IV UNITÀ
Comunicazione. Il testo
argomentativo – Per testo argomentativo si intende la presentazione di
un’argomentazione, discussione o dimostrazione che si fa adducendo argomenti favorevoli
e contrari a quanto si espone; le argomentazioni sono ragioni, opinioni, prove,
pro o contro una certa tesi.
Sono testi argomentativi sono i saggi,
gli articoli problematici.
Oggetto dell’argomentazione possono
essere:
·
idee, problemi, previsioni, fatti, comportamenti.
Il testo argomentativo può:
·
riguardare un fatto di attualità
·
affrontare un argomento di carattere generale o culturale
di qualsiasi disciplina.
Riflessioni sulla lingua. Verbi transitivi
e verbi intransitivi - Un verbo
è transitivo quando l’azione transita
direttamente su qualcosa o qualcuno; in altre parole, quando il verbo può
reggere un complemento oggetto.
Per esempio il verbo dirigere
è transitivo perché regge un complemento oggetto come un’azienda, un’orchestra,
il traffico, ed altro.
Il verbo nuotare,
invece, è intransitivo perché non può reggere in alcun modo un complemento
oggetto.
Alcuni verbi
transitivi, in certi casi, possono avere un significato intransitivo.
Possiamo dire: “Piero legge il quotidiano”, ma possiamo dire
soltanto: Piero legge, per dire che è impegnato nell’attività della lettura.
Ugualmente si può dire: Baglioni
canta Questo piccolo grande amore, ma se togliamo il complemento oggetto,
resta Baglioni canta, il che significa che l’attività di Baglioni è cantare.
Viceversa, alcuni verbi intransitivi possono avere un
complemento oggetto (detto complemento oggetto interno) che ha la stessa radice
del verbo o che comunque ha una correlazione con esso.
Ha vissuto una vita intensa. (Vivere e vita hanno la
stessa radice.)
Egli pianse lacrime amare. (Fra piangere e lacrime c’è un
nesso di significato.)
Riflessioni sulla lingua. Complemento diretto o
complemento oggetto - Esso
indica l’oggetto sul quale cade direttamente l’azione espressa dal verbo
transitivo attivo[1]. Risponde alla domanda chi?
che cosa?
Es.: Luca legge il
giornale.
Luca (soggetto) legge (predicato) il giornale («che cosa»?
complemento oggetto).
Riflessioni sulla lingua. Attributo - È un aggettivo che, accompagnando un
nome, gli attribuisce una qualità o un’altra determinazione: per questo gli
aggettivi si distinguono in aggettivi qualificativi ed aggettivi determinativi
o pronominali[2].
Es.: I libri usati
(attributo) non mi piacciono.
La mia (attributo) casa è in collina, ecc.
Riflessioni sulla
lingua. La proposizione oggettiva - La proposizione subordinata oggettiva è una proposizione
subordinata che fa da complemento oggetto al predicato della reggente:
Es Desideriamo che tu sia presente (prop. subordinata
oggettiva).
Es.: Desideriamo la tua presenza (complemento oggetto).
Diversamente dalla soggettiva, la proposizione oggettiva
dipende sempre da reggenti con il predicato costituito da un verbo usato in
forma personale, cioè fornito di soggetto espresso o sottinteso. In particolare,
può essere retta:
·
da
verbi che enunciano una dichiarazione, come dire,
affermare, proclamare, comunicare, informare, rivelare, raccontare, riferire, promettere, scrivere, telegrafare, telefonare, rispondere, negare ecc.:
“Gli zii hanno scritto che verranno
qui a Natale”; “Ti prometto che rientrerò presto”; “Rispose che non sapeva
nulla”;
·
da
verbi che indicano percezione o ricordo, come vedere, sentire, udire, percepire, accorgersi, degnarsi, rifiutarsi, capire, dimenticare ecc.:
“Ho sentito che stavano litigando”;
“Ricorda che devi finire subito quel
lavoro”;
·
da
verbi o locuzioni che indicano opinione, giudizio, sospetto, dubbio o ipotesi,
come credere, pensare, ritenere, giudicare, supporre, ipotizzare, convincere, essere conscio, essere consapevole, essere convinto, rendersi conto ecc.:
“Credo che lo spettacolo finirà fra
poco”;
“Perché ritieni che abbia ragione
Mario?”;
“Si convinse di essere un incapace”;
·
da
verbi o locuzioni che indicano concessione, speranza, desiderio, ordine,
divieto, timore, come desiderare, sperare, comandare, vietare, impedire, proibire, permettere, concedere, promettere, temere, essere desideroso, essere timoroso ecc.:
“Temo che non otterremo alcun
risarcimento”;
“Gli impediremo di fare altri danni”.
