II UNITÀ
Comunicazione Parafrasi – La parafrasi indica la
trasformazione di un testo scritto nella propria lingua, ma in un registro
linguistico distante (sia esso arcaico, elevato o poetico) in prosa nel
registro medio e attuale.
Il processo di parafrasi prevede dunque operazioni come:
·
la
ricostruzione sintattica e delle figure sintattiche,
·
la
sostituzione degli scarti linguistici (forma
linguistica antica, scomparsa o desueta) e degli altri scarti linguistici[1]
·
l’esplicitazione
delle figure retoriche di significato
·
la
riscrittura in prosa del testo poetico.
Possono anche essere operati dei chiarimenti di alcuni punti
del testo: una buona parafrasi include infatti tutti i dettagli e rende il
testo originale più semplice da comprendere. Poiché il testo risultante è
normalmente più ampio del testo di partenza, quest’operazione si oppone a
quella del riassunto.
Come necessario effetto collaterale della parafrasi, il
profondo rapporto tra significante e significato, tipico della comunicazione
letteraria e fulcro dei testi poetici finisce normalmente sacrificato.
Riflessioni sulla lingua. Il verbo – Il verbo è una parte variabile
del discorso che denota azione
(“portare”, “leggere”), occorrenza
(“decomporsi”, “scintillare”), o uno stato
dell’essere (“esistere”, “vivere”,
“stare”).
I modi e i tempi - Le diverse modalità con le quali
può avvenire un’azione sono rese con i diversi modi verbali.
Modi finiti - I modi finiti si chiamano così
perché le loro desinenze definiscono sempre una persona (prima, seconda o
terza) e un numero (singolare o plurale).
Indicativo - È il modo della realtà, della sicurezza, della
certezza.
Ha otto tempi: quattro semplici (presente, imperfetto,
passato remoto, futuro semplice), chiamati così perché non hanno bisogno di un
verbo ausiliare, e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo,
trapassato remoto, futuro anteriore), che invece necessitano di un ausiliare.
Congiuntivo – È il modo della possibilità, dei desideri, delle opinioni.
Ha quattro tempi: due semplici (presente, imperfetto) e due
composti (passato, trapassato).
Condizionale – È il modo delle azioni che
avvengono a una data condizione.
Ha due tempi: il presente, (semplice) e il passato,
(composto).
Imperativo – È il modo delle richieste, degli ordini, degli
inviti.
Ha solo la seconda persona (tu e voi) e un solo tempo, il
presente.
Modi indefiniti
– Questi modi non permettono di identificare la persona e il numero (fatta
eccezione per il participio, in cui si può distinguere il singolare dal
plurale).
Infinito – È la forma base del verbo. Si usa in dipendenza da un
altro verbo (p. es.: Sai guidare una motocicletta?), ma si può usare anche come
verbo principale per indicare ordini, desideri, ed altro.
Es.: Uscire, uscire fuori, subito!
Ne esistono il tempo presente (“riflettere”) e passato (“aver
riflettuto”).
Participio - È simile a un aggettivo e, per questo, può indicare il
numero e talvolta anche il genere ( es., il participio mangiata indica un
femminile singolare). Si usa con i verbi ausiliari nella costruzione dei tempi
composti.
Ha due tempi, il presente (“riflettente”) e il passato
(“riflettuto”).
Gerundio – Si usa nelle subordinate per esprimere un certo tipo
di rapporto con la reggente. Ha due tempi: il presente (“riflettendo”) e il
passato (“avendo riflettuto”).
Riflessione sulla lingua. Il lessico[2]: gli scarti
linguistici – Si definisce scarto linguistico una trasgressione, un’infrazione ad una norma linguistica di uso comune.
Essi si distinguono in:
·
Arcaismo – Forma grammaticale, parola o espressione di una
fase linguistica anteriore sopravvivente nell’uso, di solito per fini
stilistici.
·
Barbarismo – Il
fenomeno dell’uso di termini stranieri.
·
Classicismo – L’insieme
dei caratteri stilistici e dei concetti teorici che sono stati ricavati
dall’antichità classica e rielaborati formandone un canone proposto come
modello supremo per ogni produzione artistica e letteraria.
·
Dialettalismo – Vocabolo
o espressione di origine dialettale
·
Neologismo – Parola o
locuzione nuova, o anche nuova accezione di una parola già esistente, entrata
da poco tempo a far parte del lessico di una lingua.
