«Non
giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati;
perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).
3. L’alba del
Cristianesimo - Le origini
del Cristianesimo si perdono nel Giudaismo:
i primi cristiani erano e volevano rimanere ebrei, e Gesù stesso non pensò mai,
probabilmente, di fondare una nuova religione.
Solo
con la predicazione ai pagani
si pose il problema di distinguere tra cristiani (che avevano accolto la
predicazione di Cristo) ed ebrei (che non l’avevano accolta). È, infatti, ad
Antiochia - una comunità di convertiti dal paganesimo - che la stessa parola cristiano
fa la sua comparsa.
a) L’ambiente del Nuovo Testamento - Ai tempi di Gesù, il Giudaismo era assai più variegato di quanto non si presenti
ai nostri giorni: esistevano, infatti, vari gruppi - diversi per costumi,
credenze e interessi politici - spesso in aperto contrasto
tra loro.
·
I sadducei
riconoscevano la Torah
(la Legge, ovvero i
primi cinque libri della Bibbia) accanto alle altre scritture bibliche. Dal
punto di vista dottrinale, non
credevano nella resurrezione
né in una vita ultraterrena.
·
I farisei,
al contrario riconoscevano, accanto alle Scritture, una tradizione rabbinica orale, fatta da
loro risalire a Mosè. Dal punto di vista dottrinale, credevano in una vita ultraterrena e nella resurrezione dei morti.
·
Gli zeloti
erano una setta di orientamento messianico-politico[1].
Praticavano una tenace resistenza
armata contro i romani che, all’epoca, occupavano la Palestina.
·
Una nota a parte meritano gli esseni, un altro gruppo settario di
tipo messianico, mai nominati nel Nuovo Testamento. Il gruppo fu fondato da un
sacerdote che, lasciata Gerusalemme, si era recato nel deserto, nei pressi del
Mar Morto.
Vi erano anche altri gruppi, come i samaritani (abitanti della Samarìa) che riconoscevano la sola Torah e non esercitavano il culto del Tempio di Gerusalemme, e i terapeuti, numericamente meno rilevanti.
T 1 Ama il prossimo tuo come te
stesso
Dal Vangelo di San Luca, capitolo
10
1.
Dopo questi fatti il Signore designò
altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo,
dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi
gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella
sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non
portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la
strada. In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa
casa!». Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di
lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e
bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa.
Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi
accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che
vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». Ma quando
entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e
dite: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri
piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è
vicino». Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma[2] sarà trattata meno duramente
di quella città. Guai a te, Corazìn[3], guai a te, Betsàida[4]! Perché, se a Tiro e a
Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da qualche
tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero
convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno
duramente di voi. E tu, Cafàrnao[5], sarai forse innalzata
fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi
disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha
mandato».
2.
I settantadue tornarono pieni di
gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni[6] si sottomettono a noi
nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una
folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e
scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non
rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto
perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
3.
In quella stessa ora Gesù esultò di
gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e
della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il
Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà
rivelarlo».
4.
E, rivolto ai discepoli, in disparte,
disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che
molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro,
e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
5.
Ed ecco, un dottore della Legge si
alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per
ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella
Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto
il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta
la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto
bene; fa' questo e vivrai».
6.
Ma quello, volendo giustificarsi,
disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da
Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via
tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per
caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò
oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò
oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide
e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite,
versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un
albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari
e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in
più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato
prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose:
«Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così».
Comprensione
del testo
1.
Riassumi a parole tue in sei brevi
sequenze il brano di San Luca
1.
A quale genere letterario[8] appartiene il testo? A
quale sottogenere letterario appartiene il testo?
Rispetto alla definizione tradizionale del genere letterario o del sottogenere,
che cosa mantiene e che cosa trasforma?
2.
Dal punto di
vista sintattico, prevalgono costruzioni[9]
difficili, elaboratissime, o espressioni
colloquiali? Una volta individuata la prevalenza, spiegane le motivazioni.
3.
Dal punto di
vista sintattico, prevalgono frasi lunghe o frasi brevi?
4. Sono frasi ricche di proposizioni subordinate o prevale là coordinazione: perché fa ricorso a
questa struttura sintattica?
5. Quando prevalgono le frasi più complesse, di ampio
respiro e quando prevalgono frasi più brevi?
b) Gesù e la sua predicazione - La
predicazione di Gesù (durata circa tre anni, intorno all’anno 30) fu di portata
rivoluzionaria. Il Vangelo (dal
greco euagghlion, lieto annuncio) sovvertiva drasticamente l’impostazione rigida
della morale del tempo, così come sovvertiva il legalismo farisaico, fatto di
una moltitudine di regole e leggi che arrivavano spesso a schiacciare
l’individuo.
Per questo motivo fu osteggiato e infine condannato
a morte e crocifisso. Gesù si proclamò come il Messia atteso dagli ebrei e
annunciato dai profeti nelle Scritture, predicò una morale fondata sulla totale
libertà dell’uomo, piuttosto che sulla rigida osservanza di regole e precetti.
T 2 Filippo e Pietro evangelizzano la
Samaria
Dagli Atti degli Apostoli
1.
Quelli però che si erano dispersi
andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola.
2.
Filippo, sceso in una città della
Samaria[10], predicava loro il
Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo,
sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti
indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e
storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
3.
Vi era da tempo in città un tale di
nome Simone, che praticava la magia e faceva strabiliare gli abitanti della
Samaria, spacciandosi per un grande personaggio. A lui prestavano
attenzione tutti, piccoli e grandi, e dicevano: «Costui è la potenza di Dio,
quella che è chiamata Grande». Gli prestavano attenzione, perché per molto
tempo li aveva stupiti con le sue magie. Ma quando cominciarono a credere
a Filippo, che annunciava il vangelo del regno di Dio e del nome di Gesù
Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. Anche lo stesso Simone
credette e, dopo che fu battezzato, stava sempre attaccato a Filippo. Rimaneva stupito
nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.
4.
Frattanto gli apostoli, a
Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono
a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché
ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno
di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore
Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
5.
Simone, vedendo che lo Spirito veniva
dato con l’imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del
denaro dicendo: «Date anche a me questo potere perché, a chiunque io
imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». Ma Pietro gli rispose:
«Possa andare in rovina, tu e il tuo denaro, perché hai pensato di comprare con
i soldi il dono di Dio! Non hai nulla da spartire né da guadagnare in
questa cosa, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Convèrtiti
dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata
l’intenzione del tuo cuore. Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso
nei lacci dell’iniquità».
6. Rispose allora Simone: «Pregate voi per me il Signore, perché non mi
accada nulla di ciò che avete detto». Essi poi, dopo aver testimoniato e
annunciato la parola del Signore, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano
molti villaggi dei Samaritani.
Comprensione
del testo
1.
Riassumi a parole tue in sei brevi
sequenze il brano di San Luca.
2.
Individua gli
scarti culturali presenti nel testo, e per ciascuno scarto, indicane la
definizione, dopo una ricerca o mediante inferenza[11].
LABORATORIO
Analisi del testo
2.
I nomi primitivi sono pochi: elenca
quelli presenti nel brano, definiscine la radice e di qualcuno costruiscine per
quello che puoi la famiglia di parole
3.
Qual è il tema
centrale del componimento e com’è esposto?
Quali sono, se ci sono, i temi secondari e come sono esposti?
4. Quali sono i nessi di relazione fra il tema-centrale
e gli eventuali temi secondari?
5.
Analizza in
dettaglio, enunciandone però la trattazione, una situazione o un personaggio o qualche particolare immagine presente
nel brano, spiegandone la relazione con
il tema centrale del componimento.
Per approfondire
Procurati una carta fisica della Palestina e con l’aiuto di pastelli,
individua la Galilea, la Giudea e la Samaria e poi con una breve ricerca indica
quando si sono formati questi tre stati
c) La predicazione degli Apostoli - Dopo la
morte di Gesù, i primi discepoli cominciarono subito ad organizzarsi. La
predicazione fu dapprima diretta ai soli ebrei per poi aprirsi anche ai gentili,
i greci e gli altri non ebrei. Molti discepoli si recarono per questo fino ai
luoghi più sperduti del mondo allora conosciuto.
Una menzione a parte merita su questo punto
l’operato dell’Apostolo S. Paolo che
riuscì ad organizzare e dirigere un grande numero di comunità, da Roma all’Asia
minore.
Comunità di convertiti dal paganesimo nacquero così
ad Antiochia, a Corinto, a Roma e in altri grandi centri del tempo.
d) Il Concilio di Gerusalemme - Un
avvenimento particolarmente importante a cui Paolo partecipa è il Concilio
di Gerusalemme (o Apostolico).
Negli Atti degli
Apostoli, Luca racconta del conflitto che Paolo e Barnaba (dunque la chiesa di
Antiochia) dovettero affrontare con «alcuni, venuti dalla Giudea», i quali
«insegnavano ai fratelli questa dottrina: “Se non vi fate circoncidere secondo
l’uso di Mosè, non potete esser salvi”». In pratica, alcuni esponenti della
chiesa-madre di Gerusalemme, giunti ad Antiochia sostenevano che, per poter
diventare cristiani, bisognava prima diventare ebrei (farsi circoncidere e
sottomettersi alla Torah).
Per dirimere la questione, che aveva suscitato tensione e
disorientamento, era stato deciso che Barnaba e Paolo presentassero il problema
alla chiesa di Gerusalemme.
Il Concilio affrontò due problemi: la
circoncisione e le questioni relative ai cibi. Nel fare ciò il suo intento era
di porre l’accento sulla rottura del cristianesimo dal giudaismo senza che il
collegio apostolico e presbiterale di Gerusalemme imponesse delle condizioni ai
convertiti dal paganesimo. Luca ci presenta Pietro come colui la cui voce
prevale nella questione della circoncisione e Giacomo come la personalità
influente che decide la questione delle leggi relative ai cibi. Il contributo
di Paolo al Concilio è soltanto implicito ed indiretto. Nella narrazione
lucana, egli non accetta passivamente una decisione, ma gioca un ruolo attivo
nel formarla.
Riunita per la prima volta in assemblea (apostoli e
anziani) la comunità di Gerusalemme – per bocca di Giacomo, dopo l’intervento
di Pietro – aveva stabilito: «non si
debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si
ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dall’impudicizia, dagli
animali soffocati e dal sangue»; dunque non è necessario per i cristiani
che provengono dal paganesimo essere circoncisi e diventare ebrei per salvarsi,
ma è sufficiente il rispetto di alcune direttive di purità alimentare (come
quella di astenersi dal sangue) prescritte dalla legge di Mosè.
Questa decisione di fatto apre le porte della missione ai
non ebrei, “premiando” la linea della chiesa di Antiochia, che
diventerà sempre più – con Paolo protagonista – il centro propulsore della
missione alle genti.
Il Concilio Apostolico rappresenta la svolta
decisiva, quando cioè il collegio apostolico e presbiterale di Gerusalemme
riconosce ufficialmente l’evangelizzazione dei gentili: in tal modo la Chiesa
cristiana si svincola ufficialmente dalla sua matrice giudaica. Questo è
l’ultimo atto di Pietro o del collegio apostolico; adesso anche i Dodici si
separano.
La Chiesa madre di Gerusalemme continuerà ad
esercitare la sua influenza, ma sotto la direzione di Giacomo. Paolo dominerà
nella diaspora e nei suoi viaggi missionari presso i gentili. Fino a questo
momento Gerusalemme era stato il punto focale del Cristianesimo: le città o
regioni della Palestina o Siria che venivano evangelizzate venivano incorporate
nella madre Chiesa dai suoi inviati. Persino il I viaggio missionario di Paolo
fu come una preparazione agli atti del Concilio e allo sganciarsi della
Chiesa dalla sua matrice, dopo di che la Parola, fatta libera e matura,
prosegue la sua marcia fino all’estremità della terra.
Gli esegeti collocano questo summit di alte
autorità cristiane attorno al 49 d.C. Questo Concilio termina con
la scelta di inviare alcuni rappresentanti ad Antiochia per comunicare la
decisione presa che viene così sintetizzata in una lettera: “Abbiamo deciso, lo
Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste
cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli
animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da
queste cose. State bene».
e) I primi cristiani - Negli Atti degli
Apostoli si legge: «Intanto quelli
che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano,
erano arrivati fin nella Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non predicavano la
parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni fra loro, cittadini di Cipro e di
Cirene, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando
la buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e così un
gran numero credette e si convertì al Signore. La notizia giunse agli orecchi
della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia. Quando questi
giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e
pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore
risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore. Barnaba
poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo [Paolo] e trovatolo lo condusse
ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono
molta gente; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani». (Atti degli Apostoli,
XI, 19-26).
Queste
poche righe fotografano in modo
impressionante il momento in cui gli Apostoli cominciarono ad aprirsi anche ai
non ebrei, ai pagani.
La chiesa di Gerusalemme era la
chiesa-madre, di matrice giudeo-cristiana, il punto di partenza e di
riferimento da cui si è irradiata tutta la chiesa. Essa è infatti la
chiesa degli apostoli, ai quali è affidato un compito che ha una sfera di
influenza che va oltre i confini della stessa comunità, come testimoniano le
iniziative missionarie di Pietro e di Giovanni alle chiese di Samaria,
impiantate da Filippo; ma questa centralità della chiesa-madre di Gerusalemme è
attestata anche dalle altre chiese, sorte dentro o fuori il territorio
palestinese, che si riferiscono ad essa per una sorta di riconoscimento.