Nella forma esplicita,
l’oggettiva è introdotta dalla congiunzione subordinante che e ha il verbo:
·
all’indicativo,
se la reggente annuncia un fatto come reale o certo:
“Paolo dice che gli hai mentito”;
·
al
congiuntivo, se la reggente presenta il fatto come un’opinione o un’ipotesi:
Es: Paolo crede che tu gli abbia mentito;
·
al
condizionale, se la reggente presenta il fatto come possibile:
Es: Paolo pensa che saresti capace di mentirgli.
Nella forma implicita, invece, l’oggettiva è introdotta dalla
preposizione di e ha il verbo
all’infinito:
Es: Spero di rientrare
per le sette;
Es: Ricordati di
passare dal meccanico.
Come appare dagli esempi, la costruzione implicita
dell’oggettiva, di norma, è possibile solo se il soggetto della reggente è lo
stesso di quello dell’oggettiva. Essa, tuttavia, è possibile, anche se i
soggetti non coincidono:
·
con
i verbi come ordinare, comandare, richiedere, proibire, vietare, impedire, concedere ecc.:
Es: Il generale ordinò ai soldati di attaccare battaglia;
Es: Vi prego di tacere;
Es: Il medico ha proibito al nonno di alzarsi;
·
con
i verbi indicanti percezione, come sentire,
udire, vedere ecc. In questo caso, però, l’infinito non è preceduto dalla
preposizione di:
Es: Sento abbaiare il cane;
Es: Vide arrivare i bambini di corsa.
·
Con
questi verbi, inoltre, l’oggettiva implicita può essere trasformata sia in
un’oggettiva esplicita, sia in una dipendente relativa
Riflessioni sulla lingua. Discorso diretto e
discorso indiretto -
Il discorso diretto si ha quando il narratore riporta in
forma di dialogo le parole dei personaggi. Le battute sono segnalate dall’uso
di formule del tipo dissi, sussurrò, chiesero.. seguite dai due punti e virgolette.
Il discorso indiretto
è il modo in cui vengono riportate, in una proposizione subordinata, le parole
dette in precedenza.
C’è da un lato la possibilità di riportare quanto è stato
detto ripetendo l’enunciato in forma invariata e usando per esempio le
virgolette:
Es.: Luigi XIV disse: “Lo stato sono io”.
In questo caso si riporta l’enunciato usando il discorso
diretto.
Con il discorso indiretto, al contrario, l’enunciato è
integralmente incorporato in quello di chi lo sta citando:
Es.: Luigi XIV disse che lo
stato era lui.
Dato che il contesto in cui l’enunciato è prodotto non è più
lo stesso, nasce la necessità di adattare ogni forma di deissi, cioè tutte le indicazioni di tempo, persona e di
luogo.
Quando il
verbo è al presente, la seconda frase non cambia.
Es.: Mario
dice: “Sta per piovere”
Mario dice
che sta per piovere.
Quando il verbo è al passato, sono necessari alcuni
cambiamenti nella seconda frase. Il presente cambia nel passato, il futuro
cambia nel condizionale molte volte.
Es.:La signora ha detto: “Voglio il vestito bianco”
La signora ha detto che voleva il vestito bianco.
Io ho
insistito: “Non uscirò prima delle nove”
Io ho
insistito che non uscivo prima delle nove.
Mio nonno mi
ha detto: “Ti racconto una storia”.
Mio nonno ha
detto che mi avrebbe raccontato
racconterò una storia”.
Quando i
verbi sono al presente e al passato.
Es.: Il
padre dice: “So che Piero ha mangiato al ristorante italiano”
Il padre
dice che sa che Piero ha mangiato al ristorante italiano
Dario ha detto al preside : “Mi dispiace, che mi
sono comportato male”
Dario ha
detto al preside che gli dispiaceva di essersi comportato male.
La figlia
dice alla mamma: “domani vengo con te al mercato”
La figlia
dice alla mamma che il giorno dopo va con lei al mercato.
Il papà dice
al figlio: “lavati bene”.
Il papà dice
al figlio di lavarsi bene.
Educazione letteraria.
I personaggi – Un
altro elemento base della storia è costituito dai personaggi. Essi sono coloro
che eseguono le azioni o le subiscono; senza di loro è impossibile immaginare
di muovere alcun atto narrativo.