·
Tecnicismo - Parola o
locuzione che fa parte di un linguaggio tecnico.
Educazione
letteraria. I generi letterari – Per classificare un’opera letteraria
bisogna individuare il genere letterario cui essa appartiene, perché un testo è legato
ad altre opere appartenenti allo stesso genere. Tale rapporto rende
riconoscibile il testo e, al tempo stesso, consente di coglierne l’originalità.
Il genere letterario è un
raggruppamento di opere omogenee, accomunate da una serie di caratteristiche
riguardanti le scelte tematiche e stilistiche e le regole di costruzione.
Per definire un genere letterario non
sono indicativi né i temi, né l’uso di particolari tecniche espressive
isolatamente considerate, quello che lo caratterizza è il rapporto fra
l’organizzazione tematica ed il piano formale.
Tre elementi definiscono il genere letterario:
1. Un preciso rapporto fra temi e forme
espressive, comune a una serie di opere;
2. La codificazione di tali relazioni
che permette di individuare le costanti e di fissare il modello;
3. La conoscenza, comune sia
all’emittente sia ai destinatari, dei caratteri del genere letterario.
In tal modo il lettore, posto di
fronte a un testo appartenente a un certo genere letterario, sa già, almeno nelle linee essenziali, che
cosa troverà nel testo e, proprio secondo tale conoscenza, potrà valutarne
l’originalità.
Le caratteristiche del genere letterario, non vanno
considerate come uno schema rigido e immutabile, ma piuttosto come un programma
costruito su leggi generali, nel cui ambito egli può operare con una certa
libertà, adeguandosi ad esse fedelmente o mutandole in modo originale con
l’introduzione di elementi nuovi che, una volta codificati, trasformano, a loro
volta, le leggi del genere che tende a modificarsi nel tempo.
Adottando una suddivisione pratica, possiamo distinguere tre
fondamentali tipi di testo letterario: quello di narrativa (in prosa), quello
di poesia (in versi), quello teatrale (destinato ad essere recitato in teatro).
Ciascuno di essi comprende vari generi, cioè raggruppamenti
d’opere omogenee caratterizzate da un preciso rapporto tra argomento trattato e
forma espressiva.
Es.: Il poema epico è tale perché tratta di guerra, d’eroi e
delle loro eccezionali imprese ed è scritto in versi, in un linguaggio alto e
solenne, denso di formule espressive ricorrenti.
Educazione letteraria.
Il testo narrativo –
Il testo narrativo è un tipo particolare di composizione letteraria in prosa o
in versi, sia orale sia scritta.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·
Una
storia;
·
Un
narratore, che si assume il compito di raccontare agli
ascoltatori-lettori-destinatari la storia.
Educazione letteraria. Il testo poetico – Il testo poetico è un tipo
particolare di composizione letteraria in versi in cui l’autore esprime un
messaggio.
Questo modello di scrittura presuppone l’esistenza di:
·
un
linguaggio che segue regole
totalmente diverse da quello della lingua comune;
·
dei
versi che si riconoscono visibilmente
rispetto alle righe del testo in prosa;
·
una
musicalità estranea ai normali testi
in prosa ed alla conversazione;
·
un
significato che il testo poetico
riesce a esprimere con un certo livello di complessità, grazie al modo in cui
il messaggio è organizzato.
Educazione letteraria. Il testo teatrale – Il testo teatrale è tipo particolare
di composizione letteraria, chiamato copione usato per le rappresentazioni
sulla scena di un teatro.
Questo modello di scrittura presuppone:
·
il
discorso diretto da parte dei personaggi, attori che recitano una parte e
descrivono gli ambienti, gli stati d’animo, la vicenda con delle battute.
·
le
didascalie (per descrivere l’ambiente, i personaggi o il modo in cui sono dette
le battute).
Educazione letteraria.
Testo e contesto - L’autore[3], nel
produrre un testo letterario, agisce attribuendo un particolare significato a
qualcosa e rappresentando nel suo testo il modo di vivere, di pensare e di
fantasticare degli uomini e delle donne del suo tempo.
Per realizzare questa rappresentazione si serve di due modalità:
1. o inventa
storie con personaggi che mostrano al lettore situazioni di vita e idee,
sentimenti, stati d’animo del suo tempo trasferiti ai personaggi;
2. o esprime,
attraverso situazioni minime che gli servono da spunto, gli stati d’animo, le emozioni,
le idee che possono essere solo sue personali o condivise dai suoi
contemporanei.
