[150] porremo
[151] Vettovaglie, Provviste di viveri indispensabili al sostentamento di
un esercito o di una comunità di persone.
[152] Ripararsi, rifugiarsi
[153] Ristoro
[154] Benché
[155] Dovrebbe
[156] notizie
[157] possono
[159] potrebbe
[160] portare
[161]almo agg. [dal lat. almus «che ristora», dal tema di alĕre «nutrire»], letter. – Che alimenta,
che dà e mantiene la vita. Per estens., grande, nobile, magnifico.
[162] Dichiarati
[163] Il verbo è intransitivo ma è
usato transitivamente
[164] carico
[165] L’immagine dell’Italia come
“giardin de lo imperio” è una citazione dantesca del VI canto del Purgatorio.
[166] Dei cieli quindi di Dio
[167] I nessi di relazione individuano la coerenza del testo cioè la
concordanza di significato fra le parti che lo compongono.
[168] cambiare
[170] I nessi di relazione individuano la coerenza del testo cioè la
concordanza di significato fra le parti che lo compongono.
[171] Il problema,cioè qualcosa su cui premiere una
decisione, sta alla base di ogni testo argomentativo
[172] La tesi è l'opinione che l'autore del testo esprime sul
problema m questione la propria tesi, cioè la propria opinione.
[173]
L’argomentazione
è una prova portata dall'autore del testo,
allo scopo di convincere i suoi interlocutori
a condividere la sua tesi.
[174] L’antitesi per
prevenire le possibili obiezioni dei suoi interlocutori, l'autore espone lui
stesso la tesi da essi sostenuta e contraria alla sua, cioè l'antitesi; Tu
sostieni che un cane farebbe la guardia alla casa e sarebbe più affettuoso di un micio, ma io non sono
d'accordo.
[175] Le conclusioni sono la somma
della sua argomentazione in una conclusione in cui ribadisce la sua tesi
riguardo al problema.
[176] Dracone - Originariamente chiamato Draconem il Sarno è un fiume
della Campania che, a dispetto della sua brevità (appena 24 km), può contare su
un bacino idrografico notevolmente esteso (c. 500 km²). Un tempo il fiume era
navigabile e pescoso, nonché citato da poeti e scrittori nelle loro opere.
[177] Nocera – Le prime testimonianze relative ad una frequentazione
della città risalgono al periodo noto come Bronzo Antico (2000-1800 a.C.
circa).
La nascita di Nuvkrinum
Alafaternum, la "nuova città", il nucleo della futura
Nuceria Alfaterna), è datata intorno al VI secolo a.C.
Durante gli scavi del teatro
ellenistico-romano è emersa un'estesa necropoli. Il reperto più interessante è rappresentato
da un'oinochoe (una brocca) in bucchero che presenta un'iscrizione, che, da
destra verso sinistra, reca la scritta, traslitterata, Bruties esum
(letteralmente: Sono di Bruto). L'iscrizione di Nocera potrebbe perdersi tra le
centinaia di altre iscrizioni etrusche se non fosse per una particolare
lettera, a forma di alberello, che non si è ancora riscontrata altrove: i
linguisti parlano di un alfabeto nucerino.
La ricchezza della città, oltre
che dalla fertilità del suolo, arriva dalla peculiarità del suo sottosuolo, da
cui si estrae il tufo grigio. Ottimo materiale da costruzione. Un'ulteriore
testimonianza del gran lavoro che doveva esserci nelle tufare della città, ci
viene dalla testimonianza di Senofonte Efesio (scrittore greco vissuto, stando
al lessico Suda, tra il II e il III secolo d.C.), il quale nel suo romanzo,
dopo varie peripezie, fa giungere il suo protagonista a Nuceria, in Campania, a
lavorare nelle cave di pietra.
Agricoltura e commercio resero,
così, molto ricca la città, che durante il V-VI secolo fu a capo della
Confederazione Sannitica Meridionale, comandando su città quali Pompei, Stabiae
e Sorrento.
Durante le guerre sannitiche la
città fu ostile ai romani, ma sconfitta non fu rasa al suolo. I nucerini
rimasero d'ora in poi, sempre fedeli a Roma.