La comunità di Gerusalemme subito dopo la
risurrezione conobbe una crescita molto grande. A questo punto fu
necessario decentrare la direzione della comunità eleggendo un comitato di
sette “diaconi” per i
convertiti di lingua greca, con compiti direttivi e di servizio ai poveri. In
seguito alla persecuzione giudaica scatenata contro questo gruppo che
avverrà la diaspora dei primi giudeo-cristiani fuori della Giudea e della
Palestina e la nascita di nuovi centri, come Antiochia di Siria. Non è dunque possibile
parlare di una comunità primitiva al singolare: la stessa la
pluralità delle chiese ha favorito la rapida diffusione del Vangelo che, in
meno di 30-40 anni, era riuscito ad abbracciare tutto l’arco del
Mediterraneo.
Alla chiesa-madre di Gerusalemme, nella quale
emerge la figura di Giacomo fratello del Signore come suo leader locale,
è riconosciuto dalle altre chiese un ruolo di riferimento comune, di modo che
essa assume così, fin dagli inizi, una funzione unificante della chiesa
primitiva.
Non ci sono molte notizie sull’organizzazione
delle comunità extrapalestinesi, ad eccezione di Antiochia di Siria, in cui si
parla di profeti e di maestri tra cui
spiccano in cima la figura di Barnaba, gigante dell’evangelizzazione e, alla
fine, Saulo. A questo gruppo è affidata la responsabilità e l’animazione
della comunità locale per mezzo dell’esortazione e dell’insegnamento.
Qui Paolo si forma alla scuola di Barnaba e compie con lui
il primo viaggio missionario (anni 45-49), rivolto ancora quasi esclusivamente
ai giudei della diaspora, prima della svolta del “concilio di
Gerusalemme”.
A differenza della comunità di Gerusalemme, ad Antiochia
(come pure a Efeso o a Corinto) non c’è comunione dei beni e si va sviluppando
un modo diverso di concepire la missione. La tendenza di questa chiesa, fin
dalla sua fondazione ad opera degli “ellenisti”,
era quella di parlare di Gesù non solo ai “giudei” ma
anche ai “greci”; ciò, però,
aveva causato la reazione di Gerusalemme, che concepiva la missione come un
fatto interno, intra-giudaico; ma la reazione di Barnaba, nel constatare come
lo Spirito conducesse molti pagani alla fede, da uomo «pieno di
Spirito Santo» qual era, era stata di lode e di esortazione a
continuare l’opera. Una linea di tendenza che poi sarà confermata dalla
svolta del cosiddetto “concilio di Gerusalemme”.
T3 Il martirio di Stefano
Da Gli atti
degli apostoli di Luca
1.
Disse allora il sommo sacerdote: «Le
cose stanno proprio così?». Stefano rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il
Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era in Mesopotamia,
prima che si stabilisse in Carran[14], e gli
disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e vieni nella terra che io
ti indicherò. Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran;
di là, dopo la morte di suo padre, Dio lo fece emigrare in questa terra dove
voi ora abitate. In essa non gli diede alcuna proprietà, neppure quanto
l’orma di un piede e, sebbene non avesse figli, promise di darla in
possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui. Poi Dio parlò
così: La sua discendenza vivrà da straniera in terra altrui, tenuta in
schiavitù e oppressione per quattrocento anni. Ma la nazione di cui
saranno schiavi, io la giudicherò – disse Dio – e dopo ciò
usciranno e mi adoreranno in questo luogo. E gli diede l’alleanza
della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l’ottavo
giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. Ma i
patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero perché fosse condotto in Egitto.
Dio però era con lui e lo liberò da tutte le sue tribolazioni e gli diede
grazia e sapienza davanti al faraone, re d’Egitto, il quale lo nominò
governatore dell’Egitto e di tutta la sua casa.
2.
Su tutto l’Egitto e su Canaan[15] vennero carestia e
grande tribolazione e i nostri padri non trovavano da mangiare. Giacobbe,
avendo udito che in Egitto c’era del cibo, vi inviò i nostri padri una prima
volta; la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e così
fu nota al faraone la stirpe di Giuseppe. Giuseppe allora mandò a chiamare
suo padre Giacobbe e tutta la sua parentela, in tutto settantacinque
persone.
3.
Giacobbe discese in Egitto. Egli
morì, come anche i nostri padri; essi furono trasportati in Sichem[16] e deposti nel
sepolcro che Abramo aveva acquistato, pagando in denaro, dai figli di Emor, a
Sichem.
4.
Mentre si avvicinava il tempo della
promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in
Egitto, finché sorse in Egitto un altro re, che non conosceva
Giuseppe. Questi, agendo con inganno contro la nostra gente, oppresse i
nostri padri fino al punto di costringerli ad abbandonare i loro bambini,
perché non sopravvivessero. In quel tempo nacque Mosè, ed era molto bello.
Fu allevato per tre mesi nella casa paterna e, quando fu abbandonato, lo
raccolse la figlia del faraone e lo allevò come suo figlio. Così Mosè
venne educato in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente in parole e in
opere. Quando compì quarant’anni, gli venne il desiderio di fare visita ai
suoi fratelli, i figli d’Israele. Vedendone uno che veniva maltrattato, ne
prese le difese e vendicò l’oppresso, uccidendo l’Egiziano. Egli pensava
che i suoi fratelli avrebbero compreso che Dio dava loro salvezza per mezzo suo,
ma essi non compresero. Il giorno dopo egli si presentò in mezzo a loro
mentre stavano litigando e cercava di rappacificarli. Disse: “Uomini, siete
fratelli! Perché vi maltrattate l’un l’altro?”. Ma quello che maltrattava
il vicino lo respinse, dicendo: “Chi ti ha costituito capo e giudice sopra di
noi? Vuoi forse uccidermi, come ieri hai ucciso l’Egiziano?”. A
queste parole Mosè fuggì e andò a vivere da straniero nella terra di Madian[17], dove ebbe due figli.
5.
Passati quarant’anni, gli apparve nel
deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto
ardente. Mosè rimase stupito di questa visione e, mentre si avvicinava per
vedere meglio, venne la voce del Signore: “Io sono il Dio dei tuoi padri,
il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Tutto tremante, Mosè non osava
guardare. Allora il Signore gli disse: “Togliti i sandali dai piedi,
perché il luogo in cui stai è terra santa. Ho visto i maltrattamenti fatti
al mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli. Ora
vieni, io ti mando in Egitto”.
6.
Questo Mosè, che essi avevano
rinnegato dicendo: “Chi ti ha costituito capo e giudice?”, proprio lui Dio
mandò come capo e liberatore, per mezzo dell’angelo che gli era apparso nel
roveto. Egli li fece uscire, compiendo prodigi e segni nella terra
d’Egitto, nel Mar Rosso e nel deserto per quarant’anni. Egli è quel Mosè
che disse ai figli d’Israele: “Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli,
un profeta come me”. Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto,
fu mediatore tra l’angelo, che gli parlava sul monte Sinai, e i nostri padri;
egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. Ma i nostri padri non
vollero dargli ascolto, anzi lo respinsero e in cuor loro si volsero verso
l’Egitto, dicendo ad Aronne: “Fa’ per noi degli dèi che camminino davanti
a noi, perché a questo Mosè, che ci condusse fuori dalla terra d’Egitto, non
sappiamo che cosa sia accaduto”. E in quei giorni fabbricarono un vitello
e offrirono un sacrificio all’idolo e si rallegrarono per l’opera delle loro
mani.
7.
Ma Dio si allontanò da loro e li
abbandonò al culto degli astri del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti:
Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant’anni nel deserto, o casa
d’Israele?
8.
Avete preso con voi la tenda di Moloc[18] e la stella del
vostro dio Refan[19],
immagini che vi siete fabbricate per adorarle! Perciò vi deporterò al di
là di Babilonia.
9.
Nel deserto i nostri padri avevano la
tenda della testimonianza, come colui che parlava a Mosè aveva ordinato di
costruirla secondo il modello che aveva visto. E dopo averla ricevuta, i
nostri padri con Giosuè la portarono con sé nel territorio delle nazioni che
Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide[20]. Costui trovò
grazia dinanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per la casa di
Giacobbe; ma fu Salomone che gli costruì una casa.
10.
L’Altissimo tuttavia non abita in
costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta: Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il
Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse la mia mano che ha
creato tutte queste cose?
11.
Testardi e incirconcisi nel cuore e
nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i
vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non
hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del
Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che
avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».
12.
All’udire queste cose, erano
furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. Ma egli, pieno di
Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla
destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio
dell’uomo che sta alla destra di Dio».
13.
Allora, gridando a gran voce, si
turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo
trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero
i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano
Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi
piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo
peccato». Detto questo, morì.
14.
Saulo approvava la sua uccisione.
15.
In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli
apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria.
16. Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per
lui. Saulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case,
prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere.
Comprensione
del testo
1. Riassumi
a parole tue in sedici brevi sequenze il brano di San Luca.
Laboratorio di analisi del testo
2. La vicenda è narrata da un narratore esterno[21]
o in prima persona un narratore interno[22]?
Se si tratta di un narratore esterno, è un narratore onnisciente[23]
che esplicita la propria presenza ed
esprime giudizi personali oppure è un narratore occulto[24]
che si limita a raccontare le
azioni e a descrivere i personaggi? inoltre, il punto di vista del narratore
esterno o neutro oppure, in qualche momento o in tutta la vicenda, coincide con
il punto di vista di qualche personaggio? infine, questo punto di vista cambia,
nel corso della narrazione? Se si tratta di un narratore
interno chi è? inoltre è il protagonista della vicenda o un personaggio secondario o uno spettatore? infine, dichiara il
proprio ruolo oppure lo si deduce dal racconto?
3.
Nella vicenda vi è un protagonista[25]? di
chi si tratta? vi è un antagonista[26]? di
chi si tratta? vi è un oggetto[27]?
di chi o di che cosa si tratta? infine ci sono personaggi secondari come
aiutanti[28] ed oppositori[29]? di
chi si tratta? Protagonisti e personaggi secondari sono negativi o positivi? quali sono, inoltre, da che cosa emergono le
caratteristiche principali dei personaggi? quale relazione esiste infine
tra i personaggi del brano? Quale particolare significato
conferisce alla vicenda il ruolo assunto dai personaggi ed il rapporto fra i personaggi?
4.
Nel brano sono chiaramente distinguibili
le parti in cui i personaggi agiscono da quelle in cui parlano o esprimono i loro pensieri? I pensieri o le parole dei
personaggi vengono presentati
prevalentemente con, discorso diretto[30],
discorso indiretto[31],
discorso diretto libero[32],
discorso indiretto libero[33],
monologo interiore[34]
o flusso di coscienza [35].
T 4 La persecuzione di Nerone
Dagli Annales di Tacito[36]
1.
Questi erano i provvedimenti presi su
iniziativa degli uomini. Subito furono offerti sacrifici espiatori agli dei e
furono consultati i libri sibillini, in osservanza ai quali si svolsero
pubbliche preghiere a Vulcano, Cerere e Proserpina e Giunone fu oggetto di riti
propiziatori per opera delle matrone, prima sul Campidoglio, poi preso la
spiaggia vicina, e con l’acqua attinta da lì si asperse il tempio e la statua
della dea; e le donne sposate con mariti viventi celebrarono i sellisterni[37] e le veglie sacre.
2.
“Perciò, per far cessare tale
diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime
coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava
cristiani.
3.
Origine di questo nome era Cristo, il
quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal
procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale
superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel
morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore
tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso. Perciò, da principio vennero
arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu
condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio,
quanto per odio del genere umano.
4.
Inoltre, a quelli che andavano a
morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai
cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da
illuminazione notturna al calare della notte.
5.
Nerone aveva offerto i suoi giardini
e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul
cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime,
nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma
per la ferocia di un solo uomo.”
Comprensione
del testo
5. Riassumi a parole tue in cinque
brevi sequenze il brano di Tacito
6. Indica tutti i personaggi citati
nel brano e il ruolo che essi svolgono
Analisi
del testo
1. Per quale motivo i cristiani
divennero un facile bersaglio su cui scaricare la responsabilità della catastrofe?
Tacito prende posizione a proposito della colpevolezza dei cristiani?
2. Più in generale, cosa pensa lo
storico riguardo ai cristiani? Quali notizie si possono ricavare dal brano in
merito alla nascita del cristianesimo?
3.
Quali
atroci condanne furono costretti a subire i presunti colpevoli dell’incendio?
Quale giudizio emerge sull’imperatore?
f) Le prime persecuzioni - Il Cristianesimo cominciò presto a
diffondersi in tutto il territorio dell’Impero Romano; i cristiani furono
presto conosciuti e identificati dai romani come una delle molte ramificazioni del mondo
giudaico del tempo.
I
primi anni furono di tolleranza: le prime persecuzioni furono condotte da ebrei
ostili alla parola dei discepoli dell'oscuro Nazareno, (si pensi al martirio di
S. Stefano o all'incarcerazione di S. Pietro).
I
romani volevano in un primo momento sostenere i cristiani piuttosto che gli altri ebrei: era questo il periodo delle più cruente
rivolte antiromane (le ultime delle quali furono soffocate nel sangue) e i
cristiani, che predicavano la fedeltà ai poteri costituiti, secondo il detto
del rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio, erano evidentemente considerati meno
pericolosi.
Questa situazione di relativa calma subì
però una svolta decisiva tra la fine del 62 e l’inizio del 63, ad opera
dell’imperatore Nerone, responsabile della prima persecuzione anticristiana del
64: i cristiani furono accusati di essere i diretti responsabili dell’incendio
di Roma.
Dal 64 al 313 ci fu un susseguirsi di
periodi di persecuzione e periodi di tolleranza.