Nel corso dei secoli, la prosa ha finito col divenire la
forma delle storie con personaggi, la poesia la forma delle situazioni minime
che sono solo lo spunto per esprimere emozioni, idee, stati d’animo: per le
storie con personaggi, scritte utilizzando versi si usa, infatti, il termine poema[6], non
il termine poesia.
Nella costruzione di un testo letterario, lo scrittore fa
riferimento a due immaginari:
1. l’immaginario
collettivo, ossia il patrimonio di immagini simboliche cui fanno
riferimento gli appartenenti ad una stessa cultura per rappresentare
sentimenti, situazioni, esperienze.
Es.: la donna fatale, che ammalia gli uomini e li rende incapaci di decidere
da soli è rappresentata nella cultura greca dalla maga Circe.
Nella
cultura europea Romeo e Giulietta rappresentano i giovani amanti ostacolati nel
loro amore.
L’agnello
è il simbolo della innocenza sacrificata.
La
bilancia esprime il concetto di giustizia.
2. L’immaginario
personale, ossia l’elaborazione dell’immaginario collettivo di un proprio
immaginario da parte dello scrittore, ma che caratterizza in modo specifico la
propria produzione poetica rispetto a quella dei suoi contemporanei e
rendendola personale. Riconoscere l’immaginario personale di un autore è un
elemento costitutivo dell’analisi
storico-letteraria del testo.
Scrittori, poeti e drammaturghi non sono gli unici autori che
rappresentano: anche un’opera lirica ed un film sono rappresentazioni di
azioni, di sentimenti, di stati d’animo, di idee e di fantasie.
Di fronte ad un testo letterario, un lettore/spettatore consuma il prodotto senza porsi domande
su chi ne sia l’autore, su quando questi sia vissuto, su quali fossero i suoi
scopi; il modo di consumare del
lettore/spettatore fa riferimento al piacere che avverte e alla consonanza di sentimenti che prova con
quel che legge/vede/ascolta.
In tal caso, il lettore/spettatore si confronta con il
singolo testo che sta consumando.
Ma consumare in
questo modo è un atteggiamento passivo: appena, infatti, un lettore/spettatore
comincia a chiedersi perché gli piaccia oppure no, smette di essere passivo di
fronte al prodotto di un autore e comincia a giocare con il testo e con l’autore: la fabula, l’intreccio, i termini usati, l’alternarsi delle sequenze, la costruzione dei personaggi, le situazioni
descritte.
Il primo passo verso l’interpretazione è chiedersi come
funziona un testo: questo tipo di indagine vuole dire cercare di comprendere
come l’autore ha lavorato, quali mezzi
ha usato per fare piacere il suo prodotto.
Il lettore critico però va oltre e si chiede:
·
per
quale scopo l’autore ha scritto ciò che ha scritto
·
di
che cosa vuole convincere
·
quale
sua verità vuole dimostrare.
Il lettore che si pone queste domande deve comprendere quindi
i propositi dell’autore, che ha voluto rappresentare proprio
·
quelle
azioni,
·
quei
sentimenti,
·
quei
comportamenti,
attribuendo a queste azioni, sentimenti e comportamenti
alcuni significati precisi.
Il lettore che comprende i propositi dell’autore (il suo
scopo nel produrre l’opera) comincia a cercare interpretazioni al testo.
T 3 Il
Caos primordiale
Da Le
metamorfosi di Ovidio
·
In principio era
il Caos, cioè un miscuglio universale e disordinato della materia,
una forma indefinibile e indescrivibile che racchiudeva cielo, mare e terra.
·
Il Caos era
comunque una divinità capace di generare e la maggior parte dei figli del Caos
furono divinità enigmatiche, cieche e capricciose.
·
Ne nacquero
anzitutto il Destino o Fato, divinità ora benigna ora ostile,
potentissima e inesorabile, a cui tutte le divinità erano sottomesse e a cui
tutti dovevano obbedire. Niente poteva cambiare i suoi decreti.
·
Dal Caos
nacquero altre divinità: l'Erebo, una specie di abisso senza fondo fatto di
tenebre; la Notte, anche essa buia e misteriosa che portava agli uomini
buoni consigli e donava il riposo; le tre sorelle fatali, le Mòire o
Parche, ministre principali del Destino, figlie della Notte e dell'Erebo;
la Discordia, testarda; la triste Vecchiaia.