Annibale rase al suolo la città.
Alla fine della seconda guerra punica i romani, mentre i superstiti dei
nucerini erano ospitati nella vicina Avella, ricostruirono la città più grande
e più bella di prima.
Divenuta municipium Nuceria
Alfaterna fu iscritta alla tribù Menenia. In epoca triumvirale (42 a.C.)
l'appellativo Alfaterna fu sostituito da Costantia, dando, così, alla città il
nome di Nuceria Costantia. Cittadini illustri furono Publio Sittio, esule
nucerino in Africa, che dopo le guerre civili tra Cesare e Pompeo, si vide
assegnato metà del regno di Mauretania, dove fondò alcune colonie ispirandosi
alla sua patria.
Di origini nucerine, se non
proprio nato nella città, è l'Imperatore Aulo Vitellio Germanico. Vitellio,
cresciuto a Capri, sotto Tiberio, fu il secondo a salire sul trono durante
l'anno detto dei quattro imperatori.
Nuceria fu interessata certamente
dal catastrofico terremoto testimoniato a Pompei nel 62 d.C. Tuttavia
l'eruzione del 79 dovette provocare in città più che altro panico, e non furono
i suoi effetti immediati a dare dei problemi, ma i suoi effetti a lungo
termine, come l'impoverimento della fertilità proverbiale dei suoi suoli e la
scomparsa del vicino porto.
La religione cristiana dovette
attecchire presto in città, che conta anche due martiri: i santi Felice e
Costanza.
Secondo alcuni la prima comunità
cristiana nucerina risalirebbe allo sbarco di Paolo a Pozzuoli, quando Prisco,
venerato poi come Santo, si sarebbe diretto verso sud per diffondere l'evangelo,
la "buona novella". Secondo alcuni nella sua casa si sarebbe tenuta
la famosa ultima cena di Cristo. Tra i miracoli attribuiti al santo, quello di
aver trasportato a Nocera, da Roma una fontana donatagli dal papa (fontana che
si conserva ancora nel piazzale della Cattedrale).
Che Prisco sia stato il primo
vescovo della città è certo, ma è più probabile che si sia trattato di un
pastore del III secolo (ricordato da San Paolino da Nola), epoca alla quale è
più plausibile che risalga la diocesi. Le reliquie del Santo sono conservate
nella Basilica Cattedrale a lui dedicata, nel quartiere Vescovado di Nocera
Inferiore.
La comunità cristiana nucerina
dovette essere subito forte come testimonia una curiosa scoperta del Bonucci a
Portaromana: degli idoli pagani cautamente nascosti sotto il pavimento di un
edificio di età imperiale. Erano gli adepti dell'antica religione ad aver paura
dei cristiani.
Nel 498 viene esiliato a Nocera
l'antipapa Laurenzio. Eletto papa insieme a Simmaco, perde la carica dopo un
clima da guerra civile. A Nocera ricopre, quindi, la carica di Vescovo.
Dopo la caduta dell'impero romano
d'occidente, la città finì in mano bizantina. Dovette trattarsi di un periodo
di lenta ripresa per la città, come testimonia la costruzione, nel VI secolo
d.C., dello splendido battistero paleocristiano di Nocera Superiore.
Nella campagna nocerina fu
sconfitto l'esercito gotico e morì il loro re Teia nella Battaglia dei Monti
Lattari durante la Guerra gotica.
[178] Teia - Teia fu l'ultimo re degli Ostrogoti in Italia dal
552 al 553.
Sembra che fosse un ufficiale che
servì sotto Totila e che venisse poi scelto come suo successore dopo che Totila
era stato ucciso nella battaglia di Tagina (conosciuta anche come battaglia di
Busta Gallorum).
Si recò in Italia meridionale,
dove ottenne il supporto di importanti personaggi quali Scipuar, Gundulf
(Indulf), Gibal e Ragnaris con l'intento di chiudere la partita con i bizantini
del generale Narsete.
Si accampò sulle rive del Sarno.