È importante però distinguere due distinte
tipologie di persecuzione:
·
persecuzioni sistematiche ordinate dall'autorità imperiale;
·
persecuzioni da parte del popolo.
Le ragioni delle persecuzioni erano varie:
·
la
preoccupazione delle autorità politiche per la forza persuasiva delle comunità
cristiane che, con la loro organizzazione gerarchica, apparivano come uno Stato nello Stato;
·
il
rifiuto dei cristiani di riconoscere la divinità dell'imperatore;
·
l'inquietudine
dell'opinione pubblica che vedeva nella crisi dell'Impero una vendetta degli
dei.
Spesso lo Stato si trovò
costretto a fare da braccio secolare
al fanatismo del popolo che spiegano i molti processi ed esecuzioni subiti dai
cristiani anche in tempi di tolleranza.
Esistono di fatto editti[38], rescritti[39]
e provvedimenti di vario genere, più o meno intolleranti, ma non leggi vere e
proprie.
Alcuni testi, come l'editto di
Adriano, sembrano quasi scritti allo scopo di evitare le persecuzioni. Ma l’assenza di una legislazione anticristiana a Roma
offrì il fianco alle argomentazioni della prima letteratura apologetica greca e
latina (si pensi particolarmente a Tertulliano che, da buon giurista, rilevò
dettagliatamente questa incongruenza legale).
Le persecuzioni furono un autentico battesimo di fuoco: a causa di esse il Cristianesimo nascente
si fortificò, si strutturò, si disciplinò in modo perfetto, riuscendo non solo
a sopravvivere, ma anche ad imporsi. Da ciò il detto di Tertulliano, secondo
cui il sangue dei cristiani è seme.
4. Il secondo secolo – Il II secolo
vede la Chiesa già strutturata e in grado di confrontarsi e di scontrarsi con
la cultura pagana. Molti scrittori cristiani si pongono così a difesa della
loro fede dando origine alla letteratura apologetica. Questo periodo vede anche
un moltiplicarsi di varie eresie, per le quali prenderà vita la
prima letteratura eresiologica[40]
cristiana.
a)
La formazione della struttura ecclesiale - Tra la fine del I e l’inizio
del II secolo, la concezione della Chiesa ha già forma compiuta, come ci
testimoniano le lettere di S.
Ignazio d’Antiochia.
La gerarchia
ecclesiastica si era strutturata secondo tre gradi precisi:
·
il vescovo, capo della Chiesa locale ed
eletto dai fedeli;
·
i presbiteri o sacerdoti, che assistono
il vescovo nelle celebrazioni e in alcune altre mansioni;
·
i diaconi, assistenti diretti del
vescovo, che svolgono un’importante funzione nelle celebrazioni e
nell’assistenza ai poveri.
In questo periodo non esiste
ancora alcun primato diverso da quello del vescovo locale[41].
T 5 L'immortalità dell'anima e la risurrezione
(capp. 18 – 22)
1.
18 Volgete lo sguardo alla fine di
ciascuno degli imperatori precedenti, come siano morti della morte comune a
tutti. Se questa conducesse alla cessazione di ogni sensibilità, sarebbe un
guadagno per tutti gli ingiusti. Ma poiché a tutti coloro che sono vissuti
rimane la sensibilità ed è apprestata una punizione eterna, non trascurate di
persuadervi e di credere che queste sono cose vere.
2.
La negromanzia, infatti, e le
osservazioni di fanciulli incontaminati e le evocazioni di anime umane e gli
spiriti che, presso i maghi, sono detti evocatori di sogni e loro assistenti e
tutti i fenomeni che avvengono per opera dei conoscitori di scienze occulte, vi
persuadano che anche dopo la morte le anime mantengono le facoltà sensitive; ve
ne persuadano anche gli uomini posseduti e agitati dalle anime dei defunti, che
tutti chiamano indemoniati e furiosi, e quelli che voi chiamate oracoli di
Anfiloco[44]
e di Dodona[45]
e della Pizia[46],
e quanti altri esistono di tal genere, e gli insegnamenti degli scrittori –
Empedocle[47]
e Pitagora[48]
e Platone[49]
e Socrate[50],
e la fossa nominata da Omero e la discesa di Ulisse alla scoperta di quei
misteri – e di quanti affermano cose simili.
3.
Al pari di essi date retta, dunque,
anche a noi: noi che, non meno di loro, anzi di più, crediamo in Dio, noi che
speriamo di riprendere i nostri corpi, anche se morti e gettati nella terra,
poiché diciamo che nulla è impossibile a Dio.
4.
19 E, per chi ci pensa bene, qualora
non esistessimo nel corpo, cosa potrebbe apparire più incredibile del fatto che
qualcuno ci dicesse che da una piccola stilla del seme umano è possibile che
derivino e ossa e nervi e carne, manifestata con la forma che noi vediamo?
5.
Immaginiamo ora per ipotesi: se voi
non foste così come siete né foste generati da tali persone, e qualcuno,
mostrandovi il seme umano e poi un'immagine dipinta, affermasse con assoluta
certezza che da un simile seme nasce un essere siffatto, prima di vederlo, voi
ci credereste?
6.
Nessuno oserebbe negare che non gli
credereste! Nello stesso modo, perché non avete ancora visto un morto
resuscitare siete dominati dall'incredulità. Ma, come all'inizio non avreste
creduto che potessero nascere uomini così fatti da una piccola stilla, eppure
li vedete formati, così dovete pensare che non sia impossibile che i corpi
umani, dissolti e disfatti nella terra come semi, al momento opportuno, per
ordine di Dio, risorgano e "si rivestano di incorruttibilità".
7.
Non si può dire quale potenza degna
di Dio ammettano coloro che dicono che ogni cosa torna a ciò da cui fu
generata, e che neppure Dio può nulla contro questa legge; ma noi ne deduciamo
che non avrebbero creduto fosse possibile che mai si generassero esseri
siffatti, tali quali vedono, cioè se stessi e tutto l'universo: e generati da
quali elementi!
8.
Abbiamo imparato che è meglio credere
anche a ciò che è impossibile, sia alla nostra natura sia agli uomini,
piuttosto che non credervi, come gli altri, poiché sappiamo che anche il nostro
Maestro Gesù Cristo ha detto: "Ciò che è impossibile presso gli uomini, è
possibile presso Dio". E disse anche: "Non temete coloro che vi
uccidono e, dopo, non possono fare alcunché; temete invece colui che può, dopo
la morte, gettare sia l'anima sia il corpo nella Geenna".
9.
La Geenna è il luogo dove sono
destinati ad essere puniti quanti sono vissuti iniquamente e non credono che
avverrà quanto Dio attraverso Cristo, ci ha insegnato.
10. 20 Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il
fuoco, di ciò che è corruttibile.
11. I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel
fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. Noi
invece pensiamo che Dio, creatore del tutto, sia qualcosa di superiore a ciò
che muta.
12. Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da
voi onorati ed alcune anche superiori e divine e, soli, possiamo dimostrarvele,
perché siamo ingiustamente odiati più di tutti?
13. Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo
sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione nel fuoco,
quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono punite
mantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni,
liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di
poeti e di filosofi; quando diciamo che non bisogna adorare opere di mano
umana, siamo d'accordo con il comico Menandro e con quanti espressero le stesse
idee. Dimostrarono infatti che il creatore è superiore a ciò che è creato.
14. 21 Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù
Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato
crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità
rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.
15. Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati
da voi: Ermete, il Logos interpretativo e maestro di ogni arte; Asclepio, che
fu anche medico e, colpito dal fulmine, ascese al cielo; Dioniso, che fu
dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco per sfuggire alle fatiche; i
Dioscuri, figli di Leda; e Perseo, figlio di Danae; e Bellerofonte, che di tra
gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.
16. Che bisogno c'è poi di parlare di Arianna, e di quanti, al pari di lei,
si dice siano stati trasformati in astri? O dei vostri imperatori che, morti,
sempre ritenete degni dell'immortalità, anzi producete persino qualcuno che
giura di aver visto il Cesare cremato, elevarsi dalla pira verso il cielo! Ma a
chi già conosce questi fatti non è necessario dire quali azioni si raccontino
di ciascuno dei cosiddetti figli di Zeus; dirò solo che tutto questo è stato
scritto per aiutare ed esortare i discepoli: tutti infatti stimano bello farsi
iettatori degli dei! Ma da ogni anima retta sia lontano questo convincimento
circa gli dei, che persino colui che, secondo loro, è re e genitore di ogni
cosa, Zeus, sia parricida e figlio di simile padre, e che, vinto dalla smania
di malvagi e turpi piaceri, sia arrivato a corrompere Ganimede e molte donne, e
che i suoi figli abbiano continuato a compiere azioni simili alle sue.
17. Invece, come abbiamo già detto, furono i demoni cattivi a compiere queste
azioni. Noi abbiamo appreso che ottengono l'immortalità solo coloro che conducono
una vita santa e virtuosa, vicino a Dio e crediamo che coloro che vivono
iniquamente e non si pentono sono puniti nel fuoco eterno.
18. 22 Il Figlio di Dio, chiamato Gesù, se anche fosse solo uomo comune per
sapienza, sarebbe degno di essere chiamato figlio di Dio. Infatti tutti gli
scrittori chiamano Dio padre sia degli uomini sia degli dei. Se poi, come
abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come
Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa
concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero
di Zeus.
19. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche
questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono
soggetti a sofferenze. Anche di loro infatti si narrano patimenti di morte non
eguali, ma diversi. Cosicché neppure nella particolarità della sofferenza Egli
sembra essere inferiore; anzi, come abbiamo promesso, nel seguito del discorso
dimostreremo che è anche superiore; o meglio, questo e già dimostrato: infatti
chi è superiore si rivela dalle opere.
20.
Se poi diciamo che è stato generato
da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo. Quando
affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e
che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo
concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.
Comprensione del testo
Riassumi brevemente il contenuto del teso
Laboratorio
1.
Qual è il
problema generale[51]
affrontato nel brano e quali sono gli eventuali sotto-problemi affrontati?
2.
Qual è la tesi[52]
di fondo sostenuta? quali sono gli argomenti[53]
a sostegno della tesi generale?
3.
Vengono
presentate antitesi[54]
o argomenti altrui non condivisi? se sì, quali sono quali sono le antitesi ed attraverso - quali argomenti
sono eventualmente confutate?
4.
Quali sono le
prove di validità degli argomenti? quali fra di esse sono dati oggettivi (fatti, nozioni, leggi generalmente valide, testimonianze, pareri o citazioni di
esperti)? Quali sono dati
soggettivi (opinioni personali
dell'autore, suoi giudizi, sue interpretazioni, opinioni di persone diverse dallo scrivente o di determinati
gruppi)?
5.
A quale conclusione[55]
giunge l'autore?
T 6 Una conversazione fra amici
1.
Mentre riflettevo e rievocavo nel mio
animo il ricordo di Ottavio, caro e fedelissimo amico, mi restò addosso tanta
dolcezza e affetto per lui che mi parve di ritornare al passato, più che
semplicemente rievocare con la memoria cose ormai compiute e passate: a tal
punto la sua immagine, quanto più era sottratta alla vista, era avviluppata al
mio cuore e ai miei sensi più profondi. Giustamente quell’uomo illustre e pio
andandosene ci ha lasciato immensa nostalgia di lui, perché aveva verso di me
tale affetto che nelle cose sia gravi che leggere si trovava sempre in accordo
con me, voleva e non voleva le stesse cose: si sarebbe potuto credere che
eravamo un’anima sola divisa in due. Era il solo a conoscenza delle mie
passioni, e il solo compagno anche dei miei errori, e quando, dissipata la
caligine, emersi dall’abisso delle tenebre alla luce della sapienza e della
verità, non respinse il compagno, ma, cosa più onorevole ancora, lo anticipò.
Mentre dunque ripassavo col pensiero tutto il tempo della nostra comunanza e
familiarità, fermai particolarmente la mia attenzione su quella conversazione
in cui egli convertì alla vera religione con serissimi argomenti Cecilio, che
era ancora attaccato alle vanità della superstizione.
2.
Era venuto a Roma per affari e per
vedermi, lasciando la casa, la moglie, i figli che – cosa che li rende più
amabili – erano negli anni dell’innocenza e ancora balbettavano parole a metà,
con un accento reso più dolce dall’impaccio della lingua. Non posso esprimere a
parole quanta esultanza ho provato al suo arrivo, perché la mia letizia era
aumentata dalla sorpresa della presenza del mio amico. Dopo uno o due giorni in
cui l’assiduità della nostra compagnia aveva saziato l’avidità del nostro
desiderio, e ci eravamo reciprocamente raccontati quello che a motivo della
lontananza ignoravamo l’uno dell’altro, decidemmo di andare a Ostia, bellissima
città, perché la cura delle acque era a me gradita e appropriata per asciugare
gli umori del mio corpo, e anche perché le ferie per la vendemmia avevano
allentato le attività del Foro. Infatti la stagione estiva stava declinando
verso il clima temperato dell’autunno. Una mattina mentre camminavamo verso il
mare perché la brezza ristorasse dolcemente le nostre membra e la sabbia
cedesse mollemente, con nostro grandissimo piacere, sotto i nostri passi,
Cecilio vide una statua di Serapide e, come usa fare il volgo superstizioso, la
toccò e la baciò.
3.