La costruzione di un personaggio con le sue caratteristiche
fisiche, la sua indole, le sue aspirazioni, le sue qualità, negative o
positive, avviene attraverso la delineazione dei tratti caratterizzanti del suo
aspetto e della sua personalità.
La costruzione del personaggio prende avvio dalla cosiddetta presentazione che può avvenire
attraverso tre modalità fondamentali:
·
dal
narratore, quando questi interviene a
fornire informazioni esplicite sul carattere e/o su altri aspetti del
personaggio, magari commentando e valutando il suo operato, in tal senso la
presentazione è sostanzialmente oggettiva.
·
dal
personaggio stesso, quando si tratta
di un autoritratto disegnato in prima persona e perciò in tal senso la
presentazione è sostanzialmente oggettiva;
·
da
un altro personaggio e in tal senso
la presentazione è sostanzialmente soggettiva;
·
dal
narratore, dal personaggio stesso e da
un altro personaggio: si tratta di una presentazione composita affidata a più
persone (narratore, personaggi vari), ognuna delle quali aggiunge secondo il
proprio punto di vista una nota al ritratto di un determinato personaggio.
Talvolta
il personaggio è presentato solo in modo indiretto, attraverso le sue azioni, i
suoi comportamenti, i suoi discorsi, che il lettore interpretare come altrettanti indizi
del modo di essere del personaggio stesso.
La
costruzione del personaggio prosegue per tutto il corso della narrazione,
attraverso un processo di caratterizzazione, attuato mediante un accumulo di elementi che potranno
emergere dalle vicende stesse, dal giudizio di altri personaggi, da annotazioni
più o meno ampie del narratore e così via. Il tipo di caratterizzazione più
frequente è quella fisica e psicologica a cui si possono aggiungere altri
livelli di analisi, importanti ma non indispensabili:
·
Livello
fisico ossia la descrizione dell’aspetto fisico (magro grasso, alto magro,
atletico robusto) e dei caratteri somatici (capelli, fronte, occhi, naso,
bocca)
·
Livello
psicologico ossia l’analisi di sentimenti, emozioni e stati d’animo che il
personaggio vive in determinate circostanze della vicenda.
·
Livello
sociale ossia la analisi della classe
sociale cui il personaggio appartiene connessa ai due elementi dello status[3] e
della stratificazione sociale[4].
·
Livello
culturale ossia l’analisi del tipo di cultura che possiede,
·
Livello
ideologico ossia l’analisi dei valori e degli ideali in cui crede.
T 5 Il mito di Deucalione e Pirra
Da Le metamorfosi di Ovidio
·
Prometeo aveva
un figlio, Deucalione che aveva sposato Pirra, sua cugina, in
quanto figlia del fratello di suo padre, Epimeteo. I due giovani sposi si
stabilirono a Ftia, ai piedi del monte Parnaso, dove cercarono di regnare nel
bene e sforzandosi di dare la pace ai proprio sudditi.
·
Gli uomini però,
usciti dal mondo primitivo grazie all'illuminazione del fuoco e agli
insegnamenti di Prometeo, iniziarono a sentirsi al pari
degli dèi, trascurando gli obblighi religiosi; i popoli divennero superbi,
cattivi e maligni, si armarono gli uni contro gli altri e sulla Terra
scoppiarono molte guerre che portarono alla rovina molte
città. Zeus allora decise di distruggere il genere umano, sommergendolo
sotto le acque col Diluvio Universale.
·
Tutti gli uomini
morirono, meno due Pirra e Deucalione, perché Zeus
sapeva che egli era l'unico principe onesto, giusto e religioso, e Pirra,
l'unica donna savia e virtuosa che esistesse, perciò bisognava salvarli. Per
volere di Zeus furono messi su una barca e vi navigarono per tutta la durata
del Diluvio, nove giorni, fino a quando la barca non approdò sulla vetta del
Parnaso, e l'unica coppia umana sopravvissuta al castigo
divino poté finalmente scendere e toccare la terra.
·
Deucalione e Pirra si
ritrovarono uno spettacolo di desolazione, di rovine, camminarono fino ad una
valle dove trovarono un tempio. Lo riconobbero per l'oracolo di Temi, la dea
della giustizia; lo consultarono e ne ebbero questa enigmatica risposta:
"Uscite dal tempio e gettate dietro le vostre spalle le ossa della Gran
Madre".