I due eserciti si scontrarono ai Monti Lattari, a sud di Napoli, presso Angri o
Sant'Antonio Abate, nell'ottobre del 552 o agli inizi del 553. Lo scontro
definitivo avvenne nella valle del Sarno, a qualche chilometro da Pompei.
L'armata ostrogota fu sconfitta di nuovo e Teia fu ucciso nelle prime fasi
della battaglia, colpito da un giavellotto ben mirato, mentre il fratello
Aligerno si arrese al nemico. Anche Scipuar e Gibal furono probabilmente
uccisi. Gundulf e Ragnaris, invece, riuscirono a scappare, ma il secondo dei
due fu ferito a morte da un sicario di Narsete.
Procopio narra che quando il
cadavere di Teia venne riconosciuto fu decapitato e la sua testa innalzata su
un'asta affinché i due eserciti la vedessero.
In questo modo i Bizantini
sarebbero stati incitati a combattere, mentre gli Ostrogoti, alla vista del
proprio sovrano morto, si sarebbero convinti ad arrendersi.
Tuttavia ciò non accadde e la
battaglia continuò a protrarsi fino al tramonto del giorno dopo quando i pochi
superstiti decisero di negoziare.
Firmarono un trattato di pace con
il quale accettavano di abbandonare l'Italia e si impegnavano a non fare mai
più guerra all'Impero.
La disperata battaglia sotto il
Vesuvio segnò la loro sconfitta definitiva.
L'ambizione di Giustiniano di
riappropriarsi dell'Italia si era realizzata.
Con la sconfitta di Nocera ebbe
fine la resistenza organica ostrogota, sebbene l'ultimo nobile ostrogoto
attestato sia Widin, che guidò una ribellione nell'Italia settentrionale nel
corso degli anni cinquanta del VI secolo e fu catturato nel 561 o 562.
Da questo momento gli ostrogoti
scomparvero dalla storia.
[179] Narsete è stato un generale
bizantino. Eunuco di origine armena, è meglio noto per aver portato a termine
la conquista dell'Italia avviata da Belisario sotto Giustiniano, sconfiggendo
gli ultimi re goti Totila e Teia e i Franchi.
Dopo la conquista dell'Italia
(553), Narsete la governò per conto dell'Imperatore, ma le proteste dei Romani
persuasero l'Augusto Giustino II, successore di Giustiniano, a rimuoverlo dal
governo dell'Italia, sostituendolo con Longino.
La notizia, fornitaci dalle fonti
primarie, secondo cui Narsete avrebbe per ripicca invitato i Longobardi in
Italia è considerata dalla storiografia moderna inattendibile. Morì a Roma nel
574.
[180] Giovanni (floruit anni 530-550)
fu un comandante militare dell'impero romano d'Oriente sotto l'imperatore
Giustiniano I (527-565). Combatté nella guerra gotica per la conquista
dell'Italia, sotto i generali Belisario e Narsete.
Giovanni era nipote di Vitaliano,
console per il 520 e magister militum praesentalis dell'imperatore Giustino I,
che fu assassinato, probabilmente per istigazione di Giustiniano, il potente
nipote e in seguito successore di Giustino.
Nel 537 Giovanni salpò da
Costantinopoli per l'Italia con 8.000 cavalieri traci, per rinforzare
l'esercito di Belisario, impegnato nella guerra gotica contro gli Ostrogoti di
re Vitige. Sbarcato a Taranto, raggiunse Roma, assediata dai Goti, nel dicembre
537 portando con sé uomini e rifornimenti essenziali per continuare a resistere
a lungo all'assedio.
Nell'inverno 537/538, per
spingere Vitige a levare l'assedio a Roma, Belisario ordinò a Giovanni,
acquartierato per l'inverno a Picenum, di attaccare il territorio gotico.
Giovanni raggiunse rapidamente
Rimini, ad un solo giorno di marcia dalla capitale gotica, Ravenna, obbligando
Vitige ad abbandonare Roma per tornare a difendere la propria capitale.