·
Più tardi
nacquero divinità più clementi: la Concordia, l'Amore o Eros,
il Giorno e finalmente Urano, cioè il Cielo e Gea, la
Terra. Così grazie all'Amore, la Notte e il Giorno, alla Concordia e Discordia,
Cielo e Terra incominciò a delinearsi il Cosmo, l'Universo, lasciando
così la situazione di Caos per l'ordine.
Prima
del mare, dei campi, del cielo a coprire ogni cosa, per l'universo mostrava la
natura un'identica faccia, il Caos, come l'hanno chiamata: una massa informe e
confusa, nient'altro che un intorpidito peso e dentro, ammucchiati e discordi,
i germi di cose disgiunte. Non c'era il Titano[7]
a elargire al mondo la luce, né Febe[8]
rinnovava la falce crescente; non stava sospesa, la Terra, con l'atmosfera a
recingerla, per proprio equilibrio, e Anfitrite[9]
non aveva disteso le braccia lungo le sponde. Se c'erano la terra, il mare e
l'aria, la terra era instabile, l'onda innavigabile, l'aria senza luce; niente
riusciva a mantenere la stessa forma e ogni cosa cozzava con l'altra: in un
unico corpo combattevano il freddo intenso col caldo, l’umido con il secco, il
morbido col duro, il pesante con l'imponderabile.
Questo
conflitto appianarono un dio e una natura migliore: prese a staccare le terre
dal cielo, e dalle terre le onde, divise il limpido cielo dall'atmosfera più
fitta. Sbrogliate le cose e strappatele all’indistinto groviglio, assegnava un
posto a ciascuna, stringendole in lacci concordi di pace. Nel cavo del cielo si
accese, senza peso, l'essenza di fuoco facendosi largo nei vertici supremi. A
lei subito sotto per leggerezza e per luogo sta l'aria; più densa di loro
attrasse la terra, schiacciandoli sotto il suo peso, i materiali massicci;
l'acqua, versandosi in giro, invase gli estremi confini e chiuse il mondo dei
solidi.
Chiunque
fosse quel dio, una volta spezzato e ordinato l’ammasso, e plasmati quei pezzi
in membra, cominciò ammassando la terra, per renderla uguale dovunque, in forma
di un globo grandissimo. Poi ordinò agli oceani di dilagare e di gonfiarsi al
soffio impetuoso dei venti, di circondare le sponde, girando intorno alla
terra. Aggiunse poi le sorgenti, e le immense paludi e i laghi; costrinse fra
due rive oblique il deflusso dei fiumi che di regione in regione diverge, e qui
lo assorbe la terra, lì si spinge all'oceano e, raccolto dall'acqua più libera
che quella distesa, va a frangersi invece che a sponde agli scogli.
Quindi
ordinò alle pianure di correre in largo, alle valli di sprofondare, alle selve
di coprirsi di foglie, ai monti rocciosi di ergersi. E come, da destra e
sinistra, due fasce tagliano il cielo, e la quinta è più ardente di tutte,
così, con lo stesso principio, l'impegno del dio suddivise la massa al suo
interno, e s'impressero in terra altrettante regioni. La fascia centrale è
rovente, perciò dimorarvi è impossibile; la neve ricopre le estreme; fece
spazio nel mezzo ad altre due equilibrandone il clima e mischiando col gelo la
fiamma.
A
sovrastarle c'è l'aria, di tanto più pesante del fuoco quanto è più leggera del
peso terrestre il peso dell'acqua. Lì comandò di raccogliersi alle nebbie, alle
nuvole e ai tuoni, destinati a sconvolgere la mente degli uomini, ai venti,
fabbri di lampi e di fulmini. E non volle lasciarli spaziare, l'architetto del
mondo, per tutti i domini dell'aria: anche oggi che ognuno governa col soffio
una zona diversa, quasi dilaniano il mondo, fratelli in profonda discordia.
Verso
l'Aurora, nel regno dei Nabatei[10],
tornò l'Euro[11], verso
la Persia e le vette colpite dai raggi al mattino; i1 Vespro e le spiagge
scaldate dal sole al tramonto sono i vicini di Zefiro[12];
la Scizia[13] e i
paesi dell'Orsa[14] li
invase il tremendo Borea[15];
le terre all'incontro l'Austro[16]
le bagna di pioggia e di nubi incessanti. Sopra di loro posò, limpido e privo
di peso, l'etere, senza neppure un'ombra di feccia terrestre.