·
Stettero a lungo
a pensare a queste parole, ma un giorno Deucalione si illuminò e capì
che la Gran Madre era la terra, e le ossa della Terra erano le pietre; così le
pietre gettate da Deucalione, appena toccarono la terra, diventarono uomini e
quelle gettate da Pirra, diventarono donne. In questo modo la Terra si
ripopolò.
Divide dai campi Elei[5] gli
Aoni[6] la
Focide: una fertile terra, fin quando era terra, ma all'epoca un braccio di
mare, una piana vastissima di acque inattese. Vi sorge un monte scosceso, che
leva due vette alle stelle: si chiama Parnaso[7], e
sovrastano le cime le nuvole. Qui Deucalione (nient'altro lasciava scoperto
l'oceano) sbarcò da una piccola zattera insieme alla moglie: si prosternano
alle ninfe Coricie[8], ai numi dei monti, a Temi[9]
profetica, all'epoca custode degli oracoli.
Non esisteva a quel tempo un uomo migliore di lui, né più
amante del giusto, o una donna che più temesse gli dèi. Ma quando vide il mondo
allagato da chiare paludi, e solo un uomo rimasto di tante migliaia, e solo una
donna rimasta di tante migliaia, l'uno e l'altra innocenti, l'uno e l'altra
devoti agli dèi, Giove fece a brandelli le nuvole, e con l'Aquilone scacciò gli
uragani. Al cielo fa vedere la terra e l'etere alla terra.
Non dura, la rabbia del mare; posa la lancia tricuspide, il
re dell'oceano, placa le acque e fa emergere, chiamandolo, sopra gli abissi,
l'azzurro Tritone[10], le
spalle coperte di incrostazioni di murici; gli ordina di soffiare nella
conchiglia sonora per dare finalmente ai flutti e ai fiumi il segnale di
ritirarsi. Tritone afferra la vuota tromba, la tromba ritorta che cresce a
spirale e dal basso s'allarga, e, appena animata dal fiato là in mezzo all'oceano,
empie di musica i lidi sotto il primo e l'ultimo Febo[11].
Bastò che toccasse le labbra bagnate del dio sotto la barba grondante, e
cantasse a gran voce l'ordine di ritirata, perché l'ascoltasse ogni flutto per
terra e per mare e frenasse ogni flutto in ascolto. Il mare ritrova le rive,
rientrano gonfi nel letto i fiumi, le acque si abbassano, si vedono colli che
spuntano; la terra s'innalza e più calano i flutti più crescono i dossi e dopo
un giorno lunghissimo, i boschi mettono a nudo le cime e il fango rimasto
attaccato alle foglie.
Il mondo è tornato. Ma appena Deucalione lo vide deserto e
abbandonate le terre a un silenzio profondo, gli vengono agli occhi le lacrime,
e così parla a Pirra: «Sorella, moglie, che ormai sei l'unica donna superstite,
cui mi lega una stessa famiglia, il rapporto fraterno dei padri, poi il
matrimonio, e mi legano adesso le prove subite, tutte le terre che guardano a
occidente e a oriente siamo noi due a popolarle; gli altri se li è presi il
mare. Perfino la vita che abbiamo, non possiamo ancora fidarcene con certezza;
anche ora, le nuvole ci gettano il panico in cuore. Che proveresti, adesso, a
trovarti strappata al destino senza di me, disgraziata? In che modo potresti,
da sola, sopportare il terrore? Un conforto al dolore, a chi andresti a
richiederlo? Quanto a me, credi pure, se il mare si fosse preso anche te ti
seguirei, moglie, e il mare si prenderebbe anche me. Ah, se potessi, con l'arte
di mio padre, rimettere in piedi le genti, plasmare la terra e soffiarci le anime
dentro! Adesso il genere umano dipende soltanto da noi; così hanno voluto i
Celesti[12]:
restiamo a campione degli uomini».
Così disse: e piangevano. Scelsero d'invocare i poteri
celesti, consultando gli oracoli sacri per averne un soccorso. Senza indugio,
si mettono insieme per via verso le onde del Cefiso[13], non
limpide ancora, ma tornate a solcare il solito letto. Qui attingono l'acqua e
ne spruzzano il capo e le vesti, volgendo poi i passi al santuario della gran
dea, dai frontoni macchiati di lurido muschio: gli altari spogli di fuoco, ma
ancora in piedi.