Ottavio allora disse: “Non è da uomo
onesto, fratello Marco, lasciare un uomo che a casa e fuori ti sta sempre
accanto in una tale cieca ignoranza da permettere che in pieno giorno vada a
sbattere in pietre, per quanto effigiate, profumate e coronate: sai bene che la
vergogna del suo errore ricade su di te non meno che su di lui”. Durante queste
sue parole avevamo già attraversato il centro della città e ci trovavamo sulla
spiaggia aperta. Là le onde lievi si infrangevano all’estremità della sabbia
come spianandola per il passeggio, e poiché il mare è sempre in movimento anche
quando non c’è vento, sebbene non invadesse la terra con le onde bianche e
spumeggianti, ci divertimmo moltissimo a guardare le increspature e le
sinuosità, mettendo i piedi proprio sul limite, mentre le acque volta a volta
fluivano verso di noi e si ritiravano assorbendo nel loro seno le nostre
impronte. Così camminando lentamente e tranquillamente costeggiavamo le dolci
curve della riva, ingannando il cammino con la conversazione, che riguardava
soprattutto il racconto che Ottavio faceva del suo viaggio per mare. Ma dopo
aver percorso un tratto di strada discorrendo, tornammo indietro sui nostri
passi per la medesima via, e quando arrivammo al punto dove stavano a riposo
delle barche tirate a secco e posate su tronchi d’albero al riparo dall’umidità
del terreno, vedemmo dei ragazzi che con grandi grida giocavano a gettare in
mare dei ciottoli. Questo gioco consiste nel raccogliere sulla spiaggia un
sasso tondo e levigato dalle acque; poi, tenendolo tra le dita dalla parte del
palmo, ci si piega il più possibile verso terra e lo si fa rotolare in mare in
modo che il proiettile rasenti il pelo delle acque o galleggi scivolando con un
movimento leggero, o balzi riemergendo sulla cresta dell’onde con continui
rimbalzi. Vincitore della gara fra i ragazzi era quello che mandava il suo
ciottolo più lontano e con il maggior numero di rimbalzi.
4.
Mentre noi ci divertivamo a quello
spettacolo, Cecilio non ci badava e la gara non gli dava piacere, ma taceva
stando da parte angosciato: il suo volto dimostrava che stava soffrendo. Io gli
dissi allora: “Che succede? Come mai, Cecilio, non ritrovo la tua vivacità e
l’allegria che hai negli occhi anche nei momenti difficili?”. Lui rispose: “Mi
tocca e mi rimorde il discorso fatto poco fa dal nostro Ottavio, che ti ha
rimproverato di negligenza per accusare senza parere me di una cosa più grave,
l’ignoranza. Mi spingerò ancora più in là: devo trattare di nuovo interamente
la questione con Ottavio. Se è d’accordo, discuterò con lui come adepto di
quella setta, in modo che capirà subito che è più facile discorrere tra amici
che confrontare le teorie. Sediamoci dunque su questi argini di pietra che si
protendono in mare a protezione dei bagnanti, in modo da riposarci dalla
passeggiata e discutere con più attenzione”. Ci sedemmo come lui aveva
proposto: io stavo in mezzo avendo ciascuno di loro al mio fianco non in segno
di omaggio, di onore o di distinzione sociale, perché l’amicizia rende sempre
gli uomini uguali se già non li trova uguali, ma perché in qualità di arbitro
potessi ascoltare i due contendenti tenendoli separati.
T 7 Il Cristianesimo non è una nuova filosofia
1.
In che cosa sono simili il filosofo e
il cristiano, i discepoli della Grecia e quelli del Cielo, coloro che
trafficano per la gloria o per la vita, coloro che agiscono a parole o coi
fatti, chi edifica o chi distrugge, chi falsifica o chi ristabilisce la verità,
chi se ne appropria o chi la custodisce? Anche qui mi soccorre l’antichità
dianzi riaffermata della Sacra Scrittura, perché facilmente s’intenderà a
cagione di tale antichità che essa fu il tesoro da cui derivò ogni successiva
sapienza. E se non volessi mitigare il pondo già grave di questo libro, avrei
potuto dilungarmi in tale dimostrazione. Quale dei poeti, quale dei sofisti,
che non abbia attinto alla fonte dei profeti? Ad essa, dunque, i filosofi
soddisfecero il loro genio assetato, in modo che quanto ha uno preso da noi a
noi lo accomuna. Perciò, ritengo, la filosofia fu messa al bando da alcune
legislazioni, intendo parlare di quella di Tebe, di Sparta, di Argo[60]. Mentre costoro,
vogliosi soltanto, come dicemmo, di gloria e di belle parole[61], si sforzavano di
accostarsi alle nostre dottrine, se trovavano qualcosa che soddisfacesse la
loro abitudine di curiosità nei nostri santi libri, se ne appropriavano; ma la
scarsa persuasione del loro carattere divino non bastava ad impedire loro di
raffazzonarli, e non li comprendevano abbastanza, anche perché in quei tempi le
Scritture erano ancora un poco oscure e dagli stessi Giudei tenute velate, come
cosa che riguardava loro soltanto. Infatti, la verità quanto più era semplice,
tanto più lo spirito critico degli uomini disprezzava di porvi fede, vacillava,
e fu così che resero incerto anche ciò che avevano trovato di certo.
2. Avendo infatti trovato soltanto Dio, non ne parlarono così come l’avevano
trovato, ma discussero intorno ai suoi attributi, alla sua natura, alla sua
dimora. Gli uni lo dissero incorporeo, altri corporeo, quali i platonici e gli
stoici; altri composto di atomi o di numeri, come Epicuro e Pitagora; altri
ancora di fuoco come sembra ad Eraclito; i platonici dicono che si prende cura
del mondo, gli epicurei lo vogliono ozioso e disoccupato e, per dir così,
negativo nei confronti delle cose umane; posto dagli stoici fuori del mondo e,
a guisa di tornitore, ne farebbe girare dall’esterno la mole; posto dai
platonici nell’interno del mondo, ove, a guisa di timoniere, prende posto
all’interno della nave che conduce. Così pure intorno al mondo stesso variano
le opinioni: se sia sempre esistito, se sia destinato a scomparire o a
rimanere; così pure litigano intorno alla natura dell’anima, che alcuni
vogliono divina ed eterna, altri dissolubile[62]; secondo il proprio
sentimento ciascuno vi ha aggiunto o mutato qualcosa. E non v’è da
meravigliarsi, se il genio dei filosofi ha sfigurato i nostri vecchi documenti:
usciti dalla loro scuola, certi uomini hanno snaturato con le loro
argomentazioni personali, conformemente ai sentimenti dei filosofi, anche il
nostro piccolo recente libro, e da una sola via hanno tratto una folla di
sentieri obliqui e inestricabili[63]. Ciò noi diciamo,
perché la notoria varietà della nostra setta non ci faccia ritener simili a
quei filosofi, e dalla varietà si cerchi di stabilire un indebolimento della
verità. Prontamente noi opponiamo ai nostri falsificatori, che la sola regola
della fede è quella che proviene da Cristo che l’ha affidata ai propri
compagni; è facile provare che quegli interpreti discordanti sono di parecchio
posteriori ai compagni di Cristo. Tutte le cose che sono state inventate contro
la verità sono state imbastite con elementi della stessa verità, ed è agli
spiriti dell’errore che dobbiamo tale contraffazione. Da essi fu segretamente
predisposta la falsificazione della nostra così salutare disciplina, da essi
furono messe in circolazione anche talune fandonie, per indebolire con la loro
verosimiglianza la fede nella verità o piuttosto per attirare a sé tale fede,
in modo che si arrivi a dichiarare che non si deve credere ai cristiani, come
neppure ai poeti ed ai filosofi, oppure che si debba credere ai poeti ed ai
filosofi, perché non si deve credere ai cristiani. Così si ride quando noi
prediciamo il giudizio di Dio. Infatti i poeti ed i filosofi pongono il
tribunale presso gli inferi. E se noi minacciamo la Geenna[64], che è un deposito
sotterraneo di misterioso fuoco destinato alla punizione, veniamo parimenti
beffeggiati. Eppure vi è un fiume nel regno dei morti: Piriflegetonte[65]. E se noi parliamo
del Paradiso, luogo di una divina bellezza destinato a ricevere i santi
spiriti, che una specie di muraglia, formata da quella famosa zona ignea,
separa dal mondo comunemente noto, noi troviamo i Campi Elisi[66] in possesso della
generale credenza. Donde, vi chiedo, i filosofi e i poeti hanno tratto
conoscenze tanto simili alle nostre? Non altrove che dalle nostre credenze. Se
ad esse, poiché queste precedettero nel tempo, allora debbono venir
maggiormente creduti i nostri misteri, se le loro imitazioni furono ritenute
degne di fede. Se invece trovano origine nella loro immaginazione, ne conseguirebbe
che i nostri misteri deriverebbero da copie loro posteriori, ciò che è
contrario alla natura delle cose: giacché mai l’ombra precedette il corpo o la
copia il proprio originale.
Comprensione
1.
Riassumi a parole tue in due sequenze il contenuto del passo.
2.
In che senso poeti e filosofi pagani
dipendono dalla stessa fonte dei cristiani?
3.
Per quale ragione, secondo
Tertulliano, pur avendo a disposizione i «santi libri» i filosofi pagani li
hanno «raffazzonati»?
4.
A chi si riferisce Tertulliano quando
parla di coloro che «da una sola via hanno tratto una folla di sentieri obliqui
e inestricabili»?
Analisi del testo
1.
Qual è l’antico tesoro da cui deriva
ogni altra sapienza?
2.
Elenca ciò che i filosofi avrebbero
detto di Dio, nella versione caricaturale che ne dà Tertulliano.
3.
Quali sono le affinità che
Tertulliano riscontra tra il modo pagano e quello cristiano di pensare
l’inferno e il paradiso?
4.
E perché, secondo lui, esistono
queste affinità?
b) Il confronto con la cultura pagana - Questo è il secolo dell’incontro e, conseguentemente, dello scontro
tra Cristianesimo nascente e cultura pagana. È
quindi soprattutto il secolo degli Apologisti[67],
quegli scrittori cristiani che tentarono in ogni modo di difendere
la fede cristiana dagli attacchi della cultura del tempo.
Lo scontro con il paganesimo si
attuò nel II secolo soprattutto sul versante culturale. Mancano in questo
periodo le grandi persecuzioni che caratterizzano al contrario il I e il III
secolo, ma ciò non significa che si tratti di un tempo di piena tolleranza: lo
dimostrano, tra gli altri, il martirio di S. Ignazio
nel 110 e quello di S. Giustino nel 165.
T 8 La filosofia è l’alimento delle
eresie
Da Contro
gli eretici di Tertulliano (cap VII)
1.
La condizione del tempo presente ci
spinge ad avvertire che non dobbiamo meravigliarci di queste eresie: sia del
fatto che esistono, era infatti stato preannunziato che esse sarebbero sorte;
sia del fatto che minano la fede di alcuni, perché esistono appunto perché la
fede, messa alla prova, ne fosse anche confermata. Non c’è dunque ragione ed è
sciocco che i più si scandalizzino perché le eresie abbiano tanta forza: se non
la avessero, non esisterebbero neppure. Infatti quando qualcosa esiste, in
qualsiasi modo, come ha un motivo per esistere, così ha anche la forza grazie a
cui esiste e non può non esistere. [...]
2.
Sono queste le dottrine di uomini e
di demòni sorte da quel che sia lo spirito della pretesa sapienza mondana, per
le orecchie che non sanno trovar pace e tranquillità. Il Signore, l'ha chiamata
follia tale saggezza, e la stoltezza del mondo ha scelto appunto, per
confonder quella che sia l'umana filosofia.
3.
È la filosofia stessa, invero, che dà
materia a quella che si chiama mondana saggezza, dal momento che, con molta
libertà e pretesa arroganza, interpreta la natura divina, i suoi disegni e i
suoi procedimenti.
4.
Diciamolo francamente: le eresie
stesse sono quelle che attingono forza e consistenza da tali principi
filosofici. È dalla filosofia infatti, che Valentino prende la concezione degli
Eoni e di una quantità di forme, di cui non saprei dire neppure il numero:
infinite esse sono; e il concetto di una Trinità umana: o non era costui stato
discepolo di Platone? E non è da quella stessa fonte, che scaturisce il dio di
Marcione, preferibile agli altri? almeno ha un carattere di tranquillità; e
anche la sua dottrina deriva dagli Stoici.
5. Sono stati gli Epicurei quelli che hanno sostenuto il principio che
l'anima è soggetta alla morte, e se tu vuoi negare il principio della
resurrezione della carne, tu potrai attingere per questo punto dai dettami di
tutti quanti gli antichi filosofi: dove trovi che la materia è uguagliata colla
natura di Dio, quivi potrai riconoscere la dottrina di Zenone; ed ecco
invece che ti vien fuori Eraclito, quando si parli di una divinità che abbia in
sé natura ignea; è la stessa materia, in fondo, che viene trattata, agitata, e
da eretici e da filosofi: donde il male e perché? donde l'uomo e come egli è
sorto? Ed ecco il problema che ultimamente Valentino s'è posto: donde Iddio?
Deriva dall'Entimesi o
dall'Ectroma[68]?
6.
Aristotele, mal facesti, tu, che hai
loro insegnato la dialettica, arte abile ugualmente e a costruire e a
distruggere, diversa e sfuggevole nelle sue asserzioni, immoderata, sforzata
nelle sue congetture; aspra, difficile nelle sue argomentazioni, che crea con
facilità contrasti; laboriosa e molesta talvolta a se stessa, che tutto pone in
discussione sottile, perchè appunto nulla sfugga all'attento e minuzioso esame
di lei! Di qui proprio derivano quei racconti favolosi, quelle genealogie
interminabili, quelle questioni lunghe ed oziose, quelle discussioni sottili,
che s'insinuano negli animi come qualcosa di malefico che ti consuma e ti
uccide.
7.