Bastò
che così ripartisse le cose entro fermi confini perché, troppo a lungo nascoste
dentro la nebbia oscura, rendessero ad accendersi stelle per tutto l'empireo.
In modo che non ci fosse regione immota da cose viventi, occupano il campo
celeste astri e figure di dèi, le acque si aprirono e accolsero i lucidi pesci,
la terra si prese le bestie, la mobile aria gli uccelli. Ma un animale più
nobile, più degno di un alto intelletto ancora non c'era, capace di imporsi su
tutti. E nacque l'uomo: che l'abbia foggiato da un seme divino il Fabbro di
tutte le cose, la Causa di un mondo migliore, o che la terra neonata ancora
recasse, strappata appena dall'etere sommo, i germi fraterni del cielo e che
l'avesse plasmata, mischiandola all'acqua piovana, il figlio di Giàpeto[17]
a immagine degli dèi signori del Tutto.
Se gli altri animali contemplano a testa bassa la
terra, la faccia dell'uomo l'ha alzata, gli ha imposto la vista del cielo
perché levasse lo sguardo spingendolo fino alle stelle. Così la terra, fin lì
rudimentale e informe, si trasformò, rivestendo le forme mai viste degli uo
[2] Il
lessico: Si definisce lessico
·
L’insieme
di tutte le parole di una lingua in un determinato spazio temporale.
·
L’insieme
di tutte le parole di una lingua che un singolo parlante conosce o utilizza.
In questo significato, il lessico si distingue tra:
·
lessico passivo, compreso tramite il senso, ma
tuttavia non utilizzato attivamente;
·
lessico attivo o produttivo, utilizzato anche mentre si parla e le sue possibilità
di impiego sono così conosciute che vi si possono formare frasi sensibilmente
comprensibili.
In generale bastano dalle 400 alle 800 parole per la lingua
quotidiana. Per comprendere testi più difficili (riviste, giornali o classici)
sono necessarie dalle 4.000 alle 5.000 parole, in casi eccezionali come in
Dante o James Joyce, dalle 80.000 alle 100.000.
Il lessico di una persona dipende da:
·
livello di istruzione, quanto sarà più elevato tanto più
il suo lessico sarà ricco.
·
campo di interessi di questa persona (oltre alla
terminologia specifica)
Un lessico più ampio serve per uno scambio di
informazioni più differenziato.
Lo studio del lessico è collegato con il termine lessema, ossia le forme base di una parola,
le unità di lessico considerate in astratto:
·
l’infinito
per i verbi,
·
il
singolare maschile per i sostantivi; i sostantivi femminili con forma autonoma
sono registrati a parte.
·
gli
aggettivi per i quali è riportato il grado positivo, ma le forme irregolari del
comparativo e del superlativo sono classificate come forme autonome.
·
i
pronomi,
·
gli
articoli.
Il lemma è la
singola forma registrata in ordine alfabetico nel dizionario; rappresenta in
genere un sostantivo, un aggettivo, un pronome, un verbo, ma può anche
consistere in un sintagma o in una locuzione, considerate come un’unità
lessicale, oppure un prefisso o un suffisso.
I sottolemmi non costituiscono vere e proprie unità lessicali,
e quindi non sono registrati autonomamente, ma sono relegati in posizione
secondaria, in fondo alla trattazione del lemma.
Sono collocate fra i sottolemmi:
·
le
forme alterate dei sostantivi e degli aggettivi (diminutivi, vezzeggiativi,
spregiativi, accrescitivi, peggiorativi);
·
gli
avverbi in –mente, quando il loro uso e significato coincidono con quelli
dell’aggettivo dal cui tema sono formati;
·
il
participio presente e il participio passato, quando siano usati con funzione
d’aggettivo o di sostantivo, senz’aver tuttavia un’autonomia semantica e d’uso
che ne richieda una registrazione autonoma.
Ogni lemma è formato da una sequenza fissa di più elementi:
·
intestazione
della voce
·
definizione
della voce, con l’indicazione del significato o dei significati e relativa
esemplificazione, fraseologia, citazioni
·
eventuali
sottolemmi
[3] Autore
- L’autore, in senso generalissimo, è l’iniziatore di qualcosa, colui che fa aumentare l’insieme dello
sapere e del fruibile.