Raggiunti i gradini del tempio, lui e lei si prosternano, la
faccia a terra e tremanti; baciarono la pietra gelata e dissero: «Se le
preghiere dei giusti sono capaci di conquistare gli dèi e intenerirli, se
possono stornare l'ira divina, rivelaci, Temi dolcissima, il mezzo per
compensare la morte del genere umano, soccorri il mondo sommerso!».
La dea si commosse, e concesse un responso: «Uscite dal
tempio, velatevi il capo e sciogliete la cinta degli abiti; le ossa della gran
madre, buttatele dietro le spalle».
Restarono a lungo smarriti: la prima a spezzare il silenzio è
Pirra: rifiuta, dichiara, di mettere in atto il comando, implora, con labbra
tremanti, perdono: le manca il coraggio di oltraggiare lo spettro materno
buttandone in giro le ossa. Ma dentro di loro ritornano al responso sentito, e
fra loro rimuginano quelle sentenze, oscure di occulti segreti. Finché, per
rassicurare la figlia di Epimeteo, il figlio di Prometeo pronuncia frasi di
conforto: «O la ragione mi inganna, o il responso rispetta la devozione
filiale, e non vuole invitarci a un crimine. La grande madre[14] è la
terra; la terra ha un corpo, e suppongo che i sassi si possano dirne le ossa.
Secondo il comando, questi dobbiamo buttarci dietro le spalle».
Sebbene l'abbia colpita la profezia del marito, la figlia del
Titano[15] ha
ancora paura a sperare: a tal punto diffidano i due dei comandi celesti. Ma a
fare una prova, rischio non c'è. Si allontanano, si velano il capo, si
sciolgono la tunica e, seguendo il comando, man mano che procedono si buttano
dietro dei sassi. E i sassi (chi lo crederebbe, se ad attestarlo non fosse la
tradizione?) perdettero via via la durezza e il rigore, si fecero molli col
tempo e assunsero, molli, una forma. Quindi, una volta ingrossatisi e presa
un'essenza più docile, comincia a potervisi scorgere una sorta di immagine
umana, ancora non chiara: li diresti abbozzati nel marmo, piuttosto imprecisi e
assai somiglianti a rozze sculture.
La parte dei sassi impregnata di qualche umore e di terra si
muta in materia corporea, la parte inflessibile e solida si cambia in ossa: le
vene di prima conservano il nome; così, per volere celeste, in breve tempo le
pietre gettate dal pugno dell'uomo assunsero aspetto di uomini e rinacque la
donna da quelle che ha lanciato la donna. Perciò siamo duri di razza e rotti ai
disagi: forniamo le prove del ceppo da cui siamo nati.
Tutti gli altri viventi, in forme diverse, la terra li
partorì senza aiuto, una volta scaldati dal fuoco del sole i resti del liquido,
e gonfiate dal calore le molli paludi e il fango, e i germi fecondi del tutto,
nutriti, a sembianza di un utero materno, da una terra vitale, sbocciarono e
assunsero forme, col tempo, di questo o di quello.
Così, ogni volta che lascia i campi fradici il Nilo a sette
foci e riporta i flutti nel letto di un tempo, e il fango fresco è bruciato
dall'astro del cielo[16], i
contadini che vengono a voltare le zolle vi scoprono moltissime cose viventi,
qualcuna già perfezionata nell'atto stesso di nascere, qualcuna abbozzata e in
difetto degli organi, e spesso in un'unica massa una parte è vivente e un'altra
è terra incoerente. Infatti, l'umore e il calore «o mischiati germogliano, e
nascono da questi due tutti gli esseri: benché sia nemico dell'acqua il fuoco,
l'aria umida e calda genera tutte le cose: è una discordia concorde che
favorisce gli embrioni.
Così, non appena rovente la terra infangata di fresco dal
diluvio, del sole per l'etere[17] e
dell'arsura dall'alto, produsse specie infinite: in parte rifece le fogge di un
tempo, in parte inventava nuove e bizzarre creature. In realtà, non avrebbe
voluto, ma generò pure te, gigantesco Pitone, serpente mai visto, terrore dei
popoli nati da poco «o col tuo dominio su immense regioni montane. Ma il dio
dell'arco, che l'arma mortale fin lì non l'aveva saggiata se non a troncare la
fuga di daini e caprioli, gli tirò addosso, svuotando la faretra, un migliaio
di frecce fino ad ammazzarlo: e versavano veleno, le nere ferite. Perché non
potesse offuscare il tempo l'impresa gloriosa, istituì giochi sacri in forma di
gare grandiose che chiamò Pitiche, in nome del serpe che aveva abbattuto. E lì
riceveva l'onore di una ghirlanda di quercia il giovane primo alla lotta, alla
corsa, alla gara dei carri. Non esisteva l'alloro; Febo usava una fronda
qualunque per cingerne i lunghi capelli in giro alla splendida fronte.