L'Apostolo, quando vuole preservarci
da quello che è male, ci avverte appunto di star bene in guardia contro l'opera
della filosofia: egli la ricorda chiaramente, espressamente: scrive ai
Colossesi: Guardatevi, perchè non vi sia qualcuno che non v'inganni colla
filosofia, che, con vane apparenze di verità, non vi tragga fuori dalla retta
strada, secondo l'umana tradizione e contrariamente alla provvidenza dello
Spirito Santo.
8.
Paolo era stato in Atene, e questa
specie di umana sapienza l'aveva ben conosciuta colle relazioni che aveva avuto
coi filosofi: pretende essa alla verità, ma non fa che impedire il
raggiungimento di questa, e, divisa com'è in una quantità di sette contrastanti
intimamente fra loro, da luogo a credenze varie e contraddittorie.
9.
Può esservi forse qualcosa di comune
fra Atene e Gerusalemme? quale relazione potrà stabilirsi fra la Chiesa e
l'accademia? fra gli eretici e i Cristiani? È dal portico di Salomone che la
nostra dottrina trae l'origine sua; fu lui stesso che ci ha insegnato che Iddio
si deve cercare nella semplicità e nella bontà del nostro cuore. Se la vedano
un po' coloro che hanno messo fuori un Cristianesimo stoico, platonico,
dialettico. Che bisogno abbiamo noi di ricerche, dopo Gesù Cristo? che cosa
dobbiamo richiedere noi, dopo che abbiamo avuto il Vangelo? Noi fermamente
crediamo, e non sentiamo più desiderio di credere oltre: perchè questo soprattutto
è il canone fondamentale della dottrina nostra: il non esservi altra cosa da
credere, al di là di ciò che già noi sinceramente crediamo.
c) Le prime eresie[69]- Le eresie conosciute dal
Cristianesimo nel I secolo furono soprattutto quelle dette giudaizzanti
(ad esempio gli ebioniti), ma già dal I secolo cominciavano a
diffondersi le forme più primitive dello Gnosticismo[70], (doceti
e nicolaiti).
Il II secolo segnò invece la vera
esplosione delle varie sette gnostiche dagli encratiti, ai marcioniti,
ai valentiniani. Ci fu anche la nascita dei primi movimenti carismatici,
come il montanismo[71].
Tutto ciò portò presto alla prima produzione eresiologica cristiana: l’opera Contro
le eresie di S. Ireneo di Lione è degli ultimi anni di questo
secolo.
T 9 Lettera
di Plinio il Giovane[72] a Traiano
1. È essenziale per me, signore,
riferirti tutti i miei dubbi. Chi infatti potrebbe meglio di te guidare le mie
esitazioni o correggere la mia ignoranza? In realtà non sono mai stato presente
a un interrogatorio di Cristiani, così non so quale punizione sia richiesta o quanto debba
essere spinta avanti. Non comprendo nemmeno le basi legali per un atto di
accusa, né quanto stringente tale atto debba essere.
2. Nemmeno ho chiaro il tipo di accusa
relativamente all’età delle persone, se cioè nessuna distinzione debba essere
fatta tra giovani e anziani, e ancora se un perdono debba essere concesso in
caso di ravvedimento o se invece non vi sia alcun riconoscimento per chi cessi
di essere Cristiano. È forse il nome “Cristiano” a essere perseguibile di per
sé, anche se non vi sono atti criminali, o la “criminalità” è inevitabilmente
connessa al nome stesso?
3. Nel frattempo con coloro che mi sono
presentati come Cristiani io mi comporto in questo modo: chiedo loro
direttamente se sono Cristiani, lo chiedo anche, per essere sicuro, una seconda
e una terza volta, e indico loro il pericolo della loro situazione. Se essi
persistono, ordino la loro esecuzione. Non ho problemi riguardo a questo,
perché qualunque sia la loro ammissione o dichiarazione, ho deciso che la
loro ostinazione e irremovibile fermezza dovrebbe essere ragione sufficiente
per la punizione.
4. Ho mandato a Roma per il processo
alcuni che erano virtualmente folli per questo culto, ma erano cittadini
romani.
5. Man mano che procedo in questo modo
di affrontare la situazione, come spesso accade il numero e il tipo di accuse
diviene sempre più ampio.
6. È stata fatta pervenire una lista
anonima che contiene i nomi di molte persone autorevoli. Io ho deciso di
lasciar cadere le accuse su chiunque, tra quelli nella lista, affermasse di non
essere e di non essere mai stato Cristiano, a patto che essi ripetessero con me
un’invocazione agli Dei e offrissero vino e incenso alla tua statua, che io ho
fatto condurre nell’aula insieme con le statue degli Dei, proprio a questo
scopo. Oltre a ciò, essi dovevano formalmente maledire Cristo, cosa che, ho ben
compreso, un vero Cristiano non farebbe mai.
7. Altri, sempre in quella lista anonima,
erano indicati come Cristiani nel passato, ma ora ravvedutisi. Alcuni dicevano
che essi lo erano stati e avevano smesso di esserlo da tre, da molti o
addirittura da venti anni. Tutti costoro onorarono la tua statua, quelle degli
Dei e maledirono Cristo.
8. Essi affermarono che tutto ciò che
avevano fatto era stato di andare a un incontro in un dato giorno, prima
dell’alba, di cantare in risposta un inno a Cristo come Dio, giurando con una
santa ostia di non commettere alcun delitto, di non rubare o rapinare, di non
commettere adulterio, di non giurare il falso o di rifiutare di restituire una
somma affidata loro. Quando tutto ciò era finito, era usanza che se ne
andassero per vie diverse e poi si riunissero per consumare assieme un cibo
semplice. Dopo però il mio editto che proibiva tutte le associazioni politiche,
essi avevano smesso di frequentare tali riunioni.
9. Ho pensato a questo punto che fosse
necessario ottenere informazioni da due schiave, che esse chiamano ministrae,
per mezzo della tortura. Non ho trovato nulla degno di biasimo se non la cieca
e incrollabile natura della loro superstizione.
10. Così, posposto ogni atto di accusa,
mi sono rivolto a te. Occorre prendere sul serio questa situazione,
specialmente a causa del gran numero di persone che cadono in questo pericolo.
Un gran numero di persone di ogni età, di ogni classe sociale, donne e uomini, sono
messi sotto accusa e tutto lascia pensare che la cosa continuerà. Il contagio
di questo culto prende non solo le grandi città, ma anche quelle minori e perfino
i villaggi e le campagne. Per ora sembra possibile controllare la situazione e
addirittura rovesciarla.
11. Perché è abbastanza evidente che i
templi degli Dei, che sono stati per lungo tempo, vuoti, ora cominciano a
essere di nuovo pieni, si compiono i sacri riti che erano stati lasciati
perdere, si vende di nuovo nelle botteghe, anche se per un certo tempo nessuno
la comprava, la carne sacra per i sacrifici. Sembra ragionevole pensare che
molti potrebbero essere convinti ad abiurare, se ci fosse una procedura legale
per l’abiura stessa.
Analisi del testo
1.
Elenca i nomi primitivi presenti nel
brano, definiscine la radice e di qualcuno costruiscine per quello che puoi la
famiglia di parole.
2. Qual è il tema centrale del componimento e com’è esposto? Quali sono, se ci sono, i temi
secondari e come sono esposti?
3. Quali sono i nessi di relazione fra il tema-centrale
e gli eventuali temi secondari?
4. Analizza in dettaglio, enunciandone però la
trattazione, una situazione o un personaggio o
qualche particolare immagine presente nel brano, spiegandone la relazione con il tema centrale del componimento.
5. A quale genere letterario appartiene il testo? A quale sottogenere
letterario appartiene il testo? Rispetto
alla definizione tradizionale del genere letterario o del sottogenere, che cosa
mantiene e che cosa trasforma?
6.
Dal punto di
vista sintattico, prevalgono costruzioni difficili, elaboratissime, o espressioni colloquiali? Una volta individuata la
prevalenza, spiegane le motivazioni.
7. Dal punto di vista sintattico, prevalgono frasi
lunghe o frasi brevi? Sono frasi ricche di proposizioni subordinate
o prevale là coordinazione: perché fa ricorso a questa struttura sintattica? Quando prevalgono le frasi più
complesse, di ampio respiro e quando prevalgono frasi più brevi?
[1] Il messianismo indica, all'interno della
fede ebraico-cristiana, una visione del mondo incentrata sull'attesa di un
Messia. In senso più lato, il messianismo denota un'attesa di rinnovamento e
trasformazione radicale della società da parte di un popolo. Questa concezione
è considerata una caratteristica, tipica ma non esclusiva, della cultura
ebraica.
Il messianismo politico nel
corso dei secoli si era sviluppato con accenti fortemente nazionalistici.
[2] Sodoma è un'antica città nominata
ripetutamente nella Bibbia, situata nei pressi del Mar Morto. Nell'Antico
Testamento si narra della distruzione di questa città e di Gomorra, Adma, Zoar
e Zeboim (la cosiddetta Pentapoli), per opera divina, a causa dell'empietà dei
suoi abitanti. Secondo la narrazione biblica le cinque città, denominate
"città della pianura", erano situate sulla riva del fiume Giordano, a
sud di Canaan. La pianura, che sarebbe quindi situata nella zona a nord del Mar
Morto, nella Genesi viene paragonata al giardino dell'Eden.
[3] Corazin è una città della Galilea.
[4] Betsaida era una cittadina al confine con la Galilea, a nord del Lago di
Tiberiade, citata nella Bibbia. Il Vangelo di Giovanni riporta che vi nacquero
gli apostoli Pietro, Andrea e Filippo. Secondo il Vangelo di Marco Gesù vi
compì il miracolo della guarigione di un cieco. In un altro passo, Gesù
rimprovera Betsaida poiché non s'è convertita nonostante abbia assistito a
numerosi miracoli.
[5] Cafàrnao è un'antica città della
Galilea, situata sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade. Secondo i
Vangeli, Gesù vi abitò dopo aver lasciato Nazareth: qui iniziò la sua
predicazione e vi compì numerosi miracoli.
[6] Il demonio nella tradizione cristiana, spirito e simbolo del male; è
per lo più sinononimo di diavolo.
[7] Ai
formalisti russi che lavorarono sulla loro teoria agli inizi del '900, ma le
cui opere furono tradotte e conosciute in Europa a partire dagli anni '30, si
deve il primo approccio critico e scientifico alla letteratura. Il Formalismo
russo ha focalizzato la propria analisi sul testo: questo vuol dire che, di
fronte ad un testo letterario, il critico formalista non va a cercare il
materiale per la propria interpretazione in cose che si trovano intorno al
testo (ad es. chi è l'autore, in che periodo è stato scritto il testo, il
contesto storico in cui è nato, ecc.), ma unicamente al suo interno (nelle sue
caratteristiche formali). Lo scopo .principale era quello di riuscire a fornire
modelli o ipotesi scientifiche per spiegare; come gli effetti estetici sono
prodotti da determinate tecniche letterarie.
[8] Il genere letterario è il luogo all'interno
del quale un'opera letteraria trova la sua identità, riconoscendosi in altre ad
essa affini per scelte tematiche, stilistiche e strutturali dunque genere
letterario è ciascuna delle suddivisioni che, in conformità a criteri
contenutistici e formali, distinguono tradizionalmente la produzione letteraria
1. Genere saggistico riguarda l'arte di scrivere saggi critici che
possono avere due forme: il trattato ed il saggio; il trattato è opera di
considerevole estensione che si occupa metodicamente di una scienza, di una
disciplina, di una dottrina o di parti di esse; il saggio è uno scritto di
carattere critico su un particolare argomento storico, politico, economico,
sociologico ecc.
2. Genere narrativo
è assai ampio e variegato e riguarda tutto ciò che ha per oggetto la narrazione
di avvenimenti reali, quando sono senza fabula, diario, epistolografia,
odeporia, o fantastici, quando sono cum fabula, romanzo, racconto breve,
novella, favola e fiaba.
3. Genere epico
riguarda ampia narrazione in versi, avente come oggetto la celebrazione delle
imprese di un guerriero o di un intero popolo, colti in avvenimenti in parte
leggendari, sull'esito dei quali non poca importanza ha l'elemento
soprannaturale. L'epica si articola in vari sottogeneri:
- L'epica mitologica
che ha come oggetto la mitologia,
- L'epica cavalleresca
che ha come oggetto le gesta dei cavalieri medievali,
- L'epica storica che
ha come oggetto eventi storici particolarmente importanti per la vita di
un popolo
- L'epica eroicomica
parodia dei poemi epici, particolarmente in voga nel Seicento, in cui un
soggetto futile è cantato in tema solenne o un argomento eroico in stile
basso e plebeo
4. Genere lirico o lirica è la forma poetica che esprime nel modo più soggettivo e
immediato il sentimento del poeta, evidenziandone l'esperienza psicologica,
sentimentale, fantastica e autobiografica. La lirica si articola in vari sotto
generi:
·
la poesia civile
che esalta le virtù proprie del cittadino ed ha la finalità di sensibilizzare
su questioni politico-sociali,
·
la poesia
didascalica che ha come scopo l’ammaestramento scientifico morale e religioso
del lettore
·
l'innografia che
ha carattere religioso,
·
la poesia
comico-giocosa che si basa sulla parodia e lo scherzo e ha forma apparentemente
antiletteraria,
·
la poesia
satirica che ritrae con intenti critici e morali personaggi e ambienti della
realtà e dell'attualità, in toni che vanno dalla tranquilla ironia alla
denuncia, all'invettiva più acre.