La parola autore è spesso usata per indicare il
creatore di un’opera letteraria, artistica o dell’ingegno ovvero di chi, per
primo, ha inventato qualcosa non precedentemente esistente.
[4] Prosa
- La prosa è una forma di espressione linguistica non sottomessa alle
regole della versificazione.
Il concetto di prosa si oppone a quello di poesia: esso, infatti, indica una
struttura che non presenta l’a capo
del verso, ma procede diritta, completando il rigo ed usando l’a capo solo per indicare una separazione
non metrico-ritmica ma concettuale, tra sequenze non obbligate da vincoli
formali.
L’origine etimologica e la storia della prosa testimoniano
questi caratteri: Prosa era in latino la forma femminile dell’aggettivo prorsus (diritto, di seguito); unita al
sostantivo oratio indicava il discorso orale o scritto non in versi.
Le funzioni della prosa colta sono molteplici:
·
Narrativa
·
Storiografia
·
Didattico-scientifica
·
Saggistico-critica
·
Oratoria
·
Epistolare
·
Drammatica
[5] Poesia
- La poesia è l’arte di usare,
per trasmettere un messaggio, tanto il significato semantico delle parole
quanto il suono ed il ritmo che queste imprimono alle frasi;
la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere emozioni e stati d’animo più evocativamente
e potentemente di quanto faccia la prosa.
Questa definizione è, tuttavia, minimale e limitata di poesia. Il termine poesia, dal greco poiesis,
rimandava all’idea di creazione, creatività, produttività, a un’attività
demiurgica,, senso recuperato da Friedrich
Nietzsche e da Martin Heidegger.
Gli elementi caratteristici della poesia soni tre:
1. Una poesia non ha un significato
necessariamente e realmente compiuto come un brano di prosa, o il significato è
solo una parte della comunicazione che avviene, quando si legge o si ascolta
una poesia; la parte non verbale è emotiva.
2. Poiché la lingua nella poesia ha
questa doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto
sia informativo sia emotivo, la sintassi e l’ortografia possono subire
variazioni se questo è utile ai fini della comunicazione complessiva.
3. Quando una poesia è ascoltata, con il
proprio linguaggio del corpo ed il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo una
dimensione teatrale.
4. La poesia è nata prima della
scrittura: anzi le prime forme di poesia erano essenzialmente orali, come
l’antichissimo canto a batocco dei
contadini e i racconti dei cantastorie.
Altre forme di componimento poetico:
·
La
poesia didascalica, che è quella che
mira a insegnare poeticamente verità utili all’uomo. Comprende questi
componimenti:
- il poema didascalico
- il poema allegorico
- l’epistola
- la satira
- l’epigramma
- la favola
- epicedio
- Ballata
- Cinquina
- Sestina
[6] Poema
- Un poema è una composizione letteraria in versi, per lo più di carattere
narrativo o didascalico e di ampia estensione, spesso suddivisa in più parti.
Con questo termine si intende generalmente il genere letterario che comprende tali composizioni.
Un poema è in genere scritto in versi endecasillabi, perché
sono versi narrativi, serve per raccontare, ed è molto più lungo di una poesia.
Ha tre
momenti fissi:
·
Protasi: riassunto in pochi versi di tutto
il contenuto dell’opera;
·
Invocazione: richiesta di aiuto (ispirazione) ad
un’entità superiore (dèi, muse della letteratura nell’età
classica, Maria nella letteratura
religiosa del cristianesimo, oppure una vera donna come nel caso di Ludovico
Ariosto)
·
Dedica: nel poema classico, la dedica non è
presente in modo scritto perché era destinato alla declamazione orale, dal
medioevo in poi la dedica sarà presente per dimostrare gratitudine a chi ospita
l’autore.