Il
primo amore di Febo, Dafne, la figlia del Peneo[18], non
era stata un regalo del caso incosciente, ma del rancore crudele di Cupido.
[1] Verbi
transitivi e verdi intransitivi – La prima importante classificazione del
verbo è quella che distingue i verbi transitivi e quelli intransitivi.
Si chiamano transitivi i verbi che possono avere un
complemento oggetto.
Es. Marco legge un
libro
Non sempre però i verbi transitivi, per avere senso compiuto,
devono essere seguiti da un complemento oggetto;
Es. Marco legge
In tal caso il verbo transitivo è usato in forma assoluta,
senza complemento oggetto, ma continua a rimanere transitivo.
Sono intransitivi i verbi che non possono avere un
complemento oggetto:
Es. L’uomo impallidì;
Es. Giovanni è partito;
Es. Siamo finalmente
arrivati;
Es. Io esco.
Nel primo caso il verbo impallidire indica uno stato; negli
altri tre i verbi (partire, arrivare, uscire) indicano un’azione. Si tratta
comunque di uno stato e di un’azione che si esauriscono nel soggetto, tant’è
vero che i verbi non sono nemmeno seguiti da un complemento. Anche se il
complemento ci fosse, servirebbe solo a precisare alcune circostanze dello
stato o dell’azione, ma non potrebbe mai essere un complemento oggetto.
La forma del verbo – La seconda importante classificazione
del verbo e quella che riguarda la forma Esistono tre modi di coniugare i
verbi:
1. per esprimere un’azione compiuta dal soggetto, si coniugano i verbi nella
forma attiva;
2. per esprimere un’azione subita dal
soggetto, si usa la forma passiva, formata dal verbo essere (o, in certi casi,
venire, andare, finire, restare), seguito dal participio passato del verbo;
3. per esprimere un’azione che è
compiuta dal soggetto e che termina sul soggetto stesso, si usa la forma
riflessiva, in cui il verbo è preceduto da una delle particelle mi, ti, si, ci,
vi.
La forma riflessiva a sua volta può essere:
·
propria: soggetto e complemento oggetto
coincidono ("Piero si veste").
·
apparente: le particelle mi, ti, si, ci,
vi non svolgono la funzione di
complemento oggetto, ma di complemento
di termine ("Piero si asciuga i capelli" = "Piero
asciuga i capelli a sé", dove "i capelli" è il complemento
oggetto e "si" = "a sé" è il complemento di termine).
·
reciproca: l’azione è compiuta e subita
scambievolmente da due soggetti ("Piero e Carlo si salutano" =
"Piero saluta Carlo e Carlo saluta Piero").
N.B.: Alcuni verbi hanno
una forma pronominale che è simile a quella riflessiva, ma non c’entra affatto:
le particelle mi, ti, si, ci, vi fanno parte del verbo stesso. Per esempio,
"Piero si pente" non significa "Piero pente se stesso":
infatti "pentirsi" è un verbo che ha la forma pronominale.
[2] Gli
aggettivi determinativi – Detti
anche aggettivi pronominali, perché sono simili ai rispettivi pronomi,
solo che non fanno le veci di un nome, ma lo accompagnano come aggettivo.
Tra gli aggettivi determinativi sono da includere:
·
L’aggettivo possessivo indica a chi
appartiene il sostantivo a cui si riferisce. Essi sono: mio, tuo, suo, proprio,
nostro, vostro, loro, altrui
Es.: La mia casa, la
tua automobile, i suoi libri.
·
Gli
aggettivi interrogativi introducono
una domanda diretta o indiretta al fine di chiedere indicazioni circa il nome a
cui si riferiscono. Essi sono: che, quale, quanto.
·
L’aggettivo correlativo stabilisce un
confronto. Essi sono: tale, quale.
Es.: Tale il padre, tale il figlio.
Sono due fratelli. Tali e quali.
·
L’aggettivo dimostrativo (detti anche
indicativi o identificativi) determinano vicinanza o lontananza da chi sta
parlando o a chi ascolta (questo, codesto, quello) oppure rapporti di
identità (stesso, medesimo, altro ecc.)
Es.: Questo libro è interessante.