5. Genere drammaturgico
riguarda qualsiasi componimento in prosa o in versi destinato alla
rappresentazione scenica avente per oggetto un fatto storico o di invenzione e
per protagonisti uomini di qualunque condizione sociale esso comprende vari
sottogeneri
·
La tragedia è una rappresentazione scenica
in prosa o in versi, diviso in atti e scene che abbia per oggetto un fatto
grandioso e terribile di personaggi illustri della storia o del mito, tale da
provocare negli spettatori una viva emozione, volta a purificarli da
determinate passioni (catarsi), e che si conclude con un evento luttuoso
(catastrofe).
·
La commedia è la rappresentazione scenica
in prosa o in versi, diviso in atti e scene, di un episodio della vita di ogni
giorno, con personaggi comuni e spesso di modeste condizioni, per lo più
divertente e briosa e nella maggior parte dei casi caratterizzata da un
conclusione felice; la commedia a sua volta si suddivide in:
-
commedia di
carattere che dipinge un particolare carattere o difetto umano
-
commedia
d'intreccio che si fonda su vicende complicate
-
commedia di
ambiente che subordina personaggi e intreccio all'ambientazione naturale e
umana della vicenda, puntando piuttosto sul colore
-
commedia musicale
spettacolo musicale in parte anche recitato, simile all'operetta, con soggetto
comico o sentimentale.
·
La sacra rappresentazione è un'opera drammatica di carattere sacro con
personaggi sacri.
·
Il dramma pastorale è una composizione drammatica ispirata all'ambiente dei
pastori e alla vita campestre. La commedia dell'arte il teatro degli attori
italiani nei secoli XVI-XVIII, caratterizzato da recitazione improvvisata su
canovacci e dalla presenza delle maschere.
·
Il melodramma è una composizione
drammatica, generalmente in versi, musicata e cantata.
·
Il dramma moderno nacque all'inizio dell'Ottocento come reazione
all'esaurirsi della necessità storica della tragedia e come esigenza di una
maggiore aderenza alla realtà, si e sviluppala in varie direzioni, in
corrispondenza delle esigenze ideologiche dell'autore e delle inclinazioni del
gusto, dando luogo, cosi, al dramma storico, al dramma a tesi, al dramma
borghese, al dramma psicologico.
[9] La costruzione è un'ordinata disposizione
delle parole in una frase o delle frasi in un periodo.
[10] Samaria è un termine geografico usato
per una regione montuosa situata tra la Galilea (a nord) e la Giudea (a sud) ed
è la regione centrale della biblica terra d'Israele. I Samaritani professano il
Samaritanesimo, una religione abramitica strettamente correlata all'Ebraismo;
basano le loro credenze sulla loro Torah e affermano che la loro venerazione
per il Dio biblico è l'autentica religione professata dagli Israeliti prima del
loro esilio a Babilonia, conservatasi grazie ai pochi che erano rimasti in
Terra Santa, ed opposta a quell'Ebraismo antico che considerano modificato e
alterato dagli Israeliti tornati da Babilonia.
[11] Inferenza
– l’inferenza è un processo mentale con cui si ricava una conseguenza da alcune
premesse.
[12] Nomi
primitivi e derivati - Il nome base è detto primitivo è infatti
il nome iniziale da cui derivano tutta la famiglia di nomi che appunto si
chiamano derivati. Il nome primitivo e i suoi derivati hanno
la stessa radice. La differenza tra i nomi è dovuta alla parte finale chiamata suffisso.
[13] Nomi
alterati - I nomi si
dicono alterati quando cambia la desinenza finale con l’inserimento
di suffissi per dare sfumature in senso “diminutivo”,
“vezzeggiativo”, accrescitivo, “ dispregiativo”.
1.
Accrescitivo =
quando accrescono , aumentano la grandezza del nome. Si usa il suffisso
: one ( per i nomi maschili) / ona (per i nomi femminili)
2.
Diminutivo = quando
danno l’idea di piccolezza.Si usano diversi suffissi: ino/ina, etto/etta, ello/ella, icino/icina,
olino/olina, icello\icella, icciolo/icciola
3.
Vezzeggiativo =
quando danno l’idea di affetto, di simpatia, talvolta anche con sfumatura
diminutiva: uccia/uccio, uzzo\uzza, cino/cina
NB. La differenza tra diminutivi
e vezzeggiativi è molto lieve e molto spesso questi alterati contengono
in sé entrambi i concetti. Ad esempio la parola “bambinello” può voler dire
“piccolo. bambino” ( diminutivo) ma anche “caro bambino” ( vezzeggiativo)
A volte il significato dipende dal
nome; ad esempio il suffisso “icino “ nella parola “cuore” che diventa
“cuoricino”, ha un valore vezzeggiativo (dolce cuore); mentre lo stesso
suffisso nella parola “pelle”, che diventa “pellicina”, ha un valore
diminutivo( piccola pelle).
4. Dispregiativi = quando
danno l’idea di disprezzo antipatia, un giudizio negativo: accio/ accia, astro/
astra, ucolo /ucola, iciattolo/iciattola
Particolarità
1 A volte il nome alterato cambia genere.
Esempio: donna (nome femminile)= un donnone (nome maschile) che vuol dire= donna grande e grossa
Esempio: donna (nome femminile)= un donnone (nome maschile) che vuol dire= donna grande e grossa
Febbre (nome femminile)= un febbrone (nome
maschile) che vuol dire = febbre molto alta
2 Alcuni nomi nel diventare alterati cambiano in
parte la radice.
Esempio: uomo = omone, cane
= cagnone
3 Nella lingua moderna si possono fare gli alterati
usando particolari suffissi come: super; maxi; mini
[14] Carran,
in latino Carrhae è un'antica città della Mesopotamia settentrionale
corrispondente all'odierna Harran, in Turchia..
[15] Canaan è un antico termine geografico
che si riferisce ad una regione che comprende, grosso modo, il territorio
attuale di Libano, Israele e parti di Siria e Giordania.
[16] Sichem è un'antica città, oggi sito archeologico nei pressi della
città moderna di Nablus in Cisgiordania.
[17]
Nella Bibbia, Madian è un figlio di Abramo e della sua concubina Chetura
secondo alcuni Agàr. I suoi discendenti, i Madianiti, colonizzarono il
territorio a est del Giordano e anche gran parte dell'area a est del Mar Morto
e verso sud occuparono parte del selvaggio e disabitato deserto d'Arabia.
Durante il periodo dell'Esodo il loro territorio includeva anche porzioni della
penisola del Sinai.
[18] Moloch è il nome sia di un dio, sia di
un particolare tipo di sacrificio storicamente associato al fuoco. Moloch è
stato storicamente associato con culture di tutto il Vicino Oriente antico, tra
cui gli Ebrei, gli Egizi, i Cananei, i Fenici e culture correlate nell'Africa
settentrionale e nel Vicino Oriente.
Oggi il termine
"Moloch" viene usato in senso figurato per designare
un'organizzazione o una persona che domanda o richiede un sacrificio assai
costoso.
[19] Refan è il nome di un dio egiziano identificato o associato con il
pianeta Saturno.
[20] Davide figlio di Iesse, è stato il
secondo re d'Israele durante la prima metà del X secolo a.C.
Valoroso guerriero,
musicista e poeta, accreditato dalla tradizione quale autore di molti salmi, Davide
viene descritto nella Bibbia come un personaggio dal carattere complesso,
capace al contempo di grandi crudeltà e generosità, dotato di spregiudicatezza
politica e umana ma al tempo stesso in grado di riconoscere i propri limiti ed
errori.
La vita di Davide è di
particolare importanza nelle tre religioni abramitiche, l'Ebraismo, il
Cristianesimo e l'Islam.
Nell'ebraismo, Davide,
della tribù di Giuda, è il re di Israele e da lui discenderà il Messia. Nel
cristianesimo, da Davide discende Giuseppe, padre putativo di Gesù. Nell'islam,
Davide è considerato un profeta.
[21] Il narratore esterno si ha quando la
voce narrante non partecipa alla storia che racconta, ma è soltanto la voce narrante che riferisce la
storia dall'esterno, parlando in terza persona.
L'adozione del narratore esterno che racconta in terza persona
consente di presentare i fatti da più punti di vista e in genere fa sì che la storia sia proposta con un taglio oggettivo ed
emotivamente più distaccato.
[22] Il narratore interno si ha quando la
voce narrante è uno dei personaggi della vicenda e, quindi, narra in prima persona (io narrante) i fatti ai quali partecipa o ha partecipalo
come protagonista, come figura
secondaria o anche in qualità di semplice testimone.
L'adozione del narratore
interno che registra i fatti in prima persona comporta necessariamente un punto
di vista piuttosto limitato, perché tutta la
storia è vista solo attraverso gli occhi del narratore, ma in genere conferisce alla storia la tensione emotiva di una
vicenda vissuta come esperienza diretta e personale.
[23] Il narratore onnisciente si
ha quando rivela in modo esplicito la sua funzione di narratore e di regista del racconto, intervenendo a fornire
spiegazioni, sollecitare l'attenzione del lettore, esprimere giudizi e
considerazioni.
[24] Il narratore
occulto si ha quando si
pone l'obiettivo di una narrazione oggettiva che sembra svolgersi da sé e quindi si limita a
raccontare i fatti senza intervenire con spiegazioni o commenti.
[25] Il protagonista è il
personaggio principale che è al centro del discorso narrativo, anche quando non compare direttamente in scena.
[26] L’antagonista è il personaggio che
contrasta il protagonista sul piano delle azioni o che gli si oppone anche soltanto sul piano psicologico.
Spesso è proprio lui a determinare la rottura dell’equilibrio che da inizio alla vicenda, ma può anche entrare in
scena quando ormai l'equilibrio iniziale è decisamente già rotto. In ogni caso,
con il suo comportamento è sempre il motore dello sviluppo dell'azione.
[27] L’oggetto è il personaggio
che costituisce lo scopo dell'impegno o del desiderio del protagonista, contrastato in ciò
dall'antagonista. La sua funzione, in un racconto o in un romanzo, è fondamentale perché spesso è, senza alcuna colpa,
la causa scatenante della vicenda.
[28] L’aiutante è il personaggio
che assiste, aiuta, protegge e favorisce il protagonista. Gli aiutanti che
dovrebbero aiutarlo ma che invece, per i motivi più diversi, finiscono per
danneggiarlo.
[29] L'oppositore
è il personaggio che cerca di ostacolare il protagonista. Di solito
l'oppositore è al servizio dell'antagonista di cui quindi è l’aiutante, ma può
anche agire di sua iniziativa. Anche gli oppositori possono essere più di uno e possono trasformarsi in falsi aiutanti,
cambiando campo e passando dalla parte
del protagonista.
[30] Nel discorso
diretto il narratore riferisce le parole del personaggio
direttamente, cedendo a tutti gli effetti la parola al personaggio,
collocandosi momentaneamente in secondo piano.
[31] Nel discorso
indiretto il narratore non riferisce direttamente le parole del
personaggio, ma le riporta indirettamente, attraverso la mediazione della
propria voce, inserendole cioè nel tessuto narrativo
come frasi dipendenti rette da verbi dichiarativi.
[32] Il discorso diretto libero si
ha quando mancano i verbi dichiarativi e le battute si succedono una
dietro l'altra con grande immediatezza, senza essere introdotte in alcun modo.
Questo modo di presentare le parole dei personaggi è immediato e vivace, nella
sua semplicità e consente di ridurre al
minimo la distanza fra il narratore e la storia e di porre il lettore
direttamente di fronte ai personaggi, senza la mediazione del narratore.
[33] Nel discorso indiretto libero il
narratore riporta i discorsi del personaggio in modo indiretto, ma senza
introdurli con i consueti verbi dichiarativi e utilizzando uno stile coerente
con il modo di esprimersi del personaggio.
Questa tecnica espressiva, che fonde insieme le caratteristiche del discorso
diretto e del discorso indiretto, consente di mettere in primo piano le parole
del personaggio senza interrompere la
continuità narrativa e senza appesantire il testo con troppi nessi
subordinanti.
[34] Il soliloquio e il monologo
interiore sono la trascrizione diretta, cioè in prima persona, senza mediazioni da parte del narratore,
delle parole che il personaggio pensa tra sé e sé, ma secondo alcuni studiosi, si differenziano l'uno
dall'altro. Nel soliloquio, infatti, il personaggio si rivolge idealmente a un interlocutore preciso,
lontano dalla scena, ma a lui ben presente; nel monologo interiore, invece,
questo non succede e il personaggio si limita a esporre le proprie riflessioni.
[35] Il flusso di coscienza è la
registrazione diretta di una serie confusa e quasi caotica di pensieri,
emozioni e immagini che si susseguono, spesso in modo del tutto illogico, nella
mente o nell'inconscio di un personaggio.
[36] Publio Cornelio Tacito (55 - 120 d. C)
probabilmente nacque nella Gallia Narbonese (ma forse a Terni o a Roma), da una
ricca famiglia del rango equestre. Studiò a Roma e divenne presto famoso come
oratore. Divenne anche amico di
Plinio il Giovane. Iniziò
la carriera politica sotto Vespasiano e poi sotto Tito e Domiziano. Poté però
dedicarsi alla carriera letteraria solo dopo la morte dell’ultimo dei Flavi.
Fu questore nell’81-82,
pretore nell’88 e nel 97 divenne console sotto Nerva. Abbandonata in seguito
l’oratoria, si dedicò solamente alla ricerca storica. Il primo degli scritti di
Tacito in ordine cronologico fu il “Dialogo
degli oratori” (81 d.C.); seguirono poi a breve intervallo nel 98 la “Vita di
Agricola” e la monografia geografico-etnografica sulla Germania; da ultimo, nella piena maturità,
vennero composte le Hitoriae e gli Annales, che narrano gli avvenimenti del
primo secolo dell'età imperiale, dalla morte di Augusto a quella di Domiziano
(14-96 d.C.).