Giovanni avrebbe dovuto lasciare
Rimini e dirigersi verso Roma prima dell'arrivo dell'esercito gotico, ma rimase
in città. I Goti, provenienti da Roma, lo misero sotto assedio dentro Rimini.
Belisario non si mosse in aiuto a Giovanni. Fu l'arrivo dell'eunuco Narsete
praepositus sacri cubiculi di Giustiniano e amico personale di Giovanni a
salvarlo dall'assedio (metà 538).
Quando la rivalità tra Narsete e
Belisario e il loro disaccordo su come condurre la guerra generò divisioni
nell'esercito, Giovanni si schierò dalla parte di Narsete, seguendolo in
Emilia, che il generale eunuco intendeva conquistare pur senza l'autorizzazione
di Belisario. Giovanni contribuì alla conquista dell'Emilia insieme ad altri
generali sostenitori dell'eunuco di corte, ma le divisioni dell'esercito che si
erano formate a causa della discordia tra Belisario e Narsete contribuirono
alla caduta di Milano da parte gota, persuadendo Giustiniano a richiamare
Narsete ridando il comando unitario a Belisario (539).
Dopo la conquista di Ravenna e il
richiamo di Belisario a Costantinopoli (540), Giovanni rimase in Italia. A
causa di un comando unitario dopo il richiamo di Belisario, i Goti poterono
riprendersi sotto la guida del loro nuovo re Totila. Quando quest'ultimo arrivò
ad assediare Firenze, il generale a capo della guarnigione di Firenze,
Giustino, chiese aiuto ai comandanti imperiali a Ravenna, che intervennero in
forze costringendo Totila a levare l'assedio ripiegando in direzione di
Mugello, dove mise in rotta l'esercito imperiale a causa della falsa notizia
dell'uccisione da parte di una delle sue guardie del corpo del generale
Giovanni, che mise in panico l'esercito bizantino. Giovanni scappò a Roma, dove
si rifugiò e rimase per i successivi due anni, fino al 544, quando fu
sostituito da Bessa per ordine di Belisario, nel frattempo tornato in Italia.
Durante la permanenza a Roma, Giovanni espulse i preti ariani, temendo che
potessero cospirare qualcosa a vantaggio dei Goti.
Nel 545 fu inviato da Belisario a
Costantinopoli per chiedere rinforzi, ma Giovanni si attardò a lungo, sposando
Giustina, la figlia di Germano. Secondo la Storia Segreta di Procopio, Teodora
non voleva che Giustina si sposasse e perciò Giovanni, maritandosi con lei, si
sarebbe attirato l'odio dell'imperatrice, al punto che Giovanni, temendo che
Teodora potesse ordinare ad Antonina (la moglie di Belisario) di ucciderlo,
quando tornò in Italia si guardò bene dal raggiungere Belisario e la sua
intrigante consorte a Roma. In compenso, Giovanni riuscì a recuperare per
l'Impero la Lucania e il Bruzio.
Nel 550, quando Narsete ottenne
il comando in capo delle truppe romane, Giovanni gli fu affiancato per
bilanciare la mancanza di esperienza dell'anziano eunuco. Narsete raggiunse
Ravenna nell'estate 552, e nel giro di un anno riuscì a piegare la resistenza
dell'ultimo re ostrogoto, Totila e a porre termine alla guerra (552).
[181] Lo stile è la particolare forma in cui si concretizza l'espressione
letteraria o artistica e che è propria di un autore, di un'epoca, di un genere.
In letteratura lo stile Lo stile può essere: limpido, contorto,
aulico, chiaro, coerente, lineare, incoerente, paradossale, confuso, banale,
piatto, ovvio, monotono.
Naturalmente
elemento fondamentale dello stile è il lessico, l'insieme di vocaboli
utilizzati per costruire i periodi. Il lessico può essere: ricco,
povero, gergale, settoriale, ripetitivo, poetico, tecnico, raffinato,
letterario, dialettale. E importante è il registro riferisce alla complessità
dei vocaboli utilizzati e alla loro eleganza. Un registro può
essere: alto, medio, basso (aulico, medio, scarno).