·
Gli
aggettivi indefiniti qualificano il
nome con una quantità o qualità approssimata o indeterminata. Questi aggettivi
indicano una quantità generica: alcuno
(significa nessuna persona e si usa nelle frasi negative)
Es.: Non ho incontrato alcuno dei miei amici.
alquanto (indica una quantità
intermedia fra poco e molto) Es.: Marco è alquanto ingrassato.
altrettanto (indica una quantità uguale a
un’altra) Es.: Questo vino è altrettanto buono di quell’altro.
altro (indica una quantità nuova ma
non precisa) Es.: Abbiamo deciso di seguire un altro percorso.
certo (indica una piccola quantità o
una persona che non si conosce) Es.: Ho un certo appetito.
ciascuno (significa tutti, uno per uno)
Es.: Ciascuno dei dipendenti ha ricevuto in regalo un dizionario.
molto (indica una grande quantità)
Es.: La nostra azienda ha investito molto denaro per questo progetto.
diverso (inserito prima del nome
indica una quantità grande, anche se non quanto l’aggettivo molto; inserito dopo il nome significa di altro
tipo) Es.: Sandro ha incontrato
diverse persone al ricevimento.
nessuno (indica l’assenza totale di
quantità) Es.: Oggi non è venuto nessun amico a trovarmi.
ogni (significa tutti uno per uno)
Es.: Ogni socio ha partecipato all’assemblea di fine anno.
parecchio (indica una quantità
intermedia fra poco e molto) Es.: Per svolgere questo lavoro è necessario
parecchio tempo.
poco (indica una quantità piccola
ma imprecisata.) Es.: Lo spettacolo ha avuto poco successo.
qualche (indica una quantità appena
più grande di poco; a volte indica incertezza) Es.: Qualche anno fa eravamo
andati in vacanza in Olanda.
quanto (in correlazione con ‘tanto’
indica una quantità uguale a un’altra) Es.: Giulia ha tanto fascino quanta
intelligenza.
tale (preceduto dall’articolo indica
una cosa o una persona in modo indeterminato. Preceduto da ‘quello/a’ indica
cosa o persona nota) Es.: Mi ha detto che doveva incontrare la tale persona.
taluno (indica una quantità di
persone o di oggetti imprecisata) Es.: Taluni studenti parteciparono alla
manifestazione.
tanto (indica una quantità anche più
grande di molto) Es.: Possiede tanto denaro.
troppo (indica una quantità
eccessiva) Es.: Ho messo troppo zucchero nel caffè.
tutto (indica una quantità totale)
Es.: Siamo partiti con tutta calma. vario (prima
del nome indica una quantità grande, ma meno di quella indicata dall’aggettivo
molto; dopo il nome indica diversità) Es.: Per vario tempo non l’ho più
incontrato.
Questi aggettivi indicano una qualità
generica: qualsiasi (indica una
persona o una cosa generica, senza importanza) Es.: Qualsiasi persona saprà
indicarti la strada per arrivare alla stazione. qualunque (indica una persona o una cosa generica, senza
importanza.) Es.: Possiamo andare a trovare mio zio in qualunque momento.
[3] Status
sociale - Lo status identifica la
posizione di un individuo nei
confronti di altri soggetti nell'ambito di una comunità organizzata.
Le norme sociali di attribuzione dello status dipendono dal gruppo
sociale e possono essere molto
variegate: possesso di beni materiali, posizione lavorativa, cultura, posizioni di potere.
Queste disuguaglianze generano la stratificazione sociale.
Lo status si
differenzia dal potere in quanto
quest'ultimo consiste nel costringere le persone a fare ciò che non vogliono;
quando ad un individuo, invece, viene tributato un particolare rispetto si
parla di attribuzione di prestigio o
di status.
Si parla di status
ascritto quando questo è assegnato in base alle proprie caratteristiche
naturali, quali l'età, il sesso, la salute fisica.
Si parla di status acquisito quando una condizione si
acquisisce e si modifica nel corso della vita attraverso capacità e volontà
personali, ad esempio una persona è un "medico" in quanto laureato in
medicina.
Lo status
infine si colloca su una dimensione
orizzontale della stratificazione sociale, quella delle relazioni tra pari, mentre il potere è
indicativo del posizionamento sulla dimensione
verticale.