[37] Il sellisternium o solisternium era un
banchetto rituale per le dee nell'antica religione romana. Si basava su una
variante delle teogonie greche, ed era considerata una forma di rito
appropriatamente "greca" per alcune divinità romane ritenute
originariamente greche, o con controparti chiaramente greche.
[38]Editto - ordinanza
emessa da magistrati
[39]Rescritto - pronunciamento
scritto di un sovrano avente valore di legge o di decisione inappellabile.
[40] L'eresiologìa è lo studio delle eresie e dei moti ereticali nel loro
aspetto storico e teologico.
[41]Roma - La supremazia di Roma è di diritto
divino e riposa su Matteo (16:17-19), e Giovanni (21:15-17). Ormai
praticamente nessuno nega che San Pietro visitò Roma e venne lì
martirizzato.
Nella
prima metà del terzo secolo San Cipriano usa il termine Trono di
San Pietro per la Sede romana e Tertulliano afferma che la Chiesa
Romana era stato fondata da Pietro mentre si ha una prima elencazione dei
Vescovi di Roma da parte di Ippolito che inizia con Pietro. Ireneo (che visita
Roma nel 177) parla di Igino come nono Vescovo di Roma.
Le prime
prove del primato rispetto agli altri vescovi risalgono a Papa Clemente
(88-101) nella sua epistola ai Corinzi scritta quando l’insegnamento
Apostolico era ancora fresco e gli Apostoli Giovanni e Matteo erano forse
ancora vivi. Alcuni anni più tardi (verso il 107) Sant’Ignazio di Antiochia
parla della Chiesa Romana come presiedenda su tutte le altre e
Sant’Ireneo ritiene che ogni Chiesa deve essere d’accordo con essa.
San
Cipriano (morto nel 258) attribuì un primato effettivo al Papa e Novaziano ritiene
che il papa ha autorità per deporre un vescovo eretico.
Tale
primato era noto anche agli Imperatori pagani: quando nel 270 Paolo di
Samosata, Patriarca di Alessandria deposto, si appella all’Imperatore
Aureliano questi praticamente risponde di rivolgersi al Papa.
Nel 330 il
trasferimento della capitale a Costantinopoli accresce il potere dei papi in
Occidente, mentre in Oriente viene visto sempre più come primato onorifico. E’
difficile, con un approccio laico, dirimere se all’epoca il Papa godesse della
primazia o della supremazia.
Nel 381 il
Concilio di Costantinopoli riconosce esplicitamente che la Sede romana è la
prima della Cristianità.
[42] Il brano è tratto dalla ‘Apologia
prima’
un’opera indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano.
In essa compare un tema che sarà ampiamente sviluppato
dall'apologetica cristiana, cioè la critica della prassi diffusa presso i
tribunali romani, per la quale il solo fatto di appartenere alla religione
cristiana era motivo sufficiente di condanna.
Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune
contraddizioni interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre
i cristiani sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e
latini sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze. L'opera si conclude
con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore Adriano, la quale
serve a Giustino per mostrare come anche un'autorità imperiale era del parere
di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a dei
pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco Aurelio e del "Miracolo
della pioggia" durante le guerre marcomanniche.
[43] Giustino
nacque a Sichem, in Samaria, nel II secolo dopo Cristo, ma era probabilmente di
origine romana. Giovane quieto, aveva cercato attraverso lo studio della
filosofia la verità e con essa la felicità, senza peraltro raggiungerla. Si
ritirò allora nel deserto, dove incontrò un vecchio saggio al quale confidò i
suoi tormenti. "Leggi i profeti, leggi il Vangelo - gli suggerì il vecchio
- e troverai quello che cerchi".
Giustino li lesse e la grazia di Dio gli illuminò
la mente e gli riscaldò il cuore. Giustino non rinnegò per questo la filosofia,
anzi trasse da essa motivi per dimostrare la ragionevolezza del Cristianesimo:
lo fece scrivendo una celebre Apologia e sostenendo accesi dibattiti con i più
filosofi del tempo. L'eco della sua attività giunse all'orecchio del prefetto
di Roma, impegnato in una dura persecuzione contro i cristiani. Così
Giustiniano fu processato. "Ho studiato tutte le scienze, ma solo nella
dottrina dei cristiani religiosamente seguiti ho trovato la verità"
rispose al prefetto che lo interrogava. E poiché non si scostò di un passo
dalla professione di fede pronunciata, fu condannato a morte. Fu decapitato,
dopo aver subito il tormento e l'ingiuria della flagellazione.
La figura di Giustino attrasse l'attenzione di Lev
Tolstoj il quale nel 1874 dedicò al santo cristiano una breve agiografia, Vita
e passione di Giustino filosofo martire.
[44] Si
riferisce all’oracolo di Oropo, fra Attica e Beozia, consacrato all'eroe
Anfiarao, divinizzato dopo la morte. Si narra infatti che Anfiarao aveva
ereditato il dono di prevedere gli eventi futuri.
[45]
Nella città di Dodona nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, si trovava un
oracolo dedicato a due divinità pelasgiche, Zeus, il dio del fulmine re
dell'Olimpo, e la Dea Madre, identificata con Dione. Secondo quanto riportato
dallo storico del V secolo Erodoto, Dodona fu il più antico oracolo di tutta la
Grecia, datandolo in epoca pre-ellenica, forse risalente al II millennio a.C.
[46] Nel
mondo greco la Pizia o Pitia indica la sacerdotessa di Apollo che nel santuario
di Delfi, situato presso l'omphalos,
l'«ombelico del mondo», dava i responsi. La posizione fu ricoperta da donne
scelte di Delfi per circa 2000 anni, dal 1400 a.C. fino al 392 d.C. quando la
pratica fu proibita dall'imperatore romano Teodosio I che, dopo aver reso il
Cristianesimo religione di Stato nel 380, aveva soppresso i culti pagani
attraverso i decreti teodosiani.
[47] Empedocle di Agrigento (492 – 432 a.C.)
fu medico, taumaturgo e scienziato. Compose due poemi di cui conserviamo una
gran quantità di frammenti: “Sulla natura” di carattere cosmologico, e “Le purificazioni”
di carattere teologico che si ispira all’orfismo e al pitagorismo.
Nel poema
“Sulla natura” spiega che la nascita
delle sostanze presenti nel cosmo deriva dall’unione di quattro elementi
fondamentali (acqua, aria, terra, fuoco) che rappresentano le radici del cosmo
e che la loro morte deriva dalla disunione di questi elementi.
Nei “Catarmoi” riprende la dottrina
orfico-pitagorica della metempsicosi.
Più che di
anima, Empedocle parla di “demone”:
esso rappresenta il nostro io più profondo che sopravvive anche dopo la morte
trasmigrando in altri corpi. Lui stesso rivela di essere stato «un tempo fanciullo e fanciulla, arbusto e
uccello e muto pesce del mare».
Secondo
Empedocle, esiste una legge necessaria di giustizia che fa scontare agli
uomini, attraverso una serie successive di nascite e morti, i peccati di cui si
macchiano: l’anima che si macchia di reati di sangue fra viene considerata
anche l’uccisione degli animali, sarà costretta, per purificarsi, a trasmigrare
di corpo in corpo per circa diecimila anni.
[48] Pitagora (Samo, tra il 580 e il 570 – Metaponto, 495 a.C. circa)
ci è rappresentata dalla tradizione come un profeta mago, operatore di
miracoli. Gli è stata attribuita una sapienza nascosta, che avrebbe preso
direttamente dal suo Dio protettore; Apollo, per bocca di una sacerdotessa di
Delfi.
Fondò una
scuola che fu anche un'associazione religiosa e politica e si diffuse in tutte
le città greche d'Italia meridionale, assumendo il potere politico ed
esercitandolo in senso aristocratico.
Nella
dottrina della metempsicosi: la scienza diventa metodo per purificarsi e
condurre l'anima alla salvezza: la sola dottrina filosofica che gli si può
attribuire con certezza è quella della Metempsicosi.
La
Metempsicosi è la trasmigrazione dell'anima, dopo la morte, in corpi di animali
o persone. Pitagora considerava infatti il corpo come una prigione dell'anima,
come la tomba dell'anima, la vita corporea era dunque una punizione.
La scienza
assume quindi un valore di purificazione; il mezzo per purificare l'anima e
condurla alla salvezza e alla liberazione.
[49]
Secondo Platone l'anima ci fa conoscere le idee e per questo è l'organo
fondamentale della conoscenza umana.
Platone è
un seguace dell'Innatismo, cioè la teoria secondo cui la fonte principale della
conoscenza non sta nell'esperienza ma nell'anima. Già alla nascita possiamo
conoscere il mondo circostante. Nel dialogo dal titolo Fedro si dice che un
tempo l'anima aveva le ali e volava verso le idee. Poi a causa di una colpa
originaria ha perso la capacità di volare ed è stata imprigionata nel corpo. La
filosofia che è conoscenza delle idee aiuta a volare, a riprendere contatto con
le idee. L'anima è la vera essenza dell'uomo cioè la sua forma perché il corpo
è imperfetto.
L'anima è
immortale e Platone fornisce diverse dimostrazioni o prove dell'immortalità.
Tutte le
cose nascono dal loro contrario. Dal vivente nasce il morto e dalla morte nasce
la vita. Niente muore mai del tutto. Con questa prova, Platone intende dare un
fondamento religioso e filosofico alla maieutica di Socrate. L'anima infatti
può partorire la verità perché ricorda un sapere che già possedeva in un'altra
vita, ma di cui ha perso consapevolezza. Ogni nuova conoscenza che acquisiamo
si collega a contenuti già presenti nella nostra mente. L'anima possiede una
predisposizione alla conoscenza. A contatto con l'esperienza si risveglia il
nostro sapere nascosto: ad esempio lo scrittore Proust, mangiando un biscotto
alla mandorla, ricordava i giardini dell'infanzia. Ricordare che per Platone
anima e mente coincidono. Platone quindi ha anticipato l'esistenza
dell'inconscio.
Ciò che è
composto, come il corpo, per natura è destinato a corrompersi: ad esempio,
decomposizione. Invece l'anima è semplice cioè non può subire nessuna
dissoluzione. Dopo la morte il destino dell'anima sarà diverso da quello del
corpo. L'anima è principio di vita per il corpo e quindi partecipa dell'idea di
vita. Quindi l'anima non può morire perché è impossibile nello stesso tempo
prendere parte a un'idea e al suo opposto.
L'anima
pur essendo unita al suo interno è distinguibile in tre componenti la cui
prevalenza determina il carattere di ciascuno. L'uomo saggio sa trovare
l'equilibrio tra le parti:
·
Razionale, se prevale quest'anima il carattere
sarà equilibrato e calcolatore.
·
Irascibile quando quest'anima può allearsi o con
la razionale o con la desiderativa. È il cuore l'unico organo capace di mediare
a seconda delle circostanze.
·
Concupiscibile è l'anima istintiva che guida i
nostri desideri e la sede è nel basso ventre.
L'immagine
del carro trainato dai due cavalli è presente nel Fedro. Il guidatore
rappresenta la razionalità. Il cavallo buono è il cuore e il cattivo il
desiderio. La ragione ha una funzione direttiva rispetto alla volontà del cuore
e al sentimento, cioè al desiderio. Importanza della cura dell'anima, che è
armonia, microcosmo. Ognuno di noi rappresenta un'immagine ridotta
dell'universo. Nell'universo infatti c'è armonia ed equilibrio e così ogni
essere umano, grazie alla filosofia, può trovare in sé il proprio ordine.
Platone
nota che mentre a ogni malattia andiamo dal medico per curare il corpo, non
facciamo altrettanto per l'anima ma alla cura dell'anima è fondamentale per
diventare esseri liberi.
Il mito di
Er narra di un soldato armeno: Er, morto di morte apparente per dieci giorni,
disceso quindi da vivo nel mondo dei morti, ha contemplato la vita
ultraterrena, ha visto come vengono assegnate le anime ai corpi che si
reincarnano e ha capito che la responsabilità di ciò spetta solo agli uomini. È
inutile incolpare gli dei delle conseguenze delle nostre azioni. Qualunque sia
la vita che ci spetta, la felicità o infelicità è legata alle nostre azioni.
[50] Socrate (Atene 470/469 - 399 a.C.) non
ha scritto opere. Il suo Pensiero è noto dai "Dialoghi" di Platone,
alla commedia "Le nuvole" di Aristofane ai "Memorabili" di
Senofonte. Il punto di riferimento per definire la sua personalità è la "Apologia di Socrate". Nel "Fedone" di Platone, Socrate
sostiene una dottrina dell'anima di derivazione orfico-pitagorica: l'anima è
immortale, è principio di vita, è quanto di più vero l'uomo possiede e la
filosofia è una vera e propria "cura
dell'anima" in quanto l'anima è l'unico titolo del messaggio
filosofico.
Socrate
sostiene la "virtù dell'anima". La parola greca che è
tradotta in "virtù" è
"areté".
Essa ha un
significato ampio: non è solo "virtù"
nel senso etico del termine, ma è anche "virtù" nel senso di "funzione",
"capacità", "qualità". Per Socrate, come per
Platone ed Aristotele, la "virtù
dell'anima" sta nel raggiungere
il suo bene: l'eudaimonia (felicità). Solo l'eliminazione della malattia
dell'anima, ossia il vizio, stabilire l'adempimento di raccontare bene.
Mentre per
Socrate già semplicemente "essere
virtuoso" significa "essere felice", per Aristotele questo non basta: sicuramente "essere virtuoso" (si intende anche: possedere un patrimonio, degli
amici, una famiglia, la salute, ecc., Oltre che comportarsi bene) è una
condizione necessaria per "essere
felice", ma non è sufficiente;
infatti, per Aristotele, la felicità è la realizzazione della parte migliore
dell'anima, l'intelletto. Aristotele, dunque, ritiene che l'anima sia divisa in
parti, mentre per Socrate (che mutua molte cause teorie dai pitagorici) l'anima
è una entità monolitica.