Un poema può avere vario tono ed argomento e si può distinguere
fra l’altro, a seconda della materia, in:
·
Poema cavalleresco
·
Poema didascalico
·
Poema epico – Un poema epico è un componimento letterario che narra
le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali
si conservava e tramandava la memoria e l’identità di una civiltà o di una
classe politica. Si tratta di una delle forme
più antiche di narrazione, racconta le imprese eroiche di personaggi umani,
storici o leggendari, a cui spesso si uniscono esseri soprannaturali, ma anche
le origini del mondo, delle città, le norme dell’agricoltura e della
navigazione. La poesia epica è alla base di molte culture, in quanto si propone
di conservare e tramandare la memoria di fatti eccezionali che hanno coinvolto
tutto un popolo. Dato che non esprimono sentimenti o punti di vista
individuali, ma di tutta una comunità, i poemi epici sono spesso anonimi, cioè
non possono essere attribuiti ad un autore la cui esistenza sia certa e
provata. Quasi sempre la poesia epica di un popolo nasce in forma orale:
inizialmente è composta e tramandata a voce, da poeti o cantori che si
accompagnano spesso con strumenti musicali, e solo in un secondo momento
assumono forma scritta. Era eseguita non solo nelle regge, ma anche nei
santuari e nelle piazze, rendendo tutti gli spettatori partecipi delle stesse
memorie, delle stesse tradizioni e delle stesse conoscenze. Nell’antichità la
poesia epica fu diffusa sia nel mondo orientale sia in quello occidentale. Il poema è generalmente caratterizzato da due momenti ricorrenti:
- La mimetica, che riporta in presa
diretta i discorsi dei personaggi.
- La diegetica, ossia la narrazione in
terza persona.
Il fulcro dell’epica è costituito dalle gesta
dell’eroe che è sempre una persona più intelligente, forte, brillante o astuta
degli altri uomini. I segni distintivi del poema epico, oltre ovviamente
all’argomento trattato, riguardano anche lo stile e certi motivi ricorrenti.
Il poema epico si apre sempre con una protasi, in cui dopo l’invocazione alla Musa è brevemente
presentato l’argomento del poema.
·
Poema eroicomico
·
Poema sinfonico
[7]
Helios titano figlio dei titani Giàpeto e della titanide Theia
[8] Febe:
titanide figlia di Urano e di Gea. Dea della luna
[9] Divinità marina dei Greci, considerata una delle Nereidi,
sposa di Poseidone. Tra i suoi figli figurano Tritone e Rodo. Ebbe culto non
distinto da quello di Posidone.
[10] I Nabatei furono un popolo di commercianti dell'Arabia antica,
insediati nelle oasi del Nord Ovest cui fu
dato il nome di Nabatene, indicando approssimativamente
l'area che fungeva da confine fra la Siria e l'Arabia, dall'Eufrate al mar
Rosso.
[11] L'Euro è un vento variabile prevalentemente
locale e spira saltuariamente all'aurora. È un vento relativamente moderato che
muovendosi dalle coste africane arriva a lambire le coste ioniche, portando con
sé aria calda. È chiamato anche Levante.
[12] Lo Zèfiro è un vento che soffia da ponente. Il termine trae origine dalla mitologia greca dove Zefiro è la personificazione del vento di ponente (ovest).
[13] La Scizia corrisponde all'area euro-asiatica che
in antichità, tra l'VIII secolo a.C. e il II secolo d.C., fu abitata dagli Sciti una popolazione nomade di origine indoeuropea. La sua posizione e la sua estensione variarono nel
corso della Storia ma di solito l'area indicata dagli autori classici come
Scizia include: la steppa del Ponto,
l'area del Caucaso
settentrionale, la Sarmazia, l’Ucraina, la Bielorussia
e la Polonia fino al Mar Baltico.
[14] I
paesi artici
[15] Nella mitologia greca Borea è la personificazione
del Vento del Nord, figlio del titano Astreo e di Eos, dea dell'aurora. Nella mitologia romana equivale
ad Aquilone.
[16] Nella mitologia greca, Austro (o Noto od Ostro) era il nome di uno
dei figli di Eos e di Astreo, ed era uno dei quattro venti, quello del sud.
[17] Giàpeto, è uno dei Titani della mitologia
greca. I Titani sono figli di Urano e Gea. Tentarono di conquistare l'Olimpo ma furono sconfitti da Zeus. Giàpeto appartiene, quindi, alla prima generazione
degli dei ed è uno dei fratelli maggiori di Crono.
Giàpeto è il progenitore della specie
umana, sposo di Climene ed è padre di Atlante, Epimeteo, Menezio
e Prometeo. Come la maggior
parte dei Titani, fu fatto precipitare nel Tartaro da Zeus. Egli rappresenta l'Ovest, inoltre il suo nome
significa il Perforatore
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