[4] Stratificazione
sociale – Per stratificazione sociale si intende la divisione in gruppi generalmente non paritari che
avviene all'interno di quasi la totalità delle società, ponendo l'accento sugli elementi strutturali delle
disuguaglianze sociali, nei due principali aspetti:
1. distributivo,
riguardante l'ammontare delle ricompense
materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una
società,
2. relazionale, che
ha invece a che fare con i rapporti di potere
esistenti fra loro.
Nel corso
dei secoli sono sempre esistiti dei sistemi di stratificazione
La schiavitù è la forma estrema di disuguaglianza, dove delle persone
posseggono altre persone. Essa si è manifestata in epoca antica e romana,
affievolitasi nel Medioevo, tornò alla ribalta nelle Americhe. Nell’antichità
gli schiavi erano impegnati nelle miniere, nell'agricoltura e presso le
famiglie con attività anche intellettuali.
Le caste esiste in
India da millenni. Tuttavia la loro interpretazione è mutata nel tempo. Oggi,
invece le caste sono migliaia, diverse per ampiezza e radicamento locale o
nazionale. Le caratteristiche principali delle caste sono tre:
1. chiusura, infatti si nasce in una casta e si
rimane a vita con anche l’obbligo di endogamia
interno ad ogni casta.
2. specializzazione
ereditaria infatti
ogni casta ha un ruolo sociale preciso e differenziato dalle altre.
3. purezza infatti le varie caste sono
socialmente e fisicamente divise per non essere infettate dalle impurità delle caste minori.
I ceti è una
divisione, esistita in Europa fino alla rivoluzione
francese, aveva i seguenti elementi distintivi:
1. Gli
status ascritti erano accettati come condizione di immobilità sociale;
2. Fra ceti diversi vi erano differenze sociali sia di fatto
che di diritto. (Per esempio nobiltà e clero erano esenti dalle tasse)
3. Ogni ceto
richiedeva un determinato stile di vita da parte dei suoi membri.
Una classificazione dei ceti venne proposta già nel mondo
antico in base alle rendite di ogni ceto attraverso tre cerchi concentrici di
persone:
·
i
poveri strutturali (che non guadagnavano);
·
i
poveri congiunturali (lavoratori occasionali);
Le classi sociali moderne, nate dalla rivoluzione francese, sono caratterizzate dall’eguaglianza di diritto di tutti
i suoi membri. A differenza quindi delle società dell’Ancien régime, le classi moderne sono raggruppamenti di fatto, non
di diritto.
[5]
Dell’Elide, regione della Grecia
[6]
Popolo che abitava l’Aonia, una regione montuosa dell'antica Grecia posta in Beozia ai confini con la Focide.
[7] Il Monte Parnaso è una montagna del
centro della Grecia, che domina la città di Delfi. Particolarmente
venerato durante l'antichità, il Parnaso era consacrato al
culto del dio Apollo e alle nove Muse, delle quali era
una delle due residenze.
[9] Temi è una figura della mitologia
greca.
Secondo Esiodo Temi era una titanide, figlia
di Urano e Gea, e fu una delle spose di Zeus. Il significato del nome Temi è
"irremovibile", e forse per questo motivo questa figura mitologica fu
considerata non tanto una dea, quanto la personificazione dell'ordine, della
giustizia e del diritto, tanto che si usava invocarla nel momento in cui
qualcuno doveva prestare un giuramento.
[10] Tritone è, nella mitologia greca, il figlio
di Poseidone il
dio del mare e della nereide Anfitrite. Tritone aveva un corno di conchiglia
il cui suono calmava le tempeste e annunciava l'arrivo del dio del mare. Tritone
veniva raffigurato con la metà superiore umana e quella inferiore a forma di
pesce, tutta la pelle era verde.
[12] Gli dei
[13] fiume della Beozia,
nasce dal monte Parnaso, scorre
per 114 km e sfocia nel golfo
di Eubea dopo aver alimentato
alcuni laghi fra cui il Lago
Copaide
[14] La Grande
Madre è un'ipotetica divinità femminile primordiale, la cui esistenza è stata
teorizzata ma mai dimostrata. Essa sarebbe presente in quasi tutte le mitologie note ed attraverso essa si
manifesterebbe la terra, la
generatività, il femminile come mediatore tra l'umano e il divino.
Essa attesterebbe l'esistenza di una originaria struttura matrifocale
nelle civiltà preistoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
[15] Pirra, figlia di Epimèteo
[16] Il sole
[17] Etere. cielo
[18] Penèo (Πηνειός), dio fluviale della mitologia
greca, dà origine al nome dell'omonimo fiume della Tessaglia. Figlio
di Oceano e Teti.
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