Si dice
che gli antichi sono sostenitori di una "etica eudaimonistica",
un'etica il cui scopo è il successo di una cosa ma bisogna vivere
teoreticamente). Per l' "etica cristiana", invece, la felicità non
può essere raggiunta in vita, ma viene raggiunta in un altro mondo. L'etica
post-kantiana è soprannominata "etica deontica" perché si fonda sul
senso del dovere: perché devo essere virtuoso? Perché devo!
[51] Il problema,cioè qualcosa su cui prendere una
decisione, sta alla base di ogni testo argomentativo
[52] La tesi è l'opinione che
l'autore del testo esprime sul problema in questione la propria tesi, cioè la propria opinione.
[53] L’argomentazione è una prova portata dall'autore del testo, allo
scopo di convincere i suoi interlocutori
a condividere la sua tesi.
[54] L’antitesi per prevenire le possibili obiezioni dei suoi
interlocutori, l'autore espone lui stesso la tesi da essi sostenuta e contraria
alla sua, cioè l'antitesi; Tu sostieni che un cane farebbe la guardia alla casa e sarebbe più affettuoso di un micio, ma
io non sono d'accordo.
[55] Le conclusioni
sono la somma della sua argomentazione in una conclusione in cui ribadisce la
sua tesi riguardo al problema.
[56]
Nell’Octavius,
un dialogo tra il pagano Cecilio Natale e il cristiano Ottavio Ianuario, un
avvocato provinciale, amico e compagno di studi di Felice Minucio, Felice
dapprima ricorda l’amico Ottavio. Inizia poi a raccontare la conversazione
durante la quale Ottavio convertì al cristianesimo il comune amico Cecilio.
Cecilio
propone le ragioni del paganesimo: l’uomo che è finito non può conoscere il dio
infinito, bisogna tuttavia mantenere la religione degli avi, per conservare la
tradizione e l’unità politica dell’Impero, fondata sul politeismo.
Egli
accusa i cristiani di uccidere bambini, mangiare carne umana (fraintendendo
l’eucarestia: il rito del “mangiare il corpo di Cristo”) e di incesto (per via
del loro uso di chiamarsi “fratelli” e “sorelle” anche tra coniugi).
Ottavio
controbatte esponendo il contenuto della sua religione: la provvidenza di Dio è
testimoniata dalla bellezza e armonia del cosmo; la religione pagana è
sanguinaria, basata com’è su sacrifici di bestie innocenti e spesso anche di
esseri umani, mentre il Cristianesimo si fonda su carità, fede e semplicità.
Cecilio alla fine si dichiara convinto.
L’Octavius
è scritto in un latino elegante e si ispira ai dialoghi di Cicerone, di cui
riprende la cura per l’ambientazione e la tecnica espositiva, nel tentativo di
instaurare un dialogo con il paganesimo. Minucio tende a conciliare concezione
classica e messaggio cristiano, pur non nascondendo la sua condanna del
materialismo religioso dei Romani.
Ottavio,
Cecilio e Minucio si recano per la cura delle acque ad Ostia dove, durante una
passeggiata lungo la spiaggia, Cecilio tocca e bacia una statua di Serapide.
Ottavio rimprovera quindi Minucio per non aver messo in guardia Cecilio dalla
venerazione superstiziosa delle statue. Nel frattempo i tre amici continuano a
passeggiare e vedono alcuni ragazzi che giocano con i sassi sulla riva del
mare. Cecilio, indifferente al gioco dei ragazzi, rimane turbato dalle parole
di Ottavio sulla superstizione e gli chiede di poter discutere sull’argomento.
[57] Marco Minucio Felice, nativo della
Numidia, esercitò l’avvocatura a Roma. Di famiglia pagana, trasferitosi a Roma
si convertì al cristianesimo e scrisse un dialogo apologetico, l’Octavius (fine
II secolo d. C.), esponendo la discussione, a cui Minucio partecipa come
moderatore, tra il pagano Cecilio ed il cristiano Ottavio.
[58] Tertulliano scrive l’Apologetico nel 197, pochi anni dopo la
sua conversione al Cristianesimo.
Si tratta, probabilmente, della prima
opera di questo tipo scritta in lingua latina: un’orazione in stile retorico
rivolta ai magistrati di Cartagine e, più in generale ai pagani, per difendere
i cristiani dalle accuse di illegalità e di irreligiosità loro rivolte.
Nella parte finale dell’opera,
Tertulliano si rivolge, per confutarli, a quei pagani che considerano il
cristianesimo come un nuovo tipo di filosofia. Egli delinea un confronto tra il
modo di vivere e di pensare dei filosofi e dei cristiani, da cui emergono le
profonde differenze di moralità e di integrità intellettuale.
In questo passo Tertulliano, con tono
a volte ironico, mostra come i filosofi greci, pur avendo anch’essi attinto
all’unica antica sapienza, quella trasmessa da Dio a Mosè e ai Profeti, non
siano stati in grado di dire cose sensate su Dio e sul mondo.
Tertulliano
mescola alle critiche ai filosofi l’attacco agli gnostici e agli eretici,
colpevoli di aver imparato dai filosofi a deformare il senso delle Scritture
Tertulliano scrive l’Apologetico nel 197, pochi anni dopo la sua conversione al
cristianesimo.
[59] Quinto Settimio Fiorente Tertulliano,
conosciuto semplicemente come Tertulliano, è stato uno scrittore romano e
apologeta cristiano, fra i più celebri del suo tempo. Negli ultimi anni della
sua vita entrò in contatto con alcune sette ritenute eretiche, come quella
riconducibile al prete Montano; per questo motivo fu l'unico apologeta
cristiano antico, insieme ad Origene, a non ottenere il titolo di Padre della
Chiesa.
[60] Si
tratta di notizia priva di fondamento storico.
[61]
Nella parte precedente Tertulliano ha sottolineato come gli unici veri moventi
dei filosofi, che fingono di cercare la verità, siano la gloria e la vanità.
[62] Il
riferimento è agli epicurei, i quali sostengono che l’anima è fatta di atomi.
Il riferimento è agli epicurei, i quali sostengono che l’anima è fatta di
atomi.
[63]
Tertulliano si riferisce agli eretici e agli gnostici, che avrebbero imparato
dai filosofi a stravolgere il senso dei Vangeli.
[64]
Secondo i Vangeli sinottici, il nome della valle infernale, dove i malvagi
bruceranno nel fuoco eterno.
[65] Uno
dei fiumi che scorrono nell’Ade, il cui nome significa letteralmente «ciò che
arde come fuoco»: cfr. per esempio, Odissea, libro X, v. 513
[66] La
terra felice dei beati. Presente già nell’Odissea come luogo collocato a
occidente della Terra (libro IV, vv. 563), essa sarà poi proiettata nell’aldilà
e spesso richiamata nel mondo latino
[67] I Padri apologisti - Gli Apologisti sono quegli
scrittori ecclesiastici che, soprattutto nel II secolo, cercarono di difendere
il Cristianesimo perseguitato.
I loro scritti segnarono così un
momento di incontro
e di scontro
tra Cristianesimo nascente e cultura pagana
L’apologetica cristiana
del II secolo - Gli Apologisti sono quegli scrittori ecclesiastici che, soprattutto nel II secolo, cercarono di dimostrare l’innocenza dei cristiani
perseguitati e di esaltare la fede
cristiana.
Le apologie potevano essere dirette sia contro i pagani sia contro gli ebrei.
·
Le prime (ad esempio
l’Apologetico di Tertulliano o le Apologie di S. Giustino) venivano
generalmente indirizzate alle autorità politiche o al popolo o, talvolta, a una
singola persona;
·
Le seconde hanno un carattere
particolare perché l’apologista cerca con esse di comprovare il compimento
delle profezie precristiane sulla base dell’Antico Testamento: un ottimo
esempio è il Dialogo con l’ebreo Trifone di S. Giustino.
I primi Apologisti - Gli scritti degli Apologisti segnarono un momento di scontro, ma anche di incontro, del Cristianesimo nascente con una cultura pagana ormai in declino ed ebbero grande importanza perché contribuirono non
poco al riconoscimento ufficiale della Chiesa. La lingua usata fu il greco
prima e più tardi il latino.
Tra gli apologisti di lingua
greca del II secolo vanno menzionati:
·
San. Giustino (di cui sono
noti il Dialogo con Trifone e le due Apologie);
·
Atenagora, filosofo cristiano di Atene,
e S. Teofilo di Antiochia.
Tra
gli apologisti
latini
del II e III secolo dobbiamo menzionare:
·
Marco Minucio Felice,
autore dell’Octavius;
·
Tertulliano.
[68] animazione della Sapienza
Superiore come Eone a sè separato dal Pleroma o mondo ideale
superiore: Ectroma: significherebbe: l'ultimo degli Eoni: Cristo.
[69] Eresia - Dal greco hairesis: scelta,
opinione. Una dottrina contraria alla fede comune della
Chiesa, al dogma.
L’eretico
sceglie una parte
della dottrina cristiana, tralasciando più o meno volutamente altre parti. Non
è corretto affermare che sia eretica una dottrina diversa da
quella ufficiale, ma piuttosto è eretica l’assolutizzazione
di un singolo punto
della dottrina a discapito di altri.
[70] Le
origini dello Gnosticismo - Sin dal XIX secolo il problema
delle origini dello Gnosticismo ha appassionato e diviso gli studiosi, che non
hanno tutt’oggi una posizione univoca e definitiva sull’argomento.
Si può dire che esistono due
principali “scuole di pensiero” sull’argomento:
·
Alcuni affermano, in vario modo,
l’origine cristiana dello
Gnosticismo sottolineando i punti di contatto con la dottrina cristiana.
·
Altri sostengono invece un’origine non cristiana, e precisamente orientale (iranica), di questo movimento religioso. È la tesi oggi maggiormente
sostenuta.
La biblioteca
gnostica di Nag Hammadi - La nostra conoscenza dello Gnosticismo è molto migliorata dopo la
scoperta di una vera e propria “biblioteca”
gnostica a Nag Hammadi, in Egitto. Il ritrovamento di testi sino a oggi sconosciuti ha infatti permesso di verificare le citazioni e
i sunti della dottrina gnostica tramandatici dai Padri della Chiesa in opere
antieretiche.
Quelle citazioni e quei sunti
erano - a quanto pare - abbastanza precise, anche se lo studio diretto dei
testi originali permette di allargare le conoscenze.
La dottrina
gnostica - Lo Gnosticismo non era un
movimento unitario, ma lacerato da profonde
divisioni e frammentato in una moltitudine di sette e “scuole”, a volte dagli usi e dalle dottrine diametralmente opposti.
Ciononostante è possibile
riassumere sommariamente le loro dottrine in alcuni punti fondamentali.
1.
Secondo gli gnostici il mondo non è stato creato dal Dio di Gesù
Cristo ma da un dio inferiore, il demiurgo, caratterizzato in modo negativo;
2.
La materia, creata dal demiurgo, è negativa. “Vivere nel corpo è come essere in esilio”, lontano dal vero
Dio;
3. Lo gnostico giunge a conoscenza di
questa condizione grazie al pneuma, lo spirito, inteso quasi come una scintilla
divina sepolta nell’uomo, e per questa conoscenza è in grado di
salvarsi, ritornando a Dio.
La Chiesa contro
lo Gnosticismo – L’eco degli scontri tra cristiani
e gnostici si fa sentire già negli scritti del Nuovo Testamento. Il Prologo del Vangelo di Giovanni sembra redatto proprio allo scopo di
confutare la dottrina gnostica della creazione. Allo stesso modo altri scritti
di Giovanni portano traccia dello scontro con alcune sette gnostiche
particolari, come i nicolaiti e i doceti.
Il più importante avversario
dello gnosticismo fu il vescovo Ireneo di Lione, autore di una monumentale opera dal titolo Contro le eresie.
In quest’opera come in testi
antignostici di altri autori si evidenziano i punti di maggior distanza tra
Cristianesimo e Gnosticismo: in particolare, viene ribadita la generale bontà della
creazione ed affermata risolutamente la
salvezza solo per l’opera mediatrice di Cristo, e non per una qualche particolare conoscenza.
[71] Montanismo - Eresia che prende il nome da quello
del fondatore, Montano, che costituì una vera e propria chiesa scismatica
nel 170. Si tratta in definitiva di una sorta di movimento carismatico ante-litteram,
dai forti accenti millenaristi.
[72] Plinio il giovane nacque a Como
nel 61 da una facoltosa famiglia di rango equestre. Alla morte del padre fu
adottato dallo zio Plinio il Vecchio che gli diede il proprio nome. Studiò a
Roma sotto la guida del famoso oratore Quintiliano.
Fu
avvocato e uomo politico sotto i Flavi, console nel 100 e poi governatore della
Bitinia sotto Traiano, che celebrò nel magniloquente “Panegirico”. Morì probabilmente nel 112.
Nell’“Epistolario”, in 10 libri, annotò fatti
di interesse pubblico e privato, che ci offrono uno spaccato della società del tempo.
Notevole
storicamente il X libro, comprendente il carteggio di Plinio con Traiano sulla
situazione giuridica dei cristiani; tra le lettere di maggiore interesse va
inoltre ricordata l’epistola all'amico Publio
Cornelio Tacito, che narra l’eruzione del Vesuvio in cui perse la vita lo
zio Plinio il Vecchio. Plinio appare nelle lettere come un generoso filantropo,
interessato alle attività culturali, alle arti e all'architettura.
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