[182] Per sistema dei personaggi si intende la loro presentazione e
caratterizzazione, i loro ruoli, i rapporti che essi intrattengono tra loro e
con gli eventi della storia nell'ambito di un sistema ben definito. All'interno
di questo sistema dei personaggi ognuno di loro occupa un posto ben preciso, a seconda
del ruolo che ha e a seconda delle funzioni che svolge.
[183]
La costruzione di un personaggio
avviene attraverso la delineazione dei tratti caratterizzanti del suo aspetto e
della sua personalità. La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta
presentazione che può avvenire attraverso tre modalità fondamentali:
-
il personaggio presentato dal narratore
e perciò da un punto di vista sostanzialmente oggettivo;
-
il personaggio presentato da un altro
personaggio e perciò da un punto di vista soggettivo;
-
il personaggio presentato da se stesso.
Talvolta
il personaggio è presentato solo in modo
indiretto, attraverso le sue azioni, i
suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpreta come altrettanti
indizi del modo di essere del personaggio stesso.
La
costruzione del personaggio prosegue per lutto il corso della narrazione,
attraverso un processo di caratterizzazione attuato mediante un accumulo di
elementi che potranno emergere dalle vicende stesse, dal giudizio di altri
personaggi, da annotazioni più o meno ampie del narratore e così via.
Il
tipo di caratterizzazione più frequente è quella psicologica al cui interno
dobbiamo distinguere due differenti livelli: da un lato, l'analisi di
sentimenti, emozioni e stati d'animo che il personaggio vive in determinate
circostanze della vicenda. Oltre che sul piano psicologico, il personaggio può
essere caratterizzato anche dal punto di vista della classe sociale cui
appartiene (caratterizzazione sociale),
del tipo di cultura che possiede (caratterizzazione
culturale), dei valori e degli ideali
in cui crede (caratterizzazione ideologica). Per quanto riguarda
l'aspetto propriamente tecnico, la caratterizzazione, come la presentazione,
può essere:
-
diretta, quando il narratore interviene
a fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del
personaggio, magari commentando e valutando il suo operato.
-
indiretta, quando il narratore non
interviene affatto ma lascia il lettore libero di trarre inferenze dell’azione
del personaggio.
[184]
Il ruolo dei personaggi - I
personaggi di un racconto o di un romanzo non hanno tutti lo stesso ruolo;
alcuni sono più importanti, altri meno. Così, a seconda dell'importanza che
hanno, essi si distinguono in:
-
personaggi
principali che svolgono un ruolo centrale nella vicenda e sui
quali maggiormente si concentra
l'azione;
-
personaggi
secondari, che nella vicenda hanno un ruolo di secondo piano
e, quindi, un peso minore rispetto a quello dei personaggi principali intorno a
cui si muovono;
-
comparse,
che servono solo a caratterizzare un ambiente o una situazione e non incidono
minimamente nello sviluppo della vicenda narrata
I personaggi di un .racconto,
nell'ambito della vicenda, svolgono ciascuno una funzione particolare in
rapporto agli altri personaggi della vicenda
[185] Andrea
Granelli (Bergamo, 1960), autore con
Flavia Trupia, di «Retorica e business» è presidente di Kanso, società di
consulenza specializzata in innovazione e change management.
È stato in McKinsey e Ad di Tin.it e dei laboratori di ricerca del
Gruppo Telecom.
È in molti comitati scientifici e in commissioni di valutazione ed è
stato membro del Comitato di valutazione del CNR e direttore scientifico della
scuola internazionale di design Domus Academy. Ha partecipato alla creazione
della società consortile Coirich (Italian Research Infrastructure for Cultural
Heritage) ed è presidente dell’Associazione Archivio Storico Olivetti.
Recentemente ha curato per Confcommercio – insieme a Fabio Fulvio - la guida
“Il negozio nell’era di Internet”
[186] Lancio
[187]
Startup - Fase iniziale di
un'attività, di un'impresa, ecc. Nella new economy, azienda, di solito di piccole
dimensioni, che si lancia sul mercato sull'onda di un'idea innovativa, specialmente
nel campo delle nuove tecnologie.
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